Pietro Gianola
(NPG 1976-12-62)
ESIGENZE DI FORMAZIONE PERMANENTE
Negli ambienti e con i programmi della scuola d'oggi si stanno già formando gli uomini e le donne che vivranno e lavoreranno negli anni 2000. Ma anche negli anni '80 e '90 la vita e il lavoro saranno molto diversi da quelli che si possono prevedere e preparare oggi.
Scienze e tecnologie, modelli di vita e organizzazione sociale e politica, idee e quadri di valori mutano rapidi e richiedono non esecutori stereotipi e monovalenti, ma persone capaci di rinnovarsi, di procedere, di adattarsi, di creare il nuovo, di inserirvisi informati, critici, inventivi, operatori. Educazione è liberazione. Mai come oggi l'uomo ha capito d'avere in sé potenziali infiniti di autorealizzazione. La libertà vera non consiste nel disfarsi delle oppressioni e dei limiti esteriori, quanto piuttosto nello spostare incessantemente i confini dell'autorealizzazione interna e relazionale, partecipativa e creatrice.
È indispensabile ridefinire le mete educative, i tempi, i ritmi, i processi, gli agenti, i contenuti dell'educazione, di un'educazione continua e totale che trova nella scuola solo un agente formale della società educante, solo una forma momentanea oppure opportunamente ricorrente di un più vasto processo di formazione permanente ben dotato di opportunità e d'aiuti.
In una società e in una civiltà largamente fondate sul lavoro (spesso concetti equivoci supinamente assorbiti da pseudoculture collettivistiche più attente alle funzioni e alla produttività e cioè al potere che alla persona) il pericolo di ridurre o di ricondurre eccessivamente la scuola a orientamento e formazione professionale immediata aumenta a scapito di progetti e processi di autentica liberazione e perciò di essenziale educazione. O almeno esiste il pericolo che la conclusione degli studi e il conseguimento dei relativi diplomi costituisca una specie di progressiva strozzatura entro prospettive qualificanti operative a breve termine, magari immediate se connesse con opportuni tirocini o apprendistati sul campo. Ma che sarà del futuro, del futuro della persona, del lavoro, della vita? Per illustrare questo interrogativo con qualche traccia di soluzione è necessario collocare la formazione alla professione nel quadro globale di una formazione (o meglio educazione) permanente, cioè di un processo continuo e collegato di maturazione della personalità e della professionalità, con conseguente elevazione delle qualità di vita individuale e associata.
CAMBIO DI TENDENZE
Dal sistema antico...
Il sistema antico, che purtroppo in gran parte perdura ancora oggi e tarderà a morire, attua un netto distacco tra educazione e professione. L'entrata nella professione segna la fine dell'educazione formale, programmata, fornita di tempi e mezzi adeguati. A qualunque livello si realizzi il passaggio. Per la massa la fine della scuola segna la fine di un certo tipo di crescita.
Anzitutto è un sistema di selezione: i capaci, i meritevoli, nel numero richiesto dalle esigenze d'impiego del sistema, avanzano ed emergono sulla base di condizioni favorevoli e spesso privilegiate di partenza (economiche, sociali e culturali). Ma il loro progredire è quasi esclusivamente costituito da processi di informazione teorico-verbale e di formazione esecutiva.
Il periodo di formazione alla vita è nettamente delimitato, ufficialmente, entro l'ambito dello «scolastico»: trascura e non ricupera il pre-scolastico, ignora il para-scolastico, non prevede e non prepara a valorizzare il post-scolastico. Quando incomincia la vita (ed è il momento dell'entrata nella professione) finisce la formazione, almeno come progetto intenzionale e generalizzato.
Gli indirizzi e i livelli di studio sono chiusi, preludendo con senso di fatalità a risultati di precisa e spesso preclusiva destinazione. Ne conseguono situazioni di grave peso, una volta sopportate con rassegnazione, poi con rabbia, oggi non più facilmente tollerate. Il sistema chiuso di formazione culturale, professionale e perciò vitale, prelude a uno sviluppo e a una valorizzazione parziale, settoriale, mortificante della vitalità personale. L'unica possibilità che si apre innanzi per la società è lo sfruttamento fino all'esaurimento delle ben delimitate capacità acquisite, entro mansioni, ruoli, prestazioni senza sviluppo né alternativa.
