Intervista a Primo Soldi
(NPG 1973-06/07-90)
Il movimento “Comunione e Liberazione” (CL) è la riedizione di G.S. di Milano, dopo il crollo legato ai fatti contestativi del '68.
Esso si presenta come “proposta” cristiana nella scuola, con i pregi e i limiti legati ad ogni movimento che intende sfuggire alle maglie della neutralità e del genericismo.
Questa intervista ripropone alcune delle linee portanti del movimento, per un confronto informativo, nel quadro delle riflessioni sulla presenza dei cristiani nella scuola.
Come sempre, preferiamo offrire documentazione di prima mano ed evitare “giudizi” critici, per affidarli alla responsabilità dei singoli operatori pastorali, guidati, se lo credono opportuno, dalle scelte con cui la rivista intende qualificarsi.
UN'ALTERNATIVA ALLA SCUOLA ATTUALE
D. Uno degli elementi caratteristici dell'esperienza di CL è l'abbondante entroterra teologico da cui si derivano le scelte operative.
In questo contesto, ci vuole precisare il significato e le radici della proposta “alternativa” del movimento nei confronti dell'attuale scuola secondaria superiore?
R. CL si collega storicamente alla G.S. di Milano: dopo i fatti del '68 ha avuto un crollo nella contestazione ed è risorta con il nuovo nome. Ma non c'è solo un cambio di nomi. Ci siamo creati una coscienza nuova per una presenza meno ludica, meno associazionistica nella scuola, ma in compenso più consapevole di quanto il mondo della scuola chiede al cristiano.
Ci muoviamo con una convinzione e secondo una modalità che vorremmo comprese e condivise almeno in ciò che di irrinunciabile hanno. La convinzione è questa. Riduce e quindi falsifica il cristianesimo chi lo concepisce e lo vive soltanto come insieme di innocui sentimenti, codice di buoni comportamenti, per mettere a posto le coscienze; o come una serie di scadenze devozionali, delle quali non perdere l'abitudine... Noi riteniamo che il cristianesimo è un fatto storico, continuazione della persona di Cristo, Uomo nuovo, incarnazione del divino nell'umano. È avvenimento di liberazione di tutto l'uomo e del cosmo: la salvezza dell'uomo non è più soltanto frutto della sua prassi e del suo progetto scientifico. L'identità e la novità cristiana devono investire anche la condizione studentesca. Non possiamo attenerci ad un falso neutralismo proprio nei riguardi della scuola, da tutti ormai riconosciuta come un nodo vitale dell'intera società.
La modalità è quella della vita di comunione. Non basta la testimonianza individuale; quella comunitaria è più che un sostegno psicologico o una condizione di efficienza. Segno e iniziale presenza della liberazione operata da Cristo è la novità dei rapporti tra coloro che si riconoscono una cosa sola in lui e vivono per gli altri, come lui.
Questi fatti di Chiesa sono brani di una società nuova, già rivoluzionata. Che cosa in concreto noi chiediamo alla scuola?
Non soltanto un'informazione più ampia e attuale, una preparazione più adeguata al mondo del lavoro, un metodo di ricerca e la correttezza del dialogo in una civile convivenza. Ma un servizio alla educazione libera e globale: quella che aiuta a costruire la vita, perché dà unità a ciò che si fa e a quanto si fa. E chiediamo che questo lavoro non si svolga fuori o accanto a ciò che caratterizza la scuola: produzione e trasmissione di sapere.
D. Molti giovani si riconoscerebbero a pennello nella proposta “alternativa” di CL. Forse il punto discriminante è il metodo attraverso cui raggiungere questi obiettivi.
Quali sono le linee di metodo con cui CL si caratterizza?
R. Partiamo da un dato di fatto importante: non può maturare niente di valido se non diventa coscienza del ragazzo.
Ciò che matura fuori da questa coscienza diventa esibizionismo e aleatorietà e la scuola si riduce al luogo di caccia dove afferrare il ragazzo per “portarlo fuori”.
È chiaro che dobbiamo invece recuperare a fondo l'autocoscienza come fattore genetico dell'attività e il riconoscimento come dinamica del movimento. Mi spiego.
