F. Garelli - V. Marrone
(NPG 1971-10-95)
PASQUA 1971: UNA ESPERIENZA
«... in questi giorni ho pregato. Anche quando ero silenziosa mai la mia preghiera fu solitaria o isolata: era la lode di tutti allo stesso Cristo, al Cristo Risuscitato. La preghiera era diventata per me parte integrante di una vita veramente comune. Un aspetto particolare di quel condividere che veniva prima e si prolungava dopo» (Luiselle).
«Durante questa notte di preghiera, mi ha colpito molto la zona di silenzio che si riusciva a mantenere nella "cripta"... Si sentiva un'atmosfera intensa, un grande silenzio, rotto da lunghe melodie cantate, da alcune "Ave Maria", dal suono di una chitarra e poi di nuovo silenzio. Alcuni si addormentavano a volte ma senza dubbio, se il Signore nel Vangelo fosse venuto in quell'istante avrebbe contato soltanto la gioia di essere stato veramente atteso» (Aldo).
«Come non-credente, devo dire che sono rimasto colpito dalla possibilità di una nostra intesa profonda su parecchi punti importanti, anche se dietro l'apparente diversità delle opinioni. Ho scoperto il cristianesimo dall'interno, non più attraverso i libri, ma attraverso i cristiani stessi. È così che ho potuto capire la risurrezione del Cristo...» (Cris).
«Non avevo scoperto il valore della preghiera, della meditazione prima di venire a Taizé; non ero sceso profondamente in me e costatato il mio fallimento. Una scoperta continua di me, attraverso il Cristo e nelle persone: ecco cosa sono stati per me questi giorni» (Elène).
Queste, alcune impressioni dei giorni trascorsi a Taizé durante la Pasqua 1971; le abbiamo colte girando sui prati di Taizé tra le centinaia di piccoli gruppi che discutevano, riflettevano, pregavano.
Tutti i partecipanti a Taizé vengono invitati a dividersi in piccoli gruppi, per meglio facilitare un dialogo, per permettere a ciascuno di parlare e più ancora per vivere effettivamente una relazione fraterna con gli altri. A queste «cellule» provvisorie è chiesto di vivere insieme: pasti, tempo libero, svaghi, ed è chiesto di riflettere su cosa suggerisce a ciascuno il tema proposto, sulla base della propria vita.
«Nel nostro gruppo c'erano due italiani, un ragazzo e una ragazza, un monaco argentino, un olandese, due giovani sposi belgi in viaggio di nozze... terribilmente simpatici e spontanei!, e poi alcuni francesi.
I primi incontri furono difficili, direi quasi penosi. Gli stranieri parlavano francese, ma con un processo di riflessione e d'espressione molto lento. Allora ci siamo allenati all'ascolto, abbiamo accettato tutto il tempo necessario... Stupore! Abbiamo scoperto tra di noi un poeta e poi tutta una gamma di persone tutte diversamente concrete» (Jean).
Ogni «cellula» prepara una sintesi oppure riferisce un fatto significativo scoperto in questi scambi. Durante le riunioni generali, sotto la «grande tenda» si mettono in risalto le linee di forza delle riflessioni e delle discussioni.
La «grande tenda», attorniata dalle piccole tende da campeggio, è per i giovani un segno di provvisorietà, di passaggio, di adattabilità, di disponibilità; «Dio ha piantato la tenda tra le nostre» dicono con soddisfazione.
una tenda da circo che continua la Chiesa della Riconciliazione. Per poter ospitare tutti i giovani che avevano annunciato la loro presenza durante il periodo pasquale i frères hanno abbattuto parte della facciata della Chiesa; «gli edifici sono a servizio degli uomini!».
Sotto la «grande tenda» i gruppi diventano l'assemblea riunita in Cristo, le discussioni si trasformano in preghiera, il pane in corpo di Cristo. La preghiera segna il ritmo della giornata a Taizé; con la preghiera si scende nel profondo dei problemi, si giunge alla scoperta di Dio.
«... vivere con Lui dal più profondo di se stessi. Pregare con la propria vita, le proprie azioni, le parole, i silenzi, così come si riesce. Essere in comunione con Dio. Scendere in profondità, scoprirvi Dìo che è Amore, correre verso gli altri. Oppure, correre verso gli altri, scoprirvi Dio, ritornare a se stessi. Dio accetta tutti questi movimenti. Tutti i passi di danza di colui che ascolta, si accorda al suo ritmo, segue la sua musica. Parlare a Dio, ma soprattutto tacere, scavare se stessi, cercare Dio. Ascoltare il mistero in noi; ascoltare la domanda che è voce di Dio che ci chiama e si aspetta la nostra vita come eco e risposta».