Ne consegue un processo di progressiva emarginazione, quasi un più rapido invecchiamento, la perdita di parità di fronte ai giovani che inseguono «diversi» e come concorrenti scomodi invece che come «contemporanei» con cui è possibile la collaborazione e il dialogo, anche se è inevitabile in loro il segno dell'innovazione e del progresso, però senza perdita di contatto.
Le delimitazioni «professionali» tendono a dar origine a corrispettive delimitazioni culturali, sociali, familiari, politiche. Solo per alcun dotati è consentita in linea eccezionale una effettiva possibilità di ulteriore crescita sostanziale, di aggiornamento, al passo con i nuovi tempi.
... a quello nuovo
Un sistema nuovo si va però facendo strada, con fatica, ma con tenacia. Una chiara inversione di tendenze vuole non lasciare indietro nessuno, ma guardare e portare innanzi, garantire per tutti un'educazione permanente più corrispondente alla natura e alla coscienza dell'uomo in una società progredita e giusta.
La formazione personale e professionale dovrà essere per tutti un processo continuo e aperto. Il principio che regge la nuova tendenza è il diritto di ogni uomo alla effettiva valorizzazione totale delle attitudini e potenzialità individuali e sociali. Per vivere e per lavorare è necessario scegliere, ma le scelte non dovranno diventare mortificanti per l'uomo, quasi tagli decisivi nelle sue possibilità d'essere, di operare, di relazionarsi, di realizzarsi e di realizzare. Si mira perciò a un sistema prima scolastico poi ricorrente e infine permanente che garantisca e faciliti quella mobilità orizzontale e verticale che possa permettere sia garanzie di costante occupazione, sia condizioni di maggiori e migliori espressioni di sé.
La vita non dovrà più essere spezzata nei due tronconi della maturazione e dello sfruttamento, ma dovrà presentare incessante il volto della maturazione nella successione di ruoli, nel cambio di mansioni, nel perfezionamento esecutivo, funzionale, sociale, culturale.
La partecipazione tende a passare da fatto esecutivo a procedimento creativo di analisi, di proposte, di determinazioni.
Non bastano più avanzamenti di responsabilità direzionale; devono corrispondervi reali progressi di competenza culturale, tecnologica, organizzativa, di ricerca e scoperta, di ipotesi e progettazione.
FONDAZIONI DI UNA COMPLESSA ESIGENZA
Una persona situata in un sistema sociale, scientifico e tecnico in continua evoluzione chiede una dimensione costante di informazione, formazione, educazione.
È opportuno enumerare il massimo numero di fondazioni dell'esigenza di collocare la formazione professionale-personale nel quadro della educazione permanente per evitare il pericolo di arenarsi in motivazioni e perciò in programmazioni unilaterali, inefficaci per risolvere il problema nella pienezza reale in cui si presenta interpellante.
Ispirandoci alle contrapposizioni elencate sopra a proposito di vecchio e nuovo sistema, possiamo però aggiungervi le istanze di sociologi, economisti, politici, che guardano con preoccupata apprensione al massiccio incremento della disoccupazione intellettuale, alla crisi di identità delle agenzie educative e delle strutture scolastiche, allo smarrimento e alla frustrazione delle giovani generazioni.
Una ricca serie di elementi caratterizzano il quadro dei mutamenti registratisi negli anni recenti: l'intenso progresso tecnologico, il prolungamento della scolarità, la crescita delle aspirazioni e delle aspettative individuali, la domanda di sviluppo economico, il nuovo tipo di organizzazione del lavoro, la rapida «obsolescenza» delle abilità professionali... (W. Kenneth Richmond). Si definisce un arco di esigenze.
Esigenza personale
Non si è mai «liberato» tutto dell'uomo. Le sue possibilità di apprendimento sono infinite. Non si dà una fine che non sia la morte. Prima ogni traguardo è solo un punto nuovo di partenza. In tutti i campi: nel sapere, nel valere, nel fare, nel relazionarsi, nell'osservare, analizzare, ipotizzare, sintetizzare creando il sempre nuovo. La vita è sempre nuova, dentro e attorno. Gli avvenimenti, le situazioni interpellano sempre nuove e diverse. È umiliante e perfino tragico sentirsi ben presto «chiusi», fermi, estromessi, incompetenti, impotenti, esecutori passivi e ripetitivi. Occorre una ininterrotta ricettività attiva, preparata, costantemente alimentata, e approfondita. Né si può spezzare l'uomo in due: immobile e statico nel lavoro, attivo e in stato di continuo avanzamento nella vita. La professione incide troppo sull'identità globale della persona.