Ciò che fa nascere il gruppo è l'autocoscienza di uno che, sentendosi definito dall'avvenimento cristiano e intendendo dare all'avvenimento cristiano tutto lo spessore di concretezza storica e personale che richiede, si riconosce e quindi investe missionariamente l'ambiente in cui è e quindi i contenuti della sua professione.
L'autocoscienza è immediatamente coscienza della comunione, una coscienza della comunione che arriva a porre in discussione il “mio” metodo di affronto per farlo diventare il “nostro” metodo. L'autocoscienza e il riconoscimento sono una dinamica, una concezione, un impulso, una nuova struttura: perciò, come tali, sono immediatamente di tutti e ci aprono immediatamente a tutti.
Uno dei momenti più tipici di questa nuova struttura è il tentativo che perseguiamo di passare dal “gruppo di studio” alla “comunità di lavoro culturale”.
Il gruppo di studio ripropone i termini soliti alla suddivisione del lavoro, legati ad un generico mettersi assieme per apprendere di più e in un minor tempo.
La nostra proposta, invece, non si appoggia ad una logica semplicemente riformista. Secondo noi porre oggi fatti sostanzialmente nuovi in scuola comprende il tentativo di una reale alternativa proprio nel modo di affrontare il lavoro culturale.
Protagonista di questo lavoro è un nuovo soggetto. Nello studio la persona non deve dimenticare, anzi deve recuperare, la propria identità che, per il cristiano, è fondata sulla adesione libera e responsabile a Cristo, come nuovo criterio di giudizio e di azione.
Lavoro sullo studio! Non è un gioco di parole, ma il recupero del significato che la parola “studio” sottende: tensione appassionata, simpatia, impegno di rapporto con un oggetto, persona o aspetto della realtà. Studiare, invece, è ancora troppe volte una forma di alienazione per molti e gioco intellettuale per alcuni: una specie di hobby con cui sfuggire ai problemi della vita.
Se manca il gusto della vita in genere, come ci può essere quello della scuola?
Chi partecipa invece al lavoro culturale, è chiamato a rinvigorire la coscienza di sé e a mettere in gioco senza riserve la stessa concezione della vita. Nessuno che accetti di compiere il primo passo di una ricerca leale e vera, deve sentirsi escluso.
L'accento posto sulla responsabilità non va inteso in senso individualista. Il lavoro è lavoro comunitario: si svolge in una convivenza che garantisce l'accoglienza dell'altro e la valorizzazione dell'apporto creativo di tutti. Salta così il ruolo del leader incontrastato, senza che si mortifichi la genialità di tutti e del singolo; si affina la capacità di comunicazione, spaccando il guscio della timidezza; viene ridimensionato il gioco competitivo, che vizia tanto attivismo della nuova didattica.
Per il cristiano non si tratta soltanto di una condiscendenza cordiale o di pagare il pedaggio alla psicologia di gruppo, ma un modo di declinare la novità dei rapporti interpersonali che si chiama comunione. Emerge così anche la figura del “maestro”: non più funzionario che dispensa contenuti da lui solo posseduti, ma uno che ricerca ancora e si compromette. La sua maggior competenza non verrà rifiutata proprio perché è veicolo di una esperienza che accetta di arricchirsi nella crescita comune.
D. Ci pare importante tentare una comprensione più piena di questa proposta “nuova” di metodo di lavoro.
Potrebbe formulare alcuni esempi concreti?
R. Ho già detto che desideriamo guidare a giudicare i contenuti della cultura che normalmente la scuola passa; giudicare però con una prospettiva decisamente cristiana. È attraverso questa “nuova coscienza”, che diventa davvero autocoscienza, che nasce la comunità.
Impiantiamo dei “seminari” su argomenti specifici. Nella stessa struttura scolastica, quando questa ce ne offre la possibilità o altrove se la scuola non ci apre i battenti.
Il lavoro parte e si fonda sulla lettura del documento. Per documento intendiamo una determinata espressione della realtà o una componente e un aspetto di essa, non importa con quali strumenti siano comunicati. Il documento ci offre lo spunto perché con una serie di domande sia possibile svelare il messaggio che contiene.
