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    Il disagio e la devianza /2


     

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    Mario Pollo

    (NPG 2012-01-52)


    Dopo la prima parte più prettamente sociologica, che abbiamo pubblicato nello scorso numero di dicembre, in cui abbiamo analizzato le dinamiche sociali al cui interno si colloca ovviamente anche il tema del disagio e della devianza, entriamo ora maggiormente nel merito con un’analisi più particolareggiata e alla fine con alcune indicazioni per gli operatori sul come comprenderlo-affrontarlo dalla prospettiva nostra dell’animazione culturale.

    IL DISAGIO GIOVANILE

    Il Tommaseo definisce il disagio come: «il contrario dell’agio. Dice ora la semplice privazione dell’agio o degli agi, ora malessere più molesto, o venga dallo stato corporeo scomodo, o dall’impazienza dell’animo, o dalla mancanza, in tutto o in parte, di quel ch’è o credesi necessario o utile al benessere in generale, o a tale o tale operazione».
    Anche un dizionario contemporaneo come il Devoto-Oli, lo definisce in modo simile: «Condizione o situazione sgradevole per motivi morali, economici, di salute» oppure come «Mancanza di cosa necessaria e opportuna».
    Come si vede sia dal significato antico che da quello moderno della parola, essa indica una varietà di stati umani esterni e interni alla persona che vanno da una leggera scomodità ad una forma di malessere che deriva da una qualche privazione. L’ampiezza di vissuti, soprattutto in rapporto all’intensità e alla profondità dell’esperienza di malessere, rende la parola disagio un po’ ambigua e, quindi, poco precisa nel designare una situazione esistenziale.
    Quest’ambiguità si esprime allorquando la parola è utilizzata in associazione all’aggettivo giovanile per indicare un arco di situazioni che vanno dal vivere alcuni problemi, come quelli affettivo-relazionali in famiglia, di salute fisica e psicologica, di rendimento scolastico o di adattamento al lavoro, di difficoltà economica, di elaborazione del lutto, di carenza di luoghi di aggregazione, ecc., al protagonismo in episodi di devianza micro o macro criminale, di consumo di droghe e di alcool, di prostituzione, di teppismo, di tentativi di suicidio o di comportamenti di rischio autodistruttivo.
    Si può affermare che l’espressione «disagio giovanile» esprime un approccio al mondo giovanile e ai suoi problemi di tipo debole, sfumato che serve ad alcuni per attribuire la condizione di disagio alla gran parte degli adolescenti e dei giovani e ad altri per rendere più generici e astratti, depersonalizzandoli, i gravi problemi vissuti da alcuni giovani. D’altronde non è un caso che questa espressione si affermi nell’uso sociale alla fine degli anni ’70 e sostituisca, di fatto, quelle di marginalità e di devianza sino allora in uso. È, infatti, in quel periodo che il mondo giovanile, che negli anni precedenti sembrava porsi come un nuovo soggetto in grado di influire sui processi del mutamento sociale, comincia a dissolversi in una molteplicità di frammenti e di vissuti soggettivi, fortemente privatistici, che rendono difficile, se non impossibile la sua lettura e la sua interpretazione come condizione unitaria.
    La categoria del disagio segna il passaggio nell’immaginario sociale degli adolescenti e dei giovani dal ruolo di potenziali costruttori del futuro a quello di portatori del disordine e degli effetti nocivi della vita sociale. I giovani, infatti, in questa fase storica della vita italiana sono presi in considerazione molto di più come soggetti a rischio di disagio che come portatori delle risorse attraverso cui costruire il futuro della società. Ed è questo mancato riconoscimento delle potenzialità insite nel mondo giovanile che è alla base in molti casi di quelle situazioni che sono definite, appunto, come di disagio. Infatti, il giovane non è messo nella condizione di percepire la sua vita come una storia che appartiene a una storia più grande e verso cui ha una personale e ineludibile responsabilità.

