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    Un cantico per le creature



    Educazione e mistica /8

    Raffaele Mantegazza

    (NPG 2013-02-78)


    Il cristianesimo è una religione acosmica. Il che significa che, sulla traccia del giudaismo, non considera le creature come divinità, non adora stelle o animali, fiumi o piante. Non è panteista, né animista, né idolatra, nel senso che non considera la natura come divinità (come avviene nelle religioni panteistiche o in alcune religioni animiste), né come tutto né in alcuna delle sue parti (considera anzi come idolatria questo atteggiamento). Occorre sempre tenere presente questo dato di fatto quando si discute dello statuto della natura e delle creature animali nella religione cristiana, che si fonda proprio sulla demitizzazione del Cosmo.
    È allora curioso che sia la riflessione mistica, apparentemente così distaccata dalla natura, a ribadire che il libro del cosmo con le sue innumeri vite è una lezione divina. I mistici e le mistiche, da Eckart a Taulero, da Margherita Porete a Silesius, da Chiara d’Assisi a Caterina da Siena affermano che dalle creature non può pervenire alcuna salvezza e che occorre liberarsi dalla nostra dipendenza da esse; ma questa dipendenza è in realtà frutto di un loro utilizzo strumentale; noi dipendiamo dalle creature perché le usiamo come stampelle per una salvezza che è da ricercare solo in Dio.
    Cercando Dio dentro la nostra anima anziché nel Cosmo, con una lezione prettamente agostiniana, liberiamo il creato da ogni indebita proiezione umana, e lasciamo libere le creature di vivere le loro vite, non come gradini verso Dio ma semplicemente come belle cose create. È però vero che l’uomo, ascoltando la voce delle creature, coglie lo spunto per sprofondarsi nella propria anima alla ricerca di Dio che esiste oltre – ma non nonostante – le creature: «Chi non conoscesse altro che le creature non avrebbe mai bisogno di una predica, perché ogni creatura è piena di Dio ed è un libro»[1]: il libro della natura ci insegna che anche dopo la Redenzione animali e piante continueranno ad esistere per regalarci la loro bellezza:[2] «Tutte le creature verdeggiano in Dio».[3]
    Come spesso accade, sono le donne, anche nel campo della mistica, ad avere un rapporto fraterno/sororale con la natura (del resto in Eden gli animali prendevano il cibo direttamente dalle mani di Hawwà/Eva):[4] una nota mistica afferma: «Chi conosce e ama la nobiltà della Mia libertà non può sopportare di amarMi solo per Me stesso, ma deve amarMi anche nelle creature»;[5] ma del resto tutta la mistica medievale e tardomedievale insiste sulla positività delle creature e degli animali, usando le metafore della via: Le creature sono buone (…) sono una via a Dio»,[6] dell’eco: «Le creature sono eco di Dio»,[7] del libro: «La creazione è un libro; chi in sapienza lo legge/Vi trova perfettamente rivelato il creatore»,[8] del gioco: «Dio gioca con le creature/ Tutto questo è un gioco che la Divinità fa per sé/Ha pensato il creato soltanto per sé».[9]
    Quest’ultima frase ci ricorda per analogia un midrash ebraico al libro della Genesi, nel quale YHWH è presentato in amabile gioco con l’animale per eccellenza, il Leviatano, il mostro più potente dei mari: «Come passa la giornata YHWH nel Paradiso? Per tre ore studia la Torah, per tre ore giudica il genere umano, per tre ore interviene a favore degli oppressi, per le ultime tre ore gioca con il Leviatano».
    Dunque una parte consistente della riflessione e della prassi cristiana non solo non esclude il mondo animale dalla possibilità di redenzione, ma addirittura considera come peccato il non occuparsi del mondo naturale o il procedere al suo sconsiderato sfruttamento. Se il nostro «dominio» (traduzione discutibile del testo di Genesi, che sarebbe meglio rendere con «responsabilità») sugli animali ci conferisce un qualche diritto, esso può essere solo «il diritto di servire».[10] Dunque è vero che l’uomo è unico tra gli animali, anche perché è come uomo che Dio si è incarnato,[11] ma «l’unicità umana può essere definita proprio come la capacità di servire e auto-sacrificarsi»;[12] così, in un senso che ci appare squisitamente giudaico, l’uomo è chiamato a «cooperare con Dio per la guarigione e la liberazione della creazione intera».[13] E per gli adepti della vivisezione, non resta che ricordare che, da una prospettiva cristiana «gli uomini debbano sopportare da soli ogni malattia non compiendo esperimenti sugli animali piuttosto che sostenere un sistema di abuso istituzionalizzato».[14]
    Infine, la stessa esperienza della Teologia della Liberazione ha sottolineato l’importanza della cura verso gli animali e le piante, esempi di quegli «ultimi» e di quegli «sfruttati» al quali la riflessione dell’episcopato latinoamericano i è rivolto fin dall’inizio.

