Verso il Convegno Ecclesiale di Verona
Cesare Bissoli
(NPG 2006-04-16)
UN CAMMINO CHE HA SENSO
Un tratto tipico di «Verona 06», più rimarcato che nel passato, è che vuol essere un convegno di tutti, in particolare dei laici, e perciò richiede di essere più preparato che i Convegni precedenti. Fa da guida il documento-base «Testimoni di Gesù Risorto speranza del mondo» (2005), dove i quattro capitoli sfociano intenzionalmente in piste di riflessione cui rispondere come chiesa locale, secondo tappe quasi minuziosamente segnalate.
Una preparazione dunque che si prefigura come laboratorio, dove perciò ogni contributo dei cosiddetti esperti – e anche a me capita di andare a parlarne nelle varie comunità – vale piuttosto come input per richiamare meglio il percorso nazionale comune, e quindi meglio inserirsi, lasciando spazio ad un approfondimento e concretizzazione che viene da chi vive nel territorio.
Come a dire che scopo degli incontri diocesani verso Verona 2006 è di scaldare mente e cuore, come fu per i due di Emmaus: non dunque di risolvere problemi, ma di segnalarne la presenza e l’itinerario da percorrere. Infatti la tematica toccata con gli obiettivi che si vogliono perseguire non riguarda un evento specifico, pur grande, come è stato il tema dell’Eucaristia nell’anno eucaristico, e nemmeno propone qualcosa di eccezionale, ma chiuso in se stesso, come la commemorazione di un centenario o del santo patrono, ma riguarda un progetto di evangelizzazione e di re-identificazione dell’essere cristiani oggi in Italia. È un progetto da condividere a livello di chiesa italiana, progetto che intende innervare tutta la pastorale ecclesiale, cui quella locale è chiamata ad inserirsi. In verità è un progetto che sta già dando le prime indicazioni operative, quali sono ad esempio la innovativa, quasi rivoluzionaria, riforma dell’iniziazione cristiana, il primato riconosciuto alla Parola di Dio e dunque all’uso della Scrittura, la centralità della cura pastorale per la coppia e la famiglia. Il Convegno di Verona si propone come punto di arrivo e di rilancio della Chiesa del Concilio, di una più matura Chiesa figlia del Concilio. Lo accosta bene chi si fa l’idea di un grande kairòs evangelico per la Chiesa in Italia oggi, comprensiva di Chiesa e società.
In questo orizzonte ampio – da non immiserire in una pratica bloccata, ma piuttosto aperta come un pellegrinaggio, da percepire e accogliere come evento di conversione – propongo prima un inquadramento che fa da contesto, dove evidenzio il significato di un convegno ecclesiale nazionale, e poi esprimo sinteticamente quale dono e compito viene affidato alla comunità (diocesi, parrocchia, istituto religioso, movimento…).
Agli articoli che seguono nel dossier spetta il compito di mettere a fuoco il possibile coinvolgimento dei giovani, per i quali il documento di preparazione (nell’unico cenno esplicito ad essi, mi sembra) sottolinea il valore della scuola e dell’università perché «sono in gioco la formazione intellettuale e morale, e l’educazione delle giovani generazioni» (n. 15).
IL SENSO DI UN CONVEGNO ECCLESIALE NAZIONALE
Intendiamo anzitutto considerarlo in se stesso, quale tipica esperienza della Chiesa italiana post-conciliare, e poi nella specificità del Convegno di Verona.
La pratica dei Convegni ecclesiali nazionali
Il Convegno di Verona non è un fungo nato dalla fantasia dei nostri Vescovi. Occorre tener presente come base il Concilio nella sua rilettura del Vangelo per il mondo di oggi. Da questo humus lo Spirito Santo, per l’Italia – per questa grande, generosa chiesa di Dio in Italia, oggi in un certo travaglio e sofferenza – ha suscitato la scelta postconciliare (inizio anni ’70) dei piani pastorali nazionali decennali, tesi a tradurre il Concilio, caratterizzati perciò da tre connotati:
- Un programma di evangelizzazione mirato all’essenziale, per dare verità, vitalità e ordine all’espressione religiosa presente, che sovente può essere tradizionale, o anche languida, verso l’estinzione, ma anche in fase di nuova germinazione. I cristiani in questo paese non solo ci sono, ma ci vogliono essere!
- Un programma di evangelizzazione che si fa ad intra nella Chiesa, nel linguaggio ed esperienza religiosa, sacramentale propria dei credenti, ma che non si ghettizza, cerca estroversione, perché i cristiani sono cittadini, per cui il progetto vuol essere un segnale forte di proposta ad extra, nella città dell’uomo, secondo il binomio dinamico di cristiani e cittadini: da cittadini come cristiani a cristiani come cittadini. Come a dire con umiltà e verità: ecco ciò che questa Chiesa intende offrire al bene comune del Paese. L’attenzione non è per il settore sociale-politico del progetto, ma l’incidenza sociale e politica, in una parola, umana, della globalità del progetto: l’umanesimo cristiano. I primi interlocutori sono i cattolici stessi.