    Un’immagine del disagio giovanile

    In questo periodo storico il termine «disagio» è normalmente utilizzato in presenza o di un’acuta sofferenza esistenziale, o di sintomi di disadattamento e di frustrazione o di squilibri nella vita personale o relazionale del giovane. Questo significa che il disagio si manifesta sia nella dimensione sociale sia in quella psicologica della vita dell’individuo e, quindi, non necessariamente in atti di devianza o di trasgressione sociale poiché esso può essere anche solitario e nascosto.
    Questo fa dire agli studiosi del mondo giovanile che esiste in esso tanto un disagio manifesto, conclamato, quanto un disagio nascosto.
    Entrambe queste forme di disagio hanno un comune fondamento, senza il quale, ad esempio, i fattori tipici che sono individuati come produttori del disagio conclamato avrebbero un minor grado di causalità e, quindi, di efficacia. Questa base comune è costituita da quelle caratteristiche della cultura sociale attuale che hanno una forte incidenza nella formazione delle nuove generazioni. Queste caratteristiche possono essere considerate le cause a-specifiche del disagio. I fattori che, probabilisticamente, sembrano influire sull’imbocco dei percorsi che portano alla condizione di disagio una parte del mondo giovanile appartengono a più dimensioni. Infatti, essi riguardano il sistema di valori della cultura sociale, le condizioni sociali di vita degli adolescenti e dei giovani e la loro struttura di personalità. Il disagio appare perciò come il prodotto di un insieme complesso di fattori, nessuno dei quali da solo sembra essere sufficiente a produrlo, ma la cui successione nel percorso esistenziale eleva notevolmente la probabilità che esso si manifesti nella vita del giovane.

    I FATTORI SOCIOCULTURALE DI PRODUZIONE DEL DISAGIO

    Tra i fattori socioculturali di produzione del disagio giovanile giocano un ruolo affatto particolare i valori che orientano la vita del giovane: in particolare sembra giocare un ruolo di primo piano un sistema di valori [1] che è definibile come quello della «vita intesa come ricerca del piacere, dell’avventura, dell’eccitazione e della novità». Questo sistema di valori è presente in giovani che danno un’estrema importanza alla vita eccitante, stimolante, variegata e con molte novità, al piacere, alla gratificazione dei desideri e al godimento attraverso il sesso e il cibo, all’audacia, all’avventura e anche alla creatività.
    Si tratta di giovani che hanno assimilato i modelli edonistico/consumistici della società contemporanea, che hanno bisogno di continue stimolazioni, eccitazioni e novità per trovare la felicità-piacere nella vita. È un sistema di valori che spinge i giovani che l’hanno assunto come centrale nel loro orientamento esistenziale verso una ricerca del senso della vita centrata sull’appagamento della sete di vita all’esterno di sé, nelle cose materiali e immateriali che li circondano.
    È questo un sistema di valori che, non certamente per un pregiudizio moralistico, è portatore di un rischio di disagio per la vita del giovane per una ragione precisa.
    Infatti, l’eccessiva valorizzazione dell’eccitazione, del piacere e dell’avventura comporta inevitabilmente una continua ricerca di nuove forme, luoghi, attività e persone attraverso cui soddisfare il proprio desiderio.
    Questa ricerca può condurre a esperienze limite e ad accettare proposte e occasioni di consumo di sostanze stupefacenti o psicotrope, di azioni rischiose per la propria e altrui vita, di azioni trasgressive o devianti.
    Anche se l’avere un sistema di valori legato alla ricerca del piacere, dell’avventura e dell’eccitazione è per alcuni versi una caratteristica diffusa in buona parte del mondo giovanile, tuttavia il suo eccesso di presenza lo fa configurare come fattore di rischio, specialmente se essa non è limitata, circoscritta da altri sistemi di valori antagonistici.
    Questo fatto indica con molta evidenza che quando l’espressione del desiderio nel giovane non incontra come suo limite, da un lato, l’altro da me con i suoi bisogni, il suo stesso desiderio e la sua libertà e, dall’altro lato, la ricerca di una profonda armonia interiore, dei valori della propria dignità di persona umana, della libertà della coscienza critica, esso può innescare dei percorsi di disagio e di distruttività personale.
    È d’altronde una delle acquisizioni del dibattito sulla prevenzione che i più efficaci interventi preventivi sono quelli di tipo educativo finalizzati alla liberazione delle potenzialità umane personali del giovane, all’interno della riscoperta del legame solidale che lo unisce al Noi attraverso i Tu che incontra nella sua vita quotidiana.
    L’ideologia edonistica/consumistica se non si incontra nella vita del giovane con i valori dell’autorealizzazione nell’essere nell’alterità solidale, rischia di divenire un innesco di percorsi di disagio e fondare lo spreco delle potenzialità umane di molti giovani.
    Questo dato è confermato dal fatto che i giovani, in cui compare un sistema di valori che può essere definito come quello «dell’armonia interiore e dell’alterità solidale», in quanto evidenzia la condivisione dei valori dell’uguaglianza, della giustizia sociale, dell’armonia interiore, del rispetto di sé, della libertà di pensiero e di azione, dell’apertura mentale e della tolleranza e la negazione dei valori del potere sociale e della ricchezza materiale, sono quelli più immuni dall’esperienza del disagio e della devianza.
    Questo insieme di valori individua un gruppo di giovani che dà peso all’uguaglianza e alla giustizia sociale, all’armonia interiore, al rispetto di sé, alla libertà e alla tolleranza, mentre ne dà poco all’autorità, al potere sociale e alla ricchezza materiale.
    Questo dato conferma e precisa come i valori giochino un ruolo significativo nell’influenzare gli stili di vita che possono produrre disagio o al contrario agio nella vita degli adolescenti e dei giovani, e quindi come la cultura sociale trasmessa dal mondo adulto alle giovani generazioni abbia in sé i germi del disagio.
    L’eccessiva accentuazione dell’affermazione individuale, quasi narcisistica, che molto spesso appare dominante nell’attuale cultura sociale, unita a quella che spinge a ricercare il piacere e l’eccitazione come fonte di felicità esistenziale, è uno dei fattori di distruttività che – incontrandosi con i progetti di vita degli adolescenti e dei giovani – può aprirli all’esperienza dei disagio.
    Quando gli stessi adolescenti e giovani incontrano invece la proposta di una realizzazione di sé più profonda, legata allo sviluppo dell’interiorità e della solidarietà, essi si aprono ad una realizzazione di sé che li porta lontani dalle secche del disagio e valorizza la loro capacità di trasformazione evolutiva della condizione umana.

