Il tempo è superiore allo spazio

Inserito in NPG annata 2015.

Criteri pastorali dalla EG /2

Domenico Cravero

(NPG 2015-08-74)

Il primo dei quattro principi proposti da papa Francesco nell’Evangelii Gaudium (n. 217-237) “per lo sviluppo della convivenza sociale e per individuare una via verso la pace” riguarda la priorità al tempo: “Non bisogna preferire gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi”. È un invito ad assumere, senza semplificazioni e riduzioni, la tensione insolubile tra pienezza e limite, favorendo le azioni che generano nuovi dinamismi nella società. Si possono così coinvolgere altre persone e gruppi che porteranno avanti i processi, finché fruttifichino in pratiche di cambiamento e di rinnovamento della società e della storia. “Noi dobbiamo avviare processi, più che occupare spazi” ricorda, infatti, papa Francesco. Si concretizza qui il possibile servizio e contributo che la Chiesa può offrire alla società di oggi che vive uno snodo delicato e decisivo, proprio riguardo al tempo, cioè al suo futuro. La razionalità tecnologica, infatti, sta generando più inquietudini che certezze e cerca urgentemente nuovi approdi. Il principio della superiorità del tempo rispetto allo spazio richiama la singolarità e il valore della storia. Stimola quindi nei credenti una vera e consapevole teologia della presenza cristiana nel mondo contemporaneo. La società competitiva e consumista ha bisogno di evolvere verso una concezione e una pratica della vita civile orientate alla solidarietà e una nuova visione dell’economia, tutta da pensare e sperimentare. Avvantaggiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi non fa che accrescere la corruzione politica e il disinteresse verso la partecipazione civile. “Lo spazio cristallizza i processi, il tempo proietta invece verso il futuro e spinge a camminare con speranza” (Lumen Fidei 57).
Attivare processi significa pensare e considerare in una luce nuova anche il ruolo della paternità (familiare e sociale) in quanto la generazione è proprio il dare inizio a una vita che poi si svilupperà. La parola del padre (il “nome del Padre” nell’espressione di J. Lacan) testimonia qualcosa di consistente, di sostanziale, capace di scandisce il tempo delle azioni, di indicare la strada di cambiamenti profondi ed efficaci.