- Per cui il progetto che la CEI propone all’inizio di ogni decennio (dal 1970), sfocia, a metà del decennio, in un convegno ecclesiale nazionale, non equiparabile a qualche riunione settoriale di credenti (ad esempio la Settimana sociale dei cattolici o il Forum culturale nazionale), giacché si tratta di un convenire di chiesa in senso forte e pieno, come pensando a Pentecoste in Atti 2, quasi una assemblea liturgica fuori delle mura canoniche, all’aperto, con il linguaggio della liturgia della vita (Rom 12, 1s), per esprimere al Paese, cioè a tutti noi e agli altri concittadini, quei risvolti di promozione umana che sgorgano da una proposta strettamente religiosa, proposta che la Chiesa intende appunto fare per il bene del Paese. Per il Convegno di Verona si sarà certamente avvertita la centralità della parola «speranza», cioè possibilità di vita nel nome del Signore Risorto per la nostra gente, un umanesimo della speranza. [1]
Il Convegno di Verona
Esso si mette dunque nel solco di un servizio della fede conciliare con una propria connotazione. che non lo rende fotocopia di quello di Palermo.
- Rientra nella progettualità pastorale ben definita dagli Orientamenti per il decennio «Comunicare il vangelo in un mondo che cambia» (2001), con altri documenti che fanno da sviluppo, come «Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia» (2004) e le quattro «Note sull’Iniziazione cristiana»: degli adulti (1997), dei ragazzi (1999), dei ricomincianti (2003), del primo annuncio (2005). I nomi dicono da soli, interpretano la condizione umana e cristiana di inizio millennio, con le sue derive, risorse, attese, bisogni.
- Ha una evidente connotazione missionaria, richiamata dal titolo del Convegno che riecheggia le parole di Gesù stesso: «Sarete miei testimoni» (At 1, 22), precisando in questo modo di quale stile missionario si tratta: uno stile non di proselitismo né di irrigidimento fondamentalista, ma testimoniale, che pone nel vivere ciò che si vuole e si deve annunciare: una testimonianza che, come vedremo, incrocia aree di vita sensibili proprio alla «bella notizia» dei vissuti in prima persona.
- Si volge verso la città dell’uomo con un annuncio-servizio di speranza, che è insieme segno di una fede che crede nel futuro e perciò si atteggia a speranza, e di una carità che mai è così carità come quando produce speranza, la carità della speranza, tra le più raffinate e attese. Per cui se al Convegno di Roma e di Loreto il motivo della fede era centrale, e in quello di Palermo è stata la carità, a Verona è la speranza. In realtà le tre virtù sono dono-compito indisgiungibili, come facce diverse di un unico diamante.
- Il Convegno invita a considerare con molto realismo e senso pratico la condizione umana negli ambiti più sentiti dell’esistenza, denominati significativamente affettività, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza, per cui si deve parlare di una svolta nel processo di evangelizzazione, almeno nel modo con cui si sono svolti fin qui i precedenti Convegni ecclesiali: è la fede che chiede ospitalità nella realtà della vita, e non la vita che si deduce astrattamente dalla fede. È stata accolta con grande favore questa impostazione pastorale.
Si parla infatti di «cambio di paradigma» nella forma di annuncio. È indubbiamente uno dei tratti originali di questa evangelizzazione. Non avviene secondo un processo deduttivista, tradizionale nella chiesa post-tridentina, che ogni buon pastore avrebbe espresso così: «Predichiamo il vangelo, diamo i sacramenti, spieghiamo il catechismo, facciamo la carità… alle persone nelle più svariate situazioni senza specificazioni peculiari, e qualcosa di buono avverrà, perché la grazia di Dio lavora». Senza negare il valore dell’annuncio diretto, da sempre nella Chiesa, ora è proprio la questione antropologica presa sul serio che ci invita non solo a cautelarci dagli errori contro la verità del Vangelo, ma a superare la barriera del sospetto e dell’insignificanza, insignificanza della verità, quindi irrilevanza della testimonianza e mancata accensione della speranza. Per cui invece di limitarsi a dire Dio in generale, si offrono delle situazioni in cui dire Dio riesce più significativo, capace di incidere nella vita, suscitando attenzione e provocando la domanda.