    La famiglia

    Quando la famiglia non riesce a svolgere le funzioni complesse di cui è depositaria, essa diviene un luogo favorevole alla produzione del disagio nelle nuove generazioni.
    Non è un caso, quindi, che le ricerche sul disagio giovanile individuino nella famiglia uno dei luoghi più importanti per la produzione del disagio e/o della devianza giovanile.
    Le famiglie che, da un punto di vista probabilistico e non deterministico, possono divenire più facilmente un luogo facilitatore del disagio, sono caratterizzate da uno o più delle seguenti caratteristiche: svantaggio economico; basso livello di istruzione dei genitori; disoccupazione o occupazione precaria dei genitori; isolamento relazionale della famiglia nel contesto urbano; coppia genitoriale separata o conflittuale; assenza o carenza del ruolo educativo e normativo da parte dei genitori; comunicazione violenta di uno o di entrambi i genitori nei confronti dei figli. Una situazione delle più pericolose dal punto di vista educativo si verifica quando a mettere in atto la violenza è il padre, a cui però fa da contrappeso un atteggiamento iperprotettivo della madre.
    È chiaro che, pur essendo queste le caratteristiche più incidenti, anche il mancato svolgimento delle funzioni educative, di protezione e di cura può favorire l’emergere di situazioni di disagio.

    La dispersione scolastica

    La scuola non è ancora riuscita a emanciparsi dalla funzione di riproduzione delle disuguaglianze sociali, nonostante il suo statuto di scuola democratica aperta a tutti. Questo significa che sovente proprio i giovani che avrebbero un maggior bisogno dell’attività formativa della scuola, vuoi per gli svantaggi sociali e familiari di cui sono portatori, vuoi per motivi personali, sono quelli che spesso sono precocemente espulsi o marginalizzati da essa.
    Molte carriere di disagio o di devianza giovanile hanno alle spalle un’esperienza scolastica negativa. La dispersione scolastica è, infatti, un fenomeno sociale fortemente correlato con i percorsi del disagio e della devianza giovanile.
    La ricerca sociale ha oramai chiarito l’esistenza del nesso, anche se in modo non deterministico, tra la dispersione scolastica e le varie forme di disagio o di devianza in cui sfociano alcuni percorsi esistenziali giovanili.
    La sottolineatura del modo non deterministico vuole indicare che, mentre in moltissime situazioni di disagio o di devianza giovanile sono riscontrabili esperienze d’insuccesso scolastico, non tutti coloro che sono vittime della dispersione scolastica entrano in situazioni di disagio o di devianza.
    Nonostante questa doverosa precisazione, rimane che la dispersione scolastica è uno dei maggiori fattori di rischio presenti nel mondo giovanile in Italia, specialmente quando è concomitante con altri fattori di rischio come quelli costituiti dalle scadenti situazioni familiari, dal gruppo dei pari deviante, dal degrado urbano e così via.
    Non è perciò un caso che nelle storie personali di giovani vittime del disagio si riscontri spesso una presenza molto forte di vicende scolastiche negative.