Esigenza socio-economica
Come si può mantenere una popolazione attiva e produttiva per l'intero arco della vita? Non è valido né economicamente né psicologicamente un sistema nel quale una piccola parte di forze attive mantenga nell'inerzia e nell'improduttività (e nel consumo) le altre parte incapaci o impotenti per svolgere a loro volta mansioni utili per sé e per tutti. Attualmente s'impone e s'imporrà sempre più negli anni futuri l'esigenza di sviluppare adeguati servizi e provvedimenti che permettano la massima mobilità socio-economica. Essa riguarda sia i passaggi entro lo stesso grado di attività, sia le meritate e preparate promozioni verso altre responsabilità, sia soprattutto la capacità di riqualificazione e passaggio tempestivo sia a livello di primo orientamento che di nuova qualificazione, dalle attività primarie alle secondarie, da queste alle terziarie (progressivo processo di terziarizzazione crescente dell'occupazione nelle società in fase postindustriale).
Esigenza tecnologica e culturale
In questi anni s'è assistito a un processo sempre più generale di professionalizzazione dei mestieri, dei ruoli, dei compiti operativi, delle strutture organizzative. All'interno di tale processo se ne è verificato un altro ancora più provocante: il progresso e il cambio continuo, spesso vasto e rapido, qualche volta addirittura rivoluzionario, delle tecnologie operazionali e dei presupposti scientifico-tecnici. Da qui il fatto di rapide obsolescenze delle competenze, i rischi di rapida emarginazione o esclusione, l'esasperazione delle discriminazioni meritocratiche a vantaggio dei pochi privilegiati dotati di capacità e possibilità di rapida conversione verso nuove capacità.
Esigenza culturale-morale generale
L'uomo che avanza negli anni dopo il periodo di accentuata applicazione educativa non è riducibile alla sua collocazione professionale intesa in senso stretto. Egli deve e spesso vuole ricuperare lacune di cultura e partecipazione più generali, impedite o limitate dal peso prevalente dei programmi e impegni settoriali scolastici, definiti dalle esigenze di indirizzo o di sbocco lavorativo.
Oppure è il caso di ampliare nozioni, informazioni, partecipazioni e fruizioni solo accostate e rimaste troppo ridotte. Potrebbe essere il caso di una seconda competenza professionale integrativa, dell'assolvimento crescente dei compiti, degli impegni, delle partecipazioni attive e responsabili nella vita privata e pubblica familiare, socio-culturale, religiosa, dell'uso valido del tempo libero...
Esigenza socio-politica
La si può enunciare a parte, per la sua crescente incidenza. Proprio la collocazione professionale esige e permette una sempre maggiore integrazione partecipante e operante a livello di gestione socio-politica del posto di lavoro, dei suoi programmi, delle sue trasformazioni, una dilatazione entro più larghe strutture amministrative, legislative, esecutive, locali e più generali.
LINEE DI ACCESSO ALL'EDUCAZIONE PERMANENTE
Oggi le esigenze sono molto sentite e largamente condivise. Ricerche e progetti si moltiplicano. Le iniziative si susseguono, maturano. Siamo però ancora ben lontani da una generalizzata e adeguata sicurezza programmatica e metodologica, da una volontà politica di base e di vertice.
Non mancano i «profeti di sventura» (come il sociologo Raymond Aron), non privi di motivi reali, inclini a ritenere che ci stiamo avviando verso un futuro in cui un'élite dominante fruirà dei benefici culturali dell'educazione permanente, condannando le masse a condurre una vita da termiti.
Volontà, capacita, possibilità
Un'alternativa che smentisca queste previsioni è possibile, ma a precise condizioni sia personali che sociali.
Il conseguimento generalizzato di alte specializzazioni tecniche dovrà essere sostenuto e reso «variabile» da una liberante e continua capacità di formazione-autoformazione culturale, scientifica, tecnica, sulla base di una visione di costante cambio, tradotta in una vigilante e creativa «riserva critica» sullo stato attuale del sistema sociale.
Siamo molto lontani dalla soluzione semplicistica limitata a un sistema di «riciclizzazione» scuola-lavoro-scuola, a scopo di riqualificazione o di periodica promozione. È solo una parte di più vasto e sostanziale impegno. Un grande esperto di questi problemi, K.W. Richmond, crede fondamentale l'impegno per «porre rimedio a una pratica educativa che lascia molti giovani in condizioni di avversione per gli studi scolastici».
