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    «Per me vivere è il Cristo» (Fil 1,21). Gesù, centro ispiratore della spiritualità e della vita



    S. Paolo e i giovani /4

    Giuseppe De Virgilio

    (NPG 2009-03-3)


    Concordemente gli autori riconoscono l’importanza della figura e dell’opera di Paolo nell’ambito della spiritualità cristiana. Infatti il pensiero dell’Apostolo ha notevolmente segnato lo sviluppo della Chiesa primitiva, incidendo profondamente non solo nel contesto delle comunità del tempo, ma anche nelle successive generazioni di credenti. A buon diritto si può affermare che S. Paolo è stato e continua ad essere un «maestro» di vita spirituale. Nel riflettere sulla ricchezza del messaggio paolino per il mondo giovanile, seguiamo brevemente il percorso biografico e tematico per cogliere il centro cristologico del suo pensiero e l’attualità della testimonianza che egli ci ha lasciato.

    Da Gerusalemme a Damasco: un incontro straordinario

    La formazione di Saulo che precede la sua adesione alla fede cristiana, è stata contrassegnata dall’ambiente culturale giudaico e dalla tradizione spirituale israelitica, coltivata a Gerusalemme presso la scuola di Gamaliele (cf At 22,3). Anzitutto egli ha imparato l’importanza dell’obbedienza all’unico Dio, mediante un amore totale (cf Dt 6,4-8) e un’adesione piena alle Scritture ebraiche, in un atteggiamento di preghiera e di fedeltà alla lettera e allo spirito dell’alleanza e dei suoi precetti. Questa essenzialità e radicalità lo hanno guidato nel discernimento spirituale e nell’impegno che ogni pio israelita è chiamato a vivere. Traccia di questa formazione ritorna nella memoria biografica, quando Paolo ricorda la rigida fedeltà alla Legge ebraica e la sua permanenza negli ambienti rabbinici durante il periodo pre-cristiano (cf Fil 3,4-6; 2Cor 11,21-22).
    Tuttavia è l’avvenimento di Damasco a segnare lo spartiacque dell’esistenza paolina e della sua nuova scoperta cristiana (cf At 9,1-19;22,1-16; 26,12-18). È l’Apostolo stesso a raccontare ripetutamente, davanti a molti uditori, la sua esperienza mistica «sulla strada», mentre si recava a Damasco «a condurre in catene a Gerusalemme uomini e donne, seguaci della dottrina di Cristo, che avesse trovati» (At 9,2). Folgorato da una luce celeste e caduto a terra, Saulo si sente «afferrato» da Cristo e rivolge la domanda fondamentale: «Chi sei, o Signore?». In quel momento egli percepisce una risposta da una voce misteriosa: «Io sono Gesù, che tu perseguiti! Orsù, alzati ed entra nella città e ti sarà detto ciò che devi fare» (At 9,5-6). Saulo volge il suo cuore all’appello del Cristo crocifisso e a partire dalla sua risposta la direzione della sua vita cambia.
    Da allora il «persecutore dei cristiani» si trasforma in «Apostolo delle genti», instancabile cercatore di Cristo e missionario della sua Chiesa. Possiamo considerare questo incontro con Cristo il «punto di partenza» di un nuovo cammino spirituale. Lungo la sua missione Paolo è stato testimone e maestro di «vita spirituale» nell’ambito delle sue comunità e soprattutto nei riguardi dei suoi più stretti collaboratori. Le lettere a Timoteo e Tito, unitamente alle sezioni parenetiche dell’epistolario, testimoniano come l’Apostolo abbia saputo dirigere e consigliare i suoi collaboratori e il vasto gruppo dei missionari cristiani, indirizzandoli sulla via del Vangelo.