Cerchiamo evidentemente un collegamento diretto con le materie scolastiche. Faccio un esempio. In seconda liceo si studia l'impero romano e in questo contesto si analizza l'origine del cristianesimo. I testi scolastici presentano il fatto con una angolatura culturale, priva di ogni coinvolgimento personale. Un giovane che sta prendendo coscienza che l'identità della sua persona sta nell'essere salvato dall'avvenimento di Cristo, non può collocarsi di fronte al fatto con una sola preoccupazione culturale. Stiamo quindi tentando una rilettura in profondità e in dimensione personale.
Leggere significa incontrare con la mia persona quell'aspetto della realtà che il documento mi rende accessibile.
E importante che la dinamica dell'incontro con cui si svolge la quotidiana convivenza in famiglia e tra veri amici non si inceppi nel momento dello studio. Quando non c'è atteggiamento di apertura, di attesa, quando non si è disposti ad accogliere ciò che può risultare nuovo, l'imbattersi in qualcosa altro da sé ingenera solo fastidio. Può anche incuriosire o destare commiserazione senza che per questo si stabilisca una reciproca comunicazione. Si tratta invece di recuperare come fattore fondamentale del metodo il soggetto del sapere, che un malinteso spirito scientifico ha praticamente eliminato dal processo di insegnamento-apprendimento, con il pretesto del rigore dell'oggettività, della presunta neutralità del metodo sperimentale.
Un giovane che studi difficilmente comprende che il primo fattore coinvolto nel suo studio è la sua persona: diventa tanto estraneo alle cose che esse non gli dicono più nulla.
Un ragazzo invece che ha acquisito una coscienza cristiana entra in dialogo con un documento come “La Pentecoste” di Manzoni, recuperando all'interno tutta la fede di Manzoni e il messaggio storico offerto dal documento. Ma sarà soltanto una vita in atto, l'esperienza della comunità iniziale, che permette di togliere dalla cecità della cultura quel documento e riportarlo al suo giusto significato.
Al di là di queste nuove scoperte “culturali”, un fatto emerge come importante. La scuola abitua il giovane all'individualismo, all'isolamento, alla competitività, alla aggressività, tanto che parlare di unità di classe significa per molti pronunciare vuote e retoriche parole... L'esperienza della comunità di lavoro crea questa unità. Anche perché abbiamo la coscienza di fare questo non perché siamo più bravi... ma perché abbiamo incontrato uno spazio, la Chiesa, in cui i rapporti interpersonali non possono che essere rapporti di eguaglianza e di profonda amicizia.
D. Queste ultime parole ci introducono nuovamente nel punto di perno della vostra esperienza: la comunione come luogo di educazione e di liberazione. È una proposta estremamente urgente, proprio a partire da quell'individualismo cui la scuola di fatto spinge.
Che significa “comunione è liberazione”, in un contesto che afferma la priorità dell'impegno politico attivo per costruire la liberazione, anche all'interno delle strutture scolastiche?
R. La verità del movimento di CL sta proprio qui: vogliamo che i giovani facciano una reale esperienza di comunione, che, proprio perché reale, diventa educativa.
Il giudizio sull'ideologia che domina nella scuola non si dà giudicando il marxismo, ma creando un ambito di educazione: perché la presenza dell'ideologia nella scuola deriva dal fatto che la scuola è piegata alla trasmissione di un sapere meccanico, senza rapporti reali. Se la comunione è autentica, educa: perciò l'equazione comunione = educazione è il sintomo più netto che il movimento è nato in una determinata scuola e che è avvertito dall'educatore e dal ragazzo che vi partecipano come l'ambito, in cui l'avvenimento del significato è sperimentato, ipotesi di lettura e di maturazione della propria esperienza personale come liberazione.
La responsabilizzazione non è un fatto di poca importanza: se vogliamo giungere alla comunione e se la comunione è un “essere con”, essa chiama, a titoli diversi, tutti a creare la stessa realtà di vita e quindi la stessa realtà di esperienza educativa.
Comunione-educazione-liberazione è il volto specifico del movimento nella scuola media superiore, ma il termine polarizzante è proprio il termine educazione, perché solo in una autentica esperienza di educazione si attua la liberazione.
QUOTIDIANO E IDENTITÀ CRISTIANA
D. Uno dei problemi più seri che avvertono i giovani è la difficile “saldatura” tra quotidiano e quindi esperienza scolastica, per stare al tema, e la propria identità cristiana.
