Le esperienze estive
post-COVID:
educare i giovani
in una Chiesa sinodale
Claudia Simonetto * – Cristiano Vanin **
Progettare esperienze estive in tempo di pandemia
Per due anni consecutivi (2019-2020) le linee guida nazionali e regionali di attuazione dei Centri estivi hanno chiesto a tutti coloro che si occupano di attività estive di ripensare le loro strutture e iniziative per contenere e ridurre le occasioni di contagio.
Quello che per molti anni ha alimentato le settimane di Grest e Centri estivi, ovvero la dinamica competitiva a grandi squadre fatta di gare, tornei e attività volte a guadagnare punti per decretare alla fine dell’esperienza un vincitore, non è stato più praticabile per il ridimensionamento drastico dell’interazione tra gruppi. Anche i molteplici sussidi già esistenti, che aiutavano sacerdoti, religiosi, religiose e laici nella progettazione e realizzazione di queste esperienze estive, durante le estati COVID sono risultati anacronistici e inutilizzabili a causa di modalità assembleari nei momenti di formazione o di preghiera e per la commistione di più gruppi nelle attività e laboratori. Impraticabili anche le sfilate, i tornei, le serate con i giovani animatori o con i genitori.
Tuttavia quello che inizialmente in queste estati COVID sembrava un vincolante limite al divertimento e alla condivisione si è trasformato in occasione di rinnovamento educativo. Protagoniste di questo sviluppo sono state le diverse parrocchie, case religiose e associazioni cristiane che, possedendo un minimo di risorse necessarie (educatori, volontari e spazi), hanno messo in discussione programmazioni ormai consolidate per dare la precedenza ad attività flessibili e modulari realizzate tra gruppi di coetanei. Nonostante ciò si sia rivelato una promettente fucina di sperimentazione che ha aperto nuove strade e dato frutti inaspettati, dalle comunità pastorali traspariva un più o meno esplicito desiderio di “tornare presto alla normalità”, intesa come il ripristino delle modalità di animazione e organizzative precedenti la pandemia.
Esperienze estive di oggi e di ieri
In questa estate 2022 il sentore condiviso è stato quello di essere liberi dalla pandemia e ad esso si è accompagnata la sicurezza di poter finalmente ritornare a fare quello che si faceva prima. Come per altri ambiti della vita della Chiesa, ci chiediamo però se questo tempo di pandemia sia da vivere come parentesi da archiviare o se, in quanto vita vissuta, possa aver sedimentato in noi non solo frustrazione ma anche qualche dimensione utile da continuare a coltivare. È papa Francesco stesso a metterci in guardia sul rischio che corriamo nel valutare questa pandemia: “Che non sia stato l’ennesimo grave evento storico da cui non siamo stati capaci di imparare” (FT 35).
In questa estate in cui si percepisce la fine dell’era COVID, quantomeno nella sua forma più acuta e pericolosa, le pagine social degli oratori e delle parrocchie sono tornate ad arricchirsi di foto di squadre che si contendono la serata finale, i depliant informativi ripercorrono le attività (sportive, manuali, espressive, ecc.) di sempre. Dai microfoni si alza forte la voce: “più punti alla squadra che porta la torta più decorata, chi organizza la parata migliore, chi invita più genitori…”.
Le provocazioni sono duplici, due facce della stessa medaglia: da una parte ci si può interrogare se sia ancora valida la struttura educativa che per più di trent’anni ha caratterizzato i Centri estivi di ispirazione cattolica, dall’altra come mai le premesse (o promesse) di innovazione pedagogica portate dall’era COVID si siano dissolte così velocemente.
Sicuramente fattori come la sostenibilità economica, le competenze di progettazione e realizzazione dell’attività educativa e il numero di risorse umane coinvolte incidono a favore dei vecchi format, ma forse è necessario anche allargare lo sguardo per vedere dentro quale Chiesa nascono queste esperienze.