    «Cristo vive in me»

    Scrivendo ai cristiani della Galazia, Paolo fa memoria della rivelazione ricevuta nell’evento di Damasco: «Quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco» (Gal 1,15-17). Prima di diventare «maestro», Paolo fu «discepolo», seguendo Barnaba nella missione del Vangelo (cf At 9,27) e soprattutto nel nuovo stile di vita che prende inizio dal battesimo, una vera rinascita in Cristo. Lungo gli anni del successivo apostolato egli raggiunge una sintesi teologica e spirituale «unica», orientando con determinazione e autorevolezza l’evoluzione e lo sviluppo del cristianesimo primitivo.
    Dobbiamo ritenere che i temi fondamentali del suo insegnamento sono frutto del personale «incontro» con Cristo: egli rilegge il «progetto di Dio» e lo annuncia attraverso il «Vangelo» predicato a tutti, Giudei e pagani (cf Rm 1). L’itinerario concettuale di Paolo è frutto di una sintesi tra la conoscenza della Scrittura e la rivelazione cristologica, vissuta in prima persona nel ministero apostolico. Nelle sue lettere Paolo mostra una chiara consapevolezza del disegno trinitario sull’umanità: nella storia dominata dal peccato e dalla morte irrompe la decisione divina di «giustificare» l’uomo, indipendentemente dalle sue possibilità e dai suoi meriti (cf Rm 3). Secondo l’Apostolo l’essenza della vita spirituale è data dal mistero pasquale del Signore, che ha radicalmente mutato la sorte dell’umanità in modo unico e definitivo (cf Rm 5). Nella morte e risurrezione del suo Figlio, Dio ha perdonato e annullato il peccato dell’uomo, realizzando nel suo cuore una «nuova creazione» mediante il dinamismo dello Spirito. Pertanto la risposta della fede al Vangelo consente a ciascun uomo di partecipare al dono della salvezza e di lasciarsi trasformare dall’amore divino (cf 1Cor 13), configurando la propria vita all’immagine del Figlio (cf Rm 8,29).
    L’essere «nuova creatura» non è pensabile se non nella prospettiva della comunione ecclesiale e della speranza escatologica (cf 1Cor 15). Alla luce di questa speranza i credenti vivono nell’unità ecclesiale il loro impegno etico, fondando il proprio stile di vita sulla libertà redenta e sull’esercizio dell’amore fraterno. È la comunità, la Chiesa in cammino verso il compimento del tempo, che diventa segno tangibile della riunione delle genti nell’unico «popolo santo», destinato all’incontro finale con il Padre. In tal modo l’incontro con Cristo mediante la fede produce la maturazione personale e comunitaria, in vista del compimento di un progetto salvezza. Nell’orizzonte di questa visione teologica ben definita, emerge nell’epistolario il motivo dominante del suo insegnamento spirituale: l’unione con Cristo crocifisso e risorto, che lo Spirito Santo opera nel cuore di quanti si aprono all’amore, senza distinzione di genere, né di livello sociale né di razza (cf Gal 3,28; Col 3,11). Questa esperienza è tematizzata soprattutto in due lettere di grande importanza: la lettera ai Filippesi e ai Galati.
    Il primo testo di Fil 1,21 recita: «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno». Si tratta di un’affermazione che va compresa nel contesto della testimonianza di Paolo mentre è in carcere in attesa della sentenza da parte di un giudice romano. Egli ha appreso che la comunità di Filippi continua a distinguersi per una coraggiosa predicazione del vangelo, anche se alcuni annunciano la Parola «per invidia e spirito di contesa» (Fil 1,15). Tuttavia Paolo è sereno e mostra la consapevolezza che questa ulteriore prova recherà a tutta la comunità uno straordinario giovamento. Dalle toccanti parole della lettera emerge un Paolo libero, ricco di speranza, audace nella testimonianza, pronto ad affrontare la prova e tutto questo per il fatto che ha incontrato Cristo. Per questo può solennemente affermare che per lui non conta più la vita o la morte: per lui conta solo essere in Cristo!
    Il secondo testo di Gal 2,20 recita: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me». L’affermazione è il punto di arrivo di una densa riflessione sul ruolo della Legge mosaica e sulla trasformazione radicale operata nel cuore dell’uomo dalla morte del Signore Gesù. A quanti pensavano che era la norma legale dell’antica alleanza a salvare l’uomo e a salvaguardarlo dalla morte, l’Apostolo risponde che solo in Cristo tutti ricevono la vita: l’unica strada della felicità consiste nel «vivere in Cristo e per Lui». È Cristo la certezza di Paolo e a partire dall’«essere in Cristo» Paolo sperimenta la realtà della «nuova creazione» (cf 2Cor 5,17) donandosi senza misura nell’evangelizzazione.