CL si pone come proposta di sintesi: un preciso impegno cristiano all'interno della scuola.
Come riuscite a realizzare questa integrazione?
Alcune indicazioni sono già emerse. Le chiedo una sintesi ed un approfondimento.
R. Sulla base della nostra esperienza, posso affermare che l'elemento che permette quella saldatura di cui ha parlato è quella che ho definito «l'autocoscienza”: l'incontro tra un soggetto consapevole e la realtà che lo circonda.
Chi è riuscito a porsi la coscienza di essere persona-libera non si preoccupa più del problema dei rapporti tra fede e cultura, tra fede e vita. Tutto è fede ed è quotidiano.
Si giunge alla coscienza che tutta la realtà è bisognosa di liberazione. Il ragazzo non deve inventare grandi cose, per essere cristiano nella sua scuola. Legge tutto in chiave di liberazione: ha bisogno di essere liberato quel professore che da anni si trascina dietro uno stato di frustrazione; ha bisogno di liberazione quel testo che non esprime nulla perché la cultura è diventata il tradimento della cultura; hanno bisogno di liberazione i compagni isolati e stanchi. La metodologia per questa liberazione? Il coinvolgimento nella realtà quotidiana per creare una comunità. La proposta di una comunità cristiana sorge là dove c'è un insegnante o un giovane che fa della sua presenza un annuncio, un annuncio preciso e incisivo, in cui il fatto cristiano diventa fatto culturale perché significativo della realtà vissuta: il cristianesimo diventa, in quella scuola, il significato delle cose.
Lo sforzo più attento è quindi sulla linea di questa “risignificazione” delle cose, di tutte le cose che fanno il quotidiano e che hanno perso il loro significato primordiale, perché si è smarrita la coscienza paolina del
«tutte le cose hanno sussistenza in Cristo”. In questo impegno, è prezioso il contributo che gli universitari offrono: ogni comunità di scuola ha come responsabile un universitario.
Ci sono quindi due impegni convergenti: una forte esperienza di comunione, per creare il fatto ecclesiale e la possibilità di questa risignificazione delle cose.
È la fatica di dare risignificazione a tutto ciò che passa tra le mani del ragazzo: dai libri di testo ai rapporti interpersonali, a quanto gli viene chiesto di imparare.
Per questo motivo, il luogo naturale d'intervento è la scuola: ed anche questo contribuisce a quella integrazione tra fede e vita da cui siamo partiti nella risposta.
I MOMENTI FORTI
D. Ogni esperienza che si rispetti... alterna un lavoro di routine a momenti-forti di particolare significato per dare tono al quotidiano.
Finora abbiamo parlato della presenza “normale” di CL nella scuola.
Può indicarci quali sono i momenti-forti (se ce ne sono) che voi mettete in progetto per raggiungere gli obiettivi?
R. Il nostro metodo, insisto, prevede un intervento per creare uno spazio comunitario nuovo, all'interno della scuola, attraverso rapporti continuativi tra ragazzi e insegnanti.
Il nostro movimento c'è perché c'è la scuola e non vive perché c'è la scuola. Se infatti il movimento esiste perché c'è la scuola, finisce con la fine dell'istituzione scolastica; se invece vive nella scuola, continua anche oltre la scuola.
La condizione della scuola è una categoria qualitativa, di quanti intendono dar vita ad un luogo di autentica educazione, in cui sia assunto il significato dell'esperienza umana: posso definirla quindi luogo di una socialità nuova, dove la vita con i suoi interessi di conoscenza e di prassi venga vissuta in comunione.
Le due facce che il movimento tende ad avere, il volto della presenza nella singola scuola ed il volto della presenza nella città, hanno la loro verità nel fatto che la comunità che si forma è una comunità stabile, un luogo di vita, di trasformazione delle esperienze della persona. Questo permette il superamento della divisione tra tempo libero e lavoro scolastico, verso la formulazione del concetto di tempo pieno, di educazione permanente da vivere nella comunità, il cui soggetto è la comunità, il cui ambito è la comunità.