La dinamica competitiva: luci e ombre
Certamente un’esperienza estiva che sia allo stesso tempo formativa e ludica trae forza anche da dinamiche di competizione tra gruppi, tradotte in giochi e gare, che incentivano lo spirito di squadra, aiutano i ragazzi a perseguire obiettivi e risultati, creano affiatamento e senso di coesione. Da un punto di vista evolutivo, è innegabile che tali dinamiche aiutino a crescere e a sviluppare doti e risorse.
Anche nella Bibbia troviamo che la dimensione agonistica è motivante: san Paolo invita nella Lettera ai Romani a “gareggiare”, ma prosegue “nello stimarvi a vicenda” (Rm 12,9). Il punto è proprio questo: quale tipo di competizione rischiamo di alimentare? Se la dinamica competitiva aiuta a far emergere il meglio di ciascuno anziché a sottolineare la superiorità di uno sull’altro, allora la gara è un mezzo, non il fine. Se invece il primeggiare diventa lo scopo, il pericolo è quello di ricadere su dinamiche prestazionali già amaramente conosciute in ambiti scolastici e sportivi.
Un accenno va fatto anche al mondo dei videogame, sempre più permeante la vita dei giovani e la loro mentalità, che sta confondendo il gioco tra coetanei con eccessi di aggressività e incapacità di sopportare la sconfitta. I videogiochi, infatti, offrono grandi opportunità intellettive, tecniche e cognitive, ma dal lato delle competenze emotive e relazionali comportano un impoverimento delle abilità di empatia e di mediazione del conflitto tra pari.
C’è inoltre da considerare che oggi tra i ragazzi è diminuita la capacità di stare dentro relazioni sfidanti e competitive, a causa della pandemia e dell’isolamento fisico e sociale di questi ultimi due anni. La tolleranza alla frustrazione, la negoziazione, la partecipazione attiva sono diventate ancor più compiti evolutivi da cui nessun servizio educativo può esimersi. Il rischio è quello di continuare a perseguire un modello educativo basato sul merito di essere bravi, forti, vincenti e quindi capaci di contribuire all’obiettivo di squadra, ma che non considera il senso di fragilità e inefficacia che la pandemia ha esacerbato (cfr FT 33).
Sono le fatiche degli stessi bambini e ragazzi che fanno risuonare l’appello a ripensare le proposte di condivisione e di aggregazione estive in modo da contribuire alla loro ricerca di senso e di identità, nonché al loro stile di socialità. Può sembrare qualcosa di sottile e secondario, ma lo stile che si propone in un’esperienza estiva contribuisce o meno allo sviluppo integrale della persona e alla formazione della coscienza. Oltretutto ciò non basta: se tale esperienza educativa estiva è vissuta all’interno di un contesto pastorale, questa veicola anche un determinato modo di essere Chiesa.
Legame tra esperienze estive ed essere Chiesa
Può esserci un legame tra proposta parrocchiale o oratoriana estiva e modo di essere Chiesa? Certamente la singola esperienza non può essere rappresentativa di una dinamica più ampia, non dobbiamo però sottovalutare che quel Grest ha un valore educativo e che per molti ragazzi e ragazze quell’esperienza è vita di Chiesa, ossia è il modo che loro sperimentano di essere Chiesa. Questo è tanto più vero e significativo dal momento che tipicamente a tali esperienze estive partecipano anche bambini, ragazzi e adolescenti, anche nella veste di animatori, che durante l’anno non vivono la vita di una comunità cristiana. Le esperienze estive si rivelano sempre più spesso momenti di primo annuncio e di prima evangelizzazione, non solo in termini cronologici ma anche in termini qualitativi, perché in maniera inedita, intensa e coinvolgente favoriscono la conoscenza di Dio, aprono alla conversione e suscitano l’interesse per il Vangelo e la fede in Gesù Cristo a tutti: non credenti, non cristiani, indifferenti, coloro che fanno parte dei nuovi contesti socio-culturali ma anche a bambini, ragazzi e giovani le cui famiglie vivono una fede superficiale o indebolita [1].
