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    «Aiutare Dio»

    Riflessioni su vita e pensiero di Etty Hillesum [1]


    Joseph Sievers
    *

    Tra i tanti diari scritti durante il periodo della Shoah, delle persecuzioni naziste sono molti quelli di giovani ebrei olandesi. Il più famoso è certamente quello di Anne Frank, scritto in un nascondiglio al centro di Amsterdam. È uscito in italiano anche il diario di Moshe Flinker, un ragazzo poco più anziano di Anne, di una sorprendente profondità e ampiezza di vedute [2]. Anche Moshe era di Amsterdam, ma era fuggito in Belgio con la famiglia. Ci sono ancora altri che hanno lasciato dei documenti eccezionali, come Jona Oberski e Philip Mechanicus. Qui invece vorrei soffermarmi su Etty Hillesum, già conosciuta in Italia da qualche tempo, ma forse non abbastanza. Infatti una parte sostanziosa del suo diario è stata pubblicata in italiano nel 1985 e ha avuto ben presto varie ristampe [3]. Qualche anno dopo è uscito anche un volume di lettere sue [4]. A Roma già nel 1988 si fece un convegno su di lei sotto gli auspici dell'Istituto Olandese di Roma e della Fondazione Etty Hillesum di Amsterdam.
    Quindi vorrei offrire alcune riflessioni sugli scritti e sulla vita di questa giovane ebrea olandese così straordinaria, basandomi oltre ai volumi citati anche sull'edizione critica e completa di quanto rimane della sua opera [5]. Etty Hillesum ha cominciato il suo diario ad Amsterdam nel Marzo del 1941, quando aveva 27 anni e l'ha continuato per oltre due anni, anche quando poi si trovava nel campo di concentramento (o più precisamente campo di transito) di Westerbork [6]. Secondo uno dei suoi amici, partendo da Westerbork per Auschwitz il 7 settembre 1943 Etty gli disse "Ho con me i miei diari, la mia piccola Bibbia, la mia grammatica russa e Tolstoj" [7]. Secondo la Croce Rossa, Etty è morta ad Auschwitz il 30 novembre dello stesso anno. Con lei sono scomparsi tutti i diari scritti dopo il 13 ottobre 1942. Manca anche un quaderno che copre il periodo tra il 30 Aprile ed il 18 Maggio 1942. Comunque rimangono oltre milleduecento pagine manoscritte di diario più una settantina di lettere sue a vari amici [8], il tutto pubblicato con grande attenzione ad ogni dettaglio nell'edizione critica curata da Klaas Smelik, noto esegeta dell'Antico Testamento, figlio dell'amico al quale Etty volle affidarne la pubblicazione.
    Non è facile caratterizzare la figura di Etty Hillesum e la sua opera letteraria. I titoli di opere sue o su di lei cercano di dare qualche idea dell'essenza della sua vita. La prima edizione parziale del diario ne esprime la tragicità: Het verstoorde leven – [la vita disturbata [9], oppure interrotta]. E la domanda viene, perché questa vita, così ricca e fruttuosa, così promettente, è stata stroncata? La domanda sul perché dei milioni di bambini, donne e uomini uccisi diventa molto immediata e personale. Il secondo libro, un volume di lettere è stato intitolato: Het denkende hart van de barak, - "il cuore pensante della baracca" [10] usando un'espressione di Etty stessa, dopo la sua prima permanenza al campo di concentramento di Westerbork. Lei in mezzo a tanti che dicevano di non potere o non volere pensare in quell'inferno, affermò appunto "vorrei essere il cuore pensante di questa barracca" e più tardi "vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento" [11]. Il titolo degli atti del convegno suaccennato su Etty Hillesum coglie molto bene un aspetto fondamentale del pensare e agire suo: L'esperienza dell'Altro [12], ma certamente nessun titolo può contenere tutta la ricchezza di questa vita. Similmente, non si può fare giustizia a tanti elementi della vita e del pensiero della Hillesum in un breve articolo. Perciò vorrei concentrarmi su soli quattro punti: (1) I paradossi della sua vita; (2) Le radici del suo pensare e agire; (3) La sua identità ebraica; (4) Il suo rapporto con Dio e con gli altri.

