Pietro Gianola
(NPG 1968-05-23)
Scrivo questi appunti di riflessioni da Milano, nel caldo delle agitazioni quotidiane degli studenti medi.
Dall'università la tensione e il movimento si propagano in basso, e stanno fermentando in direzioni diverse. Ho sottomano registrazioni orali o testi scritti di giovani protagonisti.
Il 7 Marzo a Milano il centro della città è rimasto semiparalizzato da una dimostrazione studentesca cui hanno preso parte 5000 studenti liceali e ginnasiali.
Al centro del movimento studentesco di questi giorni è ancora una volta il liceo «Panini», ma il fermento e l'azione interessano direttamente anche altri licei ed istituti superiori medi: Carducci, Berchet. A. Volta, Einstein, V. Veneto, ecc...
Gli adulti (insegnanti, genitori, autorità, pubblico, giornalisti) sono divisi pro e contro, indignati o sorpresi, scandalizzati o lieti i giovani si muovano in quel modo.
Parecchi genitori intervengono preoccupati per le spalle dei figli sotto i manganelli della polizia o per gli esiti degli esami finali... Per i giovani, e per non pochi adulti, le cose vanno in modo più serio. Si ha l'impressione che qualcosa d'importante stia maturando. Forse si è incominciato un movimento che porterà lontano?
IL «MOVIMENTO GIOVANILE» AL PRINCIPIO DEL SECOLO
Tra la fine del secolo passato e l'inizio di questo, i giovani, prima gli studenti poi i lavoratori, soprattutto in Germania, sono stati protagonisti di un vasto profondo dinamico «movimento giovanile».
In quegli anni essi accentuarono la coscienza di sottogruppo, di società nella società, la comunanza di situazioni di tensioni, la volontà di soluzioni.
Il fenomeno all'inizio era largamente protestatario: protesta contro l'effettivo vuoto di umanità autentica e profonda dei modelli di vita e degli ideali dell'ambiente borghese familiare, cittadino, statale, europeo. Alle limitazioni di una cultura troppo razionale, alla grettezza utilitaria e materialistica delle strutture e dei complessi produttivi industriali finanziari commerciali, all'illusorio interesse per una vita vissuta sotto il segno della ricchezza, del benessere, della potenza, alle inautenticità delle morali puritane, alle pratiche religiose di tradizione, evasive o compensatorie, all'educazione formalistica... i giovani a gruppi, a schiere, a ondate, in un crescente movimento, contrapposero espressioni di rinnovata vitalità, di spontaneità, di comunità interpersonale, si buttarono al contatto ricreante della natura, riscoprirono l'amicizia, approfondirono il sentimento religioso, scelsero forme d'arte più libera e sincera, ispirarono forme educative poi definite nel grande movimento scautistico, negli istituti, nelle scuole, nelle iniziative educative ispirate all'attivismo...
LA CAPTAZIONE POLITICA
Una forza così capace e promettente non poteva essere lasciata a sè. Perciò i «sistemi» politici, economici, sociali, nazionali, accorsero per incanalarla, per convogliarla verso i propri scopi, per farne massa di manovra e di attuazione dei propri piani, mascherandosi di una giovinezza che invece era ben lontana dalla verità. Dopo le falsificazioni nazionalistiche e patriottiche di tutti i fronti della guerra 14-18 che mandò al massacro intere generazioni di giovani, venne il povero ventennio fascista, socialcomunista, poi nazista e infine falangista, con le sue bandiere e fanfare, con i suoi specchietti e i suoi fanatismi, ma soprattutto con l'asservimento della gioventù e del suo impulso vitale entro vicoli ciechi di potenza, di espansione, di oppressione, di preparazione di una nuova più insensata guerra (dietro, nascosti, i soliti anonimi del capitale e della storia). Una così enorme montatura non poté finire se non coinvolgendo e travolgendo milioni e milioni di giovani nell'assurda carneficina bellica.
Dopo, per qualche anno, i giovani non ne vollero più sapere. Però i vecchi sistemi non sono morti. E lentamente le forze di captazione giovanile ripremono. Ogni partito, ogni ideologia, ogni gruppo di potere, ogni istituzione, guarda ai giovani per la propria sopravvivenza e per il proprio rafforzamento. Per i giovani? Ben poco. Per sé, per il sistema.