Ci manca il tempo

Oggi ci troviamo immersi in situazioni così critiche da mettere in discussione sicurezza, fiducia, autostima e prospettive future. Nella vita quotidiana le nostre attività sono ormai tutte scandite da orari implacabili, la possibilità di incontrarsi è strettamente legata alla fissazione di appuntamenti. Anche l’organizzazione familiare sopravvive grazie all’indicazione dettagliata e precisa di luogo e ora. Ridotto a misura, il tempo ci appare sempre scarso. Diventa un contenitore che le varie iniziative devono riempire. La fretta lo rende ogni volta insufficiente: ci manca sempre il tempo. L’imprevisto appare per lo più come un intralcio che ci “porta via” il tempo. Trattiamo allo stesso modo anche le persone (l’esempio più eloquente, a questo riguardo, è l’esperienza che noi facciamo del traffico).
Il futuro ha sempre rappresentato una promessa, oggi si è trasformato in minaccia.
I giovani sono così diventati particolarmente “poveri”, immobili, smarriti, dipendenti dalle famiglie. Si è creata una situazione generazionale centrata sulla precarietà, una mobilità sociale verso il basso, un ridimensionamento delle attese e dei desideri. I percorsi scolastici universitari tendono ad allungarsi eccessivamente, si abbandona la casa dei genitori sempre più tardi. I tassi di occupazione si sono drammaticamente abbassati ed è aumentata l’età del primo lavoro stabile. Le nuove generazioni hanno perso consistenza numerica e si sentono sempre meno protagoniste della società che abitano. Essi, d’altra parte, non la contestano e non ritengono di doverla cambiare. La madre di tutte le sconfitte è la ricerca estenuante e senza successo di un’identità sociale attraverso un’occupazione stabile. Trovare un posto nella società produce la sensazione di contare e di avere valore. Disoccupazione e isolamento intaccano, invece, la stima di sé e la sensazione di non farcela. Innescano un senso generalizzato d’inadeguatezza di capacità e di mezzi, la perdita della speranza, la sensazione di essere senza futuro. La percezione dell’inutilità di ogni sforzo amplifica la sensazione della vulnerabilità. La vita allora perde senso, sembra vano intraprendere qualunque azione.
Non è necessaria una catastrofe, per far percepire la propria vita senza via d’uscita. Basta una condizione critica che persista irrisolta troppo a lungo. Quando però una condizione di precarietà si stabilizza, si diffonde la sensazione di non avere via d’uscita, di non trovare stabilità in alcun luogo. Il cronicizzarsi della sconfitta minaccia la speranza di farcela, blocca le motivazioni, inaridisce le risorse emozionali. Alla fine, il non trovare lavoro si trasforma in un più radicale e diffuso senso d’inadeguatezza di fronte al mondo. Si perde la capacità di reagire, si diventa indifferenti agli stimoli, si azzera la creatività progettuale. Si perde così, insieme alla speranza, il significato del tempo, viene a mancare il senso della storia. L’adolescenza, sembra guastarsi: molto “divertimento”, scarsissima possibilità di realizzazione di sé e di speranza di avvenire, caduta del sogno della bell’età. È un divertimento però senza piacere, perché senza protagonismo: per questo proliferano i mondi virtuali, chimici o elettronici. La libertà diventa così una prigione. Lo squilibrio generazionale rende non solo la società più iniqua ma anche meno dinamica.

La pastorale dei tempi lunghi

Le acute analisi di B. Stiegler sulla situazione economica e umana del nostro tempo, con riferimento particolare alla condizione giovanile e al fallimento educativo, si concentrano sull’esperienza del tempo. La caduta della motivazione e la perdita del gusto del vivere andrebbero riportate a una condizione che “ben lontana dal produrre una dinamica nuova, fossilizza al contrario il tempo: essa lo congela in un muro del tempo dove il passato e l’avvenire s’annullano e dove si disintegrano tutte le forme d’investimento“ ("Ce qui faitque la vie vaut la peine d’etre vécue” p. 186). La facoltà psichica e spirituale dell’attenzione sta macroscopicamente retrocedendo, al punto che la nosologia americana descrive ora il disagio giovanile prevalentemente con la categoria del “attention deficit disorder”.
La pastorale giovanile si deve attrezzare: la catechesi dei gruppi e le attività dell’oratorio possono essere luoghi dove s’impara a “fermare il tempo”. Il ritmo della vita è troppo veloce, la comunicazione mediatica irresistibile, l’agenda quotidiana piena zeppa. Occorre organizzare la resistenza: contrastare la dissipazione con i momenti della riflessione e del ritrovamento della proprio anima. Anche i tempi della pastorale devono dilatarsi.
La secolarizzazione è un processo di separazione del trascendente dall’immanente che favorisce, come reazione, sia il ritorno della domanda religiosa sia sotto forma di setta (cortocircuito del tempo), sia, l’anelito al vero culto e alla vita autentica. Ma questo richiede tempi più lunghi di maturazione. Per crescere in indispensabile dare tempo alle persone, con un’immensa pazienza, lavorare a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati. Papa Francesco ricorda le parole del beato Pedro Fabro: «Il tempo è il messaggero di Dio» (EG 171).