- Da questa inserzione nel mondo del senso, e non solo del pronunciamento – di essere cioè una fede, un vangelo che va diretto alle cose concrete, alle situazioni esistenziali e non si ferma alla formule – discende un duplice connotato:
* È un servizio che coinvolge i laici cristiani in prima persona, e dunque a Verona il ruolo dei laici avrà un sensibile riconoscimento.
È noto come da molte parti i laici stessi chiedano una partecipazione più qualificata alla vita della comunità locale e nazionale. Del resto è il rapporto talora rovente tra autorità ecclesiastiche e mondo civile attorno a determinati problemi scottanti, che chiederebbero una mediazione che è anche assunzione di compiti, di cui i laici cristiani sono naturali soggetti. Il loro numero, come sempre, sarà sensibilmente maggiore di quello del clero, anche perché si andrà per rappresentanza diocesana. Speriamo che a ciò corrisponda un esito in direzione delle attese.
Al Convegno ci saranno anche dei cosiddetti «giovani». Ma di quale età: dai 18 in su? Non sarebbe possibile dai 16 anni? Vi saranno almeno organizzazioni capaci di prestare loro voce? Credo che il Servizio Nazionale di PG se ne stia occupando. Come pure l’Azione Cattolica, pars magna in questa fase di preparazione.
È importante ad ogni modo far pervenire all’équipe che prepara lo strumento di lavoro contributi su questo versante dei giovani, e qui tutti possono inviare il loro pensiero.
* In secondo luogo per unire Vangelo e situazioni di vita vi è chiaramente una mediazione culturale da compiere tra Parola di Dio e problema umano, un discernimento da attuare, tanto più necessario per evitare il rischio di integrismi o di soluzioni puramente orizzontali. Non stupisca che nella preparazione al Convegno sia responsabile il Servizio Nazionale per il «progetto culturale orientato in senso cristiano» presso la CEI.
- Ha per icona biblica la I lettera di Pietro per il coraggio, la gioia e la speranza nell’essere cristiani in condizione di diaspora o minoranza, anzi di persecuzione. [2]
In sintesi, il Convegno di Verona intende essere una forte esperienza di comunione per la missione e su questo obiettivo impegna la preparazione. Un progetto dell’intera comunità ecclesiale italiana, condiviso e assunto per sé da tutte le diocesi con un percorso specifico di partecipazione. Attualmente constatiamo due tipi di segnali rilevanti: pre-convegni su ciascuno degli ambiti di vita a Palermo (tradizione), Terni (legata alla memoria di S. Valentino! per l’affettività), Novara (fragilità), Arezzo (cittadinanza), Rimini (lavoro e festa); le assemblee nelle diocesi per un proprio contributo che sarà portato al Convegno dai propri rappresentanti.
Ma cosa significa essere testimoni cristiani nella città dell’uomo, nelle nostre case e uffici, al lavoro, come in ferie, in malattia, di fronte alle giovani generazioni, nell’amministrazione? Come si esercita? Come ci si prepara?
Quale dono e compito viene affidato alla comunità
Li prendiamo in estrema sintesi dallo stesso documento-base del Convegno per invitare ad una lettura approfondita, in vista anche di una riflessione portata avanti con i giovani del proprio contesto pastorale.
Identikit del binomio testimonianza-speranza
Dal documento di preparazione la testimonianza cristiana, e dunque il testimone che la opera, è radunabile nei seguenti elementi.
- Nasce da fatti determinati con l’averne fatto esperienza, e non solo da chiacchiere, per sentito dire, del tipo «forse è capitato, si dice che…». Ha lo spessore poco o tanto dello choc, della notizia che colpisce, di un primo annuncio che stupisce, intriga, si fa domanda, ricerca, in un parola destabilizza e si fa coinvolgente; entra nel tuo intimo, si fa interiorità, mentalità, atteggiamento… Coerenza e fedeltà ne sono contrassegni. La parola più grande è sempre la vita. La testimonianza può giungere al dono della vita, quando si fa martirio: si apprezza la vita con la vita. Perciò il martire in certo modo accaparra il senso di testimone, per cui poco o tanto la nostra testimonianza migliore ci chiede sempre del martirio.
- La testimonianza non si limita a constatare, a «fotografare» quasi. Comporta la comprensione del valore che si è colto nei fatti, quindi se ne avverte il senso vitale, la risposta talora decisiva su una questione che può essere decisiva, il che provoca la spontanea indagine sulla credibilità storica («è proprio vero?»), sulla ragionevolezza, sul senso che arreca alla vita… e dunque spinge per sé al superamento di ogni fondamentalismo ottuso, di ogni creduloneria fanatica, all’apertura al dialogo e a dare spessore culturale alla testimonianza. Risuona intatto e modernissimo il monito di Pietro: «Pronti a rendere conto della speranza che è in voi» (1Pt 3, 15).
