Criteri ermeneutici e metodologici
Cesare Bissoli
(NPG 95-3-39)
Il punto di vista di questo articolo riguarda il rapporto tra Parola di Dio ed esperienza umana in un quadro religioso-formativo, specificamente per un gruppo giovanile. Vengono dati alcuni indicatori o criteri sotto forma di tesi, ma dove è facile scorgere le motivazioni teologiche e razionali. In una parte seconda saranno annessi alcuni «suggerimenti» per la prassi.
I fondamenti
1. Alla luce del mistero dell'incarnazione di Gesù Cristo, la Parola di Dio giunge a noi come evento di «Incarnazione», per cui tra Bibbia ed esperienza umana vi è un rapporto intrinseco, un richiamarsi reciproco come Parola e carne, come senso e segno...
Noi non conosciamo la Parola di Dio che come Parola incarnata.
2. Tale rapporto si realizza anzitutto nella stessa «Bibbia» che è la codificazione ispirata e normativa dell'incontro tra la Parola di Rivelazione e l'esperienza dell'uomo biblico.
Rispetta la Bibbia chi, grazie all'analitica critica, perviene a cogliere il rapporto Parola e vita, il senso che l'uomo (profeta, popolo...) ha ricevuto (reagito, vissuto...) dalla Rivelazione di Dio.
3. Tutto questo ci interessa non come curiosità, ma per il fatto che tale rapporto si prolunga ed avviene ogni volta che il «lettore», nelle debite condizioni, incontra il dato biblico: in lui, si
realizza analogamente, ma veramente, l'evento di incarnazione avvenuto già nell'uomo biblico.
4. E' chiaro che dal fondamento dell'Incarnazione del Cristo deriva che ultimamente e radicalmente il senso della Parola è senso cristico, del «Cristo» e della «Chiesa». Gesù Cristo è l'ermeneutica sostanziale della Parola e il luogo vitale è la Chiesa. Quella biblica è dunque, per un credente, una esperienza eminentemente pneumatica o spirituale, senza per altro dimenticare il «seno» dove la Parola assume carne, la nostra storia, la condizione umana del lettore. la intrinseca mediazione culturale della Parola che impedisce ogni cattura immediata del senso. infine anche una esperienza mariana l'incontro con la Parola, essendo Maria il «seno» della sua suprema Incarnazione.
I fattori
5. Incontrare la Bibbia come Parola di Dio comporta una esperienza umano-religiosa delicata ed articolata che chiamiamo globalmente «processo ermeneutico». Si stabilisce tra testo e lettore una relazione vitale, non facile, di distanza ed insieme di vicinanza, di stacco culturale e di profonda consonanza esistenziale, di dipendenza dal testo e di responsabile decisione, di personale contatto ed insieme di inevitabile interferenza e condivisione con quanti fanno lo stesso cammino.
6. Leggiamo facilmente una serie di «rapporti» da vivere:
- io (noi) e il testo biblico: relazione esistenziale (in ascolto della Parola di Dio); io e gli altri di fronte al testo biblico: relazione comunitaria (la Parola di Dio ci perviene nella Chiesa);
- io (noi), il testo biblico ed altri testi o sistemi di significato: relazione di confronto (la Parola di Dio ci interpella tra altre parole portatrici di senso).
7. Prima di procedere, conviene notare che il processo ermeneutico, grazie al quale si realizza l'incontro credente con la Bibbia, non può essere superficiale, di esito immediato come un prodotto da consumo, senza partecipazione personale, in maniera individualistica, lasciandosi condurre da fantasia od emotività, e nemmeno costringendo la Parola a fatto puramente razionale, controllabile e manipolabile con le risorse delle scienze antropologiche... Rimane un evento di incarnazione, preparato, vissuto, colto negli effetti successivi, gestito dallo Spirito Santo mediante la partecipazione della persona nella sua libertà e consapevolezza. Dunque per interpretare o attualizzare correttamente la Bibbia occorre darsi una «formazione», delle qualità adeguate.
Le operazioni
8. Vengono alla luce delle esigenze cui attendere in se stesso, e come animatore, per gli altri. Sono globalmente raffigurate nel cosiddetto «circolo ermeneutico». Si intende con esso il cammino da compiere per bene vivere l'esperienza della Parola. Tale cammino assume una figura circolare, o meglio, a spirale, per cui il punto di arrivo è lo stesso punto di partenza, ma in un gradino più elevato, con una maturazione più avvertita.
