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    Forme di coscienza morale e senso del peccato


      

    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1982-02-48)

    COSCIENZA E PECCATO: LE REALTA IN GIOCO

    Il problema della colpevolezza

    Noi parliamo spesso, e sentiamo parlare, di peccato, di colpa, di mancanza, di rimorso, di accusa, di autoaccusa, di trasgressione e infrazione ad una legge, di coscienza e di non coscienza, di confessione disertata e di confessione riscoperta, ecc. Tutto questo come viene vissuto dalla concreta persona?
    L'esperienza della colpevolezza: come tale essa costituisce un fatto umano rilevante e universale nel tempo e nello spazio.
    Ne dà testimonianza immediata:
    - il bisogno di essere innocenti, di sentirsi a posto, riconosciuti come tali da qualcuno che vale;
    - oppure, se si è mancato, il bisogno di essere assolti o giustificati nelle proprie scelte sbagliate;
    - il bisogno di essere percepiti, entro e fuori di noi, come giusti. Della colpevolezza, del peccato e del perdono ne parlano le religione, la Chiesa in particolare, le istituzioni civiche, giudiziarie, la scuola, la stampa, le lettere alla «redazione» dei giornali...

    Interrogativi

    - L'uomo nostro contemporaneo come vive tutto questo? Quale percezione ha del peccato? e della confessione? Come li interpreta e li vive?
    La concreta persona come vive entro di sé la concreta esperienza del peccato e della confessione?
    - Che rapporto c'è tra senso di colpa e senso del peccato?
    - Che rapporto c'è tra il tipo di coscienza morale, il peccato e la confessione?
    - Quale rapporto tra il senso di colpa, curato dalle scienze umane, e il peccato, realtà teologica?
    - Quali le vere cause dell'abbandono della confessione da parte di molti credenti, come pure le cause della riscoperta di altri?
    - Ha senso l'accusa fatta, e che si continua a fare alla Chiesa, di colpevolizzare le coscienze per tenerle assoggettate?
    - Non solo «come» confessare, ma «che cosa» confessare?

    Angolature

    Non mi pongo in prevalenza dal punto di vista della morale, intesa o come etica umana o come morale dogmatica. Nemmeno mi pongo direttamente dal punto di vista della parola di Dio.
    In questo contesto mi pongo prevalentemente dal punto di vista delle scienze umane che studiano questo settore, cioè il «vissuto della concreta persona», singolo o gruppo, un vissuto personale che è ad un tempo psicologico, sociologico, morale e religioso... Perciò l'angolatura è sia quella del «confessore» che ha da operare nella concretezza multiforme, spesso imprevedibile, delle varie situazioni concrete, sia quella del «penitente» o della persona comunque, che vive l'esperienza del peccato e della confessione. Nella comprensione del «come confessare e come confessarsi» entrano tutte le scienze che si interessano di questo settore, ciascuna con un suo contributo particolare, in base al proprio metodo e obiettivo. Qui utilizzo soprattutto lo studio psicologico, in particolare quello della psicologia della religione.
    Mi propongo di offrire un contributo per cogliere la «percezione attuale del peccato e la sua interpretazione» in relazione al tipo di coscienza morale prevalente. Moltissimi sono i problemi connessi con questo argomento. Preciso alcuni punti di riferimento.

    Libertà, responsabilità e coscienza

    L'essere umano ha la facoltà di scegliere i propri atti. Non è abbandonato ai soli suoi istinti, come l'animale. Egli è libero, almeno in germe e poi in un possibile crescendo costante.
    Questi atti posti liberamente favoriscono o meno la crescita del proprio essere. Da qui soddisfazione o insoddisfazione, percezione vaga o chiara della propria responsabilità.
    Chi gli indicherà le vie della sua crescita, e dunque degli atti buoni? Chi gli mostrerà i vicoli ciechi? Chi indichera la strada del bene e del male? È bene ciò che costruisce l'essere.
    È male ciò che blocca o frena la crescita dell'essere. Poiché l'uomo nasce sprovveduto, ritroviamo l'importanza dell'«altro» per farlo accedere alla conoscenza del bene e del male.
    In un primo tempo i genitori e l'ambiente immediato gli inculcheranno le loro nozioni del bene e del male.
    Verrà un giorno in cui sarà lui stesso capace di discernere il suo bene e il suo male. Questo «dinamismo» in lui che gli fa chiamare buoni certi atti e cattivi altri è la coscienza. Al punto di partenza sarà la coscienza dei genitori. Più tardi si darà lui stesso i criteri del bene e del male. Può arrivare un giorno in cui discernerà a livello del suo essere profondo un'altra coscienza, la vera, quella personale autonoma e profonda.

