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    La strategia preventiva. A proposito di un utile e necessario “vademecum”


    Rossano Sala

    (NPG 2020-02-4)

    Prevenire, non reprimere!

    San Giovanni Bosco è famoso perché ha indicato nel “sistema preventivo” il suo programma educativo. Storicamente questa idea è stata abbozzata, nei suoi primordi, dall’incontro con i giovani nel carcere.
    Appena dopo l’ordinazione, il giovane sacerdote piemontese ha frequentato per ben tre anni il Convitto Ecclesiastico (1841-1844), sotto la guida sapiente e audace di san Giuseppe Cafasso. In questo tempo, secondo le Memorie dell’Oratorio, incominciano le sue prime “esperienze oratoriane”, i suoi primi “esperimenti pastorali” che pian piano matureranno fino a diventare una scuola di santità per i giovani e per gli educatori. Egli segue il suo maestro, vivendo con fiducia le esperienze che questo uomo santo gli indica. E per questo va anche in carcere:

    Per prima cosa egli prese a condurmi nelle carceri, dove imparai tosto a conoscere quanto sia grande la malizia e la miseria degli uomini. Vedere turbe di giovanetti, sull’età dei 12 ai 18 anni; tutti sani, robusti, d’ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentar di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire. L’obbrobrio della patria, il disonore delle famiglie, l’infamia di se stesso erano personificati in quegli infelici. Ma quale non fu la mia maraviglia e sorpresa quando mi accorsi che molti di loro uscivano con fermo proposito di vita migliore e intanto erano in breve ricondotti al luogo di punizione, da cui erano da pochi giorni usciti (Memorie dell’oratorio, Seconda decade, 11).

    Vede la malizia e la miseria degli uomini, si stupisce davanti alla sanità e all’ingegno di questi giovani, inorridisce nel vederli inoperosi e rosicchiati dagli insetti. Si commuove dell’infelicità di quei ragazzi, che erano proprio come pecore senza pastore, senza nessuno in grado di radunare questo gregge disperso. E studia la questione, si accorge che c’erano buoni propositi in loro, ma non accompagnati da alcuno fuori dal carcere. E pensa, e prega. Non improvvisa soluzioni frettolose, ma si mette in autentico discernimento spirituale.
    In tutto ciò è evidente come il Convitto ecclesiastico non era solo luogo di esperienza pastorale, ma anche di riflessione pastorale. Don Bosco cerca con pazienza e trova con intelligenza le ragioni del fallimento e anche la possibile soluzione:

    Fu in quelle occasioni che mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quel sito perché abbandonati a se stessi. “Chi sa, diceva tra me, se questi giovanetti avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o almeno diminuire il numero di coloro, che ritornano in carcere?”. Comunicai questo pensiero a don Cafasso, e col suo consiglio e co’ suoi lumi mi sono messo a studiar modo di effettuarlo abbandonandone il frutto alla grazia del Signore senza cui sono vani tutti gli sforzi degli uomini (Memorie dell’oratorio, Seconda decade, 11).

    Così è stata generata la prima idea di “oratorio salesiano” nel cuore di don Bosco. È la logica preventiva che nasce nel suo intimo: bisogna creare un ambiente adeguato prima di tutto perché i giovani usciti dal carcere non ci ritornino, ma soprattutto perché quelli che non hanno fatto questa terribile esperienza non la facciano!