- La testimonianza porta con sé nel testimone la coscienza di non esserne produttore in proprio, un possessore privato come cosa fatta in casa, ma di averla come dono ricevuto, e dunque l’obbligo morale di non manipolarla e nemmeno tacerla per paura di perdere la faccia, il portafoglio, la quiete.
- E d’altra parte si avverte che solo in nome di un dono posseduto e trasmesso, cioè testimoniato, altri possono entrare a contatto con il Signore, diventare credenti e dunque come persone donate non possono che diventare donatori. La testimonianza crea reazione a catena, come la staffetta dove la corsa si fa passando il testimone.
- Il collegamento con la speranza non è il tutto della testimonianza cristiana. Vi è testimonianza di cose passate e presenti, ma certamente è tesa intrinsecamente al futuro, perché la verità – valore della testimonianza tanto più vale, e quindi merita essere seguita, in quanto è capace di valere anche domani – è in se stessa feconda di futuro.
In un processo la testimonianza positiva o negativa di uno apre o chiude anni di carcere. Per questo «attraverso la testimonianza nasce il dialogo tra il tempo che è stato e non è più, e il tempo che è e non sarebbe senza il tempo che è stato». La testimonianza fa risuonare al massimo la sua capacità nella capacità di aprire al futuro, di farsi promessa e profezia. Non per nulla la religione biblica si apre con l’attestazione di una creazione, di un esodo e di una pasqua, di un Dio nella storia, e insieme di grandi promesse: dal padre Abramo fino alla parusia finale.
- I testimoni dell’unico Signore sono necessariamente testimoni convergenti, uniti, e dunque lo sono reciprocamente. Di fatto è la comunità ecclesiale il grembo vitale della testimonianza del Risorto, ove essa può manifestarsi genuina, ove la speranza si riaccende perché se ne fa lo scambio reciproco. Ne nasce un non piccolo esame di coscienza, dove può scaturire l’amarezza di inadempienze (= una comunità che non dà speranza perché non dà testimonianza, e viceversa), ma anche sgorga la gioia di vedere tanti segni, se si impara a vederli!
Chi fonda la testimonianza della speranza? Il ruolo di Gesù Risorto
Qui si innesta il c. 1 del documento-base: «La sorgente della testimonianza».
- La testimonianza è collegata alla speranza ed entrambe al Risorto, perché il Risorto testimonia, è prova di uno che ha realizzato in se stesso un’esperienza inaudita e unica: ha vinto la morte e il male, siede Signore alla destra del Padre, ha aperto la via della vita, del perdono, del senso, del futuro definitivo, e dunque ha portato la speranza al massimo della realizzazione, come ama dire la Bibbia, ad una speranza contro ogni speranza (Rom 4).
Gesù Risorto si fa dunque nostra speranza, e siccome è il cammino della croce, della lotta, dell’apparente sconfitta che ne è stato il percorso, allora la croce, quella di Gesù, entra nella testimonianza, fa parte della speranza. Ave Crux spes unica!
- L’incontro con la testimonianza di Gesù, quella attestata dagli apostoli, si prolunga in una triplice esperienza perché diventi nostra testimonianza, radicata in tre verbi che dicono il dinamismo del testimoniare: vedere, incontrare, comunicare il Risorto, cui si associano tre contenuti come atteggiamento e prassi: conversione a Gesù, missione di Gesù, relazione con Gesù. Testimone è chi sa sperare perché ha trovato la speranza alla fonte. «Se la speranza è presente nel cuore di ogni uomo e di ogni donna, il Crocifisso Risorto è il nome della speranza cristiana» (n. 2).
- Laddove il corpo di Cristo opera, lì la testimonianza della speranza passa. È la grazia e il compito della comunità ecclesiale, corpo mistico di Cristo sorretto dal corpo eucaristico. Essa si giudica dalla capacità di darne i segni. Purtroppo proprio la Chiesa come madre appare estranea o smentita, straniera. Quale speranza può avvenire da un grembo spento, dove si contassero più i morti che i vivi?
Le qualità di chi è testimone di speranza
Colui che porta dentro di sé la storia di Gesù, il suo modo di fare speranza, e la rifà nel quotidiano, costui è testimone della speranza. Dai cc. 2 e 3 del documento-base raccogliamo alcuni lineamenti maggiori.
