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    Gli spazi “epifanici” della musica


    Valerio Corradi

    (NPG 2016-07-50)

    La musica accompagna ininterrottamente la vita dei giovani ed è uno dei veicoli più importanti che consente loro di provare e trasmettere emozioni, ma anche di esprimere la propria individualità e il proprio stile di vita.

    Giovani, spazi e musica

    I giovani amano anzitutto la “loro” musica che spesso risulta agli altri estranea e incomprensibile ma che per essi è segno di riconoscimento e di distinzione. In questo quadro i linguaggi e i luoghi della musica assumono, da sempre, un ruolo significativo nei processi di definizione sociale della realtà e dell'immaginario individuale e collettivo delle giovani generazioni. I giovani, infatti, fanno musica tra loro in certi luoghi pubblici o privati, la ricercano individualmente, isolandosi da ciò che li circonda o collettivamente, immergendosi nelle diverse tribù musicali postmoderne. Gli spazi della musica, da quelli più “naturali” a quelli più controversi (discoteche, aree per rave party, sale da concerto, ecc.) diventano veri e propri laboratori di costruzione di senso e incubatori delle nuove tendenze giovanili.
    Allo scopo di porre le basi per l’elaborazione di un discorso educativo che includa i luoghi e le esperienze musicali dei giovani, di seguito si cercherà di fornire qualche spunto di riflessione partendo dalle caratteristiche di alcuni ambienti musicali per poi soffermarsi sulle domande di socialità e di senso che all’interno di questi scenari sembrano emergere.

    La discoteca e lo “sballo controllato”

    La discoteca è un luogo che ha segnato la vita di intere generazioni dagli anni ’60 a oggi. Si tratta di uno spazio che ha conosciuto importanti evoluzioni che lo hanno portato a passare da sala da ballo con musica dal vivo a disco music con disc jockey, fino ai più moderni locali ipertecnologici con luci psichedeliche.
    L’evoluzione del format discoteca si accompagna alla trasformazione dei generi musicali ma anche al cambiamento della socialità giovanile.
    Le prime discoteche erano luoghi dell’incontro nei quali il dialogo non era ostacolato dalla musica che ad esempio, conosceva dei momenti di interruzione. Spesso si alternavano brani musicali, per volume e intensità, con generi movimentati ad altri lenti. La penetrazione del rock commerciale avvenuta alla fine degli anni ’70 ha determinato un cambiamento di tale format che di fatto ha accentuato il carattere della discoteca come luogo, prima di evasione e poi di sballo, piuttosto che d’incontro e approfondimento del rapporto con l’altro. La nuova discoteca, a suo modo, è stata tra le cause e tra gli effetti di un nuovo modo di essere giovani e di vivere la socialità, il tutto in forte discontinuità con il passato.
    Oggi la discoteca è diventata a tutti gli effetti un set[1] sul quale molti giovani recitano ogni settimana. Il format che si è affermato porta a dire che oggi:

    “non può darsi una discoteca con luce forte e uniforme. I giovani in discoteca di fatto si trovano a interagire con molti altri coetanei e individui sconosciuti pertanto comportamenti quali ballare o le interazioni a stretto contatto sono permessi solo quando la consapevolezza degli altri viene attenuata dalle luci basse o da giochi di luce come luci stroboscopiche (lampeggianti di luce ad alta frequenza), faretti di luce che non ci fanno percepire gli altri in tutti i loro dettagli come in luce diurna ma in una percezione attenuata e a volte distorta da giochi cromatici”[2].

    La discoteca è un luogo dello “sballo controllato”. Definizione questa dagli evidenti tratti ossimorici che esprime l’idea di un luogo dove ci si diverte, si esagera ma che è oggetto di controllo da parte di qualcuno, anche solo per adempiere a obblighi di legge o alimentare logiche consumistiche.
    In un’altra prospettiva, la discoteca è un luogo dello “sballo controllato” perché solo apparentemente è uno spazio anarchico essendo esso videosorvegliato, strutturato e gestito da adulti per finalità meramente commerciali. La socialità della discoteca è epidermica e l’elemento percettivo del vedere e del non vedere è una delle sue caratteristiche.

    “il buio in discoteca favorisce l’intimità e il contatto fisico. Se improvvisamente si accendesse una forte luce (e talvolta accade) la prima reazione che ci si potrebbe aspettare sarebbe infatti un lieve allontanamento reciproco per riprendere le distanze interpersonali maggiori. Anche il ballo avrebbe, se non una brusca interruzione, una notevole riduzione di movimento e liberà”[3].

    La discoteca si configura poi come luogo nel quale i giovani si confondono e si nascondo ma al contempo luogo in cui possono essere assolutamente visti e immortalati in video, fotografie e dallo sguardo senza volto di telecamere e di IPhone.
    La discoteca è anche il regno del rumore, nel quale è evidente la ricerca dell’annullamento di sé nella con-fusione e al contempo la difficoltà (forse il timore) di pensare.
    Qualcosa è però cambiato negli ultimi anni, al punto che si registra una generale diminuzione dei frequentatori delle discoteche e degli stessi locali. Sono trend che risentono della crisi economica ma che segnalano anche un nuovo modo di intendere e di ricercare la socialità tra i giovani. Una socialità oggi favorita dall’istantaneità dei nuovi media ma che cerca anche di esprimersi in ambienti sempre meno regolati.