È questione di disponibilità, di volontà, di libertà positiva. Oggi troppi ne sembrano privi. L'educazione e la scuola fanno ben poco per promuoverle. Suggestioni esterne avvolgenti di una società consumistica, edonista, permissiva, massificata, passiva, ignorante, si uniscono ai grossi limiti di programmi arretrati, chiusi, di metodi esteriori, di richieste mediocri, di mancanza di guida personale e di gruppo efficiente.
Nel 1970 il Consiglio d'Europa ha affrontato decisamente il problema. La scuola ha il compito di preparare gli adulti di domani a desiderare di continuare la propria educazione personale e professionale. Ma questo fine non potrà mai essere raggiunto se agli alunni, nel corso della vita scolastica, non viene insegnato a riferire ogni conoscenza alla propria esperienza, all'intera problematica che coinvolge a travolge il fatto e l'esigenza di autorealizzarsi, difendersi, conservarsi, progredire, partecipare, lottare per affermare ed espandere la propria libertà in relazione alla libertà generale. Ponendo in stretto rapporto il vivere e l'apprendere si pone in atto una «volontà» che facilmente continuerà a motivare i soggetti diventati adulti perché incessantemente cerchino di mediare la realtà personale e professionale con gli apprendimenti nuovi e continui che sono di volta in volta richiesti.
La scuola dovrà tener sempre presenti e coltivare nella consapevolezza e nella volontà degli alunni le complesse esigenze di educazione permanente che sopra sono state elencate.
La volontà deve tradursi in capacità. La scuola, la prima educazione, devono fornire le «chiavi». Ciò avviene preparando i giovani, mediante un corretto uso dei mezzi e metodi scolastici, a autoeducarsi, soli o in gruppo, mediante tutta la serie dei mezzi extrascolastici e postscolastici. Pensiamo all'introduzione all'uso competente della ricerca, della documentazione, dell'osservazione e della sperimentazione di laboratorio, all'uso dei mezzi di comunicazione e di cultura di massa, fino a un esercizio maturo critico, selettivo, addirittura creativo.
Capacità di autoeducarsi. Nasce dall'assuefazione sistematica e libera a vivere la realtà, a rilevarne, porne, definirne con esatta articolazione i fatti, i problemi, i fattori, a cercarne per diverse vie le soluzioni. Una ben intesa «educazione» culturale generale, scientifica, artistica, tecnica, socio-politica fornisce inevitabilmente un tipo di avvio apertissimo alla continuazione, all'integrazione, all'aggiornamento, allo sviluppo. Quanto all'effettiva possibilità, questa è collegata a complessi e esigenti progetti di fornitura di strumenti, edifici, personale accostabile e disponibile, tempo, mezzi economici, programmi, iniziative sia private che pubbliche.
Per esempio, oggi si insiste sempre più per una utilizzazione «totale» delle strutture, delle attrezzature, del personale scolastico a servizio degli adulti. In parte si può trattare di iniziative di ricupero che offrono loro corsi scolastici non seguiti per tempo o rimandati in parallelo o in alternativa al lavoro. In parte si può dar luogo a vere forme di aggiornamento o riqualificazione o progresso di qualificazione professionale. Ma sono possibili anche programmi di natura più largamente formativi in vista di ogni tipo di esigenza o di disponibilità.
Siamo solo agli inizi della formazione e dell'impiego sistematico degli animatori necessari. Ci si bilancia tra il volontariato e la professionalità. Nell'ormai famoso Rapporto Faure si rivendica come idea madre della politica della scuola la possibilità di apprendere per ogni individuo lungo tutto il corso della vita. Soggetto educatore-educato diventa l'intera comunità, in complesso sistema di rapporti, con dimensioni di vero movimento popolare, con ampia libertà e rispetto per ogni via personalmente scelta per formarsi: iniziative personali, di gruppo, private e pubbliche, scuole comunitarie, centri scolastici, centri culturali o di animazione, centri di formazione tecnica a livelli successivi, università popolari, università operaie, università libere e altre istituzioni analoghe largamente aperte al pubblico, con programmi e metodi di vario impegno.
