Una nuova rubrica di NPG
PAROLE ADOLESCENTI
Virginia e il professore
14. Forse in gabbia,
ma con un nuovo sapore
di libertà
Lettera su pandemia, solitudine, scuola
Caro Prof,
quanta voglia avrei di parlare di primavera che avanza, di una scuola faticosa e bella, di nuovi amici e nuove scoperte... e invece eccomi qua, col pensiero fisso a quanto stiamo vivendo, in questi giorni, dove i ritmi e le routine delle nostre vite sono cambiati, improvvisamente e inaspettatamente.
Stare a casa, senza uscire neanche per andare a scuola o al lavoro (eccetto quelli che hanno impegni vitali e necessari per la collettività), è considerato dagli italiani un enorme sforzo. Certo, questa situazione è pesante, difficile. Però pensiamo ai malati, a chi non ce la fa. Non poter morire accanto ai propri cari, andarsene senza tenere la mano di chi ci ama, senza uno sguardo di affetto, e per i familiari non avere neanche il conforto di una benedizione, di una sepoltura.
Sento spesso al TG che “sembra di essere in guerra”. Mi dà fastidio sentirlo.
Beh, io non sono mai stata in guerra, ma credo neanche chi dice queste cose. La guerra era guerra, ed era peggio, ed era una paura quotidiana, per anni, con tante altre brutte paure, e magari neanche una casa, distrutta per i bombardamenti, come ho letto nei libri di storia o in qualche testimonianza. E senza tutte le "comodità" di adesso, come le nostre videochiamate, lezioni online. Quattro anni di questa vita sono molto peggio di un mese di quarantena. E allora credo che associare la nostra situazione tutto sommato “agiata” a una situazione come quella della guerra sia irrispettoso per chi l'ha davvero vissuta. Solo chi è malato può dire di essere davvero “in guerra”.
Certo, l’economia mondiale è stata quasi completamente bloccata. E questo fa paura. Fa paura soprattutto a chi deve mantenere una famiglia e non sa neanche se potrà tenere il suo posto di lavoro, ma anche a tutti gli altri Italiani che vedono il loro Paese in grande difficoltà. Le già precarie condizioni economiche dell’Italia stanno peggiorando a dismisura, e chissà come ne usciremo. Ma intanto – e a questo noi adolescenti siamo molto sensibili – da un altro punto di vista qualche beneficio c'è, perché anche la terra è malata, e nessuno ci crede o nessuno fa niente. Ci voleva una pandemia per capire che la terra soffoca per i gas inquinanti nell’ambiente, delle fabbriche, delle macchine, della plastica? E che aria e acqua le stanno avvelenando? Dovevamo pagare questo tributo di morti e di disastri economici?
Un altro aspetto di cui molti si lamentano è la solitudine di questi giorni. Penso soprattutto a noi adolescenti che non possiamo vedere gli amici e i nostri cari. Certo, stare a casa va anche bene... ma anche le relazioni più care rischiano di mettere allo scoperto i nervi. Però, questa quarantena può essere una bella occasione anche per riscoprire la bellezza della solitudine. Ci sono molte cose da fare, anche se si è da soli. Ad esempio, si può vivere il piccolo grande piacere di leggere un libro, di guardare un bel film, o anche solo di pensare. Ogni tanto fermarsi a pensare, mettere ordine nella mente, perché quando le cose sono agitate non riusciamo a coglierle bene. Un’altra cosa che, a parer mio, ha lo stesso effetto, è la scrittura. Scrivere i nostri pensieri nero su bianco aiuta a riordinarli e, in alcuni casi, addirittura a conoscerli. Certo, ci si può annoiare in tante lunghe giornate, ma la noia non è il modo migliore per viverle. Per dare un ritmo a esse e, perciò, renderle meno pesanti, abbiamo bisogno di non far oziare la mente.
Se mi è lecito, vorrei fare un appello a tutti gli studenti. Spesso descriviamo la scuola come la nostra prigione, il posto nel quale la nostra libertà è limitata. Ma non lo capiamo che la scuola è il mezzo con cui possiamo raggiungerla? E ora che a scuola non possiamo andarci, imparare a capire la bellezza di imparare?