    Significati della parola «coscienza»

    Bisogna distinguere diversi significati del termine coscienza (1).
    - Coscienza psicologica: si dice: «ho preso coscienza di...». In questa espressione la parola coscienza è sinonimo di conoscenza, di consapevolezza; questa coscienza è la facoltà di conoscere.
    - Coscienza morale: si dice anche: «la mia coscienza non mi rimprovera nulla», «giudica nella tua coscienza».
    In queste espressioni la parola coscienza indica un centro di riferimento interiore. Infatti prima di porre un atto ci capita di riflettere per cercare il meglio. Quel qualche cosa cui noi ci riferiamo è la nostra coscienza.
    Dopo ogni atto ci capita di sentirci insoddisfatti, a disagio con noi stessi, come se non avessimo seguito una forza interiore, il nostro cammino di crescita. È lo stesso fenomeno della coscienza. Reagisce come un giudice.
    Questa coscienza è chiamata coscienza morale, criterio di valutazione e di impegno. Questo criterio può essere intraumano o anche trascendente. Il modello-uomo cui ci. si rifà, cioè i valori cui ci si deve e ci si vuole conformare, possono essere elaborati dall'uomo oppure accolti da una proposta religiosa.
    - Coscienza morale religiosa: il nucleo ultimo di riferimento, il criterio di valutazione e la sorgente dell'impegno sono «religiosi», riconosciuti e accettati come provenienti da altrove e da oltre, da fuori del soggetto stesso, da un «radicalmente altro». Si tratta di ciò che proviene da Dio trascendente e presente ad un tempo. Questa coscienza religiosa congloba quella semplicemente morale e la potenzia a partire dal livello in cui ci si colloca.
    In questo contesto ci poniamo prevalentemente dal punto di vista della coscienza morale religiosa.

    Parametri di valutazione della coscienza

    Per analizzare il tipo di coscienza morale prevalente, in vista della conoscenza della concezione del peccato, è necessario riferirsi ai principali nuclei costitutivi. Questi i principali:
    - centro di riferimento principale: risponde agli interrogativi:
    chi decide in ultima analisi?
    quali i criteri e quale la forza per decidere?
    questa forza da dove proviene?
    - il bisogno affettivo sottostante:
    qual è il tipo di affettività che mi muove?
    che cosa ricerco, chi sta al centro della mia ricerca?
    - tipo di colpevolezza:
    quali sono i sentimenti prevalenti avvertiti dopo le varie scelte sbagliate?
    - tipo di confessione:
    a quale funzione essa assolve?
    perché la faccio?
    - immagine di Dio sottostante:
    qual è il tipo di valori o assoluti sottostanti?
    come li vivo?
    In base a questi parametri e alla loro articolazione, emergono vari tipi di coscienza morale.
    Ovviamente la realtà concreta delle persone si configura in indefinite posizioni intermedie. Tuttavia riconducendole ad alcune categorie-tipo di fondo, risultano queste forme di coscienza morale.

    TIPI DI COSCIENZA MORALE

    Li presentiamo in ordine di comparsa nell'evoluzione dell'individuo. All'età adulta funzionano simultaneamente, ma ciascuna persona ha la tendenza a riferirsi più all'uno che all'altro.

    Coscienza socializzata o eteronoma

    Descrizione

    - Centro di riferimento per agire:
    sono di fatto prevalentemente gli altri: i loro principi, i loro modi di fare, le loro mode, le loro regole e leggi, i loro imperativi, ecc.
    Questi sono presenti, consciamente e inconsciamente, nelle «persone importanti per me». Sono esse che li incarnano, nella realtà o nel simbolo.
    Questa forma di coscienza morale ti fa sentire bravo o no, a posto o no rispetto ad una legge.
    «Faccio ciò che è bene agli occhi altrui». «La coscienza è a posto. Dopo tutto non mi si può rimproverare nulla».
    Di fatto non si decide della propria vita da soli, ma si è più o meno portati dal «super-io» individuale e collettivo. Si è alienati, si vive un certo infantilismo. Si è più o meno pecore di un gregge. Si vive una morale prevalentemente collettiva. Questa alienazione è spesso incosciente. Diventa cosciente il giorno in cui uno desidera strapparsi da questa influenza sociale. Si misura allora la forza dei legami nei quali si era rinchiusi.
    L'affettività sottostante:
    nel cuore di questo meccanismo della coscienza socializzata si trova il bisogno imperioso di essere riconosciuti, stimati, amati, di non dispiacere, di non crearsi delle noie con gli altri. Non trovando la propria solidità, la sicurezza in sé, la si cerca nell'approvazione degli altri.
    - Tipo di colpevolezza:
    sottrarsi a questa coscienza socializzata non è facile; perché porre degli atti che infrangono le norme imparate dall'ambiente provoca un sentimento di insicurezza, paura, di ansietà, di inquietudine, a volte anche di angoscia, un senso di colpa psichico. Si ha tendenza ad incolparsi e ci si sforza di rientrare nella strada giusta. Se si manca, si teme il rifiuto, l'inferno. Si teme di non essere più degni del gruppo. «Se si accorgono del mio sbaglio, mi cacciano. Allora mi rimetto a posto e disperdo le tracce del mio errore, così che nessuno lo possa sapere e punirmi».
    - Confessione:
    la domanda di perdono a quelli che si crede di aver ferito può assolvere a diversi compiti.
    A volte è un mezzo per calmare questa angoscia, questa inquietudine. Essa ha allora il ruolo di tranquillante psicologico.
    Altre volte è anche un mezzo per riconquistare la stima di cui ci si crede privati e di cui si sente un bisogno imperioso. A questa coscienza si rifà lo scrupoloso. Tranquillizza che uno dica: «ti perdono». Ma ciò spesso non basta.
    - Immagine di Dio:
    egli viene prevalentemente percepito e vissuto come un «codice morale», un codice del permesso e del proibito, del bene e del male.