Precisato questo, posso parlare dei momenti che sono stati chiamati “forti” e che per noi hanno significato in esclusivo e pieno rapporto a quella presenza nuova da vivere nella scuola.
Una volta al mese abbiamo la “scuola di metodo”, tesa ad aiutare il giovane a scoprire il suo porsi dentro l'ambiente della scuola. Si approfondiscono le motivazioni, per giungere ad una maturità che guidi ad un nuovo essere nei confronti della scuola.
Le scuole di metodo vengono riprese nel “raggio” settimanale, in incontri cioè a livello di classe o di scuola in cui viene verificato il nostro essere nella scuola alla luce della Parola di Dio.
Quotidianamente ci ritroviamo per la preghiera, prima della scuola. In alcuni casi nell'ambiente stesso della scuola; in altri – ed è la situazione normale – in una chiesa vicina al plesso scolastico.
Ogni anno abbiamo un incontro nazionale di studio, di comunicazione di esperienze, di preghiera. Lo scopo fondamentale è di creare unità nel movimento: una chiesa che mantenga il volto unito, perché se una comunità non è segno di unità... non è nulla.
Quest'ultimo aspetto mi fa aggiungere l'insistenza che avvertiamo di una unità a livello nazionale nel movimento: esiste una équipe nazionale che raggruppa i responsabili delle varie città. Se cresce qualcosa e CL comincia ad avere un peso è grazie all'unità.
Non ci sta a cuore la quantità e neppure una tendenza associazionistica di potere. Potrebbe crollare tutto e non piangeremmo...
All'unità invece teniamo molto. Perché il movimento è un ambito di amicizia: tutto ciò che è di ordine strutturale, è nato spontaneamente, in forza dell'amicizia.
Per creare unità e comunione abbiamo organi di stampa e di circolazione di idee. Per i giovani della scuola secondaria superiore, per esempio, “Undicesima ora”.
COME REAGISCE LA “SCUOLA”?
D. Un autore ha scritto: “Non so esattamente cosa ho detto, prima di sentire la risposta a quello che ho detto”.
La proposta di CL suscita certamente un rimbalzo all'interno della scuola. Come reagiscono gli “altri”?
R. I giovani di CL sanno che uno dei momenti impegnativi per un coinvolgimento pieno nella vita della scuola sono le assemblee: coloro che hanno la coscienza di poter essere alternativi ad una determinata situazione, parlano, prendono iniziative.
Per questo i rapporti sono estremamente dialettici, non certo di pacifica convivenza. L'amicizia con tutti, d'accordo. Ma il confronto rimane molto duro, aperto, in qualche scuola ci è giunti ad una vera lotta tra CL e i marxisti, sul modo di condividere gli spazi politici da usare nella scuola, sulla nuova concezione di scuola, sulla convocazione e sui contenuti per l'assemblea.
Dove la comunità è ai primi passi o è catturata da un certo intimismo integrista, allora la presenza di CL non emerge: si è considerati “bravi bambini” ma inutili e senza incidenza.
Un elemento che ha creato scandalo è stata l'introduzione di momenti di preghiera all'interno della scuola.
D'altra parte, abbiamo chiara la coscienza che l'identità cristiana ci chiede di essere presenti e di intervenire. Il nostro è un tentativo di chiesa nell'ambito studentesco. Non ci riteniamo infallibili e ci chiediamo una conversione permanente e la correzione che edifica, non quella sussurrata alle spalle. Da chi ha maggior esperienza ci aspettiamo l'aiuto a non mortificare lo scomodo coraggio per affermare con il sì, se è sì, e per denunciare con il no, se é no. Il resto viene dal compromesso, che è pur sempre una forma di inganno.
In fondo, non cerchiamo la luna nel pozzo. È troppo chiedere che la scuola educhi l'uomo, tutto l'uomo? È pretesa che, nelle 5 e più ore al giorno, non si debba dimenticare o contraddire la matrice che dà gusto al reale?
Per noi, oggi e anche domani, la liberazione si identifica con l'educazione. Quella vera, cioè globale. E chiediamo a tutti che non si neghi a chi ha trovato in Cristo il significato di sé e della storia, e vive nella chiesa un'esperienza di liberazione in atto, la possibilità di trovare ancora maestri, per generare una cultura non formale.