- Testimoni non si nasce, ma si diventa e ri-diventa. D’altra parte, se è testimone anche un neonato battezzato per la situazione oggettiva che rappresenta, lo è appieno chi accetta di diventare testimone e si riconosce tale, ne ha coscienza e vuole averla, con un fede adulta e matura, cioè coraggiosa, anzi «drammatica», dice il testo, e responsabile, capace di esprimersi «nelle esperienze umana fondamentali» che impattano direttamente l’adulto: «il rapporto uomo e donna, la sessualità, la generazione, l’amicizia e la solidarietà, la vocazione personale, la partecipazione alle vicende della società» (n. 8), il che vuol dire che «non comporta la proposta di qualche specifico impegno ecclesiale o di una tecnica di spiritualità, ma la formazione e l’aiuto di vivere la famiglia, la professione, il servizio, le relazioni sociali, il tempo libero, la crescita culturale, l’attenzione al disagio come luoghi in cui è possibile fare l’esperienza dell’incontro con il Risorto e della sua presenza trasformante in mezzo a noi» (n. 9).
- Al dunque di «come essere uomini e donne che testimoniano nella storia la speranza», il documento adopera un termine caratteristico, ma geniale: «il racconto della testimonianza» (c. 3). Il testimone è un «narratore della speranza» (n. 10). Non si tratta di sputare sentenze, di affermare aforismi, ma di dire le proprie esperienze, o comunque nelle parole che si dicono – per quanto ortodosse come il Denzinger, e belle come può dirle un poeta o un artista – far echeggiare una esperienza che sta sotto, che appaiano parole di uno che ha provato.
Dire esperienze di vita è raccontare. Comprende una gamma di aspetti:
* ha per naturali destinatari i compagni di fede e segnatamente i minori che crescono;
* raccontare la storia di speranza di un popolo (la storia sacra) è un capitolo centrale, andato in disuso e da riprendere, anzitutto la storia sacra della Bibbia e poi la storia sacra della Chiesa, in particolare di laici/e del nostro tempo, come Alberto Marvelli;
* raccontare offrendo le ragioni della speranza, ossia quel valore attinto dall’esperienza storica di Cristo, e partendo dal domani definitivo della vita eterna (dimensione escatologica della visione cristiana), «dona forza ai frammenti di speranza che ci sono possibili, superando la grave insidia della paura e dello scoraggiamento»; è valore da riportare nella società in cui viviamo e dunque culturalmente attrezzata, per non rischiare di dire belle storie ad uditori non interessati, a dare risposte a domande che nessuno ha mai fatto e non darle invece a domande reali. Pericolo continuo della retorica ecclesiastica, dell’ecclesialese!
* contemplazione e impegno sono le figure della speranza nel testimone, traducibili nel dare un’anima – che è poi la mistica della preghiera, espressa nelle forme del genio italiano, in arte, musica ecc., – al corpo dell’azione, perché il nostro non diventi attivismo aziendale e la chiesa fabbrica del sacro, e nel dare un corpo, concretezza visibilità, incidenza storica, politica alla contemplazione, perché non devii in spiritualismo disincarnato.
L’esercizio della «testimonianza della speranza» (c. IV)
Viene ricondotto in un binomio congiunto: persone di una spiritualità incarnata, capaci di discernimento.
- Tramite un «cammino di assimilazione di santità» (n. 13) su misura di Gesù, testimoni cristiani sono uomini e donne dello Spirito, adulti e giovani e anziani, mossi dallo Spirito, come è stato di Gesù (cf Mc 1, 12), che vivono una cosciente interiorità cristiana, dove lo Spirito, secondo l’affermazione di Gesù, offre ciò che è di Gesù e conduce alla verità tutta intera nel contesto di questa vita, di questo mondo, anno, giorno, momento.
Vita spirituale non si oppone a vita storica, concreta, ma esattamente il contrario, si oppone a vita disincarnata e parziale. È semmai vita reale integrale, dove il dono di Dio entra e si mescola nel tempo, per una spiritualità incarnata, solidale con questo mondo in cui, grazie allo Spirito di Gesù, il testimone coglie i gemiti dello spirito dell’uomo, «riconosce la grande nostalgia di speranza, vede i semi del bene collaborando con gli uomini e le donne di oggi nella ricerca e nella costruzione di una vita più umana e di un futuro buono. Questo comporta il dedicarsi ai frammenti positivi di vita, custodendo però la tensione verso la speranza escatologica che non può mai essere del tutto esaudita» (n. 13).
Sicché il testimone non è uno spettatore passivo, né appare condizionato dal gusto della gente, ma è attore attivo in dialogo con il mondo culturale delle persone senza limitarsi ad esso. Il testimone avverte lo spaesamento di molti che non sanno dove andare. Il suo intervento rifà la storia di Emmaus, è la «storia del Vivente» che continua, una «cristologia vivente» nelle situazioni in cui si esercita la testimonianza.
- Ma qui non basterebbe la buona volontà di vendere esperienze religiose a chili, allo stato puro. La testimonianza nasce dalla Parola di Dio incarnata, inculturata e a ciò deve mirare. In termini neotestamentari, che riflettono la situazione apostolica di Paolo in un mondo, quello greco-romano, pluralista e complesso, anzi sofisticato come il nostro, si parla di discernimento: «Esaminate ogni cosa, tenete ciò che è buono» (1Tess 5, 21; cf Fil 4, 8).