    Il gruppo dei pari

    Il gruppo dei pari è, in alcuni contesti sociali urbani, uno dei luoghi di formazione del disagio in quanto in queste realtà qualche volta accade che il sistema di norme che il gruppo informale elabora siano devianti rispetto a quelle tipiche della società in cui esso è inserito.
    In queste realtà, infatti, per appartenere al gruppo è necessario assumere alcuni valori e praticare alcune condotte, definite come devianti o perlomeno marginalizzanti nella cultura sociale. All’interno di questi gruppi, che in alcuni casi sono vere e proprie bande giovanili, se il giovane non si associa all’esecuzione di un atto vandalico, al consumo di sostanze stupefacenti o alcoliche, al compiere una bravata o un’azione microcriminale, è stigmatizzato, marginalizzato o, addirittura, espulso dal gruppo.
    I gruppi giovanili informali di questo tipo sono, per fortuna, una minoranza. Tuttavia per molti giovani, abitanti di certi quartieri urbani degradati o marginali, essi sono l’unico luogo di aggregazione. Si tenga poi conto che i gruppi informali che si formano nelle piazze e nelle strade sono una delle esperienze più comuni degli adolescenti e dei giovani italiani. La rilevanza di questi gruppi nel determinare i percorsi di socializzazione e i progetti di vita del giovane che li frequenta è ancora più forte quando questi vive una carenza di relazioni significative con gli adulti.

    L’ambiente urbano

    Anche l’ambiente urbano, in particolare la qualità urbanistica e quindi sociale di un quartiere, ha una qualche influenza sui percorsi di formazione del disagio. Certi moderni quartieri ghetto costruiti in modo anonimo, lontano dal centro della città, privi di servizi sociali, culturali, ricreativi e commerciali, dove è stata concentrata una forte percentuale di popolazione marginale o deviante e dove non esiste alcuna identità storico-culturale, sono uno dei fattori classici nella produzione del disagio e della devianza giovanile.

    La carenza del lavoro

    In tutte le ricerche quantitative e qualitative sul mondo giovanile emerge come il lavoro sia una delle fonti di incertezza e, qualche volta, di ansietà, che oscura il progetto di vita delle nuove generazioni.
    In questa fase storica, come testimoniano anche i più recenti dati europei, esiste in Italia una congiuntura sfavorevole riguardo al lavoro giovanile che colloca l’Italia tra i paesi a più elevato tasso di disoccupazione giovanile.
    L’aspetto che rende questa congiuntura ancora più drammatica è l’ineguale distribuzione della disoccupazione tra le varie aree geografiche del paese. Si passa, infatti, da tassi di disoccupazione giovanile bassissimi in alcune aree del nord-est ad altre elevatissime nella maggior parte delle aree del meridione.
    La differenza tra nord e sud non si limita però, e sarebbe già molto, alla diversità dei tassi di occupazione, ma interessa anche le forme di contratto di lavoro e i tipi di orario. Infatti, man mano che si passa dal nord al sud aumentano gli orari ridotti, i part time, i contratti a tempo determinato e in genere le forme di lavoro precario, tra cui anche quelle «in nero» non tutelate e devianti rispetto alle norme legislative e contrattuali che regolano i rapporti di lavoro.
    Ma non solo. Normalmente i giovani del mezzogiorno guadagnano di meno dei loro coetanei del nord e sono soggetti a maggiori differenze reciproche nell’entità delle retribuzioni.
    Tutto questo si verifica all’interno di una trasformazione della cultura del lavoro che tende a fare della flessibilità e della mobilità, aut precarietà, un paradigma che i giovani debbono interiorizzare se vogliono accedere con una qualche speranza di successo al mercato del lavoro.
    Il livello di soddisfazione nei confronti del lavoro dei giovani risente delle stesse disuguaglianze presenti nella possibilità di accesso al lavoro. Infatti, il livello di soddisfazione dei giovani occupati decresce progressivamente passando dal nord al sud con le punte più elevate nelle isole.
    Oltre a questi motivi «oggettivi» di insoddisfazione nei confronti del lavoro, ve ne sono altri di natura soggettiva e che hanno spesso a che fare con l’esperienza del disagio. Questo si manifesta quando alla base dell’insoddisfazione nei confronti del proprio lavoro vi è una difficoltà di adattamento ai sacrifici, alle delusioni e alle asperità del sistema relazionale, sia una certa idealizzazione del lavoro come luogo della realizzazione personale e non come mezzo di sopravvivenza e di compimento di un dovere personale e sociale.
    Questi due fattori in molti casi rendono questi giovani, con le dovute eccezioni, molto selettivi e scarsamente adattabili ai vincoli di realtà che, anche se non auspicabili, sono purtroppo presenti nel mondo del lavoro.
    La difficoltà di adattamento alle condizioni reali di lavoro conferma l’esistenza di un orientamento poco realistico e maturo verso il lavoro, a causa di una idealizzazione centrata sull’autorealizzazione personale e assai poco sulla dimensione sociale del lavoro.
    Non è perciò un caso che le aspettative meno realistiche verso il lavoro siano espresse da giovani che vivono esperienze significative di disagio.
    Si può addirittura affermare che questo tipo di aspettativa diventa una sorta di profezia autoavverantesi, nel senso che produrrà quella difficoltà di adattamento al lavoro che condurrà questi giovani ad una ricerca senza fine del lavoro sognato. Ricerca che termina o con l’abbandono del mercato del lavoro o, paradossalmente, con l’ingresso in circuiti di lavoro altamente precari e, spesso, caratterizzati dallo sfruttamento.
    Infatti, nei percorsi del disagio è facile incontrare sia l’inaccessibilità di un lavoro regolare, sia una sequela di tentativi falliti di adattamento al lavoro.
    Si può perciò dire che i giovani più svantaggiati o, con una brutta espressione, a rischio, si smarriscono nei percorsi dei lavori precari e irregolari o in quelli generati da una aspettativa irrealistica, che crea una forbice incolmabile tra le loro reali possibilità e i loro sogni a occhi aperti. Un’altra forma di smarrimento questi giovani la incontrano nei percorsi di quell’ozio assistito da un minimo di benessere che li conduce a camminare nelle nebbie del tempo vuoto nel tentativo di dare un senso al proprio esistere.