9. Il punto di partenza non è il testo, ma noi stessi, segnati sempre, consapevoli o meno, da un atteggiamento di fondo detto «precomprensione».
Indica la relazione che noi qui ed ora abbiamo davanti al testo: se .siamo interessati, o meno; se ci avviciniamo per curiosità o per adesione di fede; se ci mettiamo veramente in ascolto, o «sappiamo già come va a finire o vogliamo che vada a finire» (il che manifesterebbe che la precomprensione tende ad essere o diventa un vero e proprio pregiudizio).
In un gruppo giovanile è questo un momento decisivo: preparare i giovani all'incontro. La linea positiva è di renderli consapevoli e desiderosi dell'incontro con la Parola, focalizzando il processo in atto ed insieme stimolando in concreto il mondo di problemi, di attese, di esperienze che si vorranno illuminare con il mondo biblico.
In pratica questo è il momento in cui l'animatore attua con i giovani una presa di coscienza, si mette in chiaro l'esperienza che si farà, si problematizzano gli atteggiamenti esistenti e quelli richiesti, si fissano le tappe del viaggio...
10. La precomprensione spinge all'ascolto» della Parola (incontro con un determinato passo), a comprendere in particolare la relazione vissuta con la Parola da parte di chi il testo ha composto. E' compito dell'esegesi, da intendersi non solamente come somma di cognizioni estrinseche, storiche, letterarie od anche teologiche, ma come capacità di evidenziare le conseguenze esistenziali, quale risposta all'eterno problema dell'uomo: senso della vita, della morte, di Dio, del futuro, del peccato, della speranza, dell'amore e dell'odio...
In pratica qui si richiede l 'aiuto di un esperto in esegesi, che pero sia lui stesso illuminato su ciò che gli si chiede, senza perdersi in erudizione fine a se stessa..., ma evidenziando le domande-risposte di senso, le problematiche esistenziali messe in luce nel testo.
11. Il momento esegetico è il processo o circolo ermeneutico nella fase di partenza. Già ritrovando le componenti esistenziali del testo, sentiamo che esso ci riguarda. E' però fondamentale fare un passo ulteriore, da ieri ad oggi. E' il momento della «attualizzazione» diretta, voluta, quando la Parola colta alla sorgente investe noi a distanza di duemila anni. Il passaggio è delicato: non si tratta di applicare materialmente a noi la parola biblica (il comandamento, il comportamento, la minaccia, la consolazione...), ma di cogliere all'interno del suo rivestimento culturale contingente, il senso permanente. Ad esempio, se Gesù dice che occorre fare elemosina per aiutare i poveri, dice un principio assoluto (aiutare i poveri) tramite una mediazione operativa del suo tempo (fare elemosina in senso materiale). Oggi, si dice, è più importante «insegnare a pescare, che regalare un pesce».
Vuol dire che la Parola giunge a noi come scelta di campo, indicazione di marcia, nelle sue ultimalità decisive. Cogliere queste configurazioni della Parola è compito dell'attualizzazione.
Si dice anche: cogliere il senso di fondo, il significato permanente.
In pratica in questo momento, più strettamente ermeneutico (alcuni riservano a questa fase tale nome), l'animatore stimola il dialogo con il gruppo per una riflessione comune, pacata, mirata, nel confronto anche dialettico, come se si volesse rispondere a questa domanda: «Come ci interpella oggi la Parola ascoltata? Quali situazioni di vita tocca? Quale critica suscita? Quale promessa mette in luce? Come Gesù di Nazaret ha inteso la Parola ?. . . ».
12. Il passo successivo è detto «attuazione o applicazione». Il senso di fondo, in certo modo sottratto alla contingenza culturale del testo biblico, arriva a me, a noi, e rivuole la concretezza della carne, essere cioè luce, monito, speranza, promessa, parola di Dio qui ed ora. A questo punto il circolo ritorna al punto di partenza, al mio io (noi) da cui eravamo partiti. Le domande di allora, sottomesse alla luce della Bibbia (esegesi) e di una nuova inculturazione (attualizzazione) trovano risposta, luce...
In pratica questa fase conclusiva comporta un necessario momento di silenzio, di autoriflessione, di preghiera intorno a domande come queste: «Sono chiamato a decidermi: accetto o meno il messaggio ricevuto, come lo traduco in pratica; come ci interpella insieme; cosa possiamo fare...?».
