Giovani nel digitale
Esercizi di discernimento /2
«H24 connesso sui profili.
Perché apro un profilo»
Giacomo Ruggeri
Mi metto… di profilo
Domanda tra un giovanissimo e l’educatore: “Sei sui social? Quali profili hai?”. L’educatore si ferma alcuni secondi e poi risponde: “Ho l’indirizzo di posta elettronica; al momento non ho aperto nessun profilo sui social”. La risposta del giovanissimo arriva prima con lo sguardo (stupito) e poi con le parole: “Non ci credo, ma allora tu sei out”. Avere un profilo social è diventato pane quotidiano per tantissime persone, dagli adolescenti agli anziani. Con questo articolo desidero andare dietro le quinte e cercare di riconoscere alcune coordinate che mettono in moto l’apertura di un profilo sui social network. Ne parlo da osservatore esterno, considerato che non ho nessun profilo social (per scelta e al termine dell’articolo spiego il perché).
Sentirmi tagliato fuori: out
Uno dei primi motivi, credo, che spinge un giovanissimo ad aprire un proprio account in un profilo social sia da ritrovarsi nel timore di sentirsi tagliato fuori: out. Nello sport del pugilato quando l’arbitro grida «out» vuol dire che uno dei due avversarsi è fuori combattimento. Nelle dinamiche social funziona un po’ allo stesso modo: se non ho un mio profilo social sono fuori dal ring del combattimento. E per combattimento intendo entrare nella piattaforma del mio profilo caricando foto, video, pensieri, parole, emoji a supporto di quello che posto. L’esclusione dai social network è una questione seria del tempo attuale. Nella mente di un adolescente di oggi, figlio del nativo digitale, si accende una lampadina con la seguente scritta: i miei amici hanno tutti il profilo su Instagram, per cui lo voglio anch’io. Sullo sfondo del profilo c’è il bisogno di essere accettato. Senza il mio profilo social non sono visto, rimango cieco, nessun mi vede, sono un fantasma. In un certo senso credo che sia così: il profilo social è come un abito che vesto per vivere assieme agli altri. Se non ho il mio profilo social sono nudo.
Non sono mai sola!
Se in passato dicevo ci vediamo in piazza o ai giardinetti, oggi dico: ci vediamo su FB. I profili social sono la piazza e i giardinetti dell’era digitale. È un incontrarsi fatto di dita che cliccano, pollici che scivolano sullo schermo dello smartphone da destra a sinistra e viceversa, su e giù, giù e su, occhi catalizzati e ipnotizzati sul proprio cellulare. Lo spazio di incontro è racchiuso in 7x12 cm del mio smartphone (a seconda dei modelli in commercio). Il bisogno di sentirsi, vedersi, parlarsi, scriversi sui social è più forte dell’alzarmi e vedermi di persona con gli altri. Questo passo, avviene dopo. I profili social hanno partorito la «generazione pollice». Pollice e occhio vanno alla ricerca di presenza, compagnia, voglia di sentire e vedere cosa fa il mio amico e la mia amica, dov’è, cosa mangia, quale musica ascolta, che maglietta indossa prima di uscire di casa, ecc. Il tutto real time (in tempo reale).
Che cosa significa per me il profilo social?
Questa è la domanda delle domande. Farmi questa domanda mi aiuta a capire quali sono le vere motivazioni che mi spingono ad aprire (o non aprire) un profilo social. Accontentarmi nel dire tutti hanno un profilo è una motivazione epidermica. È un primo passo utile per scendere sempre più in profondità, andando a ricercare altre motivazioni. Chi ha creato il profilo social non si pone la domanda profonda, si accontenta “di stare a galla”. Conosce le vere motivazioni che mi portano ad aprire un mio personale profilo sui social mi aiuta a capire anche chi sono, chi voglio essere e chi voglio diventare. Dare significato alla scelta del mio profilo è dare senso. Andare in automatico (solo) perché tutti sono sui social è una risposta corta. Ho bisogno, invece, di farmi domande profonde per avere uno sguardo lungo, ampio, vero. Nella scelta di aprire un profilo social vi possono essere anche motivazioni che agli occhi di un genitore e di un educatore possono essere deboli. Non importa. Come primo passo va bene. Ciò che conta è che giorno dopo giorno mi costruisco la mia casa motivazionale. Metto le fondamenta alle mie scelte (e non scelte), alle mie decisioni (e non decisioni), ecc. Per questo ritengo che una via preferenziale sia quella del confronto, dello scambiarsi pareri e opinioni sulle personali scelte. Non si deve essere forzatamente d’accordo (questa si chiama omologazione). Fa bene a tutti, invece, ascoltarsi nella propria diversità motivazionale sui social come via di crescita e maturazione.