Spirito competitivo e fratellanza nella Scrittura
In Caino e Abele, la prima narrazione di fratellanza nella Bibbia, ritroviamo anche rivalità e competizione che sfoceranno addirittura in violenza: è la prima volta che compare la parola “fratello” nella Bibbia, ma è anche la prima volta che viene ucciso qualcuno (Gen 4,4-8).
Gesù crede nella fratellanza quando getta le basi di quella che sarà la Chiesa, scegliendo tra i suoi apostoli due coppie di fratelli: non una, ma due nuove fratellanze, come se quella fratellanza negata da Caino e Abele fosse così compromessa lungo i secoli da necessitare di un segno ben più forte. Gesù viene a ricomporre questa fratellanza trasformata in rivalità attraverso due nuove coppie di fratelli, chiamati a collaborare insieme per l’edificazione del Regno seguendo l’unico Maestro. Nulla sarà semplice e scontato, la rivalità riaffiorerà tra i suoi, ad esempio nella discussione su chi di loro sia il più grande (Lc 22,24-27), ma Cristo rimane Colui che apre la strada a questa rinnovata fratellanza: “Perché (tutti) siano una sola cosa come noi (io e il Padre) siamo una sola cosa” (Gv 17,22).
Lo stile competitivo e il clericalismo
Passando dal piano individuale dei ragazzi a quello più ampio del loro essere Chiesa, dobbiamo constatare che uno stile competitivo appreso in ambiti educativi e pastorali rischia di alimentare una dinamica che, estesa all’ambito ecclesiale, può avere a che fare con forme più o meno velate di clericalismo.
Il clericalismo consiste in una logica di parte che diventa sistema, laddove nella Chiesa alcuni ruoli o competenze siano ritenuti esclusività di una parte e quando riflessioni e prassi conducano a cristallizzare tale logica. Nelle comunità cristiane si respira se in filigrana traspaiono modi di pensare o agire di natura competitiva: laici contro preti, uomini contro donne, chi frequenta contro chi non si vede mai, alimentando così uno stile verticale di essere Chiesa. Ci ricorda il papa: “Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo” [2].
Come allora interpretare la diversità di compiti dentro la Chiesa, senza cadere in contrapposizioni o logiche di parte? Tale diversità è innegabile ci sia, per carismi e ruoli, tuttavia, se vista non come qualcosa da eliminare ma come ricchezza, porta a vedere l’altro con gli occhi della complementarietà, più che della concorrenza.
Non è semplice comprendere quale sia la direzione, se cioè uno stile competitivo alimenti un certo clericalismo o se piuttosto tale stile ne sia un sintomo manifesto, in ogni caso disinnescare logiche competitive distorte già a partire dai nostri contesti comunitari di vita pastorale può aiutare a sgonfiare tale dinamica e ad allenarci a un modo di essere Chiesa differente. Oggi anche il processo sinodale in atto ci chiede di rivedere questo modello. Per quello che è possibile da una prospettiva educativa e pastorale di un’esperienza estiva come quella del Grest, impostare in modo corretto attività e prassi, pur giocate su dinamiche di sfida, crea quel terreno buono dove sia possibile per le nuove generazioni immaginare e vivere un modo di essere Chiesa in linea con ciò che il magistero recente e attuale ci porta a percorre.
Uno stile di fratellanza
Già in Evangelii Gaudium, pur su temi di più larga scala, papa Francesco invitava a sottrarsi a dinamiche di rivalità per ricercare invece la comunione fraterna: “Il mondo è lacerato dalle guerre e dalla violenza, o ferito da un diffuso individualismo che divide gli esseri umani e li pone l’uno contro l’altro ad inseguire il proprio benessere […] Ai cristiani di tutte le comunità del mondo desidero chiedere specialmente una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa” (EG 99).
Nella sua ultima enciclica Fratelli tutti il Papa indica un mondo nuovo verso cui puntare, fondato sul dialogo e sull’amicizia sociale, cerca di avviare processi di ripensamento, incoraggiandoci a compiere passi risoluti di amore fraterno [3] e riconoscendo l’altro, anche nella sua diversità, non come qualcuno di ostile ma come un interlocutore. L’immagine della Chiesa come poliedro [4] punta a mettere in unità i tanti riflessi di luce di un unico soggetto Chiesa, per cercare la verità nella composizione di contributi differenti, così come ci indica oggi il cammino sinodale della Chiesa.