    1. I paradossi della sua vita

    Le contraddizioni nella vita di Etty Hillesum sono tante. Cominciano dalla famiglia che ha radici nella borghesia olandese dalla parte del padre, preside di un liceo nella città di Deventer, e nella cultura russa attraverso la madre, Rebecca Hillesum-Bernstein, nata nell'impero zarista. Etty si trova in conflitto assai forte con i genitori, specialmente con la madre, ma dopo aver conseguito un dottorato in giurisprudenza studia e insegna proprio la lingua della madre, il russo.
    Etty comincia a scrivere il suo diario a 27 anni (era nata il 15 gennaio 1914), probabilmente dietro consiglio del suo terapista Julius Spier. Egli aveva fatto carriera in una ditta commerciale, ma, scoperto in se un talento per l'interpretazione delle linee della mano, aveva studiato psicoterapia presso Carl Gustav Jung [13]. Così aveva aperto uno studio di psicochirologia prima a Berlino e poi, dopo la sua fuga dalla Germania nel 1939, ad Amsterdam. Etty non solo diventa paziente, ma anche assistente di Spier il quale la chiama la sua "segretaria russa" [14]. Benché Etty già convive con un vedovo di 62 anni, inizia una relazione con Spier che cambierà tutta la sua vita e che si riflette in quasi ogni pagina del diario. È nel rapporto vitale con questo uomo, contro tutte le regole della deontologia, che Etty trova la sua principale guida spirituale che la aiuta a cercare e trovare un rapporto profondo con Dio e con le persone. Quindi si trova un'altissima moralità e integrità in una vita che per molti versi va contro i precetti dell'etica sia ebraica che cristiana. [15] Etty vive i più drammatici e tragici mesi della comunità ebraica in Olanda. Si rende conto della gravità della situazione, forse più di molti altri, ma riesce a chiamare il 1941 "un anno che è stato per me il più ricco e fruttuoso, e insieme il più felice di tutti" [16]. Anche dopo, quando ormai vive nella certezza che i nazisti stanno mettendo in atto lo sterminio anche di tutti gli ebrei olandesi chiama ancora bella la vita. Ama la vita, ma non vuole accettare quando a varie riprese degli amici le offrono un nascondiglio che le potrebbe salvare la vita [17]. Lei addirittura va volontariamente a lavorare nel campo di transito di Westerbork e ha nostalgia di tornarvi, per ritrovare degli amici, ma anche e soprattutto per assistere le persone che sono in attesa della loro deportazione verso la Polonia, specialmente i bambini e i malati.
    Etty vede in modo molto acuto le contraddizioni nella propria vita, ma anziché lasciarsi frantumare da esse, riesce sempre di più a seguire una linea chiara e a tenere insieme tutto, dolori, preoccupazioni, piccole e grandi gioie. Inizialmente esprime questo atteggiamento citando Rilke: "Chi riconcilia i molti controsensi della propria vita e li riassume con gratitudine in un unico simbolo..." [18]. Più tardi riesce a ritrovare la calma, la fiducia in Dio, la gioia, l'amore per tutti, anche nelle situazioni più disperate, anche quando il suo grande amico Julius Spier muore, anche quando assiste alle deportazioni in massa. Scrive per esempio nel luglio del '42: "Ogni giorno sono in Polonia, sui campi di battaglia, o si può dire campi di macello. A volte mi si impone come una visione di campi di battaglia color verde veleno, sono accanto agli affamati, i torturati, i moribondi, ogni giorno, ma sto anche vicina al gelsomino ed al pezzo di cielo dietro la mia finestra. In una vita c'è posto per tutto. Per una fede in Dio e per una misera morte" [19].

