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    La felicità paradossale dei luoghi del consumo



    Valerio Corradi

    NPG 2016-02-75)


    Il cambiamento nella geografia dei consumi

    Nei primi articoli di questa rubrica ci siamo occupati dell’esperienza urbana della movida e subito dopo di luoghi ordinari d’incontro quali sono i bar, sottolineando la necessità di coltivare un’attenzione particolare a questi spazi da cui passano la socialità e le relazioni amicali di molti dei giovani di oggi.
    Abbiamo osservato che un’azione incisiva sul territorio che voglia intercettare i giovani e renderli protagonisti nella realtà locale (ecclesiale e non), non possa prescindere dalla sfida della comprensione dei fattori di attrattività di questi luoghi che contengono (insieme ad elementi critici) speranze e bisogni dei giovani spesso non pienamente afferrati di coloro che lavorano nel campo della pastorale giovanile.
    Proseguendo nel nostro percorso di esplorazione degli spazi frequentati dai giovani prenderemo ora in considerazione gli shopping mall, ovvero i centri commerciali sempre più diffusi sul territorio nei dintorni delle città e, per effetto delle politiche di riqualificazione, presenti anche in molte aree urbani centrali.
    In Italia, il fenomeno della diffusione dei centri commerciali è abbastanza recente rispetto ad altri paesi occidentali, con un boom che ha contraddistinto i primi anni ’90 al quale ha fatto seguito un costante incremento numerico e dimensionale di queste oasi dello shopping.
    Ampia è la letteratura che, non senza preoccupazioni, ha evidenziato i cambiamenti generati dalla proliferazione dei centri commerciali. Anzitutto la trasformazione della geografia di molti territori, con alcune aree extra-urbane, un tempo periferiche, che hanno acquisito una centralità fittizia (da “ghost town”) e altre, anche in centro città, un tempo punti di riferimento, che sembrano essere diventate marginali e non più in grado di intercettare e attrarre i flussi di persone.
    Sono inoltre mutate le abitudini dei consumatori, prima basate su un rapporto di fiducia e di prossimità con i piccoli esercizi commerciali collocati perlopiù nei centri storici cittadini e dopo, sempre più orientate alla grande distribuzione organizzata, preferita per l’abbondanza di prodotti e per la sua economicità. Di pari passo con queste dinamiche si è assistito a processi di svuotamento dei centri storici e al pellegrinaggio in massa verso i malls, di singoli individui, gruppi di persone o di interi nuclei familiari, soprattutto nei fine settimana e durante le pause dal lavoro.
    La proliferazione dei centri commerciali e i cambiamenti socio-culturali da essi prodotti, non poteva non avere delle ricadute sui giovani e sul loro modo di vivere il tempo libero e di rappresentarsi il proprio contesto di vita.
    Per molti giovani i centri commerciali sono diventati un ambito di vita abituale; si può dire che in un certo senso abbiano sostituito (almeno in termini di tempo loro dedicato) quelle che erano le piazze e le vie della città. È allora interessante capire quali dinamiche stiano alla base del rapporto tra i giovani e gli spazi commerciali, che cosa ricevano i giovani in termini di messaggi e di esperienze da queste realtà dedite alla vendita e al consumo e ancora se esistano particolari motivazioni, oltre quelle meramente commerciali, che portano adolescenti e giovani a frequentare sempre di più tali spazi e a preferirli a molti altri.