    Il linguaggio della comunione con Cristo

    L’incontro con Cristo ha spinto l’Apostolo ad impiegare nelle sue lettere formule, termini e idee che rivelano l’intensità mistica della sua esperienza e del suo annuncio: morire e risorgere / essere «con Cristo», vivere «in Cristo», Cristo «vive in me», rivestire Cristo, essere trasformati / essere conosciuti da Cristo. Questa «semantica della partecipazione cristologica» rivela il centro della spiritualità vissuta da Paolo, che consiste nel dono personale e comunitario della propria esistenza al Signore crocifisso e risorto. Quando in Gal 3,26 Paolo afferma: «tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù» egli non vuole intendere solo un’idea analoga e simbolica della fede cristiana, ma congiunge la fede dei credenti in Cristo, con la realtà dell’«essere in Lui».
    Mediante la forza dello Spirito, si realizza tra il credente e Cristo una «comunione di vita», una graduale assimilazione spirituale che «santifica» l’esistenza dell’uomo e lo rende «figlio nel Figlio», lo «cristifica». Paolo descrive questo procedimento in primo luogo nei rapporti con Dio, a partire dai sacramenti del battesimo (Rm 6,3-5) e della cena eucaristica (1Cor 10,16; 11,16-34). Nel descrivere il cammino di assimilazione al mistero di Cristo l’Apostolo conferisce una particolare rilevanza al valore delle «sofferenze vissute in unione al Signore»: sono queste prove che fanno maturare la personalità di un giovane che vive radicato in Cristo (cf Fil 3,10; 2Cor 1,5.7; 4,10) e lo aprono alla prospettiva della speranza ultima (cf 2Cor 1,9; 5,8; Fil 1,23). In questo senso comprendiamo quanto Paolo scrive ai Colossesi: «Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa» (Col 1,24). Le sofferenze, le vicissitudini, le avversità (cf 2Cor 4,7-12; 6,3-10) vissute nella fede sono una forma di comunione e di partecipazione alla realtà del Cristo.

    Cristo e lo Spirito

    Se la chiave di lettura del messaggio paolino è la persona di Cristo, la conseguenza della fede cristologica è costituita dall’azione dello Spirito Santo. Egli ritiene che Dio, nel suo amore misericordioso, ha «riversato lo Spirito» nel cuore dei credenti (cf Gal 3,1-6; 4,1-7), che formano nelle varie membra il «corpo di Cristo» (cf 1Cor 12). Il dono dello Spirito consente a ciascuna persona, senza distinzioni di razza, cultura e sesso, di «camminare secondo lo Spirito» (Rm 8,4), cioè di vivere secondo il progetto di Dio in vista della felicità. L’esistenza umana non è più schiava del peccato e della «carne», ma è stata redenta da Cristo in modo tale che l’intenzionalità e la condotta del credente sono comprese e interpretate nel «dinamismo» della fede.
    Possiamo comprendere meglio la centralità di Gesù nel pensiero paolino riallacciandoci a quanto egli afferma circa lo Spirito Santo. Talvolta Paolo identifica Cristo e lo Spirito, quando parla della presenza di Cristo risorto e asceso al cielo (cf 1Cor 15,45: l’ultimo Adamo, è «spirito datore di vita»). Pur essendo distinti, le funzioni di Cristo e dello Spirito sono considerate identiche a tal punto che l’essere in Cristo è semplicemente un altro modo per dire l’essere nello Spirito. L’affermazione più importante in questo senso è racchiusa in 2Cor 3,17: «Il Signore è lo Spirito e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà». Pur mantenendo distinti il Cristo dallo Spirito, in questo passo l’Apostolo vuole affermare che non si può comprendere l’azione del Cristo nella storia, se non come opera dello Spirito che dona la libertà.
    Le conseguenze storiche per l’uomo che vive nel mondo sono chiare: se l’uomo «cammina nella carne», vive la schiavitù delle passioni e compie le opere che conducono alla morte (cf Gal 5,19-21). Se invece l’uomo «cammina nello Spirito», costruisce la vita per sé e per gli altri, godendone il frutto attraverso i doni spirituali, che sono «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Pertanto l’uomo spirituale («interiore») è colui che ha raggiunto la «piena maturità di Cristo» (Ef 4,13) e vive il primato dell’amore che «lo possiede» (2Cor 5,14; cf 1Cor 13). In questo senso va interpretata l’affermazione paolina: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi» (1Cor 3,16-17). In definitiva la vita spirituale centrata sul Cristo comprende l’itinerario misterioso e attrattivo dello Spirito Santo che opera nel cuore dei credenti e nella divenire della Chiesa.