Ciò comporta non amarsi di aspersori e candelieri, ma di Bibbia e giornale, non rinchiudersi nelle cella o nel proprio gruppo, ma entrare come Paolo nell’agorà con coraggio e tranquillità. In una parola l’ignoranza non fa testimonianza, sia quando è colpevole che quando è invincibilmente crassa. Il rosario delle vecchiette lungo la Messa testimonia forse un fervore esemplare, ma non è così costruttivo. Trovarsi su piani sghembi è essere sfasati anche se non si è su piani opposti.
Ne esce una attenzione testimoniale che indubbiamente assume un linguaggio nuovo e una competenza inedita, che possiamo configurare come superamento di quello che Paolo VI definiva il «dramma dei nostri tempi: la rottura fra vangelo e cultura» (EN 20).
Possibilità e rischi per la testimonianza
Ne emergono alcuni aspetti da considerare che determinano «possibilità e rischi del clima culturale di oggi per l’annuncio e la testimonianza cristiana».
È da quest’ottica che si comprende meglio il senso del Convegno di Verona e cosa significhi essere testimoni della speranza oggi.
Distinguiamo l’ordine dei problemi diretti, il livello delle competenze, il processo di mediazione.
L’ordine dei problemi diretti
Prendiamo pure ora di petto le istanze che si aprono all’evangelizzazione partendo dalle scelte della Chiesa italiana in questo tempo e di cui Verona 06 si fa portabandiera significativa. Verità, speranza, significatività, comunione, mediazione comunicativa sono cinque leitmotiv.
- Verità: si riavverte il bisogno di una esplicita e coraggiosa evangelizzazione nel Paese come se si partisse da capo, è il primo annuncio in termini certamente ontologici e di fondazione, ma anche cronologici.
A fronte di: ignoranza, deformazione (mancanza di gerarchia della verità e del senso genuino), soggettivazione specialmente etica (religione del fai da te), funzionalizzazione (religione civile), irrilevanza della visione credente, un mito in via inesorabile di superamento.
- Speranza come grazia di un futuro migliore e perciò forza di cambio nel presente e attesa attiva per un cambio di salvezza perfetta. A fronte di: paura e incoscienza del futuro, assenza di progettualità (giovanile), una vita dispersa nei surrogati di felicità.
- Significatività: un Dio per l’uomo, o le risorse dell’umanesimo cristiano. Un annuncio del Vangelo nella città dell’uomo con il fondamentale ruolo dei laici.
A fronte di: delicati e sofferti ambiti di vita: vita affettiva, lavoro e festa, fragilità, tradizione, cittadinanza.
- Per un cammino comune tra comunità, gruppi, movimenti.
A fronte di: frammentazione, separatezza, omologazione, conflitto.
- Scelte preferenziali di mediazione comunicativa: iniziazione, famiglia, parrocchia, «eredità cristiana».
A fronte di: cristiani di anagrafe, la crisi della famiglia, la parrocchia autoreferenziale, agenzie educative confuse e inadeguate (ad esempio scuola, mass media), una tradizione cristiana che si slava e si perde, rottura fra le generazioni…
Il livello delle competenze
Questo confronto faccia a faccia rischia di essere improduttivo oltreché insopportabile se il discernimento non tiene conto di altri fattori. È indicato così dal documento con un realismo che colpisce: «Oggi in una società e in una cultura fortemente pluralistiche e insieme individualizzate – per i processi di differenziazione sociale, di specializzazione delle istituzioni, di soggettivizzazione – vengono richieste ai singoli competenze e prestazioni a volte contraddittorie, in un clima di aspra competizione e di grande incertezza» (n. 14).
Si pensi alla problematica bioetica!
Ne deriva un chiara percezione di contesto e delle grandi dinamiche soggiacenti:
* pluralismo religioso che richiede cultura dell’accoglienza, ma anche della propria identità;
* superamento della frattura fra le chiese per una rievangelizzazione del continente europeo come fu la prima volta;
* l’attenzione dialogica e critica ai mutamenti culturali e antropologici appare oggi «un’esigenza irrinunciabile della fede cristiana, della vitalità delle comunità ecclesiali, dello stesso amore cristiano» (n. 14). Oggi non è tanto Dio ad essere rifiutato, o comunque ciò avviene ormai da un pezzo, ma è l’uomo, come persona, come genere, come vita e come morte, che è messo in profonda radicale questione. Non si tratta più di giustificare Dio agli occhi dell’uomo, ma di giustificare (rimotivare, riassicurare, incoraggiare, orientare…) l’uomo agli occhi di se stesso con la grazia di Dio.