    Capire l’umiltà del creato

    La critica all’antropocentrismo e ai deliri di una tecnica che sottomette e violenta la natura è, nei teologi della Liberazione, critica di un soggetto «che si vede come individuo in competizione con altri individui e in relazione unicamente di soggetto a oggetto rispetto alla natura è incapace di capire l’unità del creato».[15] Dunque una scelta animalista non può essere disgiunta da una critica alla società capitalistica e agli abusi della sua scienza e tecnica, portatrici di una vera e propria necrofilia e dell’idolatria di chi vuole sostituirsi al Creatore: come testimoniato dalla vita artificiale, dalla mutazione genetica dall’olocausto nucleare (vera «controcreazione umana totale»).[16]
    La conclusione è che il cristiano deve contribuire a «organizzare una umanità naturale»,[17] frase che a noi ricorda da vicino l’aforisma marxiano sulla «naturalizzazione dell’uomo, umanizzazione della natura».
    C’è allora una corrente sotterranea nel pensiero cristiano, ereditata da quello giudaico, che guida il credente e il non credente verso un profondo rispetto della creatura. E proprio questo termine, «creatura», ci sembra adatto a una declinazione laica e animalista. Intendere gli animali come creature significa percepirne la fragilità, ma anche comprendere come essi non possano essere semplicemente considerati a nostra disposizione. Quello che allora il pensiero cristiano, nelle sue componenti radicali e purtroppo oggi minoritarie, ci insegna è che è possibile per l’uomo nominare, cantare e proteggere le creature. Come Adam e Hawwà in Eden si prendevano cura del Creato, così ciascuno di noi può intonare un cantico delle creature: che a secoli di distanza dal capolavoro del Poverello d’Assisi dovrà suonare soprattutto come una richiesta di perdono:

    «Dio/Aiutaci /A voltarci verso/Il mondo animale/E a rivedere/La violenza/Che abbiamo portato/Sulla faccia della terra/(...)/Ricordiamo in particolare/Gli animali/Che abbiamo ucciso/Per cibo, per divertimento/Per sport e per la scienza/In laboratori, macelli/Zoo e aziende agricole/A differenza di noi/Essi erano innocenti/Di ogni male /Essi non hanno sacrificato/Le loro vite/Ma noi le abbiamo rubate/Erano creature senzienti/Care a Dio/Ma noi le abbiamo trattate /Come nostre risorse/E abbiamo vissuto le nostre vite/Al costo delle loro morti».[18]

    Nel mondo degli OGM e della vivisezione, delle piattaforme petrolifere e degli zoo, degli ecocidi e della sperimentazione animale, il nuovo Cantico delle Creature che dobbiamo scrivere suona innanzitutto come contrita richiesta di perdono.


    NOTE

    [1] Meister Eckhart, I sermoni, San Paolo, Milano, 2009, pag. 152.
    [2] Eugen Drewermann, Sulla resurrezione degli animali, Neri Pozza, Vicenza, 1997, pag. 57: «la fede nell’immortalità degli animali ci è necessaria se non altro come idea regolativa della nostra ragion pratica, come fondamento di un’etica che preveda il dovuto rispetto per tutte le creature viventi. Non dobbiamo redimere gli animali ma lasciarli in pace».
    [3] Meister Eckhart, I sermoni, c.it pag. 498.
    [4] Sembra che il significato del nome Hawwà sia «madre di popoli».
    [5] Mechtild di Magdeburgo, La luce fluente della Divinità, Giunti, Firenze, 1998, pag. 253.
    [6] Angelus Silesius, Il pellegrino cherubico, San Paolo, Milano, 2008, pag. 112.
    [7] Ivi, pag. 264.
    [8] Ivi, pag, 86.
    [9] Ivi, pag, 198.
    [10] Andrew Linzey, Teologia animale, Cosmopolis, Torino, 1991, pag. 40.
    [11] Cfr. Anselmo d’Aosta, Cur deus homo?
    [12] Ivi, pag. 49.
    [13] Ibidem.
    [14] Ivi, pag. 42.
    [15] Pedreo Trigo, Creazione e mondo materiale in Sobrino ed Ellacuria (ed.) Mysterium Liberationis. I concetti fondamentali della Teologia della Liberazione, Borla, Assisi 1990. p. 555.
    [16] Ivi, pag. 560.
    [17] Ivi, pag. 559.
    [18] Preghiera di Andrew Linzey su un animale morto in laboratorio.


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