    Il fascino e il potere delle cattedrali del consumo

    A ragione, da più parti, si è insistito sul carattere di “non luoghi” dei centri commerciali, sulla loro separazione e quasi estraneità dal tessuto urbano, sullo stato di isolamento spazio-temporale che essi alimentano. In effetti è innegabile che questi siano prima di tutto e soprattutto spazi pensati per massimizzare i consumi e incentivare la propensione degli ospiti all’acquisto. Non c’è dubbio che la sensibilità che questi ambienti contribuiscono a creare, soprattutto nei giovani che così assiduamente li frequentano, sia di tipo edonistico. Gli shopping center sono un potente strumento che contribuisce a formare una mentalità consumista alimentata dalla commistione tra il consumo e la sensazione di piacere e soddisfazione che quest’ultimo è in grado di ricreare. La stessa architettura, la musica, i colori e l’organizzazione degli spazi e dei tempi (ormai dilatati a 7 giorni su 7) alimentano una costante ricerca della soddisfazione dei propri desideri che può derivare dall’accesso illimitato, immediato e apparentemente economico a ogni tipo di merce.
    Un meccanismo di condizionamento della personalità che viene massimizzato in questi luoghi è quello dell’emulazione sociale. Il continuo confronto con gli altri consumatori induce al consumo vistoso, per il quale si tende ad assegnare a se stessi un valore sulla base dei prodotti acquistati e della possibilità di esibirli. Sappiamo ormai da tempo che anche tra i giovani “il consumo o lo spreco vistoso funge da dispositivo di dimostrazione/riconoscimento di una posizione elevata”[1] ed è quindi un elemento distintivo a cui si lega sempre più la costruzione di un’identità nell’attuale società.
    Non si deve dimenticare che proprio l’identità oggi appare oggetto di una continua costruzione e ricostruzione in ragione del progressivo dissolvimento degli ordinamenti della tradizione, dell’allentamento dei vincoli connessi ai fattori ascritti e della diffusa incertezza sociale. I giovani, e in particolare i cosiddetti mall-nativi, faticano a giungere a un approdo identitario stabile e il contributo che danno i centri commerciali è quello di legare tale ricerca identitaria all’attività di consumo di prodotti generando una “perpetua ricreazione di sé”[2] e con essa una continua ricollocazione del sé nel mondo.
    Inoltre in una società altamente individualizzata il consumo risulta importante perché è oggetto di una costante comunicazione sociale che porta con sé tutta una serie di significati individuali e sociali.
    In anni recenti si può notare la tendenza alla diffusione sempre più pervasiva negli shopping mall di strumenti che aumentano il livello di benessere e che sono orientati a prolungare la permanenza dei consumatori al loro interno. È in atto un’evoluzione verso l’entertainment che si propone di intercettare giovani e teenagers inducendoli a scelte di consumo sempre più costose e raffinate per distinguersi ulteriormente, alimentando l’idea che la stima e l’apprezzamento siano concessi solo di fronte all’evidenza e alla esibizione dei propri tratti esteriori[3].
    Ecco allora che per attrarre gli shopping mall diventano luoghi del reincanto[4] che orientano alla ricerca dell’euforia, del benessere e della novità[5]. Un incanto simulato che combatte la noia e l’assuefazione stimolando la mente del consumatore attraverso nuovi modi di presentare e pubblicizzare i prodotti, per fare scoprire il desiderio di novità.
    Sembra ormai completata la socializzazione, soprattutto dei nuovi adolescenti, a questo modello, tanto che loro stessi ammettono di andare negli shopping center per vivere esperienze eccitanti, per provare forme di gratificazione istantanea e per abbandonarsi alla molteplicità di opzioni in essi presenti[6].

    Da “non luoghi” del consumo a luoghi della nuova socialità giovanile?