Tra le istituzioni che devono promuovere l’amicizia sociale è particolarmente importante il sistema educativo, anche nelle proposte delle nostre comunità cristiane, uno dei cui compiti è quello di educare ai valori[5].
L’educazione alla sinodalità nella Chiesa
È possibile a questo punto esplicitare alcune attenzioni educative per le esperienze estive ispirate dalle nuove modalità di progettazione, che pare opportuno mantenere e valorizzare anche in concomitanza con la conclusione dell’emergenza sanitaria.
Innanzitutto la promozione di attività gruppali che aiutino il singolo alla scoperta del senso del bello, del buono e del vero all’interno del proprio sistema di riferimento esistenziale: “non è una forma di soggettivismo ma di approfondimento, per cogliere la risonanza autentica ed efficace di un fatto, di un concetto, di una cosa o una situazione” [6].
Il superamento del tradizionale metodo di punteggi a squadre, punteggi dati dalla vittoria di una prova o di una sfida ma in fondo spesso usati per incentivare i ragazzi a compiere azioni che gli educatori o gli adulti di riferimento desiderano che essi facciano, permetterebbe di favorire il senso di responsabilità e l’interiorizzazione di valori, così da proporre l’agonismo come mezzo e non come fine [7]. A livello più personale ciò abbassa il rischio che siano i risultati delle prestazioni le cartine tornasole dell’identità personale, a un livello più ecclesiale ciò educa a un modo di essere Chiesa più solidale e aperto all’integrazione dell’altro. A tale proposito, progettare esperienze estive che tengano conto del territorio in cui la realtà ecclesiale è inserita, degli enti locali e delle associazioni, favorirebbe la conoscenza del proprio contesto di vita, l’integrazione nel territorio e, ad ampio raggio, nella comunità ecclesiale e sociale.
La sfida si gioca non tanto sul parlare alle nuove generazioni di Chiesa sinodale, ma in un processo di continuo rinnovamento e conversione si tratta di farle crescere dentro una comunità educativa-pastorale che già la vive, perché sia un’aria da respirare e non un documento da applicare. Non ci viene chiesto di aspettare che un cambiamento arrivi dall’alto, da uno scritto finale frutto di un processo, ma possiamo pensare che in un’ottica circolare e di cammino insieme, anche dalla prassi quotidiana si possa apprendere un modo di essere Chiesa sinodale. Anche nei nostri contesti educativi che interessano i più piccoli si può comunicare un volto ecclesiale che li porterà da grandi a sentirsi Chiesa in un modo diverso.
* Figlia di Maria Ausiliatrice, psicologa ed educatrice professionale
** Prete della diocesi di Padova, statistico sociale e licenziato in Psicologia
NOTE
[1] Cfr G. Cavagnari, Andate e fate discepoli tutti i giovani, Elledici, Torino 2021, 36.
[2] Cfr Papa Francesco, Lettera del Santo Padre Francesco al Popolo di Dio, 20 agosto 2018.
[3] Cfr W. Kasper – G. Augustin (edd.), Percorsi di fraternità. Per raccogliere la sfida dell’enciclica "Fratelli tutti", Queriniana, Brescia 2022, 11.
[4] L’immagine della Chiesa come “poliedro” si trova in FT 215, ma già in EG 236.
[5] Kasper – Augustin, Percorsi di fraternità, 119.
[6] CEI - Commissione Episcopale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, Educare, infinito presente. La pastorale della Chiesa per la scuola, 4 luglio 2020, 19. Sussidio scaricabile dal sito: https://educazione.chiesacattolica.it
[7] Ad esempio programmazione di circle time come chiusura dell’attività, momenti di autoriflessione, giochi cooperativi con rilettura di gruppo, tornei con composizioni di squadra che variano quotidianamente in base a criteri inclusivi e di promozione della diversità, feste tematiche di aggregazione senza competizione, attività prosociali, ecc.