    Il futuro

    Esiste una relazione abbastanza definita tra l’incertezza verso il futuro e alcune esperienze di disagio. Infatti, l’atteggiamento di incertezza può essere il sintomo della presenza di una forma di angoscia o, perlomeno, di una insicurezza ansiosa verso il futuro.
    L’incertezza verso il futuro appare come il prodotto dell’assenza di un progetto, di un sogno nell’orizzonte esistenziale di molti giovani che non manifestano un vero atteggiamento progettuale nei confronti del futuro, in quanto si limitano a vivere alla giornata o, al massimo, cercano di progettare il futuro a breve termine.
    Questa incapacità di governare la propria vita lungo l’asse storico del tempo si manifesta in una concezione di vita a-progettuale, di una vita cioè che si costruisce attraverso la capacità di cogliere con un atteggiamento pragmatico e utilitaristico le occasioni e le opportunità che la vita quotidiana offre, senza la necessità di porsi domande se queste stesse occasioni sono coerenti o meno con il proprio progetto di vita, ovvero se sono compatibili con i propri sogni di futuro e con la propria storia, individuale e sociale.
    Il risultato è un giovane che vive senza un’etica che non sia quella dell’utilità personale e dell’adattamento alla realtà sociale e alla sua cultura, che non sa assumere impegni a medio e a lungo termine, che non sa sacrificarsi e rinunciare alle gratificazioni che il presente offre in nome della coerenza a un impegno di costruzione di un futuro personale e sociale.
    L’assenza di progettualità si accompagna spesso in alcuni giovani con quella della speranza che si manifesta anche nella loro scarsa fiducia che il futuro sia nelle loro mani, in quanto crede che esso sia nelle mani di poteri che trascendono la loro volontà.
    Di là di ogni considerazione resta comunque il fatto che l’orientamento esistenziale dominante negli adolescenti e nei giovani è sostanzialmente rivolto a consumare il presente.
    Questo sguardo verso il futuro, in generale poco aperto alla speranza, è molto più pessimistico nei giovani che vivono esperienze di disagio. Ad esempio, i giovani che hanno abbandonato gli studi appaiono nelle ricerche in assoluto come i meno ottimisti, seguiti da vicino da quelli che sono stati bocciati. L’insuccesso scolastico e la sua derivata, la dispersione scolastica, appaiono come veri e propri traumi nel progetto esistenziale del giovane, rendono loro ancora più opaca, se possibile, la previsione del futuro.
    Questo vuol dire che l’incertezza verso il futuro, anche se non come causa prima ma derivata, è un luogo di produzione del disagio.

