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    Editoriale

    Alberto Martelli

    (NPG 2015-8-2)

    L’Anno della misericordia che inizia in questo mese di dicembre ci riporta al centro della nostra pastorale giovanile. Se infatti è vero che il mistero della fede cristiana trova in questa parola la sua sintesi e il suo culmine, occorre riconoscere che anche l’annuncio del vangelo ai giovani non può non trovare qui le sue radici.
    La misericordia ci spinge ai giovani e detta le condizioni per poterlo fare.
    “Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la dignità ed educandoli alla pienezza della vita”: così affermava il Capitolo Generale 23° dei Salesiani alcuni anni fa, ma così risuona la convinzione più intima di ogni operatore pastorale. Per la forza della misericordia divina, siamo servi dei giovani perché in essi troviamo il luogo per rivelare e per contemplare il Signore risorto.
    La missione giovanile si sviluppa autenticamente quando noi l’accogliamo come proveniente da Dio, e quando da Lui traiamo sostentamento per il nostro servizio.
    Prima di essere progetto e azione, la missione della pastorale giovanile è il nostro essere misericordiosi, come lo è stato Gesù nei confronti dei suoi discepoli, modificando la nostra vita sulla base della sua e facendo della sua misericordia il criterio ultimo anche della nostra azione pastorale.
    Lo vediamo chiaramente nei racconti evangelici. Gesù non esita a cambiare i suoi programmi quando le folle accorrono a lui e in qualche modo lo “chiamano” ad agire. È la compassione, suscitata dalla sua misericordia nei nostri confronti a spingerlo ad agire e a predicare, anche quando, ritiratosi in disparte con i suoi discepoli, cerca un luogo per pregare e riposare.
    La missione di Cristo non è un quadro già dipinto o un progetto già scritto, essa viene costantemente modificata, aggiornata, a volte addirittura stravolta dalla compassione per le folle, dall’amore per i suoi apostoli, dalle domande che la gente gli rivolge, dalle preghiere che riceve.
    Dio non dispiega la sua volontà nel modo come se fossimo soltanto dei destinatari di una sua benevola, ma distaccata, azione rimuneratrice. Egli cambia idea e programma, le sue viscere si muovono a seconda di come si muovono quelle degli uomini perché ha deciso di rendersi schiavo del suo amore e schiavo dei suoi amati.
    La misericordia di Cristo rende i giovani veramente protagonisti della pastorale perché essa non viene costruita semplicemente per loro o di fronte a loro, ma si intreccia con i loro bisogni, è suscitata dalla loro sete di salvezza, si muove con loro alla ricerca di quel Gesù che a volte si trova dall’altra parte del lago, ma non manca di fermarsi e di spezzare il pane e la parola per chi lo incontra con cuore sincero.
    In quanto esplicita e precisa indicazione pastorale, l’anno della misericordia ci spinge a riflettere sulla pratica dell’amore di Dio e su quella del nostro amore umano.

    L’insistenza sull’amorevolezza di don Bosco, al tempo stesso concreta eppure sobria e attenta a non essere travisata, dovrebbe farci riflettere. Il nostro fondatore non rinuncia al gesto, alla concretezza, alle espressioni anche fisiche del voler bene (il sorriso, la carezza, il contatto umano, gli scritti, i regali, i premi,…), ma allo stesso tempo, insistendo sulla virtù della purezza, educa a far sì che tali gesti siano totalmente trasparenti all’amore divino. Dice nei fatti che tra eros e agape non c’è separazione, ma perfetta assonanza.
    Di fronte ai nostri giovani dobbiamo oggi più che mai dar loro concretamente ragione dell’asimmetria (non sono sullo stesso piano) e della intrinseca unione tra “amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” e “amerai il prossimo tuo come te stesso”.
    L’aggiunta del secondo comandamento al cospetto del primo, che resta l’orizzonte fondamentale, indica che la dedizione all’agape del Padre comporta intrinsecamente la rivalutazione e l’impegno per gli amori concreti degli uomini.
    Citando ancora una volta il Capitolo Generale 23° dobbiamo riaffermare con forza, ma soprattutto far toccare con mano ai nostri giovani che “gli incontri tra ragazzi e ragazze, quando sono vissuti come momenti di arricchimento vicendevole, aprono al dialogo e all'attenzione verso l'altro. Fanno scoprire la ricchezza della reciprocità, che investe il livello del sentimento e dell’intelligenza, del pensiero e dell’azione. Nasce così la scoperta dell’altro, accolto nel suo essere e rispettato nella sua dignità di persona. Un’adeguata educazione, quindi, fa cogliere la sessualità come valore che matura la persona e come dono da scambiarsi in un rapporto definitivo, esclusivo e totale, aperto alla procreazione responsabile. Un’attenta catechesi farà comprendere al giovane la realtà e le dimensioni di questo amore; lo guiderà all'accettazione del progetto di Dio, Amore fonte di ogni amore; e lo preparerà a realizzarlo nel matrimonio cristiano”.


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