LA CAPTAZIONE EDUCATIVA
Sia nel suddetto ventennio, sia oggi, mentre le istituzioni e i gruppi di potere e di potenza sono in ripresa, uno dei grandi strumenti per incanalare le forze giovanili, è l'educazione. Una povera educazione, se si limita a programmi, mezzi e metodi di trasmissione, di inquadramento, di integrazione, di preparazione, ora suggestivi, ora autoritari, ora pseudoculturali o pseudo-morali, entro i vecchi ordini e i vecchi sistemi impersonati dai gruppi adulti.
Gli studenti milanesi accusano la scuola d'essere la grande responsabile di questo processo. Dicono che le loro famiglie si sono spesso prestate al ricatto misurando affetto, approvazione, elogio e riconoscimento, elargizioni economiche ai figli, solo in corrispondenza degli esiti di integrazione, guardando con sospetto, conculcando ogni vento di fronda. Le patacche dorate e i papiri di buona condotta non sono dati all'originalità, ma al conformismo scolastico e disciplinare, con qualche aggiunta catechistica. Non hanno in parte ragione?
Anche la pastorale ha i suoi limiti e le sue colpe. Non è ancora superata l'età degli empirismi, e il presupposto di molta educazione religiosa è che tutto vada bene, e che si tratti tutt'al più di qualche ritocco marginale...
Intanto il Concilio ha dimostrato il contrario. E ha messo allo scoperto che in parecchi settori si trascinavano avanti da troppo tempo ignoranze e preconcetti, visuali monche, snaturamenti della dottrina, dello spirito, mortificazione del laicato adulto e giovanile, della vita comunitaria, dell'educazione. Ma ciò che è nelle dichiarazioni o sulla carta, è entrata solo in minima parte nella prassi di ogni giorno, così che il volto istituzionale della Chiesa che i giovani incontrano, è ancora molto da ripulire affinchè vi risplenda la luce di Cristo.
DI NUOVO UN «MOVIMENTO GIOVANILE»?
Negli anni passati le delusioni giovanili per le istituzioni sociali ed ecclesiali si manifestavano con l'evasione e con l'indifferenza. Oggi sembra che nasca qualcosa di nuovo. E i giovani non possono restare estranei, indifferenti. A scuola ci devono andare, l'educazione la devono subire, in Chiesa parecchi ci devono e ci vogliono andare. E poi sentono un diritto ai beni che quelle istituzioni rappresentano.
Eppure l'impressione che «le cose non vadano bene e che parecchio vada male, che molto sia da cambiare e debba e possa andare assai meglio», oggi è coscienza comune tra loro.
Dal fermento alla tensione. Potenti forze vitali, (le tracce di Dio nell'anima giovanile, di un Dio che ha creato l'uomo per una società molto migliore di quella offerta oggi, per una vita di ben altre dimensioni e modalità), urgono magari mescolate ad altre meno nobili e inconfessabili inclinazioni a false libertà, invidia di benessere e posti di potere, a evasioni in futili pretesti.
Dalla tensione alla protesta. È passata l'età dei capelloni, dei beatniks, era già lontana dal ricordo e dall'attenzione dei giovani universitari e degli studenti medi che occupano università e istituti, che fanno assemblee e stilano programmi, che formano gruppi di studio, che avanzano proteste per il rinnovamento attivo delle cose. Non è tutto oro colato. Ma emergono crescenti aspetti validi. Oggi la protesta non è più fatta con gli occhi languidi e i capelli lunghi, gli abiti a brandelli o trasandati, chiedendo cento lire per un pezzo di pane, nella promiscuità di ragazzi e ragazze in pose vegetali. In questi giorni i giovani studenti sono esplosi in una protesta che è coraggio di gridare a tutti i casi di sopruso di quei professori interessati a tutt'altro che alla scuola, arretrati nei metodi, immobili, assenti dalla viva cultura e dalla società sofferente, nevrotici dotati di potere, incapaci e impotenti ad utilizzare in classe i metodi di dialogo, della ricerca, della discussione, della collaborazione, il vero metodo scientifico proprio di ogni disciplina.