    Origine e formazione

    Le prime nozioni di bene e di male, che noi abbiamo conosciuto, ci sono state inculcate dal nostro ambiente familiare. Abbiamo introiettato in noi un insieme di proibizioni, di imperativi, tutta una costellazione di nozioni morali che hanno costituito la nostra prima coscienza.
    I diversi altri gruppi nei quali noi abbiamo vissuto ci hanno pure marcato con la loro scala di valori.
    Ancora oggi restiamo impregnati da questa morale appresa nella nostra infanzia e adolescenza.
    Il bambino e il fanciullo, pur sentendo dentro di loro questa voce che li chiama ad amare, a fare il bene e a fuggire il male, chiedono conferma a chi li guida di queste loro intuizioni.
    Dapprima i genitori, poi le persone significative e i gruppi di riferimento sono i primi a stabilire per lui ciò che è bene e ciò che è male.
    I loro criteri diventeranno, almeno in parte, i suoi.
    «Per essere un buon bambino, devi agire così e così».
    «Per essere un buon alunno, devi comportarti secondo queste leggi». «Per essere un buon cittadino, devi compiere i tuoi doveri».
    «Data la tua professione, in coscienza bisogna che tu assuma questo comportamento».
    «Per essere un cristiano perfetto, devi osservare tale comportamento».
    Il meccanismo di introiezione dei valori di un ambiente dura per tutta la vita. Adottiamo facilmente il codice morale degli universi sociali nei quali viviamo e possiamo constatare la coesistenza in noi di diverse morali, che guidano le nostre azioni secondo che passiamo da un universo all'altro:
    - morale degli affari; morale dell'ambiente cui apparteniamo;
    - morale professionale (deontologia); morale politica, sindacale;
    - morale religiosa, familiare, ecc....
    Può risultarne una mancanza di unità nell'essere.
    Più aumentano e si diversificano le esigenze, più esse rischiano di entrare in conflitto tra di loro.
    A poco a poco dovrebbe delinearsi una «gerarchia di priorità» delle esigenze interiorizzate, una unificazione della coscienza morale attorno ad un nucleo centrale.
    La coscienza socializzata si pone a livello sensibile, impulsivo, spontaneo. Gli istinti nascono a questo livello. La coscienza socializzata cerca di inquadrarli, di incanalarli verso ciò che le società (familiare, religiosa, politica, economica) chiamano bene e male. Quando queste società non riescono più a inquadrare così le pressioni instintive dei loro membri, sia perché loro stesse mettono in causa le loro nozioni di bene e di male, sia perché gli interessati non ne vogliono più sapere, ci si trova davanti a un vuoto di costrizioni sociali.
    - Coloro che hanno una coscienza personale da sostituire, ne escono bene.
    - Gli altri ondeggiano da una corrente di pensiero all'altra, oppure si stabiliscono nella fantasia dei loro istinti.

    Sintomi

    Ecco alcuni sintomi che lasciano intravedere la presenza di una coscienza socializzata o eteronoma:
    - il ricorso abituale alla regola esterna. Essa diviene allora prevalentemente un appoggio, un alibi per neutralizzare l'ansia che si crea;
    - la ricerca dell'approvazione dei superiori. Perché vi si ricorre? Se di fatto è per non prendere personalmente delle decisioni, ci si situa a questo livello. Ciò infatti fa sentire più perfetti ai propri occhi;
    - le decisioni prese in modo dipendente dal gruppo, nel timore di essere rimproverato o escluso dal gruppo o additato davanti agli altri come colpevole... (cf il modo di prendere certe decisioni; fuga nella regola o nella volontà del superiore. Ciò sottrae alla propria responsabilità).

    Coscienza cerebrale o adolescenziale

    Descrizione

    - Centro di riferimento principale:
    i miei principi, l'ideale che mi sono proposto di vivere; le mie aspirazioni, ciò che vorrei essere di fronte a me stesso e agli altri, soprattutto quelli «importanti per me»; le mie ambizioni, nella preoccupazione più di apparire che di essere. «Non mi importa più di niente. D'ora in poi faccio ciò che mi piace». «Faccio ciò che è bene ai miei occhi, in base al mio ideale di bene».
    Il bene: buono è prevalentemente ciò che mi fa apparire tale ai miei occhi, a volte tramite il come gli altri mi stimano. A monte c'è la «statua», cioè la mia immagine ideale: «voglio apparire per essere... riuscire a mio modo».
    Questa forma di coscienza è tipica degli adolescenti, e di chi vi è rimasto tale, nonostante l'età.
    - Affettività sottostante:
    l'egocentrismo e l'idealizzazione di sé. Il centro principale di riferimento è la propria perfezione personale. Ciò che si ricerca maggiormente, ciò che risospinge all'azione è quello che si vorrebbe essere, quello che si ha bisogno di essere per gli altri e per se stessi. Solo allora si sente di valere.
    - Tipo di colpevolezza:
    le infrazioni a questa coscienza creano un sentimento di colpevolezza. Ci si sente delusi, umiliati, irritati, amareggiati di se stessi. «Avevo mirato più in alto. Mi credevo capace di meglio, invece...».
    - Confessione:
    viene percepita e vissuta prevalentemente come ripulitura di sé, rispolverata, risistemazione, rimettersi a posto.
    «Agli occhi di chi?» Agli occhi della «statua», cioè dell'immagine ideale di «me», delle mie ambizioni...
    - Immagine di Dio:
    egli viene percepito e vissuto prevalentemente come un giudice che pretende l'aureolina, in conformità alla statua che si è elaborato. Dio è prevalentemente un giudice che non vuole che si sbagli mai; vuole che si sia perfetti, secondo il dovere, i principi, l'ideale. Agendo secondo questi principi e leggi, si accontenta Dio, o colui che si ritiene tale. È un Dio prevalentemente da accontentare.