    I Free Party e il “disperato bisogno di altrove”

    Le giovani generazioni sono nemiche della stanzialità e della fissità. Nessuna altra generazione della storia può infatti vantare una predisposizione alla mobilità (es. pendolarismo, viaggi per motivi di studio o turismo) come quella attuale. La disponibilità a muoversi e a spostarsi è un fatto acclarato. Il rimanere fermi, per molti giovani, è sinonimo di insoddisfazione e forse anche di sconfitta. Tale desiderio di spostamento sembra trovare una propria declinazione anche nella ricerca di spazi di divertimento più informali.
    In questo quadro i Free party sono un nuovo e successivo approdo rispetto a quello della discoteca. I primi Free party, inizialmente denominati Rave Party, furono importati dalla Gran Bretagna alla fine degli anni ’80. Si tratta di manifestazioni musicali totalmente autogestite e gratuite tenute in ambienti molto spaziosi come capannoni, terminal, impianti industriali dismessi che vengono occupati e utilizzati per l’occasione. Appare chiara la differenza con la discoteca ovvero con quella che qualche commentatore ha definito l’alternativa “civilizzata”. Per meglio addentrarci nella logica di queste nuove forme di ritrovo musicale, ci viene in soccorso il romanzo-inchiesta “Muro di casse” di Vanni Santoni. Nel fornire uno spaccato reale di questo mondo giovanile “nascosto”, l’autore fa pronunciare le seguenti parole a un suo personaggio che ben esemplificano le parole raccolte da molti giovani frequentatori di Free e Rave party:

    “In discoteca si va per rimorchiare, al rave no […]. Al rave puoi andartene dietro al sound e nessuno ti dice niente, in discoteca c’è addirittura il privé; in discoteca ci sono i buttafuori, al rave no; in discoteca c’è la selezione, al rave no; in discoteca il dj è una star, al rave neanche sai chi stracazzo sta suonando; in discoteca a una cert’ora tutti a casa, al rave stai quanto ti pare. Insomma, in discoteca si riproducono gli schemi di potere del mondo fuori, mentre al rave, almeno in teoria, li si fanno saltare”[4].

    La musica, apparentemente come esperienza collettiva e dionisiaca che aiuta a celebrare l'oblio tramite riti, luoghi ed eventi suoi propri, semi-nascosti e isolati quali spiagge, boschi, garage, aree industriali che celebrano il connubio tra la musica e i suoi effetti psicologici e sociali e

    "la ciclica alternanza magia-tragedia insita nella pratica di vivere per il weekend e poi pagarne le conseguenze negli altri giorni della settimana"[5].

    Costantemente in bilico tra legalità e illegalità, tra sicurezza momentanea e pericoli per la propria incolumità, i Free party fanno vivere un nuovo senso di comunità (una comunità di rischio) mai però fissa ma in continuo movimento e ogni volta da esplorare.
    Siamo dunque lontani dallo sballo “controllato” e “ordinato” della discoteca, e quello che sembra emergere dai Free party è l’esigenza di mettersi in cammino per una nuova ricerca collettiva, un bisogno di altrove e di nuovi punti di approdo.

    La musica come “epifania” e come “punto accessibile al bene”

    Sarebbe riduttivo affermare che gli spazi e le esperienze musicali collettive dei giovani siano solo il contesto in cui fare esperimenti dionisiaci e “rischiosi”.
    Anzitutto perché il presidiare certi spazi piuttosto che altri è rivelatore di diverse preferenze e di diverse domande. I più recenti comportamenti musicali collettivi dei giovani sono portatori di richieste quali “zone autonome, necessità di eventi liberi-gratuiti, anti-cultura del controllo, disperato bisogno di altrove”[6].
    In un contesto apparentemente anomico si cerca un senso di appartenenza, si esprime una protesta occupando spazi dimenticati, si prova a coltivare una qualche forma di essenzialità tornando a qualcosa di primordiale (boschi, spiagge, ecc.), ma si cerca anche:

    “il senso di parità: non ci sono star a free party, i dj di solito non si vedono, non ci sono biglietti da pagare: smontando così l’idolatria per il performer e ricreando una società più giusta, non violenta, democratica. I rave erano luoghi non violenti, dove ci si liberava dalla nevrosi quotidiana rielaborandola in un’estasi collettiva”.