Gli studenti hanno trovato il coraggio di rimproverare agli uomini pubblici più o meno onorevoli, d'essere degli incapaci o degli immeritevoli se al termine di una legislatura hanno interamente profuso i soldi per i
propri stipendi e pensioni, per investimenti e sprechi di ogni natura, per sovvenzioni a tutte le categorie..., ma non hanno saputo fornire le scuole e l'educazione di personale, di attrezzature adeguate e moderne, di nuovi posti e nuovi programmi, di borse di studio e presalari, di vie aperte per tutti i capaci e i meritevoli.
A qualcuno degli insegnanti di religione, o degli organizzatori della vita parrocchiale, hanno dichiarato che la loro istituzione è così inadeguata che sembra fatta apposta per allontanare e per indisporre, per far cercare altrove la presenza e il segno di Dio e della bontà, la difesa e promozione dei valori umani...
Dalla protesta alla responsabilità di nuove ipotesi. È la strada dei migliori. Questi studenti dichiarano di non voler distruggere; vogliono riedificare. Vogliono rompere le incrostazioni, vogliono ridiscendere con responsabilità alla radice delle cose, per saggiare nuove e radicali ipotesi, nuovi e radicali orientamenti giacché molti degli antichi sono inariditi, bloccati. Non sanno se sarà giusto quel che loro tentano. Sono sicuri che come si fa oggi è sbagliato, o è troppo inadeguato.
HANNO BISOGNO DI DIALOGO CON GLI ADULTI MIGLIORI
Verso la maggior parte degli adulti con autorità e responsabilità, provano compassione.
Forse li rispettano, ma hanno l'impressione che la ripresa non passi per quella via.
Verso i migliori adulti è un'altra cosa. Sanno che sarebbe deleterio e assurdo pretendere di costruire rapidamente, con sicurezza, con valore, prescindendo dagli adulti e dalla loro esperienza, cultura e guida.
Ma ora si pone grave il problema: dialogo con quali adulti? È la domanda che si legge nel loro sguardo scrutatore e un po' diffidente.
Vi potrà essere l'accettazione di direttive che i giovani accolgono per necessità, ma senza entusiasmo nè profondità. Vi è un dialogo di fondo, educativo, che è cercato con ansia solo con adulti che rispondono a precise qualità.
1. Umiltà. Non è virtù che trovano molto diffusa in chi è in autorità e negli adulti in genere. Ne avranno altre, ma questa è assai rara. Perché non è propriamente una virtù ma la sintesi di altre virtù mentali e morali, sociali, religiose, professionali, assai difficili da possedere in misura sufficiente. Anzi proprio la inadeguatezza rende assai difficile l'umiltà. Perché quella non può non creare sofferenza. E allora è difficile praticare questa.
È triste essere messi da parte, sentirsi superati, essere inascoltati dai giovani; è doloroso constatare di contare oramai poco o nulla, e di avere qualche rispetto solo in nome degli anni, o delle cariche che si esercitano e che creano obblighi e necessità, ma che non suppliscono l'incomunicabilità spirituale di fondo.
Gli adulti che i giovani giudicano inadeguati, e che i fatti dimostrano tali, sono invece convinti di farcela, convinti che la ragione degli insuccessi stia da molte parti, ma non in loro, così carichi di anni, di esperienza, di saggezza, di buon senso, di equilibrio...! E tengono le «cariche» nelle diverse «istituzioni» con ostentata sufficienza o con aria di consumato «mestiere».
2. Lealtà e autenticità. Non vale più la presunzione di sapercela fare. La vera difficoltà educativa e pastorale non sta nei giovani e nella loro ubbidienza, ma nella necessità di ripensare a fondo e di ridimensionare programmi, principi, metodi, verità, convinzioni, quadri di valori, o almeno di valutazioni. Solo così si diventa leali, autentici, amanti della verità più che del prestigio personale o dei miti impersonali. Una condizione chiave (che invece oggi è largamente inesistente o inoperante nei responsabili educativo-pastorali) e la capacità di autocritica mentale, culturale, pedagogica, pastorale, decisa a rivelare ed espellere, o migliorare trasformando ciò che si rivela vecchio, inautentico, inadeguato, invalido, urtante, ciò di cui le istituzioni di ogni tipo sono largamente incrostate, soprastrutturate. Autocritica personale, dei mezzi, dei metodi..., meglio se collettiva, comunitaria, tanto più valida quanto più spietata, preferendo rasentare l'irrispettosità, piuttosto che arrestarsi sempre alle soglie della verità, della realtà, dei valori, per salvare le parvenze o i canonicati.