    Origine e formazione

    Con l'adolescenza si sveglia la capacità di avere delle idee personali, di decidere della propria vita da soli.
    Si verifica allora un rigetto e una rimessa in discussione più o meno ampia della coscienza socializzata, ereditata dalla fase precedente. Poi, al tempo stesso, si costruisce «un codice morale personale», i cui elementi sono attinti qua e là, ma sono ripresi in tentativi di sintesi personale.
    Nell'età adulta questo «codice personale» è divenuto relativamente stabile. È l'espressione dell'ideale di vita che si è scelto e che ci si sforza di realizzare. Va ricordato che questo funzionamento di coscienza è percepito a livello della testa, da cui l'appellativo di coscienza cerebrale.

    Sintomi

    Tra i sintomi si possono elencare:
    - una alta difensività di sé nel rapporto interpersonale;
    - una certa rigidità di comportamento, una ripetitività nelle scelte;
    - un volontarismo che nasconde una insicurezza di fondo (se si sia o no nel giusto).

    Coscienza profonda o autonoma o adulta

    Descrizione

    - Centro di riferimento principale:
    esiste in noi un'altra coscienza che non è la voce degli altri (coscienza socializzata), né la voce delle ambizioni personali (coscienza cerebrale), ma la voce del nostro essere in crescita. Per percepirla bisogna interiorizzarsi a livello della zona profonda e interrogarsi: «Che cosa sento che è bene per me ora, tenuto conto di tutte le circostanze? Quale decisione devo prendere per essere fedele a ciò che sento essere il meglio di me? Che cosa ha voglia di vivere in me entro questo contesto?».
    E bisogna lasciar affiorare le risposte, lasciar affiorare le intuizioni. Bisogna frenare la coscienza cerebrale, che ha sempre delle risposte pronte.
    I richiami che nascono a questo livello profondo presentano parecchie caratteristiche.
    Sono realisti. Corrispondono alle capacità reali dell'essere. Non sono al di sopra delle forze, come lo sono spesso i richiami della coscienza cerebrale. Sono a misura delle forze di oggi e della coscienza presente.
    Aiutano a divenire se stessi. Costruiscono la personalità secondo ciò che è. Non domandano una sottomissione agli altri, come quelli che emanano dalla coscienza socializzata, pena il sentirsi fuori posto.
    Sembrano provenire da un «al-di-là» di sé, da una istanza che, nello stesso tempo, è più grande di noi e che tuttavia coincide con ciò che siamo. Da qui il carattere di «assoluto» che riconosciamo a questa coscienza profonda quando ci è divenuta familiare.
    L'esame di coscienza fatto a questo livello, per sentire ciò che desidera vivere in noi, per discernere ciò che sarebbe bene cambiare nella nostra vita, per scoprire gli orientamenti profondi che sarebbe bene prendere, è molto benefico allo sviluppo dell'essere e alla costruzione della personalità.
    Vi si percepiscono non solo degli inviti ad essere, ma vi si trovano anche le energie vitali che fanno essere. È allo stesso tempo un confronto e una comunione con il proprio essere da cui si esce più vivi.
    - Tipo di affettività:
    si tratta di una affettività sociocentrica. Si caratterizza prevalentemente, nei rapporti interpersonali, in base alla «reciprocità, al rapporto alla pari», che impegna nel patto, nella alleanza, e in base all'oblatività, al dono gratuito di sé. Essa dà vita ad un «impegno di sé» che si alimenta costantemente alla fonte del proprio essere, così com'è, e della propria missione nella vita, nonostante i risultati a volte buoni, altre più o meno deludenti.
    - Tipo di colpevolezza:
    quando si avverte di essere infedeli a queste linee di crescita o a questi richiami, non si prova un sentimento di colpevolezza, come nel riferimento alle altre coscienze.
    Si prova un rincrescimento pacifico, un rammarico, un dispiacere calmo. Ci si sente poveri, deboli, limitati, ma non se ne soffre, lo si accetta. Si comunica di nuovo con la sorgente di vita che nasce a questa profondità e si riprende l'impegno.
    «Mancando, mi dispiace, mi rammarico, rimpiango, poteva essere meglio, ma la sorgente resta aperta».
    Permangono due priorità, quella di Dio e quella della persona. Questo tipo di coscienza è frutto dell'incontro dell'essere profondo di ciascuno, originale e unico, e i valori scelti come propri.
    Si diviene allora capaci di chiedersi: «Che cosa il Signore vuole che io faccia in questo momento, in questa situazione, all'interno dei vari fattori socioambientali?».
    Convengono a questo livello il progetto di Dio su di noi con la nostra originalità, creatività e la nostra vocazione ad essere collaboratori di Dio secondo una data modalità. (Ci può essere il pericolo del soggettivismo).
    Da un lato: urgenza di una informazione più ampia sulle condizioni umane, politiche, sociali dei tempi e degli uomini; dall'altro: urgenza di una formazione che permetta di scoprire la voce di Dio in mezzo alle diverse pressioni di cui ognuno è oggetto; così si può rispondere al Dio che chiama momento per momento.
    L'autorità: rispetta le persone come tali, tiene conto delle esigenze di ognuno, interpellando le persone e discernendo con loro qual è la volontà di Dio per noi oggi.
    - Confessione:
    essa viene percepita e vissuta non tanto confessione nel senso comune: «Dire a qualcuno...», ma sacramento della penitenza, conversione, riconciliazione, reincontro...
    «Rendo conto al Padre di ciò che mi ha dato e riprendo la strada reimpegnandomi, secondo il suo progetto. Avverto e vivo la libertà come responsabilità di fronte alla vita che è in me».
    - Immagine di Dio:
    egli viene percepito e vissuto come una persona che è costitutivamente e vitalmente «amore misericordioso e responsabilizzante». È una persona che costituisce l'altro come persona, lo fonda e lo chiama a collaborare in un progetto comune.