    2. Le radici del suo pensare e agire

    Ma da dove trae la forza per questo? Si può senz'altro affermare che chi le ha aperto la strada è stato Spier, nonostante le circostanze poco ortodosse. Ci sono stati altri amici e amiche che le sono stati di guida per certi versi, in particolare Henny Tidemann, pure lei appartenente al cerchio di Spier.
    Molto formative per Etty sono state le letture, alle quali dedicava parecchio tempo. Del poeta austro-tedesco Rainer Maria Rilke (1875-1926) dice: "Mi rendo conto sempre di più che Rilke è stato uno dei miei grandi educatori in quest'ultimo anno" [20]. Anche la lettura di Dostoevskij, di Rathenau, di S. Agostino è stata formativa per lei, e poi sempre di più la Bibbia. Ella non solo la leggeva, ma la viveva. La Bibbia per lei abbastanza naturalmente includeva ciò che lei, seguendo l'uso cristiano, chiama Antico e Nuovo Testamento. Molte frasi del Discorso della Montagna ritornano spesso nel diario, specialmente "Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena" [21]. Anche l'inno all'amore della Prima Lettera ai Corinzi le diventa tanto caro [22]. Ma non si tratta soltanto di certi brani. Sempre di più la Bibbia diventa il suo libro più importante.
    Scrive: "Erano un buon nutrimento a digiuno, quei pochi Salmi che ormai fanno parte della nostra vita quotidiana... Che forza primordiale vien fuori dall'Antico Testamento e che radice 'popolare', anche. Magnifiche figure, forti e poetiche, vivono in quelle pagine. Un libro davvero avvincente, aspro e tenero, ingenuo e saggio, interessante non solo per ciò che dice, ma anche perché permette di conoscere chi lo dice" [23]. Questo vivere con la Bibbia si intensifica sempre di più.
    Dopo che ha osservato da vicino la partenza di un treno con mille deportati scrive: "Se penso alle facce della scorta armata in uniforme verde, mio Dio, quelle facce! Le ho osservate una per una, dalla mia postazione nascosta dietro una finestra, non mi sono mai spaventata tanto come per quelle facce. Mi sono trovata nei guai con la Parola che è il tema fondamentale [leitmotiv] della mia vita: ‘E Dio creò l’uomo a sua immagine.’ Questa Parola ha vissuto con me una mattina difficile" [24].
    Ancora sull'ultima sua cartolina conservata, buttata dal treno che l'avrebbe portata ad Auschwitz, Etty scrive: "Christien (nome della destinataria), apro a caso la Bibbia e trovo questo: “Il Signore è il mio alto ricetto [il mio rifugio]. [25] Sono seduta sul mio zaino nel mezzo di un affollato vagone merci...La partenza è giunta piuttosto inaspettata, malgrado tutto. Un ordine improvviso mandato appositamente per noi dall'Aia. Abbiamo lasciato il campo cantando..." [26].

    3. L'identita ebraica di Etty

    In Olanda si è discusso abbastanza sul carattere ebraico o cristiano del pensiero di Etty Hillesum.
    Certamente lei attinge da tante fonti e non si preoccupa se vengono da area ebraica, cristiana, o laica.
    Se si va poi a cercare, quanto osservante Etty sia stata come ebrea, è chiaro che era lontanissima da qualsiasi osservanza tradizionale: Menziona nel diario che Spier le ha mandato dei fiori con una nota "Affinché Lei non mi dimentichi completamente e sappia che è Pesach" (cioè la Pasqua ebraica) [27]. In una lettera a un amico nel campo di Westerbork scrive il giorno dopo Yom Kippur: "Hai digiunato e pregato bene ieri? Ed è tutto andato bene con così tante persone?" [28] Tre mesi più tardi, in una lettera allo stesso amico, afferma che "le luci di Hanukkah nelle grandi baracche sono un ricordo particolarmente prezioso, perché c'eravate anche voi" [29]. Questi mi sembrano gli unici riferimenti a feste ebraiche in tutta l'opera di Etty [30]. Non ho trovato nessun riferimento alla Palestina o a Israele, anche se alcuni amici suoi erano attivi in movimenti sionisti. In materia di leggi dietetiche ebraiche, Etty non sembra essere stata osservante: Ogni tanto appaiono nella sua dieta delle uova con lardo (strettamente proibito).
    Etty però sente profondamente la sua identità ebraica. In un passo che viene riportato solo nella edizione integrale afferma: "Sono così contenta che lui [Spier] è ebreo e io ebrea" [31] - e scrive questo nel giorno in cui era diventato obbligatorio per gli ebrei portare la stella gialla come identificativo. Secondo la testimonianza di Klaas Smelik Sr., ella motivò il rifiuto di nascondersi con "Voglio condividere la sorte del mio popolo" [32]. Sentì fortemente di vivere un capitolo unico della storia ebraica e voleva fissarlo nei suoi scritti [33], anche se non era certa che altri sarebbero stati pronti a capirla "Non sarò amareggiata se altri non capiranno cos'è in gioco per noi ebrei" [34]. "Ho già detto altre volte che non ci sono parole o immagini capaci di descrivere una notte come questa (con la partenza di un treno di deportati per la Polonia). Eppure devo annotare qualche cosa per voi (i suoi amici ad Amsterdam) - ci si sente sempre occhi e orecchie di un pezzo di storia ebraica, talvolta si prova il bisogno di essere anche una piccola voce" [35]. Si potrebbero citare tanti altri esempi dai quali si vede come Etty si sente sì, cittadina del mondo, ma anche profondamente ebrea: "E stasera sarà ancora un altro giorno, verrà un'altra persona con problemi, una ragazza cattolica. Il fatto di poter oggi, come ebrea, aiutare una persona non ebrea, dà una singolare sensazione di forza" [36].