Fermare il tempo (la riflessione)

Una metodologia formativa adatta per una pastorale orientata alla vita e alla mentalità di fede può essere individuata nella revisione di vita (RdV). Questo metodo, sostenendo l’interiorizzazione e la personalizzazione degli avvenimenti, promuove l’attenzione ai segni dei tempi, la coerenza dei comportamenti e la ricerca della vocazione. Sono dimensioni umane e religiose che il fluire troppo rapido dei vissuti e delle emozioni tende a indebolire. La RdV orienta a una mentalità di fede più matura e responsabile, in sintonia con quanto il Concilio si attendeva dall’intera comunità dei credenti: "La dissociazione, che si costata in molti, tra la fede che professano e la loro vita quotidiana, va annoverata tra i più gravi errori del nostro tempo" (GS 43). I tre verbi della RdV: vedere, giudicare, agire diventano nel documento pastorale conciliare i tre passi della spiritualità laicale: partire dalla vita concreta delle persone e dalla cultura che esse vivono (“assumere”); considerarne i valori e le contraddizioni alla luce della Parola (“purificare”); migliorare concretamente la realtà in cui si vive (“elevare” GS n. 4,11, 34). La pastorale, così orientata, cura la formazione dell’attitudine di fede a lasciarsi interpellare dai fatti della vita, a interpretare e giudicare i segni dei tempi. Nella catechesi dei giovani la sequenza didattica del metodo può comportare altri passaggi essenziali come: Partire dalla vita - Incontrare la Parola - Celebrare - Tornare alla vita. Comune invece è l’invito a raccontare la propria esperienza più che a discutere idee astratte, a confidare i propri stati d’animo, sentimenti, attese, domande, a condividere le preoccupazioni personali e motivarsi all’azione e alla preghiera. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Il testo della catechesi della vita è la quotidianità con le sue gioie e le sue durezze. Le aree vitali, rilevanti, dove raccogliere i “segni dei tempi” e le tracce della vocazione cristiana, si raccolgono attorno alle esperienze umane essenziali che caratterizzano la vita: l’affettività, la scuola e il lavoro, la festa, la socialità, la fragilità della vita. Per “fermare il tempo” è fondamentale l’esercizio del discernimento: esso assurge ad elemento essenziale dell’azione, che deve essere fondata sulla lettura dei segni dei tempi. La fretta dell’agire si rivela negativa per l’azione stessa, perché la pratica cristiana si conforma alla Parola di Dio solo se si dedica tempo al discernimento degli avvenimenti, solo se si ascoltano le persone, solo se si parte dalla loro condizione concreta e reale.

Fermare il tempo (la magnanimità)

La preghiera quotidiana, alimentata sistematicamente dalla liturgia domenicale e dalla preghiera in gruppo, è il luogo più intimo e vero della comprensione di se stessi e del senso dell’esperienza personale. L’interiorità emozionale aiuta a cogliere la dimensione misteriosa della vita, quella che la scienza non conosce e non può spiegare, in quanto unica e incommensurabile, ma che è capace di produrre un profondo e costante benessere personale. Il silenzio, la calma, la distensione sono condizioni indispensabili perché il ritmo quotidiano dell’esistenza lasci emergere la sua dimensione trascendente: lo stupore di fronte alla sacralità della vita e dei legami che danno vita. La quotidianità è il campo dove si nasconde il tesoro del Regno, secondo la convinzione che da sempre condividono i cristiani che, cioè, la “storia è gravida di Cristo” (S. Agostino). La capacità di cogliere il “grande” nel “piccolo” (Lc. 16,9-13) è intravista da papa Francesco nella virtù della magnanimità. Essa, che l'esatto opposto della piattezza e della meschinità, fornisce l’entusiasmo per agire e la passione nel perseguire obiettivi grandi e impegnativi.
La magnanimità è la capacità di vivere il tempo, è la virtù morale della speranza umana, incentrata sulla quotidianità. Prepara anche la disposizione di fede che sa intuire il futuro che Dio sta preparando, i sentieri verso i quali sta chiamando la storia, perché prevalga l’amore sull'indifferenza. Per Dio non è mai troppo tardi perché Lui sa sempre estrarre “dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” Mt 13,52.