    Origine e formazione

    Questa forma di coscienza emerge a poco a poco e si afferma come principale nella misura in cui si concretizzano queste condizioni previe:
    - l'accettazione incondizionata di se stessi come se stessi, facendo credito alla «positività» presente, nonostante tutto, nella persona, solitamente tramite un impatto positivo con il reale proprio e altrui, con i suoi limiti e possibilità;
    - il riconoscimento e l'accettazione di Dio come Dio, trascendente e presente ad un tempo. Si tratta sempre di un Dio irriducibile ai propri desideri e bisogni. Un Dio che risponde alle invocazioni, propone e invia in missione;
    - la reciprocità, il patto, l'alleanza nelle sue molteplici forme. Di qui la missione.
    A questo livello della coscienza morale autonoma si ritrovano le dimensioni di tutte le altre coscienze, cioè le istanze socioambientali e culturali (coscienza socializzata), le esigenze della immagine e ideale di sé (coscienza adolescenziale). Queste dimensioni non costituiscono il polo principale, talora unico, di riferimento. Esse sono come dei «mattoni» utilizzati e vagliati dall'altra istanza principale costituita dall'io profondo, dal proprio essere, unico e irrepetibile, e dalla sua missione.
    Ne emerge allora un dialogo, un'interazione, talora una dialettica feconda da un lato tra la persona libera e responsabile, e dall'altro le istanze socioambientali e gli ideali-valori emergenti.

    RILIEVI SULL'EVOLUZIONE DELLA COSCIENZA

    Età psicologica e livelli di coscienza

    L'evoluzione psicologica e morale di un essere non segue necessariamente l'evoluzione biologica. Si possono ancora avere dei comportamenti infantili o adolescenziali a 50 anni.
    Si possono caratterizzare le tappe dell'evoluzione psicologica con riferimento al funzionamento di coscienza predominante.
    L'infanzia è caratterizzata dalla prevalenza della coscienza socializzata. L'adolescenza comincia con il rigetto della coscienza socializzata e vede la comparsa della coscienza cerebrale.
    L'età adulta è caratterizzata dalla prevalenza della coscienza cerebrale. Finalmente il saggio è colui che ha saputo prendere le proprie distanze in rapporto agli altri e a se stesso e si riferisce abitualmente per agire alla propria coscienza profonda.
    È da notare che si può avere un'età psicologica diversa secondo i settori della propria vita. Per esempio la stessa persona può essere adulta nella sua vita professionale, infantile nella sua vita religiosa, e adolescente nelle sue relazioni familiari e politiche. Evidentemente la sua unità non è realizzata, non ha raggiunto la sua stabilità, la sua maturità.
    Non si può fare l'economia della fase adolescenziale. La fase adolescenziale è caratterizzata dal rigetto della coscienza socializzata e dal desiderio di governarsi da sé, conformemente all'ideale di sé che si si forgia.
    È una fase di incertezza nella ricerca di sé e del proprio ideale. Verrà una stabilità e sarà la fase adulta.
    Quando un adulto infantile prende coscienza della propria dipendenza dagli altri e della sua capacità di dirigere da solo la propria vita, passa inevitabilmente attraverso una fase adolescenziale, con il rigetto delle costrizioni anteriori e di coloro che gliele hanno imposte.
    È importante che l'ambiente sia cosciente di ciò che capita per non drammatizzare nulla. Bisogna allora agire come con un adolescente: non ostinarsi, lasciar passare le crisi di collera o di aggressività, rispettare la libertà che si afferma, rimaner fermi su ciò che si crede di dover esigere per il bene generale e, soprattutto, rallegrarsi di questo progresso nella personalità, anche se è difficile da vivere.