Né si può mettere in seconda linea il ruolo delle imprese, investite oggi di vaste e nuove funzioni educative in rapporto alla formazione tecnica. A parte la partecipazione a definire e gestire lo stesso momento preparatorio scolastico, compete alle aziende un compito di apertura integrativa frequente e sistematica degli studenti futuri operatori, di progressivo inserimento addestrativo sul piano tecnologico, di iniziative (dirette o indirette) per migliorare costantemente la formazione professionale, fino a promuovere oltre la preparazione del personale e dei quadri anche centri e gruppi di ricerca.
L'offerta di queste «possibilità» ha valore morale, sociale, economico.
Condizione metodologica
Il dominio competente e soddisfacente di una professione esige un'alta specializzazione tecnica. Però la possibilità di migliorare, di progredire, se occorre di cambiare mediante passaggi voluti dall'andamento del mercato, da necessità o convenienze personali, da ricerca di ruoli sociali e operativi più consoni alle naturali disposizioni, è fortemente legata a precise e spesso remote condizioni metodologiche.
Cioè la specializzazione tecnico-professionale deve essere maturata su larga base di partenza e di cammino.
È vero che oggi si diffondono (per una complessa convergenza di esigenze di mercato, di mentalità pragmatista, ma anche di pigrizia mentale, di economia, magari di concretezza) tendenze ad apprendimenti qualificanti a breve termine, ridotti all'essenziale, concentrati su rigide e ristrette sequenze operative, decise a minimizzare la formazione più generale, i contenuti non indispensabili, le premesse scientifiche, le riflessioni metodologiche, la maturazione personale.
Ma ciò è contrario alla possibilità di un'educazione permanente sia di natura personale che professionale. Tutt'al più quest'ultima può essere intesa come successiva riqualificazione attuata con gli stessi sistemi. L'orientamento, la scelta, la preparazione, l'abilitazione professionale devono invece risultare frutto di progressive determinazioni convergenti su basi quanto più è possibile larghe e polivalenti: competenza informativa ed esperienziale di vasti campi di realtà e di operatività; acquisizione ed esercizio di metodologie progressivamente elevate e rigorose di osservazione, problematizzazione, concettualizzazione, ricerca, ipotesi, sintesi, soluzione, pratica operativa; possesso ampio delle scienze fondamentali generali e di settore; approssimazione per cerchi concentrici alle unità teoriche e pratiche dei settori professionali prescelti.
Dobbiamo ammettere che tale è stato per lo più l'indirizzo della scuola italiana sia liceale che tecnica e universitaria, pur con i suoi innegabili difetti. E ha costituito un modello invidiato da molti. Oggi una male intesa massificazione degli studi sembra indulgere a una inversione di tendenza. Qualche buona ragione a volte c'è. Ma dovremmo procedere più cauti. Proprio in vista di prossime gravi esigenze di «mobilità» permanente professionale sia in linea orizzontale che verticale.
Lo stesso orientamento professionale non può ridursi a un processo selettivo operante per esclusioni restrittive. Deve al contrario sviluppare un coerente e consistente moto di determinazione qualificante sulla base di premesse dotate della massima polivalenza.
Condizioni più generali
Quali attitudini e quali atteggiamenti più generali dovrà possedere chi vorrà mantenere e muovere la propria professionalità entro i dinamismi di un'educazione permanente?
Dobbiamo riconoscere che né il sistema professionale né il sistema educativo tradizionale hanno un sicuro aiuto. Il primo tende a operare esclusivamente nell'ambito del calcolato interesse della produzione e del potere. Il secondo è per natura e tradizione resistente a ogni mobilità.
Perciò sembra che occorrano nei soggetti interessati doti particolari di carattere, di giudizio, di libertà fondamentale non solo rispetto ai cambi esterni, ma ancor prima e più al cambio di sé, cioè delle proprie organizzazioni mentali, affettive, sociali, comportamentali.
Occorrono capacità di adattamento e transfert, di maturazione e sviluppo delle proprie acquisizioni scientifiche, tecnologiche, comportamentali su domini, campi, situazioni che presentano analogie, ma anche diversità e novità.
Occorre aver maturato doti di intelligenza intesa come capacità problematizzante di fronte a ogni situazione nuova: volontà, capacità, possibilità di affrontare qualunque problema nuovo nato da situazioni nuove, creando metodi di trattamento nuovi e dando risposte nuove.