    Abbiamo visto che il carattere pervasivo della cultura del consumo sui giovani e spesso fragili frequentatori degli shopping center è un dato evidente e strutturale del funzionamento di questi luoghi. Tuttavia sarebbe riduttivo spiegare il rapporto tra i giovani e questi spazi solo ricorrendo al tema dell’attrattività commerciale e del condizionamento edonistico esercitato dall’incanto delle merci.
    A confermarlo è il fatto che il 20% di chi va in un centro commerciale non acquista nulla, ma vi si reca solo per l’intrattenimento o con l’intento di incontrare altre persone. Su questo punto, la percentuale sale significativamente se osserviamo proprio le fasce giovanili, e in particolare la fascia d’età 15-24 (30%)[7].
    All’interno di questi luoghi, adolescenti e giovani sembrano ricercare esperienze identitarie e di socializzazione ormai non più sperimentabili altrove nella città “reale”. Seppure connotati (almeno sul piano formale) come luoghi del consumo, i centri commerciali sono fra i pochi e forse gli ultimi spazi pubblici nei quali si vive l’esperienza dell’incontro con l’altro, che a volte è certamente superficiale, ma altre volte vuole essere profonda e coinvolgente.
    Si sta affermando una nuova socialità indoor che viene ricercata dai giovani e non a caso intercettata dagli stessi centri commerciali. Si osserva allora che le amicizie, gli amori, le dinamiche di inclusione/esclusione nel gruppo dei pari, un tempo vissuti nelle piazze e nelle strade della città, oggi assumono questi spazi come scenario per esprimersi.
    Tale bisogno di socialità soprattutto degli adolescenti, non è sfuggito ai nuovi entertainment center che per questo puntano sempre di più sull’intreccio tra pratiche di socialità e pratiche di consumo in modo che lo stare insieme agli amici muova il comprare, il vedere e il provare per poi eventualmente consumare[8].
    Va da sé che in contesti come quelli descritti, il rischio di una colonizzazione dei sentimenti e dei vissuti degli adolescenti da parte della logica commerciale è molto elevato con lo spauracchio di creare personalità dei tipo “ consumo dunque sono”[9] ovvero che riconosco se stesse solo in funzione del consumo.
    L’elezione degli shopping mall a principale ambito di socializzazione nel tempo libero espone al pericolo di una mercificazione delle relazioni e dei sentimenti nelle giovani generazioni. Inoltre elevato è il pericolo che si inneschino condotte anomiche connesse a forme di dipendenza dallo shopping compulsivo, dal gioco e dalle sostanze. Sotto il profilo psicologico-culturale, gli shopping mall, trasformati in entertainment center, propongono un modello di felicità interiore compensativo associando al prodotto, esperienze immaginarie, affettive e sensoriali. Si sviluppa allora una condizione esistenziale di felicità paradossale che è resa tale dalle tante possibilità di trovare comfort psichico, occasioni di svago e di divertimento associate al consumo ma allo stesso tempo a una condizione di base che non placa mai completamente il senso di insicurezza e di insoddisfazione[10].
    Tuttavia, proprio in questi luoghi dell’iper-consumo, a volte accade, paradossalmente, che nascano interrogativi etici tra i giovani e l’esigenza di qualcosa di diverso e forse di più “umano” rispetto alla indotta socialità consumerista lì presente.
    Del resto, le “immense possibilità di consumo e di distrazione che offre questa società”[11] lasciano nei giovani dei vuoti che richiedono di essere riempiti attraverso proposte convincenti che parlino all’uomo in quanto uomo e non solo in quanto consumatore.
    È facendo leva su questo bisogno che è necessario pensare l’intervento socio-educativo, ma muovendosi in almeno due direzioni:
    - moltiplicare la presenza sul territorio di luoghi di aggregazione “alternativi” per i giovani in cui questi possano vivere rapporti umani all’insegna della gratuità, della solidarietà e del disinteresse. Tutto ciò non con la pretesa di instaurare un anacronistico rapporto esclusivo tra i giovani e questi ambienti, ma con l’obiettivo di far percepire loro l’esistenza di spazi non omologati alla logica materiale-commerciale;
    - avviare iniziative all’interno degli entertainment center incontrando i giovani in questi loro luoghi di aggregazione naturale e offrendo proposte per informare ed educare ad esempio a un consumo critico, o al valore del risparmio e della sobrietà.
    Si riscopre, così, ancora una volta, l’esigenza di una evangelizzazione rivolta anche ai luoghi ordinari della socialità giovanile, che combatta le forze anestetizzanti degli spazi del benessere opulento favorendo un protagonismo giovanile fondato su basi autenticamente umane.


    NOTE

    [1] Sassatelli R., Consumo, cultura e società, Il Mulino, Bologna, 2004, p. 87.
    [2] Featherstone M., Cultura del consumo e postmodernismo (1991), Seam, Roma, 1994.
    [3] Veblen T., Teoria della classe agiata (1899), Einaudi, Torino, 1971, p. 32.
    [4] Ritzer G., La religione dei consumi, Il Mulino, Bologna, 2000.
    [5] Eherenberg A., La fatica di essere sé stessi. Depressione e società, Einaudi, Torino, 1999.
    [6] Ewen S., All Consuming Images. The Politics of Style in Contemporary Culture, Basic Books, New York, 1988.
    [7] Censis, La domenica degli italiani, Roma 2004.
    [8] Paolucci G., La seduzione dell’entertainment. Consumo e leisure nello shopping contemporaneo, in Amendola G. (a cura), La città vetrina, Liguori, Napoli 2006.
    [9] Cfr. Bauman Z., Consumo, dunque sono, Laterza, Bari 2014.
    [10] Lipovetsky G., Una felicità paradossale. Sulla società dell’iperconsumo, Raffaello Cortina Editore, Milano 2007
    [11] Papa Francesco, Evangelii Gaudium, Esortazione apostolica, Città del Vaticano 2013, n. 196


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