    Coscienza profonda e sviluppo della personalità

    Solo il riferimento alla coscienza profonda e la fedeltà alle sue indicazioni assicurano una crescita dell'essere, una consistenza personale, una solidità interiore e una stabilità di vita.
    Il riferimento alla coscienza socializzata conserva nella dipendenza e l'infantilismo, e dà origine ad esseri evanescenti, senza ossatura, preda facile per tutti i conformismi e i totalitarismi.
    Tuttavia può capitare che la coscienza socializzata costruisca l'essere. Si verificherà quando i suoi imperativi saranno in armonia con le vere leggi della crescita degli esseri.
    Il riferimento alla coscienza cerebrale crea degli esseri tesi, insoddisfatti, facilmente centrati su di loro, rigidi, spesso insicuri e fragili dietro la loro apparente solidità.
    Base dell'educazione è imparare a discernere la propria coscienza profonda e ad esserle fedele.
    Questa formazione è più indispensabile oggi di un tempo. Le costrizioni sociali sono in diminuzione. Ci si sente meno inquadrati e strutturati moralmente. Ciascuno si sente sempre di più lasciato a se stesso. Le religioni e le ideologie non possono più inquadrare i loro «fedeli» come un tempo.
    La famiglia ha meno presa di prima sui giovani e questi sono abbandonati assai presto a tutti i venti di dottrina.
    Il rischio allora è quello di diventare un tappo che ondeggia in balìa delle correnti o un burattino disarticolato da forze opposte.
    Avere un punto di ancoraggio, un luogo stabile di riferimento per decidere dei propri atti e della propria vita è il solo mezzo per resistere alle pressioni diverse e costruirsi.
    Questo punto d'ancoraggio è la coscienza profonda, voce del proprio essere in crescita.
    Mettersi in ascolto, essere fedeli ai flussi di vita che si percepiscono è il solo mezzo per conquistare una personalità solida e realizzare pienamente il proprio essere.

    Piste per analizzare il tipo di coscienza morale prevalente

    Problema

    - Come individuare il funzionamento prevalente in me?
    - Quali i criteri, le piste per discernere il tipo di coscienza prevalente?
    - Questa coscienza si è costruita e funziona a partire da quale nucleo prevalente?
    Durante tutta la vita c'è coesistenza dei tre tipi di coscienza e funzionamento simultaneo. È importante poterli distinguere, sapere a quale noi ci riferiamo più spontaneamente e quale domina. Conta imparare a discernere i nostri funzionamenti di coscienza, individuare il proprio e mettersi in un cammino di crescita.

    Prima pista: al momento di prendere una decisione

    Qual è il nostro riflesso?
    - Che cosa gli altri aspettano che io faccia? Che cosa piace loro... o dispiace? Coscienza socializzata.
    - Che cosa devo fare? che cosa occorre che io faccia? Certe persone hanno un sentimento assai vivo del loro dovere e sono sempre tese per compierlo. Coscienza cerebrale.
    - In profondità, che cosa sento che è bene che io faccia tenendo conto di tutti i fattori della situazione? Coscienza autonoma.
    In una decisione le tre coscienze interferiscono, è certo.
    È bene essere capaci di distinguere i loro funzionamenti per vivere con lucidità la propria vita e viverla nella linea della realizzazione e della trascendenza di sé.

    Seconda pista: dopo un atto ci si sente a volte insoddisfatti, a disagio

    È importante cercare di che cosa è fatto questo disagio e davanti a chi ci si sente colpevoli.
    - L'inquietudine, l'insicurezza, sono indice del funzionamento della coscienza socializzata. È forse perché si sono infrante alcune regole sociali.
    «Ciò che è male ai loro occhi io l'ho fatto».
    Se l'inquietudine si fa senso di colpa spesso a «circuito autofertilizzante o colpevolizzante», si è di fronte a coscienza malata, talora patologica.
    - Il disgusto di sé, la delusione, l'amarezza, l'umiliazione sono indice del funzionamento della coscienza cerebrale. È davanti a sé, davanti all'ideale di sé che ci si sente colpevoli.
    «Ciò che è male ai miei occhi io l'ho fatto».
    - Se non è né l'uno né l'altro di questi sentimenti, può darsi che sia per infedeltà al meglio si sé, al proprio essere in profondità e all'Assoluto che vi si incontra. «Ciò che è male ai tuoi occhi io l'ho fatto».
    La chiarificazione permette di conoscersi e di riequilibrarsi.

    TIPI DI COSCIENZA MORALE E CONCEZIONE DEL PECCATO

    Questi tipi di coscienza morale a quali concezioni e forme di peccato danno origine?
    Che relazione c'è tra questi tipi di coscienza morale e la relativa concezione del peccato?
    Come giungere alla formazione di una coscienza morale religiosa, come pure alla formazione di un autentico senso del peccato?
    Ogni forma di coscienza morale, pur nella varia gamma delle situazioni e nella loro unicità, fa sentire il peccato, o quello che viene chiamato tale, entro una di queste modalità (2).
    Conta individuare ciò che è prevalente.

    Coscienza morale socializzata e senso del peccato

    Nella prima forma di coscienza morale, quella socializzata, il peccato viene vissuto prevalentemente secondo una o più tra queste modalità:
    - come trasgressione di una legge, come infrazione di un codice morale, come disobbedienza a dati imperativi;
    - come irritazione di potenze occulte capaci di rappresaglia, con la conseguente necessità di placarle;
    - come perdita di fiducia, stima e affetto da parte di date persone importanti per l'interessato, significative. Se ne teme la perdita e la condanna con la necessità del ricupero di sé;
    - come macchia, infangamento, insozzamento del proprio essere, con il conseguente bisogno di purificazione;
    - come infezione e contaminazione del proprio essere, con il conseguente bisogno di risanamento e purificazione;
    - come riflusso di angoscia di oscura origine infantile, con il conseguente bisogno di scrollarla di dosso;
    - come uno stato di depressione e di scoraggiamento più o meno paralizzante, con il conseguente bisogno di ricarica o di compensazione.