La salmodia sobria e ben eseguita alternata a lunghe pause di silenzio, e i canti profondamente spirituali permettono ad ognuno di ritrovare se stesso e di «sentire» Dio.
Sotto la «grande tenda» si sente la presenza di Dio ed i frères in saio bianco sono i primi testimoni di questa presenza.
La preghiera, la meditazione, il silenzio, la gioia del Cristo Risorto passa dai frères ai 7000 giovani che con contagiosa letizia esplodono:
«Le Christ est vraiment ressuscité. Alleluja!».
E dalla tenda passa alla strada, sulle macchine, in motoretta, per la campagna, al «cratere», dove alla sera ci si riunisce attorno al fuoco.
«La festa è anche una riunione attorno ad un fuoco di campo». Un cratere preparato dai giovani, con terra e sassi, assi di legno, pietre, che fa pensare anche a un teatro circolare.
I giochi di luce son lasciati alla fantasia delle fiamme. La chitarra ha un gioco molto attivo. Si canta la vita, l'amore, l'amicizia, l'essere insieme, la libertà. Si grida forte il rifiuto della guerra, della miseria, del razzismo. Si annuncia la liberazione degli oppressi, si proclama che il Cristo risorto è il salvatore dell'umanità.
E prima di terminare la grande giornata, la Festa, ancora i giovani si ritrovano sotto la tenda nell'incontro con il fratello priore. Gli pongono le domande più disparate.
Frère Roger cerca di dare, come dice lui, «un inizio di risposta, un po' come un mio dialogo interiore».
«Cosa ne dice di 7000 giovani qui a Taizé?».
Risposta: «Taizé non ci appartiene più...».
Taizé è dei giovani, il paesino che hanno scelto per realizzare un incontro vero, per ascoltare la Parola di Dio, principio di unione e di fusione, per riscoprire il valore della preghiera autentica, per apprezzare il silenzio, quello che scava dentro fino a ridurti allo schema essenziale della tua personalità, per celebrare nella liturgia la comunione in Cristo con i fratelli, in un clima di spontaneità per annunciare il Cristo Risorto.
In questo clima procede la preparazione al «Concilio dei giovani».
IL CONCILIO DEI GIOVANI
Che cos'è il concilio che i giovani stanno preparando nel secondo anno dopo l'annuncio?
Non si sa quando il concilio verrà effettuato, né in che modo, né in quali forme. Sta comunque emergendo la consapevolezza di non poter fare un grande congresso dei giovani per affrontare importanti problemi.
C'è la coscienza di operare in questo campo una scelta: i giovani si stanno orientando verso un concilio che sia una trasformazione personale, un'avventura interiore, una ricerca, una festa, una conversione che tutti debbono fare, accomunati nell'unanimità di intenti e di volere.
Poi potrà anche venire una grande celebrazione, tutti insieme, di quello che ognuno avrà già fatto, una «epifania» di un certo grado di rinuncia e di amore su cui ognuno ha cercato di costruire la propria vita. La conquista di un modo di vita non può che essere graduale, sofferta secondo tempi lunghi di maturazione e di impegno.
Le tappe di preparazione rappresentano quindi per la realizzazione del concilio una fase essenziale ma non già predeterminata. Non si sa quanti anni saranno necessari per compiere questa maturazione: si procede con la speranza, anzi la certezza che Cristo saprà suggerire ai giovani quanto da essi vuole, e che le risorse più importanti per l'andamento del concilio saranno l'immaginazione di chi lo vive, la preghiera, la scelta dell'interiore e dell'essenziale.
PRIMA TAPPA
I giovani hanno trovato il primo punto di incontro e di unione nella fede, nella scoperta di un annuncio, di una certezza: «Il Cristo risorto viene a suscitare una festa nel più profondo dell'uomo».
Questo è il tema che è stato trasmesso, meditato e vissuto per tutto il 1970 negli incontri estivi a Taizé e portato dal gruppo di animazione in tutto il mondo.
Dal 14 luglio al 15 settembre, nove incontri internazionali di una settimana ciascuno si sono succeduti senza interruzione, da un lunedì all'altro. Saranno in tutto 20.000 giovani, di 65 paesi diversi, che avranno soggiornato a Taizé per la preparazione del concilio dei giovani.
L'operaio di Milano, lo studente della Sorbona, l'agricoltore d'Albi, il seminarista congolese, i giovani di una parrocchia di Amburgo; cattolici, protestanti, ortodossi, agnostici e atei, tutti si riuniscono tre volte al giorno per la preghiera della comunità.
Ogni lunedì d'estate, da 500 a 1000 giovani rimpiazzano gli altri che partono. Le condizioni materiali di vita sono alquanto rudimentali: ciascuno ha portato la sua tenda oppure trova alloggio improvvisato sotto alcune grandi tende o in altre baracche sul prato.