    Il cuore dell’esperienza educativa e i suoi rischi

    Partendo da questo assunto storico, è importante riconoscere che al cuore dell’esperienza educativa ci sta la fioritura della vita buona, secondo una logica preventiva. L’educazione è prima di tutto l’esperienza comune di non essere abbandonati a se stessi, ma di essere accompagnati da una società civile e da una comunità cristiana che attraverso delle persone concrete (genitori, insegnanti, adulti, catechisti, pastori, ecc.) si fanno compagni di viaggio e guide autorevoli, persone che invitano al bene e aiutano ad evitare il male. E di solito la “preventività” funziona, nel senso che è in grado di generare vita buona e piena e di mettere nell’impossibilità morale e materiale di compiere il male.
    Questo assunto è chiaramente contrario al “collezionismo di esperienze” tipico del nostro tempo, che prevede che il giovane sia lasciato a se stesso nel fare esperienza di tutto e poi possa scegliere quello che crede meglio. Proprio gli educatori sanno che le esperienze – sia di bene che di male – non lasciano indifferenti, ma migliorano o peggiorano la persona, la toccano intimamente e la cambiano esteriormente. In una parola si può dire che l’esperienza insegna, nel senso che lascia un segno indelebile in chiunque la viva. Al di là del fatto che alcune esperienze limite non hanno la possibilità di ritorno – in quanto sono irreversibili, perché portano alla morte – sappiamo che il male fatto ci ferisce nell’intimo. “Evitare il male” è il primo principio del sistema preventivo.
    Per questo il “sistema preventivo” prima di tutto insiste nel creare un ambiente educativo sano e propositivo, frutto di una comunità educativa e pastorale qualificata. Si tratta di un vero e proprio “ecosistema educativo”. Come infatti ci sono delle “strutture di peccato” che tante volte condizionano la nostra esistenza, bisogna dire che l’educazione dovrebbe predisporre delle “strutture di santità” educative dove sia possibile evitare il male e fare il bene. Questa è l’idea di oratorio nella sua purezza: un “laboratorio dei talenti” dove ognuno possa tirar fuori il meglio di se stesso a livello sia personale che comunitario.
    Ora questo non va da sé e non è per niente automatico: durante il Sinodo sui giovani ci siamo accorti che la questione degli “abusi” (parola che qui bisogna intendere prima di tutto in un senso ampio del termine: al Sinodo si è parlato di abusi di potere e di autorità, di abusi amministrativi, di abusi di coscienza e anche di abusi sessuali) è molto ampia e articolata, e merita di essere trattata con intelligenza, profondità e sapienza (cfr. Documento finale, n. 29-31; Christus vivit, nn. 95-102). La superficialità morale e spirituale degli adulti e la loro mancata qualificazione in ambito educativo e pastorale possono a volte creare delle pericolose situazioni di rischio, anche e soprattutto all’interno degli ambienti educativi. Sappiamo come il tema degli abusi in questi primi decenni del III Millennio ha creato davvero una grande perdita di credibilità della Chiesa, del mondo degli adulti e di quello dell’educazione. Il n. 29 del Documento finale affermava: «Il Sinodo ribadisce il fermo impegno per l’adozione di rigorose misure di prevenzione che ne impediscano il ripetersi, a partire dalla selezione e dalla formazione di coloro a cui saranno affidati compiti di responsabilità ed educativi». Si noti che la direzione del discorso sinodale è autenticamente preventiva: prima di tutto quindi ci invita ad abbracciare una logica preventiva e non punitiva.
    Ma vorrei anche unirmi con forza e convinzione alle parole del Sinodo in una questione ancora più decisiva. Quella legata alla gratitudine e all’incoraggiamento verso tutti coloro che hanno il coraggio di denunciare gli abusi e poi da coloro che vivono la loro vocazione educativa e pastorale nella piena, gratuita e generosa dedizione ai giovani:

    Il Sinodo esprime gratitudine verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto: aiutano la Chiesa a prendere coscienza di quanto avvenuto e della necessità di reagire con decisione. Apprezza e incoraggia anche l’impegno sincero di innumerevoli laiche e laici, sacerdoti, consacrati, consacrate e vescovi che ogni giorno si spendono con onestà e dedizione al servizio dei giovani. La loro opera è una foresta che cresce senza fare rumore. Anche molti tra i giovani presenti al Sinodo hanno manifestato gratitudine per coloro da cui sono stati accompagnati e ribadito il grande bisogno di figure di riferimento (Documento finale, n. 31; Christus vivit, 99).