    Coscienza adolescenziale e senso del peccato

    Nella seconda forma di coscienza morale, quella cerebrale o adolescenziale, il peccato viene vissuto prevalentemente:
    - come un venire meno ai propri principi, con il conseguente bisogno di reintegrarsi o di giustificarsi;
    - come un tradimento di se stessi, con il conseguente bisogno di ricuperare la stima perduta;
    - come una delusione nei propri confronti, con il conseguente bisogno di ricupero e di compensazione in un qualche modo;
    - come uno stato di indegnità di sé, con il conseguente bisogno di riconquistare in un qualche modo il livello perduto;
    - come disistima e sfiducia in se stessi, con il conseguente bisogno di riportarsi sulle precedenti posizioni;
    - come una sconfitta e un avvilimento di sé, con il conseguente bisogno di rifarsi su di sé e sugli altri.

    Coscienza profonda e senso del peccato

    Nella terza forma di coscienza morale, quella autonoma e profonda, il peccato viene vissuto prevalentemente:
    - come un venire meno, una noncuranza, un trascuramento di una relazione personale con un Dio assoluto creatore e salvatore, con il conseguente bisogno di ristabilirla nella sua vivezza;
    - come il tradimento di un amore permanente e di un'amicizia che impegna entrambi, con il conseguente bisogno di ritrovarlo nella sua fecondità;
    - come uno sciupio di se stessi fatti ad «immagine e somiglianza di Dio», con il conseguente bisogno di ritrovare la strada della pienezza e dell'autenticità di sé;
    - come la rottura di un'alleanza e di un patto che vincola entrambi, con il conseguente invito a ristabilirla e a celebrarla;
    - come una disarticolazione di se stessi rispetto alla propria realtà e vocazione, secondo il piano del creatore e salvatore, riconosciuto come tale, con il conseguente bisogno di ricomporre una unità e un dinamismo vitale di riprogettare la propria vita alla luce del Padre.
    Di qui gli interrogativi:
    - quali le vie e le modalità per far maturare, evolvere le prime concezioni del peccato?
    - quale il rapporto -tra queste forme del peccato e la religione?
    - la religione quanto aiuta e quanto rende problematico il superamento delle due prime forme di peccato?

    LE DIMENSIONI DELLA COLPEVOLEZZA OGGI

    Queste concezioni e modi prevalenti di sentire e vivere il peccato e il male come vengono valutate oggi dalle scienze umane che studiano il comportamento umano e dalla religione?
    Quale tipo di intervento adeguato richiedono a livello pedagogico, pastorale, religioso, morale?
    Un tempo la religione con i suoi ritmi di vita, sistemi teologici, sacramentali e rituali assolveva in un qualche modo al compito di liberare l'uomo dalle varie forme di colpevolezza. Liberava la persona dal senso di colpa così come si presentava, almeno così si proponeva e spesso riusciva. Nel peccato si comprendeva tutto ciò che faceva parte della esperienza della colpevolezza. Confessore e terapeuta spesso si confondevano.
    Questa presa sulla coscienza morale consentiva alla religione di svolgere un servizio determinante nell'orientare le scelte umane dei singoli e dei gruppi.
    Attualmente da circa un ventennio in modo diffuso, precedentemente in un modo relegato ad alcune aree, la situazione è notevolmente mutata.
    L'esplorazione e l'analisi sperimentale del vissuto personale della coscienza morale, della esperienza della colpevolezza, del peccato, della confessione, ecc., da parte delle scienze umane hanno evidenziato alcune realtà nuove. Sono realtà che richiedono una impostazione diversa del discorso e dell'intervento. In questo vissuto morale e religioso ci sono dimensioni che sono prevalentemente, talora unicamente realtà psichiche, a volte socioculturali.
    Il senso di colpa psichico, il senso di colpa morale, il senso di colpa religioso sono dimensioni diverse tra loro nella sorgente da cui provengono, nello scopo che si prefiggono, nella funzione cui assolvono. Pur compresenti tutte e tre, una di queste è principale e determina la qualità e l'orientamento della scelta.
    Ne risultano, a seconda della prevalenza, esiti diversi e necessità di tipi diversi di intervento pedagogico e pastorale.
    In particolare le dimensioni psichiche e morali si rifanno a problematiche evolutive della persona, particolari, con la necessità appunto di un intervento adeguato e specifico.

    Senso di colpa psichico

    Il senso di colpa è costituito da un insieme di sentimenti negativi nei riguardi di se stessi, come singoli o come gruppo, originati dal venir meno in uno dei vari modi (infrazione, ribellione, trasgressione, violazione, omissione...) ad un proprio dover e poter essere, rappresentato da qualcuno o da qualcosa, ritenuti come la realtà più propria, più vera di sé, più o meno obbligante.
    Questo insieme di sentimenti negativi è finalizzato a stimolare il singolo o il gruppo a ristabilire l'equilibrio turbato mediante un qualcosa che a volte è un gesto di riparazione, di espiazione del male fatto, altre volte impegno e ripresa della strada smarrita, altre assunzione della propria responsabilità di fronte alle scelte attuate, ritenute sbagliate.
    I protagonisti del senso di colpa sono sempre due: da un lato l'«io del soggetto», dall'altro una «controparte» diversificata (il sé cioè l'immagine ideale di sé, gli altri, la legge, la realtà delle cose e delle persone, le persone importanti per il soggetto, certe ideologie assolutiste...).
    La comprensione, lo sviluppo positivo, il superamento, talora la liberazione, spesso la guarigione di questo senso di colpa nei casi problematici possono essere ottenuti, anzi spesso vanno ottenuti a livello delle scienze umane, senza ricorrere necessariamente al fatto religioso.
    Inoltre le stesse scienze umane hanno elaborato forme di consulenza, terapia e pedagogia varie. Esse si prefiggono e consentono in varia misura, a seconda delle situazioni, senza ricorrere alla religione, da un lato di promuovere la personalità e la coscienza morale in particolare verso forme più mature di realizzazione di sé e di autotrascendenza, dall'altro lato consentono di sbloccare e risanare situazioni di coscienze morali inibite, talora malate.