    LE FORME DEL DISAGIO

    Il disagio, come già detto all’inizio, si manifesta anche attraverso forme nascoste, silenziose, e attraverso dei particolari problemi esistenziali, familiari e di adattamento sociale.

    Le forme del disagio silenzioso

    La forma di disagio silenzioso più diffusa sembra essere costituita da giovani che vivono dei problemi relazionali all’interno della famiglia. Vivono, infatti, delle relazioni disturbate da tensioni e da conflitti se non, addirittura, da patologie. La presenza di questi problemi solitamente è all’origine di difficoltà nello sviluppo di mature interazioni sociali e di una stabile identità personale nei giovani che li sperimentano, visto il ruolo che la famiglia gioca nella generazione della sicurezza personale e, quindi, nella crescita umana e sociale degli stessi giovani.
    Inaspettatamente, la seconda forma di disagio silenzioso è quella prodotta da problemi di salute, o fisica o psichica. Questo indica, senza ombra di dubbio, la presenza di un malessere esistenziale che si manifesta nel livello di salute di una parte non residuale di giovani.
    La terza forma di disagio è costituita dai problemi di adattamento nei confronti della propria attività primaria, in altre parole della scuola o del lavoro. La maggior parte dei casi il disadattamento scolastico è prodotto da problemi relazionali, mentre nei casi che riguardano il lavoro si tratta di problemi prodotti dalla disoccupazione o dalla fuoriuscita dal lavoro a causa della cassa integrazione.
    Un’altra fonte del disagio silenzioso si manifesta nell’impossibilità da parte di molti giovani di comunicare i propri problemi con qualche figura adulta significativa. Si osservi che questo si verifica a fronte di problemi seri come quelli di un lutto, di una trasgressione grave, di una malattia o di una violenza agita o subita. Questo indica quanto sia appropriata la definizione di questo tipo di disagio come silenzioso, nascosto e solitario. Infatti, proprio per questa sua caratteristica esso solitamente non emerge alla consapevolezza sociale, anche se alimenta – con la sofferenza e la distruttività di cui è portatore – il sottosuolo della vita sociale rendendo più fragili le sue fondamenta.
    Tra l’altro la comunicazione con i genitori è molto debole anche quando i problemi sono conclamati, come nel caso di problemi giudiziari, di consumo di droghe, mentre è totalmente assente nel caso della violenza agita da parte degli adolescenti e dei giovani.
    Tutto questo indica come la comunicazione degli adolescenti e dei giovani, che hanno un qualsiasi tipo di problema, con i genitori non sia facile e praticabile. Essa diventa poi pochissimo praticabile man mano che i problemi si fanno più gravi e si configurano come espressione del disagio conclamato. Proprio laddove il problema è più grave e doloroso, la stragrande maggioranza dei genitori è assente. La comunicazione intergenerazionale in famiglia appare essere uno dei nodi educativi da risolvere se si vuole veramente prevenire il disagio giovanile. Non è un caso che uno dei bisogni maggiormente espressi dai giovani, specialmente nella fase della adolescenza, sia quello dell’ascolto da parte dei genitori e degli adulti educatori in genere.
    Con un’espressione sintetica si può dire che i giovani normalmente si sentono giudicati dagli adulti ma non ascoltati.