    4. Il suo rapporto con Dio e con gli altri

    Il rapporto con Dio Il rapporto di Etty con Dio era allo stesso tempo molto complesso e molto semplice. Senz'altro si nota una enorme crescita nei due anni e mezzo che possiamo intravedere attraverso i suoi scritti. All'inizio Dio viene nominato abbastanza raramente, mentre dal luglio del '42 in poi ci sono intere pagine di diario e di lettere che sono preghiere [37].
    Senz'altro c'è una forte influenza di Rilke, il quale cercava nelle sue poesie di sviluppare un'immagine di un Dio non trascendente, non come un "Tu", ma come la qualità numinosa delle realtà mondane. Da questo sembra venire un concetto di Dio come si trova abbastanza spesso nel diario: "Quando prego, non prego mai per me stessa, prego sempre per gli altri, oppure dialogo in modo pazzo, infantile o serissimo con la parte più profonda di me, che per comodità io chiamo ‘Dio’" [38]. Però l'idea di Dio che si trova negli scritti di Etty non è univoca e non è soltanto una parola in codice per una realtà psicologica, ma è basata su una lunga ricerca personale:

    "Avere il coraggio di pronunciare il nome di Dio. Una volta S[pier] mi ha detto che ci aveva messo molto tempo, come se ci avesse trovato sempre qualcosa di ridicolo" [39].

    "Questa frase mi ha perseguitata per settimane: ‘Bisogna osar dire che si crede’. Osar pronunciare il nome di Dio" [40]. Qui si può notare un conflitto con la tradizione ebraica di non pronunciare il nome di Dio. Ma Etty non ne sembra cosciente – e nell'originale olandese ("God uitspreken") il conflitto sembra meno forte che nella traduzione.
    Un po' della maturazione dell'immagine di Dio si vede in una lettera a Henny Tidemann, menzionata prima: "Lo sai che sei anche tu uno dei doni preziosi, che Dio mi ha dato in questa vita? Lo dico così apertamente, come se niente fosse: Dio. Attraverso di te ho imparato a pronunciare questo nome, in ogni momento del giorno e della notte, attraverso di te e attraverso il nostro Amico [Spier], dal quale mi sono già congedata lì sola nella brughiera del Drenthe... [nel campo di Westerbork]. La grande opera che egli ha fatto in me: ha disseppellito Dio in me e gli ha dato vita e adesso devo continuare a scavare e cercare Dio nei cuori di tutti gli uomini che incontro, in qualsiasi angolo di questa terra" [41].
    Il distacco da Spier è stato in lei un lungo processo, cominciato molto prima della morte dell’amico. Infatti scriveva già nel dicembre del 1941:

    “Il desiderio insensato e appassionato di ‘perdermi’ per lui s’è già calmato da tempo, è diventato ‘ragionevole.’ ‘Perdermi’ per una persona è sparire dalla mia vita; forse mi è rimasto il desiderio di ‘perdermi’ per Dio, o per una poesia” [42].