    «Chiamati alla santità»

    Scrivendo ai Tessalonicesi per invitarli a vivere nella purezza e nella giustizia, Paolo ricorda che «la volontà di Dio è la loro santificazione» (1Ts 4,3). Con questa affermazione si vuole sottolineare la prospettiva finale della «chiamata» al Vangelo e alla fede. Il tema della vocazione (cf Rm 1,1-7) è dunque costitutivo dell’intera concezione teologico-spirituale di S. Paolo. Infatti la chiamata che Dio rivolge all’uomo si traduce in un cammino di santità, vissuto in comunione con gli altri uomini che sperano e attendono l’avvento del Regno!
    L’esistenza dei credenti deve pervenire ad un «processo di santificazione», che nasce dall’ascolto della predicazione, si attiva nel mistero battesimale (cf Rm 6,19-23) e si alimenta nella comunione eucaristica (cf 1Cor 10,16-17). Pertanto il cristiano deve considerarsi un «uomo in cammino», che vive nell’oggi la tensione verso il compimento finale (eschaton). L’esempio personale è estremamente eloquente. Parlando del suo stato spirituale l’Apostolo afferma in Fil 3,12-14: «Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo. Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù». Agli occhi di Paolo la santificazione sarà completata solo al ritorno di Cristo risorto (cf 1Ts 3,13). Così anche il futuro è segnato dall’attesa di Cristo e tutto quello che accade nel tempo dell’attesa è interpretato nell’orizzonte dell’amore di Cristo, «da cui nulla potrà mai separarci» (Rm 8,35-39).