    Le forme del disagio conclamato

    Le forme di disagio conclamato più diffuse tra gli adolescenti e i giovani italiani riguardano l’abuso di alcool, l’uso di droghe e il vandalismo. È preoccupante che tre giovani su dieci abusino, almeno saltuariamente, delle bevande alcoliche, e che due su dieci facciano uso delle droghe cosiddette leggere. Questo significa che la cultura dell’eccitazione, dello sballo e della soluzione dei problemi, attraverso la fuga in stati di alterazione della coscienza, sia abbastanza radicata nel mondo giovanile e non solo in esso.
    Non è un caso, perciò, che tra i giovani a disagio sia molto più presente quella costellazione di valori che cerca di rendere significativa la propria vita attraverso la ricerca del piacere, dell’avventura, dell’eccitazione e della novità.
    Se a questo orientamento valoriale si aggiunge la presenza di forme di malessere solitario e non espresso, si comprende più facilmente il perché della diffusione dell’uso delle sostanze stupefacenti e alcoliche.
    Anche la violenza sotto forma di aggressioni e vandalismi ha una presenza significativa e comunque preoccupante, e lascia intravedere, se non controllata e prevenuta, una possibile evoluzione verso quelle forme che affliggono la vita di alcune metropoli statunitensi. In ogni caso essa, pur essendo in molti casi una forma di devianza primaria, non strutturata, può essere la base di partenza verso forme di devianza secondaria e strutturata che i dati indicano essere comunque già presente, anche se in misura più ridotta, nel mondo giovanile.
    Infine occorre segnalare i casi di autodistruttività, attraverso i tentativi di suicidio e la guida in stato di ubriachezza, che riguardano una minoranza non proprio esigua di giovani, a cui bisogna aggiungere i consumatori di droghe pesanti.
    Questo dato deve far riflettere sull’istanza di morte che affligge una parte non assolutamente marginale del mondo giovanile, a cui l’egoismo del presente, l’assenza di senso della vita al di là della ricerca dell’avere, del piacere e del consumo fine a se stesso, sembra aver tolto la speranza e soprattutto la capacità di cogliere l’amore alla vita e la sua promessa di felicità.
    Per molti giovani poi il rischio della morte rappresenta il tentativo estremo o di affermare la propria individualità contro l’anonimato sociale o di conquistare quell’unità mistica con il tutto che la vita opaca del presente non consente di cogliere.
    Infatti, come suggerisce Edgar Morin, «questa affermazione dell’Io nel rischio di morte contiene molto spesso un’esaltazione del Sé».
    La presenza di queste forme di autodistruttività non può essere banalizzata, in quanto interpella la responsabilità del mondo adulto sulla necessità di offrire all’orizzonte esistenziale degli adolescenti e dei giovani sia la conquista della loro identità, messa in crisi dalla complessità sociale, sia la capacità di alterità che sola può metterli in relazione con l’esperienza di amore che tesse la presenza umana nel mondo.
    Lo stesso senso religioso della vita ha bisogno di questo fondamento antropologico per aprire il giovane all’invocazione verso l’assoluta Trascendenza.
    I comportamenti devianti degli adolescenti e dei giovani che abitano il disagio conclamato sono lo specchio crudele attraverso cui è possibile leggere la finitudine della attuale condizione sociale, e scoprire le vie da percorrere per il suo superamento.

