Società e giovani
Claudio Bucciarelli
(NPG 1983-05-41)
Tra permissivismo e perdono la coscienza pubblica rimuove il problema della devianza mentre crescono i reati commessi dai giovani.
Negli anni '60 quando si parlava della condizione giovanile si era soliti parlare dei giovani come di «figli del benessere desiderato»; negli anni '80 non è fuori luogo parlare di «figli del benessere goduto». E, in effetti, il problema di comportamenti devianti giovanili emerge con una certa prepotenza nel nostro Paese negli anni '70, quando al termine di una stagione a cavallo tra permissivismo ed autoritarismo, tra innovazione e consumismo, si apre un periodo di incertezze e di confusione da una parte di fronte alla distanza che si va creando tra società adulta e società giovanile, dall'altra di fronte alla distanza che si va sempre più riducendo tra «devianza» e «normalità». A tutto ciò va aggiunto che per quanto riguarda il «tempo libero» si sa che i giovani sono da una parte oggetto di un'intensa attenzione e talora di un preciso sfruttamento consumistico, e dall'altra essi, insieme alle donne, rappresentano una popolazione di consumatori significativi capaci di modificare con le loro scelte le direzioni e la consistenza del mercato.
In questo contesto e in questa ottica vanno «letti» i fenomeni articolati relativi alla diffusione dei comportamenti devianti giovanili, che possiamo, in certo qual modo, quantificare rifacendoci alle fonti ufficiali (ISTAT). Infatti, di fronte al calo progressivo dei reati più gravi commessi dai minori, si assiste ad un aumento costante dei reati contro la proprietà (ed in particolare dei furti e dei furti d'uso), delle tossicodipendenze e degli atti di vandalismo.
La fenomenologia del furto appare fortemente legata all'espansione dei modelli consumistici ed alla messa in discussione del concetto di «autorità» e di «possesso». Da una media annua di 394.500 furti nel periodo che va dal 1961 al 1970, si è passati ad 1 milione 627 mila nel 1976.
L'assunzione di droga è anch'essa legata al ruolo di primo piano che il comportamento di consumo ha assunto nella società, abbinato in questo caso alla ricerca di un benessere fisico e psichico sganciato dalle forme tradizionali di soddisfazione e di appagamento. Le stime parlano ormai di circa 400 morti all'anno e di 200.000 tossicodipendenti da eroina sul territorio nazionale.
La violenza e il vandalismo fine a se stesse sono manifestazioni di aggressività nei confronti di chi o di che cosa costituisca il simbolo dell'attuale assetto sociale. I danneggiamenti a cose e servizi di pubblica utilità sono passati da 18.000 nel 1972 ad oltre 32.000 nel 1976, e i danni ad installazioni telefoniche erano 1.640 a Roma nel 1973 e 4.405 nel 1977. Nel corso degli anni '70, poi, ogni anno 20-25 mila giovani italiani tra i 14 e i 18 anni rimangono impigliati nelle maglie della rete della giustizia. L'incidenza sulla popolazione minorile è tra il 5 e il 7 per mille. Quella sul totale della popolazione oscilla tra il 44 e il 45 per centomila.
La distribuzione per zone mette in evidenza come le aree più toccate siano quelle più massicciamente investite da:
- sviluppo economico;
- emigrazione e urbanizzazione;
- mobilità, che a seconda dei casi può presentarsi sotto forma di: turismo, caserme ed altri insediamenti di non residenti, porto, zona di confine;
- emarginazione culturale;
- criminalità organizzata;
- degrado urbano;
- calamità naturali;
- insoddisfazione socio-culturale.
A livello di tendenze generali, le valutazioni che è possibile effettuare rispetto all'andamento del fenomeno sono le seguenti:
- esiste un profondo intreccio tra fenomenologia comportamentale deviante e strumenti del controllo sociale, sia istituzionale che informale;
- stiamo assistendo alla diffusione a macchia d'olio e trasversalmente a tutti i ceti sociali dei comportamenti devianti di lieve entità, come il furto di piccole dimensioni, la piccola rapina, lo scippo, il vandalismo spicciolo, il danneggiamento di oggetti pubblici, ecc. (l'ascesa dei furti, ed in particolare di quelli di lievi dimensioni, possono essere attribuiti presumibilmente a giovani non professionalizzati, infatti i minorenni costituiscono il 20% dei denunciati per furto);
- gli ultimi anni hanno visto, dopo un inasprimento attorno al 1972-73, un tendenziale rilassamento del controllo rispetto alla devianza meno grave e più diffusa, che si esprime nella minore propensione alla denuncia da parte dei cittadini e ai controlli e alle indagini da parte delle forze dell'ordine.
Meno diffusa nel sud del Paese, piuttosto che nel nord, questa tendenza alla derubricazione, alla presa in carico in proprio ed alla maggiore tolleranza nei confronti della devianza, in particolare di quella minorile, è senz'altro influenzata da una parte dalla natura qualitativa del tipo di reati in fase di diffusione e dall'altra dalla particolare rilevanza e stigmatizzazione di cui, dal 1975 ad oggi, sono diventati oggetto i fenomeni della droga e del terrorismo.
Il tipo di intervento più spesso realizzato a livello di enti locali è quello che si configura come «Progetto Giovani» e che, là dove esiste (raro, in verità), rappresenta un importante punto di riferimento. Esso permette di estrapolare il tema della devianza dalle competenze del settore specifico e di affrontarlo in una visione più ampia, cioè non tanto in termini punitivi ma in un contesto razionalizzato di prevenzione educativa. Va dato atto, comunque, che in questi ultimi anni, gli operatori della giustizia hanno dimostrato di possedere, contrariamente a quelli di altri settori dell'intervento sociale, una significativa forza innovativa e sensibilità rispetto ai problemi da affrontare.
L'atteggiamento della società degli adulti, allora, rispetto alla devianza giovanile sembra diviso tra permissivismo e logica del perdono, atteggiamenti entrambi non socialmente «produttivi», perché sono chiaramente il frutto di una rimozione della devianza dalla coscienza pubblica, con la conseguente incapacità o impotenza o mancanza di volontà politica di farsi carico dei problemi e delle difficoltà dei giovani. Tardano a farsi strada sia'la presa di coscienza della emergenza della «condizione giovanile in processo deviante», sia una riforma radicale del sistema penale minorile che offra agli operatori una gamma più ampia di possibilità di intervento, sia progetti individualizzati e finalizzati per la rimotivazione all'inserimento sociale e professionale per giovani inoccupati e non qualificati (= i «ragazzi-normali-difficili»!), al di là di strade più comode per il perbenismo adulto: la condanna sbrigativa, il perdono paternalista, il proscioglimento per incapacità di intendere o di volere; soluzioni che, il più delle volte, decolpevolizzano la «falsa coscienza» di una società adulta che vuol solo difendersi e conservare la tranquillità raggiunta dal proprio egoismo regolato.