Adulti educatori, insegnanti, autorità responsabili, devono rispondere con precisa direzione allo stimolo provvidenziale delle forze giovani. Sarebbe assurdo il complesso di colpa che porta ad arroccarsi in un
vieto paternalismo che si agita per fare tutto «per» i giovani ma «senza» i giovani, ritenuti eterni fanciulloni ricettori.
Così sarebbe assurdo il complesso di fallimento e di inadeguatezza che si conchiude con l'abbandono dei giovani a sé, contrario a ogni legge di natura.
Gli adulti, sospinti dagli avvenimenti, devono muovere alla ricerca di ciò che è più valido, in responsabile collaborazione tra loro, con gli esperti, con i corresponsabili, con i giovani secondo il grado di maturità raggiunto.
CONCLUSIONE
Osservando fatti e documenti, al di là delle intemperanze, mi sembra che i giovani, in un nuovo più maturo movimento giovanile, tornino a diventare ala marciante della società, quale fu il proletariato con le sue spinte che scardinarono e costrinsero ad avanzare gli ordini sociali nell'età contemporanea.
Questa ala marciante giovanile non deve però essere pensata solo o principalmente come forza da incanalare dagli adulti per continuarne i vecchi sistemi, per attuarne i progetti, come sembra accadere nei partiti, nei gruppi di potere e anche in alcuni ambienti di chiesa. La gioventù merita di diventare protagonista del lavoro di fondo della revisione e del miglioramento degli obiettivi, dei programmi, dei principi di metodo, nelle attuazioni di fondo.
Sono già superati i giovani capelloni dalla protesta romantica, ma la storia non si fa con le maggioranze numeriche borghesi dei «giovani per bene» che subiscono i sistemi invecchiati senza soffrire alcun disagio, perché vi ritagliano posizioni d'avvenire sicuro e privilegiato o adeguato alla loro mediocrità morale e sociale. Questi non farebbero che lasciare sussistere le ragioni di fondo di un ricorrente moto di rivolta, di sofferenza, di protesta.
Anche tra i giovani sono le minoranze che fanno la storia. Gli altri tutt'al più fanno massa, si sentono interpretati, seguono. È un gioco pericoloso. Ma appunto per questo occorre che gli adulti non stiano a guardare, non facciano dotti o prudenti o pii monologhi ma scendano in mezzo ai giovani per assumere le posizioni di un nuovo dialogo.
Oso proporre un'ipotesi molto ardita. Forse i decenni futuri ci riserveranno una stupenda rivoluzione. Verrà rovesciato il sistema nel quale gli adulti con facili irresponsabilità fissano obiettivi e impegni come la produzione ad ogni costo, o la potenza, i nazionalismi, o le supremazie e le egemonie di ogni genere, e dichiarano guerre e campagne e poi le fanno eseguire e pagare di persona dai giovani..., (adulti incapaci invece di elaborare autentici nuovi piani, nuove ipotesi di pace, di giustizia, di vero progresso, di libertà, di umanità e grazia). I giovani dovranno prendere «larga parte» nel fissare nuovi obiettivi e ipotesi rinnovate e coraggiose, e gli adulti con la loro esperienza e sapienza dovranno studiare i modi e le vie per una realistica attuazione tecnica, magari correggendo le intemperanze, ma lasciando che la libertà dello spirito che si ripresenta giovane nei giovani di ogni generazione, rinnovi sistematicamente il mondo in tutti i suoi aspetti.
Che Dio mi ispiri e mi aiuti a mettermi da parte appena sarò di disturbo all'avanzare dei giovani, perché sarò d'inciampo all'avanzare della creazione e della redenzione.
Per ora ascoltiamo con umiltà volenterosa la loro denuncia che mette allo scoperto i nostri infiniti limiti; impariamo da essi preziose lezioni e poniamoci al servizio di ogni proposta valida che nel tumulto delle loro intemperanze sanno presentarci.