    EDUCARE ANIMANDO ALL'AGIO E ALLA «DEVIANZA» CREATRICE CON I VALORI

    Come si è rapidamente accennato, la prevenzione del disagio e della devianza avviene attraverso un’educazione degli adolescenti e dei giovani all’alterità, all’armonia interiore, alla giustizia, alla libertà e alla tolleranza. Il tutto all’interno di un percorso che li aiuti a scoprire ciò che trascende e dà senso alla loro vita.
    In altre parole, si tratta di aiutare i giovani a porre come centro del loro sistema valoriale questo insieme di valori. Tuttavia questi valori possono essere espressi solo all’interno di un più complesso e articolato sistema di valori. L’animazione, come ogni autentico modello educativo, ha un proprio sistema di valori che, come è noto, è strutturato intorno al valore della coscienza e, quindi, della libertà e dell’autonomia della persona umana da tutte le dipendenze che impediscono la sua piena realizzazione. Connessi e inscindibili da questo valore, perché sennò esso perderebbe il suo vero senso, vi sono quelli della solidarietà, dell’armonia e dell’unità con il tutto costituito dalla realtà sociale e naturale in cui l’uomo abita. Quest’unità presuppone una coscienza aperta al dialogo con le dimensioni psichiche che abitano le regioni dell’inconscio e con il mistero del radicalmente Altro. Questo valore della coscienza, proprio perché fa sistema con questi altri valori, è assolutamente diverso da quello proposto dalla cultura dominante e costituito dall’affermazione narcisistica dell’Io.
    Un altro valore forte dell’animazione è quello della «storia». L’animazione accetta sino in fondo la concezione secondo cui il senso della vita umana, individuale e sociale, è nella sua storia. Che lo svolgersi della vita umana nel tempo non è un inutile e vano procedere ma un cammino lungo, faticoso, doloroso ma anche gioioso verso la propria redenzione e salvezza.
    L’acquisizione di questo valore comporta la condivisione dei valori della memoria, come fondamento dell’identità umana, e del futuro, come fondamento della speranza del presente. Dentro questo grappolo trovano spazio i valori del lavoro come contributo alla storia della redenzione della condizione umana e non solo alla sopravvivenza, dell’amore come antidoto al potere nella vita sociale, dell’utopia come fondamento di ogni realismo e della finitudine come luogo sia del peccato (in altre parole della debolezza umana) sia della possibilità della sua sconfitta. Accanto a questi valori vi sono, a essi inestricabilmente connessi, quelli inerenti alla sfera della responsabilità dell’agire sociale. Centrale in questo grappolo è «l’altro da me» come valore, ovvero il riconoscimento che il senso e il valore della propria vita è strettamente interconnesso al senso e al valore della vita delle altre persone con cui si condivide lo spazio e il tempo. È questo il valore dell’amore come fondamento di quella realizzazione umana piena in cui non c’è conflitto tra la dimensione individuale e quella sociale. L’amore dunque come fonte dell’unità profonda della persona con se stessa e con gli altri.
    Un altro valore importante è quello dell’accettazione che la relatività degli elementi che costituiscono la vita umana è compresa all’interno di un assoluto che diventa normativo e giudica, quindi, lo stesso relativo. Quest’assoluto è dato dall’intangibilità di ogni forma di vita umana come espressione del radicale amore alla vita. Questa intangibilità si esprime non solo nel rispetto della vita fisica delle persone ma anche nel rispetto della loro vita psichica e della loro vita spirituale. Questo valore è anche la manifestazione della certezza che in ogni vita umana, anche in quella più povera e disperata, vi è una radicale dignità che deve essere salvaguardata e amata.
    Quest’assoluto comporta come conseguenza che l’utilizzo degli strumenti con cui l’uomo esercita il suo rapporto con se stesso, con gli altri e con la realtà, sia sottoposto alla verifica di come esso rispetta la vita umana. Uno strumento, nonostante il dilagante relativismo, non vale un altro. Alcuni strumenti sono per la vita, altri la negano. Infine, quest’assoluto consente di affermare che ogni situazione umana, ogni persona umana è redimibile.
    La gratuità è un altro dei valori cardine dell’animazione. Questo è un valore che può essere definito trasformatore degli altri. Esso, infatti, dà un senso affatto particolare a tutti gli altri valori e li carica – oltre che della donatività – anche della gioiosità tipiche della festa e del gioco, che possono essere considerati essi stessi dei valori. Gratuità, festa e gioco sono i valori che accompagnano, dopo il dono della Croce, l’impervio cammino della redenzione, dell’uomo nella terra straniera in cui ancora abita.
    Accanto a questi valori finalizzati alla vita attiva ve ne sono altri che sottolineano la dimensione contemplativa dell’esistenza umana, intesa come capacità da parte dell’uomo di sottomettere la sua vita, dopo averne affermato la libertà e l’autonomia, ad un disegno più grande la cui origine è laddove è mistero.
    Questi valori sono quelli del silenzio, dell’accettazione, nonostante i continui sforzi per superarli, dei limiti propri e altrui come luoghi da cui è possibile cogliere la presenza dell’infinito nella storia umana, della capacità del linguaggio, quando si apre al simbolico, di trascendere la banalità per mettere in relazione la vita dell’uomo con il mistero del Totalmente Altro.
    Tutto il sistema dei valori dell’animazione è, infine, giudicato nella sua coerenza dal punto di vista della Fede. Infatti, la Fede pur non intervenendo direttamente nell’azione dell’animazione, la giudica e la ispira.
    È chiaro che qui non è stato descritto tutto il sistema dei valori dell’animazione, che è assai più ampio e complesso, ma solo le parti centrali di esso.
    L’animazione nel suo svolgersi ha la pretesa di comunicare questi valori rafforzando semplicemente la loro presenza, se essi già esistono nella persona del giovane, oppure lavorando perché il giovane maturi quel profondo cambiamento di sé che gli consentirà di esprimere questi valori nella sua vita. Se senza valori non si ha educazione, senza questi particolari valori non si ha animazione e, in particolare, non si ha un’autentica prevenzione del disagio giovanile.

    NOTA

    [1] Questo sistema di valori è stato individuato nella ricerca sul disagio giovanile in Italia condotta dalla fondazione Labos per conto del Ministero dell’Interno una decina di anni fa. Nonostante questo intervallo temporale, i risultati sembrano essere ancora esplicativi ed attendibili.

    [2] Morin E., L’uomo e la morte, Newton Compton, Roma, 1980, p.66.


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