    Quattro parole per la vita

    Il percorso proposto ha evidenziato la profondità e la ricchezza dell’insegnamento spirituale dell’Apostolo delle genti, testimone del Cristo crocifisso e risorto. È una sintesi che può aiutarci ad approfondire la conoscenza dell’epistolario paolino e della sua ricchezza spirituale. Possiamo riassumere con quattro parole la statura spirituale della personalità di S. Paolo e il messaggio che riceviamo dalla sua predicazione. Egli predica Cristo a tutti e si presenta alle sue comunità come: «padre», «madre», «apo¬stolo» e «servo».
    * «Padre»
    Diversi aspetti del ministero fanno riferimento all’esercizio della sua paternità spirituale. Non si tratta solo di una guida gestionale delle Chiese, ma l’essere padre è anzitutto frutto della missione evangelizzatrice che nasce dalla relazione personale con i singoli credenti. Egli rivendica ai Corinzi proprio questa paternità: «Potreste infatti avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri, perché sono io che vi ho generato in Cristo Gesù, mediante il vangelo. Vi esorto dunque, fatevi miei imitatori!» (1Cor 4,15-16). In questo senso l’atteggiamento di Paolo è quello dell’amore parentale nei riguardi delle sue comunità, su cui estende la sua paternità. Sono particolarmente i giovani a sentire il bisogno di riscoprire la figura del padre e di confrontarsi con la sua bontà e autorevolezza. Nel suo ministero Paolo vive la paternità con la stessa tenerezza di Gesù, sapendo di dover realizzare in se stesso la missione affidatagli da Dio, di «guadagnare il maggior numero» (cf 1Cor 9,19).
    * «Madre»
    La metafora materna viene resa attraverso alcune immagini suggestive, che troviamo nelle lettere. Anzitutto l’atto di partorire i figli, applicato alla situazione dei Galati (cf Gal 4,19-20). Verso i Corinzi Paolo usa il paragone del nutrimento del latte per i «neonati» nella fede (cf 1Cor 3,1-3), ponendo l’accento sul bisogno di crescere e maturare con gradualità. L’assillo quotidiano per le Chiese (cf 2Cor 11,28-29), il suo «affetto immenso» (2Cor 2,4), il «profondo affetto» (1Ts 2,8) e la preoccupazione che egli riversa verso i credenti in difficoltà (cf Gal 1,6-9; 4,16-20; 2Cor 11,13-14) alludono all’amore materno che Paolo ha fortemente vissuto nel corso del suo ministero apostolico. Anche i giovani chiedono di essere accompagnati con la tenerezza dell’amore materno, che si apre alla vita.
    * «Apostolo»
    Spesso egli si presenta ai suoi lettori come «apostolo di Gesù Cristo» (cf 1Cor 1,1; 2Cor 1,1; Ef 1,1; Col 1,1), colui che ha ricevuto «la grazia dell’apostolato» per ottenere l’obbedienza alla fede da parte dei Gentili (cf Rm 1,5; Gal 1,1). L’origine del suo apostolato non risale alla predicazione di Gesù, ma all’esperienza di Damasco (cf 1Cor 9,1; 15,8-10). Nella crisi scoppiata a Corinto Paolo è costretto a difendere il suo apostolato dall’attacco dei suoi oppositori: egli si sente l’ultimo tra gli apostoli (cf 1Cor 15,9-10), ma ugualmente chiamato ad annunciare il Vangelo e ad essere testimone del Cristo crocifisso e risorto. La testimonianza apostolica di Paolo, resa nella più completa umiltà, ci fa comprendere l’importanza della missione verso il mondo giovanile che desidera la presenza operante di veri apostoli, capaci di annunciare la forza della Parola di vita.
    * «Servo»
    Nel presentarsi Paolo si definisce «servo [schiavo] di Cristo» (cf Gal 1,1; Fil 1,1; Rm 1,1), avendo come riferimento l’uso anticotestamentario del termine (cf Is 42,1-4). Essere servo significa vivere nella completa dipendenza di un «altro», che per Paolo è Dio. Perciò l’Apostolo parla di se stesso come «colui che è stato segregato» per il Vangelo (Rm 1,1), diventando «servo dei convertiti» (2Cor 4,5) e di coloro a cui egli predica Cristo (cf 1Cor 9,19). A tale proposito è significativa la sua apologia in 1Cor 9,19-23:
    «Pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto Giudeo con i Giudei, per guadagnare i Giudei; con coloro che sono sotto la legge sono diventato come uno che è sotto la legge, pur non essendo sotto la legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la legge. Con coloro che non hanno legge sono diventato come uno che è senza legge, pur non essendo senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo, per guadagnare coloro che sono senza legge. Mi sono fatto debole con i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il vangelo, per diventarne partecipe con loro».
    Questo servizio oggi deve diventare compagnia per il mondo dei giovani, che cercano testimoni credibili nel servizio, soprattutto verso i poveri e i bisognosi. In queste quattro parole si cela la ricchezza umana e spirituale del cuore dell’uomo dalla grande statura spirituale, che fu Paolo di Tarso. Egli ha messo Gesù Cristo al centro della sua vita e ha risposto alla chiamata di Dio Padre, testimoniando il Vangelo con la libertà e la forza dello Spirito. Per questo, egli continua ancora oggi a parlarci con le sue lettere, e attraverso di lui è Gesù stesso a toccare il cuore di tanti giovani del nostro tempo.


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