    Il 17 settembre 1942, due giorni dopo la morte di Spier, Etty scrive:

    "Il sentimento che ho della vita è così intenso e grande, sereno e riconoscente, che non voglio neppur provare a esprimerlo in una parola sola. In me c'è una felicità così perfetta e piena, mio Dio. Probabilmente la definizione migliore sarebbe di nuovo la sua [di Spier]: ‘riposare in se stessi’, e forse sarebbe anche la definizione più completa di come io sento la vita: io riposo in me stessa. E questo ‘me stessa’, la parte più profonda e ricca di me in cui riposo, io la chiamo ‘Dio’. Nel diario di Tide [Henny Tidemann] ho trovato spesso questa frase: Padre, prendilo dolcemente fra le tue braccia. È così che mi sento, sempre e ininterrottamente: come se stessi fra le tue braccia, mio Dio, così protetta e sicura e impregnata d'eternità" [43].

    Alcune settimane dopo scrive:

    "Siamo rimasti solo Dio e io. Non c'è più nessun altro che mi possa aiutare" [44].

    L'idea di Dio dentro di se e Dio fuori di se qui si intrecciano in un modo indivisibile.

    "In fondo, la mia vita è un ininterrotto ascoltar dentro [hineinhorchen, scritto in tedesco] me stessa, gli altri, Dio.
    E quando dico che ascolto dentro, in realtà è Dio che ascolta dentro di me. La parte più essenziale e profonda di me che ascolta la parte più essenziale e profonda dell'altro. Dio a Dio" [45].
    "Non mi faccio molte illusioni su come le cose stiano veramente e rinuncio persino alla pretesa di aiutare gli altri, partirò sempre dal principio di aiutare Dio il più possibile e se questo mi riuscirà, bene, allora vuol dire che saprò esserci anche per gli altri. Ma su questo punto non dobbiamo farci delle illusioni eroiche" [46].

    Dall'estate del 1942 in poi Etty spesso dice di voler aiutare Dio:

    "Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla. Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L'unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l'unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini... Non ti porto soltanto le mie lacrime e le mie paure, ma ti porto persino, in questa domenica mattina grigia e tempestosa, un gelsomino profumato. Ti porterò tutti i fiori che incontro sul mio cammino, e sono veramente tanti. Voglio che tu stia bene con me. E tanto per fare un esempio: se io mi trovassi rinchiusa in una cella stretta e vedessi passare una nuvola davanti alla piccola inferriata, allora ti porterei quella nuvola, mio Dio, sempre che ne abbia ancora la forza" [47].

    Questo concetto, che Dio abbia bisogno di aiuto, logicamente non si coniuga bene con l'idea di un Dio onnipotente. Infatti questa idea è pressoché assente dalla Bibbia e da altri testi religiosi, in cui invece molto frequentemente si invoca l'aiuto di Dio. È interessante però che nel Libro dei Giudici (5, 23) ci sia un brano secondo il quale ci sarebbe un obbligo di aiutare Dio. Si tratta di un versetto del Canto di Debora, certamente fra le parti più antiche della Bibbia e da molti studiosi considerato il brano più antico. Lì si legge: "Maledite Meroz [un luogo altrimenti sconosciuto] - dice l'angelo del Signore - maledite, maledite i suoi abitanti, perché non vennero in aiuto al Signore, in aiuto al Signore tra gli eroi." I commentatori o hanno sorvolato questa difficoltà o hanno cercato di eliminarla in qualche modo. Il Targum (l'antica traduzione aramaica) anziché "in aiuto al Signore" traduce "in aiuto al popolo del Signore". Similmente Rashi, il più famoso esegeta ebraico del Medio Evo, commenta che chi aiuta Israele è - se fosse possibile - come se aiutasse la Shekhinah, la presenza di Dio. Quindi anche se l'idea di "aiutare Dio" si trova già in questo sorprendente brano della Bibbia, non sembra certamente questa la fonte diretta dalla quale Etty l'ha attinta. Appare più probabile che anche questa idea le sia stata suggerita da Spier, ma è difficile se non impossibile arrivare a una certezza. [48] Infatti nell'ultima lettera a lui che è stata conservata (luglio 1942?) Etty scrive:

