U.S. Labor di Torino
(NPG 1978-10-21)
Immaginatevi un quartiere di una grande città come Torino. Un quartiere di mezza periferia, con tanti casermoni e neppure un piccolo spazio verde dove poter correre e divertirsi.
In un posto come questo gli oratori con i loro cortili (magari asfaltati, ma pazienza) e due porte di calcio diventano una specie di paradiso terrestre.
Ed in effetti nel cortile della parrocchia del quartiere passavano i loro pomeriggi tutti i giovani dei dintorni eccetto alcuni che la rifiutavano per credo politico o religioso o che, a causa della loro posizione sociale, non volevano mischiarsi con la «plebaglia».
Immaginatevi ora che in un posto come questo, mentre costruiscono una nuova chiesa, realizzino sotto di essa una palestra da fare invidia, allora (circa 10 anni fa), alle squadre delle massime divisioni.
«Avranno dovuto mettere i cordoni di polizia per fermare le folle che volevano usarla», direte voi. Niente di tutto questo. Quella palestra rimane inutilizzata per un paio d'anni. Solo un accordo col Comune, che vi sistemò le ore di educazione fisica di una scuola vicina, impedì che restasse sempre vuota. Sempre tramite il Comune arrivavano ogni tanto società sportive con sede anche molto lontana che, quindi, potevano utilizzarla per tempi molto brevi.
Un giorno, alcuni ragazzi della parrocchia decisero che era ora di sfruttare quel capitale a disposizione. La molla che spinse il primo passo era soltanto la voglia di fare qualche partita di pallavolo fuori dal campetto dell'oratorio. Nacque una squadra, poi due. E con due squadre sorse immediato il problema degli allenatori. Ci voleva gente preparata e così andammo in tre o quattro ai corsi per allenatori del Centro Sportivo Italiano.
Si trovò essenzialmente uno spazio per discutere con altri del fenomeno sportivo italiano, di come noi stessi ne facevamo parte, di cosa si poteva fare per cambiare le cose. Inoltre imparammo a fare tecnicamente bene gli allenatori. Confrontammo quello che ci era stato proposto con la nostra esperienza di cristiani e con la nostra voglia di vivere un'esperienza liberante.
Si scoprì quindi non solo che era bello giocare insieme, ma che poteva essere un momento di crescita e di liberazione per tutti, purché vissuto in alternativa al mondo sportivo dominante (ma dominato dal potere economico). Era perciò, quello che avevamo cominciato, un discorso da aprire a tutti.
Nacquero così altre squadre, soprattutto giovanili. Ed infine nacque il Centro di Formazione Sportiva per ragazzi dell'età scolare (uno dei primi a Torino). Era un punto di arrivo, perché si giungeva a concretizzare il discorso dell'apertura dello sport ai più deboli, a chi ne aveva più bisogno, a chi non aveva la forza per conquistarselo. Ma era anche un punto di partenza, perché si cominciava ad incidere sulla realtà sociale del quartiere. Si usciva dal gruppo di amici e dal cerchio di ragazzini che gravitavano intorno alla parrocchia, per rivolgersi ad una realtà più ampia, per trasformarla.
Aumentando l'attività venne anche il problema di cercare altri spazi; la prima palestra non bastava più. L'incontro con la struttura scolastica a cui ci dovevamo rivolgere per forza (era infatti il solo ente pubblico gestore di impianti sportivi in zona), fu all'inizio soprattutto uno scontro, più che altro per le infinite pastoie burocratiche a cui non eravamo abituati. Col tempo, comunque si riuscì a superare anche questa difficoltà.
Purtroppo però le palestre, anche se pubbliche, costano, ed i nostri bilanci rischiavano di andare in rosso. Fin dai primi tempi avevamo deciso di autogestirci anche dal punto di vista finanziario, ma questa decisione stava vacillando sotto i colpi delle spese da sostenere.
E spuntò qualcuno a proporre un abbinamento, che ci avrebbe coperti finanziariamente. Nelle assemblee periodiche ci furono discussioni molto accese sulle scelte da prendere.
Alla fine si scelse la libertà.
Si doveva e si voleva affermare il diritto della gente di fare sport anche senza rivolgersi al solito padroncino, che oltre ai soldi poi vuol metterci anche qualche altra cosa. Si voleva affermare che la possibilità di svolgere attività sportiva è un diritto che deve essere garantito dale strutture pubbliche e che, in mancanza di esse, deve essere garantito dalla partecipazione di tutti.
Questa fu una scelta difficile e non priva di conseguenze per la struttura stessa della nostra società sportiva. Fu infatti la prima crepa che portò, dopo qualche tempo, ad una scissione.
Nel frattempo si era infatti cresciuti dal punto di vista sia quantitativo sia tecnico. Una squadra era passata a fare attività nella Federazione Italiana Pallacanestro ed era arrivata a disputare il campionato di Promozione. Questa attività costava naturalmente molto di più di quelle giovanili e la decisione di non fare l'abbinamento la toccava in modo particolare.
Scoppiarono così in breve molte contraddizioni che si possono, grosso modo, rappresentare con questo specchietto:
I gruppo
1. Abbinamento
2. È sufficiente conoscere la tecnica per fare l'allenatore
3. È giusto scegliere di fare attività in Federazione
II gruppo
1. Autofinanziamento
2. Per fare l'allenatore occorre: conoscere la tecnica - saperla insegnare - sapere come si sta in un gruppo
3. Fare attività federale, come scelta, oggi, vuol dire essere conniventi col( mondo sportivo dominante
Si arrivò in breve ad una scissione. Nel I gruppo confluirono la squadra di Promozione e la Juniores; nel secondo tutte le restanti squadre giovanili, gli istruttori del Centro di Formazione Sportiva, e tutta l'attività femminile. Già perché, anche se non è stato detto prima, perché per noi è una cosa naturale, fin dall'inizio all'interno della nostra società sportiva esistono gruppi sia maschili sia femminili, ed anche questo nella realtà sportiva di oggi è importante. In questa piccola storia della nostra esperienza siamo arrivati ai giorni nostri. Se diamo ora un'occhiata al nostro quartiere vediamo che Centri di Formazione Sportiva ormai ce ne sono molti, quasi tutte le scuole aprono in qualche modo le loro palestre all'attività sportiva della popolazione, hanno trovato persino il modo di regalarci un piccolo giardino pubblico.
Quella stessa gente che dieci anni fa non si accorse neppure dell'apertura di una palestra, oggi fa i salti mortali per mandare i figli al Centro di Formazione Sportiva od ai Centri di Nuoto Comunali, od a iniziative simili promosse dalla scuola, e talvolta se ne fa essa stessa promotrice.
Non si vuol dire con questo che il cambiamento di situazione e, tutto sommato, anche di mentalità sia merito nostro. Ben altri fattori hanno contribuito a questo progresso. Certamente però esso è dovuto anche a chi, nella propria situazione, ha operato per mettere anche lo sport a servizio dell'uomo, le tecniche sportive a servizio della sua crescita e della sua creatività, le regole sportive a servizio della sua libertà.