Occorre attitudine alla polivalenza disponendo da ogni punto di vista i giovani a mestieri e professioni destinate ad evolvere sia in rapporto al progresso scientifico tecnico e organizzativo, sia in rapporto al mercato occupazionale, produttivo, consumativo, perciò destinati a spostarsi costantemente in futuro. Perciò bisogna fornirli di larghe basi sia per la scelta delle professioni iniziali, come per i successivi eventuali programmi di nuovo apprendimento, in modo che possano anche cambiare occupazione, progredire, evitare d'essere sorpresi, travolti e sballottati dalle trasformazioni della tecnologia, del mercato di lavoro e dell'impiego, dalla impossibilità d'occupare i posti per cui sono preparati.
L'educazione permanente sviluppa e mantiene l'uomo che lavora in stato di costante vigilanza e attiva partecipazione al più generale cambio sociale. Gli fornisce cioè una costante attitudine di «riserva critica» nei confronti dello stato di fatto dell'intero sistema sociale. La professione è per sé un luogo privilegiato di impatto e di verifica dell'intero sistema sociale, culturale, politico, etico, religioso. Una coscienza, un collegamento, una azione politica adeguata permettono di reagire alle eventuali spinte disumanizzanti del sistema produttivo-esecutivo-professionale. Ma in senso positivo e costruttivo il «professionista» sorretto da un robusto e completo sistema d'educazione permanente è in grado di interagire compiendo controlli critici, collaborando a ipotizzare e realizzare alternative, assumendo responsabilità e funzioni di tipo scientifico-tecnologico, organizzativo, sindacale, politico.
Bisogna promuovere una scuola più decisamente formativa e educativa, cioè più liberante, più cosciente d'essere un mezzo momentaneo di un processo vitale sociale e occupazionale destinato a proseguire ben dotato di disposizioni e competenze di base, l'avvio di un processo mai finito. Ma questa stessa scuola educatrice dovrà tempestivamente avviare due linee di processi formativi: una di orientamento-addestramento-specializzazione professionale a tempo pieno o a tempo parziale, retta prevalentemente da criteri socio-economici di produzione o di servizio; l'altra di formazione e avvio più decisamente personale e sociale, culturale e liberale, retta da un desiderio di interiore soddisfazione e valorizzazione dell'intera gamma delle realtà e possibilità della vita e della convivenza, con i relativi ruoli dotati di vario impegno.
Non può fare tutto la scuola. Un completo sistema d'educazione che riuscirà a inquadrare la professione nell'ordine di una maggiore pienezza umana deve risultare anche dalla convergente provocazione e promozione fornita dalla famiglia, dai gruppi di pari, dal vicinato, dalla chiesa, dai mass-media, dai gruppi e movimenti giovanili, dai servizi comunitari, dai centri culturali, dalle reti d'istruzione e d'incontro di pari, il tutto sorretto da consistenti indirizzi e iniziative di natura e livello politico.
DALLA TEORIA ALLA PRATICA
Dice Richmond che «il guaio dell'educazione permanente è che essa è un po' come lo stato di perfetta beatitudine: tutti vorrebbero raggiungerlo, ma nessuno sa veramente come arrivarvi».
Chi vuole veramente liberare le professioni e i professionisti? Sono chiari i progetti: facilità e precisione di accesso, umanizzazione del loro esercizio, ragionevole mobilità orizzontale e verticale interna, valorizzazione per una maggiore integrazione sociale, culturale, politica, superamento delle costrizioni limitanti verso una effettiva possibilità di moltiplicazione dei ruoli e di piena autorealizzazione...
Ma quale giuoco di forze e di interessi si pongono in moto. Quali inerzie bisogna superare.
Dobbiamo moltiplicare le diagnosi dei sistemi cointeressati, identificando squilibri e ipotizzando nuovi equilibri, individuandone le variabili da rimettere in moto. Ogni gruppo dotato di potere deve identificare alcune opzioni di fondo e formulare strategie adottabili a livello della classe politica. Localmente è auspicabile che vengano utilizzati tutti gli spazi disponibili e rioccupabili per crescenti sperimentazioni, anche limitate, purché concrete ed esemplari. Anche se non c'è da illudersi che un sistema refrattario aiuti e accetti una direttiva nuova destinata a metterlo in crisi. Se qualcosa si muove al centro, questo verrà potenziato e magari corretto dalla logica partecipazione degli interessati.
«Tutto questo non esaurisce certamente il tema, ma può costituire la cornice di un progetto educativo che sia aderente alle necessità e alle possibilità dei prossimi anni e insieme orientamento verso il futuro» (Rapporto Faure).