Ecco le parole dense, ma illuminanti, la cui comprensione e assimilazione fanno da spartiacque in certo modo tra la fede di ieri, che non c’è più, e la fede di oggi, per poterci essere anche domani:
«Si tratta più precisamente di sviluppare una continua interconnessione tra la formazione cristiana e la vita quotidiana, tra i principi dell’antropologia cristiana e le decisioni etiche, tra la dottrina sociale cristiana e le scelte e i comportamenti, per cercare con creatività e nel dialogo con le diverse espressioni culturali le iniziative più efficaci e le soluzioni appropriate. In particolare occorre tenere presenti alcuni nodi problematici, tipici del nostro tempo, come la scissione tra razionalità strumentale (tecnologico-scientifica, giuridico-amministrativa, economico-finanziaria…) e vissuto affettivo ed emotivo; la giustapposizione di fiducia quasi illimitata nella conoscenza scientifica e tecnologica e lo scetticismo diffuso quanto alla capacità dell’uomo di conoscere la verità e il senso dell’esistenza; la rivendicazione della libertà individuale insindacabile accompagnata da una credenza largamente condivisa nel determinismo (biologico, psichico, sociale), la giustapposizione di individualismo e apprezzamento per i valori dell’etica pubblica e del bene comune; la tensione tra nuove condizioni del lavoro, benessere sociale, giustizia internazionale» (n. 14).
Di fronte a questioni come queste, ci si può tirar indietro come a cose secondarie, rifugiandosi, come si dice, nella pura preghiera o procedendo come se il mondo non fosse cambiato?
Se tutto questo non tocca tutti allo stesso livello, vi sarà pure qualcuno che ne parla e si interessa di dirlo agli altri? E chi se non anzitutto i pastori? E i laici impegnati?
Ma non sarà proprio che l’attenzione e la cultura adeguata su queste questioni, sia pur senza alta specializzazione, diventano oggi una cartina di tornasole per mostrare di essere i cristiani e i pastori che Dio vuole oggi e non quelli che andavano bene ieri?
Per questo già interessarsene è segno di intelligenza e maturità pastorale. Solo che è avvio di un cammino chiamato a cambiare profondamente la chiesa del 2000!
Il processo di mediazione
Non si va dalla Parola di Dio alla realtà senza mediazione culturale, per deduzione, o offrendo ricette, cui la Bibbia viene costretta in maniera ricattatoria e miope, ricette ricavate chissà come dal libro sacro, ma semmai secondo un processo di correlazione tra Parola ed esperienza umana.
Ma questo passaggio decisivo richiede una buona comprensione evangelica del mondo tanto realistica quanto serena, con gli occhi tappati né dalla crisi pessimista né dal fatuo ottimismo, ma con la certezza della fede che in questo mondo e in questo tempo (che sono gli unici per noi), lo Spirito di Cristo continua la semina del Regno. Indubbiamente, dal punto di vista dell’annuncio evangelico, l’attuale contesto europeo si manifesta come mondo complesso, pluralista, soggettivizzato, individualizzato, frammentato, conflittuale, incerto, deluso, eppure in attesa di verità, capace di riempire piazza S. Pietro, o portare a Colonia un milione di giovani, volto a riconoscere che la religione non è affare da tenere nascosto, ma fa parte della laicità di un regime democratico, con la capacità di un umanesimo che supplire all’erosione dell’umanesimo puramente intramondano.
Testimoniare per ambiti
Il Convegno di Verona si svolgerà come un grande laboratorio attorno a delle situazioni esistenziali originarie o matrici, dette anche ambiti. Concretamente il documento-base richiama alla coscienza comune ciò che la coscienza meditata esprime da sé. Sono cinque ambiti di vita, rivelatori di una problematica antropologica condivisa, cui l’uomo di oggi, cristiano o no, è particolarmente sensibile, perché incidono in modo particolare nell’esistenza e dunque interpellano ogni cristiano e comunità ecclesiale per una testimonianza portatrice di speranza.
Già elencarli dice bene l’area di vita implicata (c. IV, n. 15):
- il primo ambito dell’affettività riguarda questo nodo essenziale della vita con l’esperienza dell’amore, della generazione, della famiglia, ecc.;
- un secondo ambito riguarda il lavoro e la festa come momenti costituenti la relazione con il mondo: lavoro, tempo libero, riposo, svago…;
- il terzo ambito tocca la fragilità dell’uomo, il mondo della sofferenza, degli ultimi, dei poveri;
- il quarto ambito si riferisce alla tradizione o trasmissione dei valori ove rientrano le maggiori mediazioni educative;
- il quinto si fissa sulla cittadinanza come ambito della socialità e dell’impegno civile.