    "Devi curarti della tua salute; se vuoi aiutare Dio, allora è questo il primo tuo sacrosanto dovere. Una persona come te, uno dei pochi che è ancora un onesto alloggio per un pezzo di vita e di sofferenza e di Dio ... ha il sacrosanto dovere di mantenere il proprio corpo, la sua ‘casa terrena’ nel miglior modo possibile, per poter concedere ospitalità a Dio il più lungo possibile. ... Questo pezzo di eone, come lo viviamo adesso, lo posso portare per intero, sulle mie spalle senza crollare sotto il peso e posso ormai anche perdonare a Dio che la situazione è quella che senz'altro dev'essere. Che uno possa avere tanto amore da poter perdonare Dio!!" [49].

    Nello stesso periodo Etty scrive nel suo diario quella stupenda e sconcertante "preghiera della domenica mattina" in cui tra l'altro dice "Io non chiamo in causa la tua responsabilità, ma più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi" [50]. Questa è una teologia, una teodicea, non fatta in astratto, ma che nasce dall'esperienza tragica di ogni giorno. Forse è difficile logicamente affermare che allo stesso tempo Dio ha bisogno di aiuto, ha bisogno di essere perdonato, non è responsabile degli avvenimenti. Ma si vede come in Etty c'è una ricerca di Dio che si fa sempre più intensa e profonda.
    In lei elementi piuttosto cristiani, come inginocchiarsi per pregare e iniziare la preghiera con "Mio Dio", sono certamente presenti. Dall'altro lato, Etty pone la questione di Dio anche in termini più conosciuti in ambito ebraico, in cui il sentirsi partners co-responsabili di Dio è a volte espressa fortemente. Tale idea, ampiamente presente nella sua opera, sicuramente si basa su radici ebraiche, anche se è difficile giudicare fino a che punto Etty ne fosse cosciente.
    L'opera di Etty Hillesum è di una straordinaria ricchezza vitale e di una rara bellezza poetica, anche se sorta in un breve spazio del periodo più buio della storia ebraica e della storia europea. Si potrebbero sottolineare altri aspetti che non ho nemmeno toccato. Forse però posso evidenziare una caratteristica che mi appare come un filo d'oro che diventa sempre più chiaro in lei: il legame con tutto e con tutti, con presente, passato e futuro:

    "La vita e la morte, il dolore e la gioia, le vesciche ai piedi estenuati dal camminare e il gelsomino dietro la casa, le persecuzioni, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme, e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio – così, per me stessa, senza riuscire ancora a spiegarlo agli altri. Mi piacerebbe vivere abbastanza a lungo per poterlo fare, e se questo non mi sarà concesso, bene, allora qualcun altro lo farà al mio posto, continuerà la mia vita dov'essa è rimasta interrotta. Ho il dovere di vivere nel modo migliore e con la massima convinzione, sino all'ultimo respiro: allora il mio successore non dovrà più ricominciare tutto da capo, e con tanta fatica" [51].

    Forse almeno in qualche modo possiamo prendere su di noi questa eredità che Etty Hillesum ci ha lasciato.

    ^ Pontificio Istituto Biblico, Via della Pilotta 25, 00187 Roma
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    NOTE

