Tempo quotidiano, vero tempo della salvezza

Mario Pollo

(NPG 2008-01-2)



Ogni anno il tempo circolare con i suoi immutabili riti, che affondano nelle profondità del tempo della storia umana, ripropone attraverso la sua celebrazione le proprie vane speranze che si sovrappongono, sino ad oscurarla, alla speranza cristiana. Prima che apparisse Israele con il suo tempo che apriva il corso lineare, o meglio il ritmo della storia, alla salvezza, poi compiuta nell’evento dell’incarnazione, nelle civiltà arcaiche l’anno nuovo era, di fatto, un nuovo inizio, una nuova creazione. L’anno vecchio, morendo, si portava con sé i peccati, il male, le disgrazie e tutto ciò che vi era stato di negativo nella vita delle persone e della comunità. Le feste di fine anno, che sovente vedevano la sospensione delle norme e delle regole di vita abituale e sconfinavano nell’orgiastico, erano la rappresentazione simbolica del caos originario che precedeva la creazione del mondo, la cosmogonia. Bastava, quindi, abbandonarsi alla hybris, alla dismisura festiva che precedeva la nascita del nuovo anno perché questo fosse un nuovo inizio e introducesse in un mondo rinnovato. La speranza era completamente affidata al nuovo tempo e non erano richieste nuove nascite, conversioni e, quindi, cambiamenti personali, perché la salvezza della propria condizione era affidata al nuovo tempo.

L’incarnazione, con l’irruzione decisiva di Dio nella storia, ha fatto sì che questa speranza vaga, frutto di un’attesa magica verso il futuro, finalmente si compia perché il tempo ha raggiunto la sua maturità e la sua pienezza, come afferma Gesù: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino» (Mc 1,15). Questo nuovo tempo non è il prodotto né degli avvenimenti, né della volontà umana, né di particolari rituali magico-religiosi, perché è esclusivamente il frutto della decisione divina che inaugura la tappa finale della storia della salvezza e dà inizio al tempo escatologico.
Con l’avvento di Gesù nella storia umana si produce il compimento del tempo che fa sì che tutto il tempo della vita divenga un tempo di salvezza, perché – come ci dice ancora Gesù – Dio opera sempre nella vita dell’uomo e, quindi, nella storia umana: «Il Padre mio opera sempre e anch’io opero» (Gv 5,17), e non esiste perciò un tempo sottratto all’intervento di Dio. Tutta la storia è storia di salvezza, perché con Gesù è iniziata l’attuazione della redenzione.
L’ora del raccolto è giunta, perché come dice Gesù ai suoi discepoli: «Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura» (Gv 4,35).
L’intervento di Dio apre il tempo dell’uomo verso il futuro glorioso, verso il tempo della parusia.
In sintesi si può affermare che il tempo che il nuovo testamento propone è l’impulso che Dio ha posto nelle sue creature per farle arrivare al loro destino soprannaturale. Il tempo è solo la storia degli interventi di Dio e dei passi della creazione verso il suo fine.
L’educazione al tempo nella prospettiva cristiana è di fatto una educazione alla scoperta e alla presa di coscienza che il tempo quotidiano può essere un tempo di salvezza.
Che la salvezza non richiede la fuga dell’uomo dal suo mondo, dalla sua realtà di vita, ma la capacità di vivere la propria vita secondo il disegno della salvezza rivelato da Gesù.
Questo significa che il vero tempo della speranza non è quello che nasce a capodanno, ma quello che nasce con Gesù nel Natale e si compie nella Pasqua, e che richiede alle persone di lavorare perché la loro vita e quella del mondo che abitano divengano il luogo in cui l’umanità può sperimentare, nonostante tutto, che nel tempo che abita è già presente, anche se non ancora compiuto, il Regno.