    Specificità del senso del peccato

    Dove si situa allora l'originalità della dimensione religiosa del peccato, dell'intervento sacramentale, rispetto agli altri interventi di consulenza, di relazione di aiuto, di psicoterapie di vario livello?
    In che senso e misura la comprensione globale dell'atto umano, che l'angolatura religiosa comporta, ha qualcosa da dire alla valutazione morale dell'atto umano? In che cosa consiste la specificità e la originalità del senso del peccato rispetto alle altre forme di colpevolezza?
    Delineare ciò che è o meno il peccato è compito precipuo del teologo e del moralista. Alla luce della Rivelazione e della sensibilità attuale della chiesa essi precisano dei criteri di individuazione e di specificità. Ne risultano alune condizioni e segni della presenza oggettiva del peccato.
    Accanto a questo compito, partendo dalla osservazione del «vissuto personale» del soggetto, va preso seriamente in considerazione il contributo delle scienze umane. Esso consente una migliore comprensione di questa realtà della colpevolezza e un intervento più adeguato. È il concreto vivente infatti che incarna quest'esperienza. È solo un approccio interdisciplinare che consente una comprensione più globale e rispettosa della totalità dell'uomo vivente.
    Il senso del peccato, a partire dal vissuto personale del soggetto, può essere descritto come un'esperienza umano-religiosa percepita e vissuta come un insieme di sentimenti negativi e positivi nei confronti di se stessi, come singoli o come gruppo, e di Dio o della divinità, originati dal venir meno, per debolezza o per deliberato consenso, ad una relazione personale, sotto forma di debolezza, infrazione, non curanza. Questo venir meno è sentito e vissuto nei confronti di Dio creatore e salvatore, e della strada di vita da lui proposta. Sono sentimenti finalizzati anzitutto a riconoscere Dio e il suo progetto ad un tempo come misericordioso e prioritario su ogni altra realtà; in secondo luogo sono finalizzati a riconoscere il suo perdono ricreatore; in terzo luogo la bontà e il valore sostanziale di se stessi come creature e come salvati, al di là delle scelte sbagliate, agli occhi di Dio e propri.
    Sono sentimenti che stimolano ad un impegno di sé e degli altri in uno dei vari modi, e un senso di responsabilità, conformemente al piano di Dio su di sé, sul mondo e sulla collettività umana.
    I protagonisti del senso del peccato sono due: il soggetto come persona, nella misura della sua responsabilità, e Dio come persona cui si è legati come creature e come salvati.

    Componenti del senso del peccato

    Dal punto di vista antropologico si constata che, nella misura in cui si acquisisce il senso autentico del peccato, si realizzano nella persona alcune dimensioni caratteristiche. La loro sostanziale presenza, più frutto di arrivo e di orientamento che di partenza, garantisce, in modo proporzionato all'età, l'autenticità e la specificità del senso del peccato come dimensione nuova e originale della colpevolezza. Il senso del peccato è perciò riconoscibile dalla presenza di queste caratteristiche o dimensioni:
    - una vita morale e religiosa bipolare e promovente: essa si svolge tra i due partners che la vivono: il soggetto con la sua consistenza e autonomia, con la sua responsabilità, all'interno del suo inserimento socioambientale; Dio trascendente e presente ad un tempo, «amore personale misericordioso e responsabilizzante». - Una triplice apertura della persona: si tratta di una apertura esistenziale a tre realtà, come a tre assi, che sostengono e orientano la vita. Esse sono: un'apertura al Dio creatore con il relativo senso creaturale; un'apertura al Dio salvatore con la relativa esperienza rinnovata della salvezza in modo personalizzato; un'apertura all'impegno conseguente come concretizzazione e verifica della consistenza delle precedenti aperture.
    - Una conversione è un salto di qualità nel vivere e valutare la propria vita, soprattutto le mancanze. «Il male allora diviene peccato». Esso.viene vissuto e riconosciuto in rapporto a Dio e alla sua parola. Egli rivela le vere dimensioni e implicanze delle scelte umane. Ne risulta un'angolatura nuova da cui si vedono e valutano i vari fatti, una luce che conferisce loro dimensioni umanamente non rilevabili. Allora la propria vita prende un altro andamento, quello del credente.

    NOTE

    (1) Oraison Marc, Una morale per il nostro tempo, Boria, Torino 1970; Id., Che cosa è il peccato, Gribaudi, Torino 1970; Monden Louis, La coscienza del peccato, Borla, Torino 1968; Rudin Josef, Psicoterapia e religione, Borla, Torino 1967; Hostie Raymond, Il sacerdote consigliere spirituale, Boria, Torino 1966.
    (2) Dacquino Giacomo, Religiosità e psicanalisi, SEI, Torino 1980; Sovernigo Giuseppe, Senso di colpa, LDC, Torino 1980; Aa. Vv., Confessione e psicologia, ed. OARI, Varese 1974; Snoeck André, Confessione e psicanalisi, Borla, Torino 1965.


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