    In una prospettiva educativa che voglia affrancarsi dai pregiudizi e dalle semplificazioni giornalistiche, per comprendere il rapporto tra giovani e musica può essere utile ricorrere al concetto di “epifania”
    Si tratta di un’esperienza che è stata descritta più volte anche in ambito letterario e che in questa sede può essere utilizzata nel tentativo di fornire una descrizione di alcuni effetti che la musica sembra generare nei giovani. L’epifania (dal greco ἐπιφαίνω, manifestarsi, presentarsi) può essere definita come un’improvvisa rivelazione spirituale causata da un gesto, un oggetto, una situazione anche quotidiana e banale, che di solito una persona sperimenta in un momento di crisi ma anche in situazioni ordinarie, e che si rivela di importanza fondamentale nella sua vita. Con l’epifania il soggetto non vede più le cose con gli occhi di prima e accede, a volte in modo solo momentaneo, ai significati più profondi dell’esistenza, andando oltre l’apparenza delle cose.
    In questa prospettiva l’esperienza epifanica della musica sembra costituire, tra i giovani, la modalità privilegiata per operare il trascendimento della banalità quotidiana e quindi per individuare un ordine di esistenza dotato di autenticità. Nella vita dei giovani queste esperienze sono presenti e sono correlate alla fondamentale domanda sul significato dell’esistenza.
    La musica talora sembra accompagnare la monotona e rilassata banalità delle vicende quotidiane, e in certi momenti appare in grado di far accedere i giovani in una dimensione estatica sottraendoli dalla realtà. Nella musica, soprattutto se ascoltata collettivamente e in certi contesti, molti giovani sembrano vivere un’esperienza epifanica che li mette in contatto con la grandiosa totalità del mondo esterno. Si stabilisce così “un contatto immediato ed estemporaneo della coscienza con il mondo inteso come totalità.
    Geoff Dyer[7], in un suo romanzo autobiografico cattura bene questa esperienza. Ecco come si sente il giovane protagonista di Brixton Bop mentre ascolta la musica in un monotono pomeriggio di un giorno ordinario:

    “mi sentivo travolto dalle parole. Contemplai il cielo bruno sopra e intorno a noi. La notte ricordava la voce. Non c’erano le stelle, solo l’ammiccare rosso e bianco di un aeroplano e il saldo tremolio della lanterna”[8].

    La musica, ascoltata con gli amici, sembra risvegliare emozioni fuori dall’ordinario.

    “ascoltammo il primo Coltrane destreggiarsi rapido attraverso le sinuosità del Bop. Mettevamo un disco dietro l’altro ed eravamo così concentrati che finimmo per esistere unicamente nella musica, inseguendo qualsiasi pensiero ci passasse per la testa”[9].
    La musica sembra preservare tra i giovani un’idea di perfezione e un anelito all’infinito che apparentemente sembra assente dalla loro vita quotidiana
    La musica come colonna sonora e inseparabile compagna delle giovani generazioni è allora rivelatrice non tanto di un desiderio di annullamento e stordimento ma di ricerca e di espressione di sé. Cogliere il lato “epifanico” della musica significa comprendere come in questa “periferia” i giovani possano perdersi (è il caso dei rave party) ma anche ritrovarsi. I giovani hanno bisogno di qualcosa che li smuova. E’ sorprendente che di fronte all’attuale crisi di comprensione del mondo giovanile, oggi molti ambienti educativi trascurino la rilevanza dell’esperienza musicale. Essa, invece, dovrebbe assumere un posto di assoluto rilievo nelle iniziative da costruire con i giovani. L’esperienza musicale, soprattutto se momento sociale e di condivisione, costituisce uno di quei “punti accessibili al bene”, una di quelle “corde sensibili del cuore” che si deve cercare di toccare per risvegliare ed educare l’animo giovanile.

    "Perché sognare un quarto d’ora di celebrità se potevi prenderti dieci o venti ore al centro dell’universo? E la bellezza. Potevamo creare ovunque la bellezza: in ogni angolaccio, sotto a ogni cavalcavia, poteva sgorgare una fonte di meraviglia. Ogni periferia, ogni cittadina di provincia senza più guizzi poteva tornare a splendere e ribollire per una notte. E non parlo solo dei posti dove andavamo: il fatto che andassimo in alcuni faceva sì che tutti, in potenza, custodissero la bellezza. Quindi, la speranza".[10]


    NOTE

    [1] Mori L., Tutto in una notte. Registi sceneggiatori e attori sul set della discoteca, in Altieri L. (a cura di), Giovani in frammenti. Famiglia, lavoro, compagnie, sport, discoteca, Franco Angeli, Milano 2012
    [2] Costa M., Psicologia ambientale e architettonica, Franco Angeli, Milano 2015, p. 46
    [3] Ibidem, p. 46
    [4] Santoni V., Muro di casse, Laterza, Bari 2015
    [5] Reynold S., Energy flash: viaggio nella cultura rave, Arcana, Roma 2010
    [6] Mancassola M., Last love parade. Storia della cultura dance, della musica elettronica e dei miei anni, Il Saggiatore, Milano 2005
    [7] Geoff Dyer (Cheltenham, 1958). Scrittore inglese che esordisce, dopo una lunga militanza giornalistica, col romanzo Brixton Bop (1989) che subito gli vale un seguito di culto presso i giovani post-tatcheriani. Tra le altre sue opere da segnalare In cerca (1993) e Natura morta con custodia di sax (1992).
    [8] G. Dyer, Brixton Bop (1989), Instar libri, Torino 1998, p.94.
    [9] Ibidem, p.29.
    [10] Santoni V., Muro di casse, Laterza, Bari 2015


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