C’è profilo e profilo
Facebook non è Instagram, Snapchat non è Youtube. Scegliere di aprire un profilo, rispetto ad un altro, fa la differenza. Dice tanto di me, dice tanto di chi sono agli altri e di chi voglio essere e come essere visto/a. Instagram, ad esempio, si basa sulla potenza delle immagini. Con la foto voglio dire agli altri chi sono e con quali occhi guardarmi. La logica del profilo social si fonda, essenzialmente, su questo principio nel dire: ogni istante mi devi dar da mangiare e tu sei il mio cibo. Con quello che scrivo, carico, posto, condivido sul mio personale profilo social nutro la mia persona. Il profilo social mi scava nell’inconscio, andando a pescare la mia parte ancora sconosciuta. Instagram mi scava con le immagini; Facebook con il bisogno di istantaneità; Snapchat con un soffio di secondi (perché dopo 10 secondi il video si autodistrugge nel cellulare della persona che lo ha ricevuto). Ogni profilo parla di me, mi identifica, io mi identifico in lui e, soprattutto, diventa la carta d’identità per gli altri. Ogni profilo partecipa alla costruzione della mia identità. Nella scelta di aprire un profilo social, rispetto ad un altro, imparo a conoscere chi sono.
Dipendente dal profilo social
Di profilo social mi posso ammalare e “morire”. Diventare dipendente, e non poterne fare a meno, è quanto mai di più facile e possibile possa accadere. Il profilo social crea dipendenza perché io ho bisogno di lui e lui ha bisogno di me. Che tipo di bisogno è? Di essere riconosciuti, apprezzati, valorizzati, stimati, amati, capiti, accettati, coccolati. Come vedi sono tutte parole che, come un puzzle, costruiscono la mia personalità. Dietro ogni bisogno c’è un desiderio e il desiderio si nutre di bisogni. La dipendenza, se non riconosciuta come tale e fermata in tempo, può degenerare in patologia e malattia. In Italia sono in aumento i centri per la cura delle patologie derivate da Internet e dalle dinamiche digitali. Assieme alla cura del tumore oggi c’è la professione del medico per i disturbi creati dalla rete di Internet, come isolamento, fuga, esclusione da tutto e da tutti (quelli che in Giappone sono chiamati hikikomori, persone che vivono h24 in camera davanti al computer, non uscendo mai).
Come mi accorgo che sto diventando dipendente da Internet e dai social?
1) Accendo lo smartphone ogni 20 secondi non per telefonare o risponde a una chiamata ma per aprire il mio profilo e vedere chi c’è, chi non c’è, cosa ha scritto, quale foto a caricato e quale foto carico io, ecc.
2) Sento in me una voglia incontenibile di scrivere qualcosa, qualsiasi, sulla mia bacheca anche se non c’è un reale e serio motivo, ma solo per il bisogno di dire cosa faccio, dove sono, con chi sono, cosa mangio, ecc.
3) Provare angoscia e senso di smarrimento quando non trovo il mio smartphone, con la paura reale di averlo perduto o lasciato sbadatamente da qualche parte (peggio ancora se me l’hanno rubato).
4) Sentirmi abitato da una smania di curiosare in modo morboso i profili social degli altri, solo per il gusto di vedere cosa fanno, dove sono, con chi sono, cosa dicono e come, con che cosa lo dicono (foto, emoji, video, ecc.).
5) Avvertire rabbia e dissenso quando un adulto (genitore, educatore, don) mi invita a chiudere il telefono e parlare assieme agli altri senza essere ipnotizzati dallo schermo dello smartphone.
6) Se nell’arco della giornata il numero delle ore che passo sui social supera il tempo dove faccio totalmente altro.
7) Quando il mio ego e il mio narcisismo non sono nutriti sufficientemente e ho bisogno di cercare altre vie e modalità per dire al mondo che ci sono, che esisto e voglio essere come dico io e decido io.
8) Quando i miei genitori sono costretti a togliermi lo smartphone dalle mani e ‘mettermi in punizione’ perché non li ascolto più, faccio quello che mi pare e mi metto in un atteggiamento di guerra quotidiana.
9) Se sui social è caricato un video dove si bullizza una persona, la si carica di insulti e botte e da parte mia non provo particolari sentimenti di disgusto, anzi, mi sento attratto a sperimentare cosa voglia dire caricare un video di questo tipo sul mio profilo e ricevere tanti like. Questo è un livello di dipendenza molto pericoloso che può chiamare in causa anche denunce penali e risvolti giudiziari pericolosi.
10) Se la prima cosa che faccio quando mi sveglio è aprire i profili social e mi addormento alla sera con lo smartphone sotto il cuscino e la mano che lo tiene ben stretto. Se qualcuno mi fa notare questo mi sta solo salvando da un possibile dirupo dove mi faccio male, ne faccio ad altri. Quello che posso prevenire è tutto di guadagnato rispetto a quanto, poi, devo curare.