Piace questo linguaggio laico, perché finalmente tocca la vita reale delle persone, che in maggioranza sono laici e laiche, e per questo permette al Vangelo di risuonare veramente non solo come notizia, ma come «bella notizia».
Oggi la preparazione è concentrata proprio su questi ambiti, oggetto di riflessione e dialogo nelle comunità, cui fa da appoggio una pubblicistica particolarmente da parte delle riviste dell’Azione Cattolica (cf Nuova Responsabilità 2005).
PUNTI FERMI DI CONVERSIONE PASTORALE
Il documento invita a porre i luoghi della vita quotidiana nell’agenda pastorale per superare le difficoltà di una lacerazione del rapporto fede e vita, o perché si rimuove il vissuto quotidiano, lo si tiene fuori di chiesa, come si dice, o perché si rimuove il vangelo, lo si tiene fuori della vita. Ciò comporta far incontrare tre prospettive che fanno da sfondo al convegno di Verona.
- La prospettiva di missionarietà o coscienza missionaria: anelito nuovo per l’annuncio del Vangelo, da parte di ogni comunità e di ogni cristiano, per poter continuare ad essere cristiano (missionario verso di sé prima di tutto) e averne la soddisfazione, tanto più nella sollecitazione incalzante del pluralismo religioso e della sfida del postmoderno («religione fai da te»).
- La prospettiva della cultura, che mira alla formazione di «una coscienza personale e storica dei fedeli cristiani a confronto con i diversi fenomeni che danno forma al vissuto. Implica la capacità della Chiesa di offrire agli uomini e alle donne di oggi un orizzonte di senso, di essere con la sua stessa esistenza un punto di riferimento credibile per chi cerca una risposta alle esigenze complesse e multiformi che segnano la vita». Significa prendere sul serio le domande reali della vita, rispondendovi in maniera significativa, ove cioè quello che è tuo è posto a confronto con la bella notizia di Gesù, non ignorando proposte alternative che vengono da altre religioni e visioni della vita. Sicché uno apprende il vangelo (la fede…) sempre congiunto con la motivazione per cui è chiamato ad accoglierlo, in un’ottica di liberazione, di salvezza, di gioia.
- La prospettiva della spiritualità, ossia del mondo interiore dove risiedono la comunione con Dio e le ragioni della fede. Di tale mondo si chiede insistente la presenza, senza di cui spuntano il mestiere e l’hobby cristiano; si chiede che sia un mondo «moderno e pasquale», nel senso fin qui detto; si domanda che abbia una profonda adesione e faccia sintesi personale sul Cristo crocifisso e Risorto, compreso come incontro di salvezza per le situazioni di oggi; si sottolinea il bisogno di una «spiritualità specialmente laicale», per le risorse peculiari del laico di fare sintesi tra Parola di Dio e vissuto quotidiano; spiritualità «caratterizzata dall’impegno nel mondo e dalla simpatia per il mondo come via di santificazione».
Perfetto leitmotiv è la ormai nota esortazione della 1Pt 3, 13-17 (v. 15 in particolare):
«Chi vi potrà fare del male, se sarete ferventi nel bene? E se anche doveste soffrire per la giustizia, beati voi! Non vi sgomentate per paura di loro, né vi turbate, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di voi rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo. È meglio infatti, se così vuole Dio, soffrire operando il bene che facendo il male».
NOTE
[1] Ricordiamo:
1972 – Evangelizzazione e sacramenti
1976 – Convegno di Roma: Evangelizzazione e promozione umana
1980 – Comunione e comunità
1985 – Convegno di Loreto: Riconciliazione cristiana e comunità di uomini
1990 – Evangelizzazione e testimonianza della carità
1995 – Convegno di Palermo: Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia
2001 – Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia
2006 – Convegno di Verona: Testimoni di Gesù Risorto, speranza del mondo
[2] Ecco cinque tratti che danno l'identità della Lettera:
* connessione fra il dono della speranza e la persona del Risorto nell'attesa del suo ritorno alla fine dei tempi;
* l'immagine della Chiesa popolo di Dio, «straniero» e «disperso» nel mondo, dimora di Dio e gregge del Cristo, pastore supremo, guida tramite pastori e vescovi;
* la presenza dei credenti nel mondo con una condotta di vita bella e buona, leali nella società, ma obbedienti solo al Signore, pronti a testimoniare le ragioni della loro fede, a fare l'apologia della loro speranza;
* il senso che la sofferenza assume alla luce di Cristo, l'agnello che ci redime nel sangue sparso sulla croce;
* consapevolezza di essere stati scelti da Dio e di come nel battesimo sia radicata per tutti una chiamata alla santità.