Implicanze
13. Il processo ermeneutico va portato avanti con una profondità pari alla capacità dell'uditorio. importante mantenere tutti i punti sopraddetti, ma secondo una «maturazione» progressiva. Questo significa che testi scelti, ampiezza di riflessione, spiegazioni, stimoli di partecipazione... vanno calibrati bene.
14. E' facile rendersi conto che la lectio divina (con le diverse variazioni) altro non è che una pratica ermeneutica. Questo ci permette di richiamare alcune implicanze. Anzitutto va detto che l'esercizio di appropriazione «credente» della Parola non può che essere (e tendere ad essere) esperienza di preghiera, di contemplazione, di ricerca della volontà di Dio, di conversione, di impegno cristiano. Non può diventare un laboratorio di ricerca solamente umana o funzionale ai bisogni giovanili.
15. La fede quindi porta tale esercizio all'interno della «Chiesa» (con lo Spirito della Chiesa). Questo vuol dire specie per giovani confrontare il senso biblico con l'arricchimento che gli proviene dall'intelligenza della fede di duemila anni di vivente Tradizione. Si tratta di dare all'esercizio ermeneutico un dinamismo tipico della fede verso la Parola: illuminarla con la dottrina, celebrarla con il sacramento, viverla nella testimonianza missionaria della Chiesa. Senza il contesto vitale della Chiesa vi è il rischio del biblicismo fondamentalista, sacro o secolarizzato.
16. Sarebbe impoverire grandemente la Parola per dei giovani, se non fosse proposta ed accolta nelle sue implicanze formative per dei giovani chiamati a indeclinabili «responsabilità» umane e cristiane. Il processo ermeneutico richiede per loro una duplice accentuazione:
- culturale: comprendere la Parola in maniera inculturata, nel confronto quindi con la cultura attuale (valori e disvalori), ad esempio circa il rapporto scienza e fede, ragione e fede...;
- politica: comprendere la Parola per un impegno nel pubblico e non solo come fatto intimistico e spiritualista.
Alcuni suggerimenti per la prassi
1. Trattando di Bibbia, parliamo giustamente di incontro con la Parola di Dio. Occorre tirarne le conseguenze.
Anzitutto cogliere la differenza: la Parola di Dio è avvenimento, la Bibbia ne è il segno o sacramento. Per questo si dice che il cristiano incontra la Parola di Dio, in quanto incontra, anzi si fa incontrare da Dio che gli parla proprio nel momento in cui sfoglia la Bibbia.
E Dio gli parla attraverso tutti i segnali della Parola, di cui la Bibbia è al primo posto, ma in armonia e sinergia con altre risonanze della Parola, espresse dalla Tradizione vivente (quali la liturgia, la riflessione dottrinale, la prassi retta), anzi in dialogo segreto con altri segni della Parola che formano la cosiddetta rivelazione naturale (l'uomo, il cosmo, le grandi religioni, la storia...).
A proposito dunque della Parola di Dio si può dire: mai nulla senza Bibbia, e mai Bibbia senza il resto, in una dinamica vitale di Parola ascoltata-annunciata, celebrata, vissuta. A questo scopo ritengo che occorra darsi e dare una visione corretta e globale della teologia della Parola di Dio. Lo studio e l'assimilazione di Dei Verbum è base indispensabile.
2. Incontrare la Bibbia come Parola significa incontrare la totalità del senso (il Mistero che salva). A tale totalità occorre educare. Ma noi non possiamo procedere, nella lettura della Bibbia, che con segmenti di testo, singoli passi. Come avvertire «la totalità» nel frammento? Avvertire il mistero di Dio nel breve segno di un racconto passato e lontano?
Vi sono dei criteri utili su cui fare mentalità. Eccone tre:
- al centro della Bibbia sta il mistero di Cristo e della Chiesa, in Gesù Cristo si incontrano e fondono i due Testamenti;
- il senso di un singolo brano biblico si manifesta compiutamente solo dentro tutta la Bibbia;
- il senso di tutta la Bibbia ci è dato di cogliere nella sua interezza soltanto in comunione di tede con tutta la Chiesa, e non senza attenzione ai semi del Verbo sparsi nelle culture.
3. E' necessario insistere sull'essenzialità (pastorale) di incontrare il testo biblico come tale. Non vi sono equivalenze ad esso, anche se queste restano necessarie (ad esempio la catechesi dei catechismi), ed uniche per tanti.