    1 Versione riveduta di un articolo dallo stesso titolo pubblicato su Nuova Umanità 99-100, vol. 17, 3-4 (1995) 113-127.
    Traduzioni in inglese e francese sono state pubblicate in SIDIC (Service International de documentation judéochrétienne) 28,3 (1995). Purtroppo non è stato possibile prendere in considerazione la ricchissima bibliografia degli anni più recenti.
    2 Diario profetico di Moshe Flinker: riflessioni di un giovane ebreo nell'Europa nazista, Città Nuova, Roma, 1993.
    3 Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, Milano, 1985, con numerose ristampe (di seguito citato come Diario).
    4 Etty Hillesum, Lettere 1942-1943, Adelphi, Milano, 1990, con numerose ristampe (di seguito citato come Lettere).
    5 ETTY: De nagelaten geschriften van Etty Hillesum 1941-1943, a cura di Klaas A.D. Smelik, Balans, Amsterdam, 1986, 3ª ed. 1991, 874 pp (di seguito citato come Etty).
    6 Lettere, p. 122 (18 agosto 1943, a Henny Tidemann).
    7 Diario, p. 259 (lettera di Jopie Vleeschouwer, 6-7 settembre 1943).
    8 Etty, p. 786, cf. p. 605.
    9 Haarlem, 1981; traduzione italiana Diario 1941-1943.
    10 Haarlem, 1982; traduzione italiana Lettere 1942-1943.
    11 Diario, p. 230 (3 ottobre 1942); cf. p. 196 (15 settembre 1942).
    12 L'esperienza dell'Altro: Studi su Etty Hillesum a cura di Gerrit Van Oord, Apeiron Editori, Sant'Oreste (Roma), 1990.
    13 Etty, p. 729, nota a p. 57.
    14 Diario, p. 89 (17 dicembre 1941).
    15 Si veda per questo aspetto anche i commenti illuminanti del Card. Carlo Maria Martini, il quale dice di aver consigliato a molti di leggere il Diario di Etty Hillesum, considerandolo "particolarmente affascinante" ed espressione di un'esperienza mistica, senza con ciò negare la complessità della vita dalla quale Etty proviene (Martini, Nel cuore della Chiesa e del mondo, Marietti, Genova, 1991, pp. 53-54).
    16 Diario del 31 dicembre 1941; Diario, p. 93; Etty, p. 221.
    17 Etty, pp. 749, 792; cf. Diario, p. 161.
    18 "Wer seines Lebens viele Widersinne versöhnt und dankbar in ein Sinnbild fasst," Rainer Maria Rilke, Das Stunden-Buch in Sämtliche Werke I, p. 263; citato in Etty, p. 205 (21 dicembre 1941).
    19 Etty, p. 485 (2 luglio 1942).
    20 Diario, p. 212 (26 settembre 1942).
    21 Mt 6,34; cf. Prov 27,1.
    22 1 Cor 13; cf. Etty, p. 266 (27 febbraio 1942). Una parte di questo brano verrà poi scritta sulla lapide di Julius Spier.
    Cf. Etty, p. 777 n. 546.
    23 Diario, p. 149 (5 luglio 1942).
    24 Lettere, p. 129 (24 agosto 1943, a Han Wegerif e altri).
    25 Questa citazione è imprecisa. Probabilmente si riferisce al Salmo 18,3. È da notare che la parola olandese "vertrek", usata due volte, una volta significa "rifugio" l’altra volta "partenza". Forse il testo contiene volutamente un gioco su questa parola.
    26 Lettere, p. 149 (7 settembre 1943).
    27 Etty, p. 342 (5 aprile 1942, la Pasqua ebraica era cominciata la sera del 1º aprile).
    28 Etty, p. 604, lettera a Osias Kormann, del 22 settembre 1942.
    29 Lettere, p. 33, lettera del 26 dicembre 1942.
    30 Le poche volte che indica la data con delle ricorrenze religiose sono quelle cristiane: Venerdì Santo e Pentecoste. Etty, p. 334 (3 aprile 1942); p. 390 (24 maggio 1942).
    31 Etty, p. 372 (29 aprile 1942).
    32 Etty, p. 792 n. 633. In questo contesto si possono ricordare le parole di Edith Stein rivolte alla sorella Rosa mentre stavano per essere deportate: "Vieni, andiamo per il nostro popolo" citata in Edith Stein, Briefauslese 1917-1942 mit einem Dokumentenanhang zu ihrem Tode, Freiburg, 1967, p. 136. Etty Hillesum scrive nel suo diario di "due suore da una famiglia strettamente ortodossa, benestante, e molto intelligente, di Breslavia [Breslau, l’attuale Wroclaw]". Sembra sicuro che si riferisca a un incontro con Edith e Rosa Stein avvenuto a Westerbork tra il 3 e il 7 agosto 1942. Etty, p. 554 (20 settembre 1942).
