Incapacità di mediazione, appartenenza sostitutiva, sbocco all'interno: alcune «colpe» dei gruppi rispetto alla partecipazione politica.
Franco Garelli
(NPG 1985-01-34)
L'interesse costante sulla condizione giovanile si colora di anno in anno, di tempo in tempo, di immagini diverse. Così qualche anno fa il tema ricorrente nei dibattiti, tavole rotonde, servizi giornalistici, era quello del riflusso. I giovani venivano presentati come «i nuovi indifferenti», come coloro che avevano abbandonato la tensione politica per un ripiegamento narcisista sulla propria condizione, per il soddisfacimento immediato dei bisogni di autorealizzazione.
Attualmente il tema di moda è quello del disagio. Molti sono i motivi di «malessere» sociale e psicologico dei giovani: dalla difficoltà ad entrare nei ruoli adulti alla incapacità di elaborare modelli di comportamento, stili di vita, alternativi, a quelli dei «padri»; dai problemi occupazionali, abitativi, di autonomia di vita a quelli legati alla condizione di reale emarginazione di alcuni gruppi di giovani (i tossicodipendenti, i giovani dediti all'alcool, quelli orientati alla criminalità e alla devianza, ecc.).
L'affermarsi nel dibattito nazionale per un certo tempo di una particolare tematica sui giovani si accompagna in genere all'eclisse di altre tematiche, alla non considerazione di altri modi di affrontare il problema, alla non attenzione ad altre dimensioni pur importanti di vita.
Così oggi l'organizzazione d'un convegno su «i giovani e le tossicodipendenze», su «l'emarginazione giovanile», su «i bisogni e le aspettative dei giovani», appare del tutto coerente col dibattito e la sensibilità contemporanea; mentre anacronista, arcaica, del tutto superata, risulta la proposta di temi quali «i giovani e la politica», «i giovani e la partecipazione sociale», «i giovani e l'impegno nei partiti». Eppure quanto più un tema oggi risulta alla moda, tanto più si dovrebbe riflettere «controcorrente», sugli aspetti che in tal modo vengono disattesi, sui punti messi nel dimenticatoio. Uno degli aspetti oggi più dimenticati nel dibattito sui giovani è quello dei valori politici, delle prospettive collettive, del senso della partecipazione sociale. La mancanza di attenzione alla dimensione politica non può non condizionare negativamente la formazione della personalità di un giovane, il suo processo educativo.
In questa linea risulta importante riflettere sulla responsabilità delle istituzioni e dell'associazionismo organizzato - sia religioso che non - rispetto alla crisi della refrettarietà dei giovani alla politica.
Tra i vari motivi alla base della disaffezione dei giovani dalla politica si può ricordare anche il fatto che in questi ultimi anni, nell'ultimo decennio, molte realtà sociali, molti gruppi-movimenti giovanili non sono stati più in grado di svolgere una funzione di mediazione tra le istanze ed i bisogni dei giovani e quelle della partecipazione sociale e collettiva. La crisi della partecipazione è quindi anche una crisi delle mediazioni della politica.
Il pensiero in questo caso corre subito alle istituzioni. Certo la famiglia, la scuola, lo stato, sono istituzioni all'interno delle quali il giovane fa più esperienza della sfiducia sociale e politica, che non della significatività d'una sua partecipazione alla cosa pubblica, al governo della società.
Ma la responsabilità è individuale anche altrove.
Anzitutto in quei gruppi sociali e politici che non sono stati in grado di raccordare la loro proposta politica, sociale e sindacale, a questa generazione giovanile, ai giovani d'una società complessa e differenziata. E che hanno continuato a porsi nei confronti dei giovani con quell'alto livello di progettualità, del tutto estraneo a quanti vivono una condizione di marcata frammentarietà.
Ancora, la responsabilità è di quei gruppi sociali e politici che in questi ultimi anni hanno rinunciato alla loro identità politica, alla loro vocazione politica. In molti casi per raccordarsi alle problematiche personali dei giovani, queste realtà associative hanno disperso la loro proposta, non hanno affrontato il problema di come essere fedeli alla propria identità originaria e a questa condizione giovanile.
Ancora, la responsabilità è anche di molti gruppi religiosi ed ecclesiali, realtà queste in cui sovente l'appartenenza al gruppo-movimento viene presentata e fatta vivere come sostitutiva dell'appartenenza alla società; così come l'appartenenza all'esperienza di chiesa che si attua nel movimento diventa sostitutiva dell'appartenenza alla chiesa in generale. Certo si afferma che queste realtà svolgono una funzione prepolitica, nel senso che a seconda dei valori interiorizzati e degli atteggiamenti acquisiti in questi gruppi i giovani si predispongono ad un determinato tipo di azione e di presenza sociale.
Ma è proprio qui il problema: in molti casi i gruppi religiosi giovanili non hanno il mondo come sbocco della formazione dei propri membri; sovente la vita quotidiana, l'impegno occupazionale, il mondo nel suo complesso, il quartiere, la società civile e politica... non vengono di fatto considerati da queste realtà associative come il luogo privilegiato in cui il giovane - dopo il periodo della formazione intensiva - dovrà giocare in senso forte la propria identità religiosa e sociale. Il rischio infatti è che anche a questo livello prevalga una situazione di gruppo a prolunga...: i soggetti passano tutta la loro vita all'interno della realtà associativa; i gruppi sono sempre in grado di trovare per i soggetti sbocchi al proprio interno.