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    Sulla via della pace


     

    Chiesa e giovani

    Carlo Molari

    (NPG 1984-05-31)

    Milano, Assisi. Roma: un fiorire di iniziative di educazione alla pace che vedono i giovani osservatori e protagonisti.

    Il tema della pace è il più frequente nelle offerte ecclesiali per i giovani del nostro tempo.
    L'educazione alla pace è il compito più urgente dell'attuale generazione di adulti, e le nuove generazioni sono lo spazio più propizio per un rinnovamento reale e duraturo della nostra società. Esso suppone un atteggiamento interiore che è ancora molto raro. Di qui passa l'alternativa alla violenza e alla deterrenza o dissuasione aggressiva, che pure è da molti ancora considerata una via percorribile per la pace. Molti adulti non sono in grado di percepire le esigenze nuove dell'umanità in trasformazione; ragionano ancora secondo i modelli che hanno appreso nella loro infanzia.
    Lavorando sui giovani è possibile far nascere gli uomini nuovi, quelli capaci di creare inedite strutture di dialogo e di confronto, di diffondere quegli atteggiamenti di comprensione reciproca e di accoglienza che costituiscono il passo avanti necessario per l'evoluzione spirituale dell'umanità.
    A Milano i giovani convocati dalle organizzazioni cattoliche (Acli, Comunione e liberazione, Scouts, Azione cattolica, Mani tese ecc.) hanno percorso il tratto da Piazza della Scala a Piazza Duomo per proclamare la possibilità di questi ideali. Ad essi il Cardinale Martini ha ricordato che «la sicurezza non deve essere intesa come sicurezza militare, ma deve consolidarsi attraverso un potenziamento del dialogo dei sistemi democratici, degli organismi di controllo internazionale. La stessa dissuasione deve farsi forte non solo di quell'atteggiamento così disumano che è la forza violenta, ma anche e soprattutto di quelle risorse più degne dell'uomo che sono la solidarietà internazionale, le sanzioni giuridiche, l'isolamento di chi usa violenza».
    Ma tutto questo suppone appunto uomini nuovi che possono sorgere solamente fra le giovani generazioni, dato che quelle adulte hanno già mostrato i limiti della loro formazione e sembrano aver già dato tutto quello che sapevano dare.
    È il tempo della lunga attesa, della pazienza perseverante e attiva. Gli uomini capaci di pacificazione senza riserve stanno maturando oggi. Ogni sforzo educativo, ogni iniziativa, ogni ricerca porterà domani i suoi frutti. Occorre saperlo già fin d'ora per continuare. «Non ci vengano dunque a dire - ha detto ancora il Cardinale di Milano - che non c'è alternativa realistica alla deterrenza offensiva. C'è! E bisogna trovarla con tutte le forze, se non si vuole che la dissuasione aggressiva, che è poi la garanzia del mutuo annientamento, tollerata come male minore e come ripiego provvisorio e solo alla condizione di trovare vie d'uscita più umane e pacifiche, diventi alla fine un'abitudine, una pratica accettazione della spirale degli armamenti e, infine, una trappola di morte per l'umanità».
    L'alternativa esiste; concretamente nessuno la conosce. Ma certo fra i giovani c'è qualcuno che domani saprà inventarla. L'impegno educativo per la pace è l'investimento che la generazione attuale degli adulti può compiere per rendere possibile il futuro dell'umanità intera.
    Un altro momento prezioso di quest'azione educativa è stato il 31° Convegno giovanile che si è svolto alla Pro civitate dal 27 al 31 dicembre. Organizzato dalla stessa Associazione e da Pax Christi ha raccolto nella città di Francesco circa 1500 persone, la maggior parte giovani e giovanissimi. Il tema era «smilitarizzare l'uomo».
    Evidentemente i giovani sentono in modo tutto particolare il pericolo che la progressiva militarizzazione del mondo costituisce per la pace.
    È apparso subito chiaro, dall'interesse con cui le varie relazioni venivano seguite, che il termine «pace» per i partecipanti non significava solo disarmo, ma aveva una molteplicità di significati: eliminazione di una cultura di guerra, stabilimento di rapporti non violenti nella società, rispetto dei diritti umani là dove essi sono violati, cooperazione coi paesi del Terzo Mondo che ponga fine agli attuali rapporti di sfruttamento.
    L'ampiezza della prospettiva non è andata a scapito della concretezza. Anzi, è apparso evidente che molti dei giovani presenti si confrontavano quotidianamente, nel loro ambiente, coi problemi di cui si discuteva. La stessa presenza, tra loro, di vari handicappati, era la testimonianza di un impegno personale per realizzare, con semplicità ed amicizia, un mondo in cui nessuno fosse escluso dalle possibilità di crescita che si presentano.
    Ad un pubblico così maturo gli organizzatori hanno proposto un convegno molto vario, articolato in relazioni di esperti, testimonianze, dibattiti, lavori di gruppo, spettacoli, incontri di preghiera.
    Una delle relazioni più stimolanti è stata quella di I. Mancini, in cui è stato esaminato il problema della proponibilità storica dell'ideale della non-violenza assoluta.
    Molto interesse ha suscitato anche la relazione di Tognoni sulla scienza e sulla capacità di manipolazione che essa possiede.
    Il giornalista di origine polacca Karol ha lamentato lo scarso interesse che il movimento per la pace occidentale ha per quelle ampie fasce di popolazione dei paesi dell'Est cui non è permesso di manifestare con altrettanta libertà un identico desiderio di disarmo e di pace. Gli applausi che hanno sottolineato questo intervento sono stata la chiara dimostrazione che il movimento per la pace non è insensibile a questo problema, anche se non trova ancora gli strumenti per affrontarlo. Tra i gruppi di studio, molto affollato quello di Chiavacci, in cui si è discusso a lungo sul valore di testimonianza dell'obiezione fiscale alle spese militari.
    L'incontro-confronto tra il teologo Chiavacci e il generale Capuzzo, capo di Stato Maggiore dell'Esercito, ha costituito il momento di maggiore partecipazione, anche emotiva. Com'era da aspettarsi, le chiavi di lettura della situazione attuale sono ri-
    sultate molto diverse: Chiavacci documentava ampiamente la sua tesi che la corsa agli armamenti non solo fa aumentare i pericoli di guerra, ma già oggi produce milioni di morti per fame nei paesi del Terzo Mondo; il generale ricorreva all'argomentazione tradizionale: è necessario dotarsi di armi nucleari (ed eventualmente usarle) per difendere la libertà dell'occidente, e in particolare del nostro paese, dalla minaccia sovietica. Molto diverso è apparso anche il modo di rapportarsi ai giovani presenti, considerati da Chiavacci come interlocutori maturi coi quali portare avanti ideali comuni, dal generale come giovani un po' fuori della realtà, amanti del quieto vivere, poco preoccupati della sicurezza della patria.
    La discussione, benché molto franca e accesa, ha manifestato una reale ricerca di dialogo, e già questo, al di là dei risultati raggiunti, costituisce un piccolo passo avanti sulla via della pace.
    (Con la collaborazione di Ornella Stazi).


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