    33 Diario, pp. 162-163.
    34 Diario, p. 138 (3 luglio 1942).
    35 Lettere, p. 129 (24 agosto 1943). Questa lettera fu pubblicata dalla resistenza olandese ancora nello stesso anno.
    36 Diario, p. 135 (1º luglio 1942).
    37 Su questo argomento si veda, Klaas A.D. Smelik, "L'immagine di Dio in Etty Hillesum" in L'esperienza dell'Altro: Studi su Etty Hillesum a cura di Gerrit Van Oord, Apeiron, Sant'Oreste (Roma), 1990, pp. 161-168.
    38 Diario, p. 176 (15 luglio 1942).
    39 Diario, pp. 87-88 (14 dicembre 1941).
    40 Diario, p. 98 (11 gennaio 1942); cf Etty, p. 235.
    41 Etty, p. 602 (lettera dell'11 settembre 1942, scritta quattro giorni prima della morte di Spier).
    42 Diario, p. 89 (17 dicembre 1941).
    43 Diario, p. 201.
    44 Diario, p. 232 (5 ottobre 1942).
    45 Diario, pp. 201-202; Etty p. 549.
    46 Diario, p. 164 (11 luglio 1942).
    47 Diario, pp. 169-171 (12 luglio 1942).
    48 Nella letteratura rabbinica viene espressa spesso l'idea che Dio soffre e anche piange. Vedi P. Kuhn, Gottes Trauer und Klage in der rabbinischen Überlieferung (Talmud und Midrasch), Brill, Leiden, 1978, specialmente pp. 448-456. Dio si avvale dell'aiuto dell'uomo, secondo una interpretazione letterale di Deut 33, 26 ("Dio cavalca col tuo aiuto" anzicché "in tuo aiuto"). Cf. E. Levinas, "'A l'image de Dieu', d'après Rabbi Haim Voloziner", in id. L'au-delà du verset: Lectures et discours talmudiques, Paris 1982, pp. 182-200. Dio chiede consigli ad altri (L. Ginzberg, The Legends of the Jews. 6 volumi, Jewish Publication Society, Philadelphia 1909-38. Vol 1 pp. 51-52. Anche nella letteratura kabbalistica e chassidica si trova l'idea che Dio ha bisogno dell'aiuto dell'uomo. Vedi L. Newman, The Hasidic Anthology, Jason Aronson, Northvale, 1987, p. 128. Anche un autore non-chassidico come Rabbi Haim Voloziner (discepolo del Gaon di Vilna, grande oppositore del chassidismo), citato da Lévinas, parla della sofferenza di Dio e del bisogno di Dio di essere nutrito e aiutato dagli uomini (Rabbi Hayyim de Volozhyn, L’âme de la vie. Nefesh Hahayyim, présentation, traduction et commentaire par B. Gross, préface de E. Lévinas, Lagrasse, Paris, 1986, pp. 88, 98-101).
    Nella filosofia moderna a volte viene affermato che Dio non può essere buono e onnipotente allo stesso tempo. Così, dopo Auschwitz, si è espresso a varie riprese Hans Jonas (si veda Der Gottesbegriff nach Auschwitz. Frankfurt, 1987 pp. 32-42. (tr. it.: Il concetto di Dio dopo Auschwitz, Genova, 1989). Idee simili erano state espresse da certi filosofi anche nel secolo scorso. John Stuart Mill (Three Essays on Religion: Nature, the Utility of Religion, Theism, London 3ª ed. 1885, p. 256) parlava della sensazione di aiutare Dio, perché egli non può essere onnipotente. Sarebbe possibile anche un certo influsso junghiano o addirittura neo-gnostico (cf. G. Mucci, in La Civiltà Cattolica 1994, III [Quad. 3462], p. 474). La fonte precisa di questa idea in Etty Hillesum (e forse prima di lei in Spier) non sembra però accertabile. Ringrazio il p. Benoît Standaert, osb, per commenti e riferimenti utili per questa nota, senza con ciò volergli attribuire alcuna responsabilità per le opinioni qui espresse.
    49 Etty, p. 600.
    50 Diario, p. 169 (12 luglio 1942).
    51 Diario, pp. 138-139 (3 luglio 1942).


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