In verità la Bibbia è l'alfabeto che Dio ci ha fatto conoscere con il quale egli fa tutti i suoi discorsi. Essa possiede un intrinseco tesoro per l'educazione e maturazione della fede:
- propone la fede alla sorgente, con la potenza originale, inquietante, sovversiva, radicale, profetica, confortante, convertente, impegnativa, adorante... delle persone e degli avvenimenti fondatori;
- propone la fede come memoria, e dunque come dono da accogliere e profezia da assumere;
- propone la fede nella veste di documento storico oggettivo;
- propone la fede con un suo specifico linguaggio, da riconoscere e praticare come la principale via didattica per penetrare nel Libro Sacro;
- ed infine e soprattutto fa fare esperienza dell'incontro con Dio.
Il ritornante e legittimo invito alla «dottrinalità» nel dire ed accogliere la fede va accolto stando «dentro la Bibbia», e non in parallelo o contro di essa.
4. Il processo attuativo, la cosiddetta applicazione del senso alla vita, deve rispettare scrupolosamente il tracciato ermeneutico, rappresentato sotto forma di circolo, per indicare la convergenza tra il punto di partenza (la domanda) e di arrivo (la risposta), ma su un itinerario articolato in tappe cariche di esigenze. Sottrarsene significa cadere nel fondamentalismo, in una illegittima semplificazione dei processi di comprensione e di assimilazione.
C. Mesters propone il tripode del «testo-contesto-pretesto». Altri parlano di precomprensione-ascolto-attualizzazione-attuazione». Così, attendendo all'esperienza con giovani, salta agli occhi quanto sia determinante il momento di partenza (la precomprensione), per il carico di stereotipi, talora di pregiudizi, di tensioni ideologiche che sono operanti. Un secondo fattore da coltivare è la cosiddetta «correlazione» tra Parola ed esperienza, che è tutto salvo che giustapposizione superficiale, intuizione carismatica, raccolta di ricette pronte all'uso. Oggi, in didattica della religione, come nell'ora di religione e nella catechesi, si insiste di mantenere la correlazione tra Bibbia, esperienza e postbibbia (o storia degli effetti).
5. La condizione giovanile di chi incontra la Bibbia come Parola di Dio non può essere certamente disattesa dall'operatore pastorale. Una prima esigenza è questa: rispettare la prospettiva educativa, di maturazione cristiana ed umana, nella quale il discorso biblico (ed
ogni discorso religioso) va fatto. Una impostazione puramente carismatica di approccio, carico di emotività, senza confronto con il farsi della personalità, che non tiene conto delle istanze della razionalità e quindi delle proposte alternative (le «altre Bibbie») che condizionano la vita... sarebbe un incontro non per giovani, anche se fossero molti a parteciparvi. Dio che si presenta come educatore del suo popolo, non sarà lui per primo colui che rispetta chi nel popolo vive una specifica e fondamentale fase educativa, come la generazione giovane?
Si apre tutto un campo ermeneutico per giovani, anzi tramite loro: che significa salvezza, liberazione per dei giovani? che cosa importa per loro diventare discepoli di Cristo seguendolo portando la croce? come li coinvolge la visione escatologica propria della Bibbia?
Sono convinto che per dei giovani l'incontro con il Libro sacro tanto è positivo quanto deve restare integrato in un discorso e processo formativo più ampio e globale.
6. Tra le forme più proficue di incontro con la Bibbia per i giovani è la lectio divina o scuola della Parola, non senza adeguamenti alla loro condizione di maturità e di maturazione (non assumendo dunque un modello monacale). Sembra essere confacente questa forma che sa fondere insieme l'esigenza orante (ascolto, conversione, silenzio), l'esigenza interrelazionale (il confronto, la condivisione, lo scambio) e l'esigenza operativa (responsabilità e servizio).
Alla lectio divina non si accede rettamente se non si produce uno sforzo culturale di conoscenza dell'identità della Bibbia e di una prima stima e fiducia nei confronti di quanto essa dice e rappresenta. A ciò dovrebbero giovare sia l'insegnamento religioso nella scuola che la catechesi giovanile, il campo estivo...
Un libro utile: Giovani e Bibbia. Per una lettura esistenziale della Bibbia nei gruppi giovanili, LDC, Leumann (Torino) 1991.