    La necessità di essere consapevoli e responsabili

    Il Dossier che segue si propone di evidenziare gli strumenti normativi per la promozione e la tutela della persona di minore età.
    Nella prima parte prospetta anzitutto il percorso dei diritti dell’infanzia e adolescenza nel XX secolo evidenziando il ruolo educativo della Convenzione sui diritti dell’infanzia e adolescenza del 1989. I principali temi che vengono sviluppati nella parte seconda ne sono un esempio evidente. Infine, la terza parte, non vuole essere altro che un aiuto (un Vademecum) ad ogni educatore e ad ogni pastore per acquisire consapevolezza di ciò che comporta, anche dal punto di vista civile ed ecclesiale, la chiamata ad essere inserito nel mondo giovanile come adulto e responsabile di una persona, di un gruppo e di una struttura formativa.
    Ringraziamo l'avv. Andrea Farina, che da molti anni si occupa di questo tema, prt asver messp a nostra disposizione la sua preziosa competenza teorica e pratica intorno al mondo dei diritti dei giovani, della preventività, della legislazione vigente in materia sia in ambito civile che ecclesiale.
    Di questi tempi non si tratta più di un optional, ma di una competenza più che necessaria. Perché viviamo in una società in cui gli standard di sicurezza si sono innalzati e non è più possibile andare avanti improvvisando. La Chiesa nel suo insieme, le diverse Conferenze Episcopali, ogni Diocesi e tutti gli ordini religiosi sono chiamati a prendere sul serio la preparazione accurata di ogni operatore pastorale, la cura di tutte le procedure prudenziali necessarie a garantire la sicurezza integrale di ogni ambiente educativo e la serietà nel denunciare tutte quelle situazioni negative che si possono creare per negligenza o per malizia. Il mondo attuale ci chiede qualificazione educativa, conoscenza della normativa civile e consapevolezza delle proprie responsabilità.

    Rilancio con due parole: consapevolezza e responsabilità

    Molti errori nel campo dell’educazione li compiamo perché non siamo consapevoli di ciò che comporta l’assunzione della responsabilità educativa. Diamo per scontato che una buona intenzione sia già una buona copertura all’azione che intendiamo intraprendere, ma non è sempre così. Faccio un esempio, tanto per intendermi: capisco la sacrosanta insistenza della pastorale giovanile sulla prossimità con i giovani, ma non è possibile che in un campo scuola, partendo da questa esigenza, ci si metta a dormire nello stesso letto adulti e giovani (soprattutto se si tratta di minori). Questa non è più prossimità evangelica, ma è superficialità, mancanza di prudenza, creazione di rischi per sé e per altri! Gli esempi si potrebbero moltiplicare…
    Altri errori li compiamo per mancanza di responsabilità. Anche qui un altro esempio: va bene l’uso dei social media nel dialogo educativo, ma quando abbiamo a che fare con dei minori l’adulto ha delle responsabilità di cui deve appunto rispondere davanti alla legge (civile ed ecclesiale). Sappiamo che molti reati relazionali oggi passano attraverso il canale digitale e che le denunce in questo campo sono in enorme ascesa. Vedendo a volte dialoghi “pseudo-educativi” tra adulti e giovani (anche qui magari con minori) ci si chiede dove sia finita la responsabilità educativa. Troppe volte lo strumento digitale “adolescentizza” la relazione, la rende emotiva e diventa un campo rischioso dove l’educazione può diventare manipolazione, possessività, dipendenza. Cioè una forma di abuso della coscienza dell’altro.
    Consapevolezza e responsabilità sono le due realtà su cui dobbiamo crescere per essere sempre degli educatori e dei pastori «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16). Il vangelo è consapevole dei rischi educativi e quindi ci vuole prudenti e vigilanti, sempre; insieme è altrettanto cosciente della necessità di avere un cuore puro per poter agire con semplicità, come le colombe. Sta a noi riuscire a tenere insieme questi due atteggiamenti decisivi della coscienza credente nella pratica educativa quotidiana. Siamo certi che il Vademecum che segue ci darà degli elementi utili per farlo nel migliore dei modi.


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