Gli incontri si aprono il lunedì sera, con una riunione durante la quale alcuni giovani presentano la loro testimonianza.
Dalla consapevolezza che Cristo è risorto scaturisce per i giovani la forza per essere messaggeri di questa notizia e per animare in modo nuovo tutto ciò che è assopito nella realtà dei cristiani.
Nasce «un movimento nascosto e sotterraneo nella Chiesa», un lungo viaggio nel deserto, l'attesa della realizzazione di una promessa.
«Preoccupati dal problema ecumenico, – dice un gruppo di sette giovani partiti per l'Irlanda, per incontrare dei cristiani che lavorano alla riconciliazione dei gruppi ostili – ci siamo personalmente sentiti interrogati da questo conflitto. E là noi abbiamo potuto sentire le cose a un livello non intellettuale. Adesso, non siamo più gli stessi di prima. E tra coloro che ci hanno accolto e noi, qualcosa è avvenuto...
Mentre eravamo a Belfast in un quartiere in cui erano scoppiati dei disordini la persona che ci aveva autorizzati a fare delle fotografie ci disse: "da questa parte della barricata, se qualcuno vi chiede chi siete, dite che siete protestanti; ma, dall'altra parte, dite che siete giornalisti cattolici francesi".
... Ci siamo chiesti che cosa diventava il Cristo in mezzo a questa "guerra santa". Un pastore ci diceva che in Irlanda, c'è molta "religione" ma pochi cristiani. E, nei nostri ambienti, la verità è poi così diversa?».
Dalla fiducia in Cristo nasce anche la fiducia nell'uomo. Il concilio è prima di tutto questa fiducia. In un mondo pieno di falsi valori, di ingiustizie di divisioni e di guerre, malato di individualismo, i giovani fanno appello a se stessi per potersi porre in una prospettiva diversa, per una risposta positiva nella società in cui vivono.
I mezzi per compiere questo salto qualitativo vengono ricercati oltre che in Dio nell'intimo dell'uomo. C'è quindi la fiducia nelle risorse umane, nella capacità di reazione, nel coraggio a volere scelte diverse e anticonformiste. Ascoltare il messaggio di Dio significa mettersi in questa prospettiva nuova di inserirsi nel mondo.
Così piccoli gruppi di giovani cominciano a vivere un po' dappertutto, in Francia, in Italia, in Belgio... in Africa, in Asia, in America. Il concilio è una realtà da vivere più che da descrivere: impegnandosi nell'avventura interiore, in un condividere in gruppo, molti giovani cercano un modo di vita che possa concretizzare la loro partecipazione alla preparazione del concilio. Le ricerche in questo senso sono molteplici: lavoro sociale con dei migranti, degli handicappati o dei vecchi, impegno politico, sindacale, parrocchiale ecc...
SECONDA TAPPA
All'ascolto di Dio subentra l'ascolto degli uomini, da qualunque parte essi invochino o abbiano qualcosa da comunicare. Dio infatti si manifesta così, attraverso quelli che soffrono, quelli che piangono per la giustizia. Basta saper interpretare quanto la realtà manifesta, ascoltare il linguaggio degli uomini che invocano la giustizia, per conoscere che cosa Dio voglia da noi.
Per liberare gli altri è necessario liberare se stessi da tutte le pastoie in cui si è immersi: in questa riconduzione all'essenziale, in questa riconciliazione con se stessi, in questo semplificare la propria vita per donarla agli altri si manifesta l'unità dei giovani. Le scelte personali che li hanno tante volte divisi sono sostituite da una comune scelta che li unisce: una scelta verso l'autenticità, verso l'amore, verso la liberazione dell'uomo da realizzarsi sia in sé che negli altri.
«Cristo risorto ci prepara a dare la nostra vita perché l'uomo non sia più vittima dell'uomo» e questo nel concreto linguaggio di ogni giorno significa «impegnare le nostre energie per rompere con quelle situazioni in cui l'uomo è vittima», vuol dire «spogliarsi dei privilegi», «rifiutare la ricerca della riuscita», «diventare promotori di comunione».
Questa è la seconda tappa di preparazione di quel concilio che ogni giovane dovrà e vorrà essere. Solo a prima vista può sembrare un viaggio senza meta, con molte incognite: in realtà è un cammino lento e fiducioso verso se stessi, verso tutti gli uomini.
Riprenderanno nuovamente le riunioni a Taizé; divisi in grandi gruppi, sotto le tende si riprenderà a discutere, a riflettere a pregare, ma più ancora a sentire come si è data la vita, tutta la vita, non un pezzo, perché l'uomo non sia più vittima dell'uomo.
A Taizé, Pasqua 1971, è cominciata la sfida.