Si dice in genere che si capisce il valore delle cose quando ci vengono tolte. È vero. Beh, in questo momento in cui – parolona grossa – ci è stata in parte tolta la libertà, ne capiamo di più il valore e d'ora in poi mai e mai più la daremo per scontata.
Buona Pasqua.
Sua Virgy
PS. Oggi ho avuto un bel momento di gioia: mia sorella ha fatto 18 anni. Le sembrerà strano se Le dico che bisticciamo un sacco, ma guai a chi me la tocca: è il mio modello, le voglio un sacco di bene.
Carissima Virginia,
come sempre è bello leggere le tue riflessioni! Scrivi che ti piacerebbe “parlare di primavera che avanza, di una scuola faticosa e bella, di nuovi amici e nuove scoperte”, ma non puoi a causa della vita cambiata in questo tempo di pandemia. Sicuramente è tutto più difficile, ma la scommessa in questi giorni è proprio quella di cogliere i segni della primavera quando ancora non è giunta del tutto, di vivere la scuola a distanza con la stessa passione che in aula (tra alti e bassi), di puntare sulle amicizie vecchie e nuove, di scoprire che “più grande è la difficoltà, maggiore è l’opportunità”. Dunque non avere paura di cercare quella rondine che fa primavera e, una volta trovata, parla, condividi, scrivi, sogna, spera; servirà a te, sarà utile a tanti! Ciò non vuol dire porre la testa sotto la sabbia o vivere nel mondo dei cartoni animati, ma affrontare minuti, ore, giorni, mesi in clausura forzata con la stessa consapevolezza dello scrittore Chesterton quando scriveva: «Le fiabe non insegnano ai bambini che esistono i draghi. I bambini lo sanno già. Quel che le fiabe insegnano ai bambini è che i draghi possono essere sconfitti». Hai ragione, non è una guerra se non per alcuni che ne portano e subiscono tutti i segni, compresa la desolazione e la morte. E non è bello neanche che il linguaggio comune sia bellico e ormai quasi l’unico modo di parlare del virus, poiché il rischio è che la metafora diventi realtà ed il nemico invisibile si trasformi in nemici in carne ed ossa. Paradossalmente proprio dove si soffre di più, in casa o negli ospedali, tra i malati, i poveri, i più anziani, emerge il lessico della cura, della carità, degli affetti, della condivisione, del servizio, della gratuità, del dono di sé. È questo il nuovo alfabeto da imparare, giovani e adulti per dare un senso all’oggi ed un orientamento al domani! C’è chi può farlo in solitudine e c’è chi ha bisogno di una compagnia, condizioni che, se forzate, come in questo periodo, non si inventano all’improvviso e non sono semplici da gestire. La solitudine è un valore, ma non l’essere soli; la compagnia è un valore, ma se ogni compagno persegue con la propria originalità un obiettivo comune, diversamente è come vivere in cella. E visto che tu, citando la scuola, hai parlato di “prigione” nella visione di tanti coetanei (pure di alcuni docenti!), mi piace condividere con te quanto ha scritto una mia alunna – Alice - in una pagina del “Diario della quarantena” che ho invitato a scrivere come “compito”:
Caro Dante,
oggi ti scrivo per raccontare
un’avventura simile al tuo cammino
così faticoso quanto affascinante.
Tu, ispirato dalla tua amata Beatrice
per la quale affrontasti un lungo viaggio
solo per ammirare il suo sorriso
ed ottenere la Salvezza,
Io, che sul divano mi sento prigioniera
di me stessa,
non posso avventurarmi per le strade del mio Paese
perché fuori c’è l’Inferno.
E io che credevo che l’Inferno fosse la scuola,
ora so che, invece, è il Purgatorio (non esageriamo, caro Dante, la scuola non sarà mai il Paradiso).
In questi tre anni ti ho accompagnato,
in diversi luoghi abbiamo imparato
finalmente stiamo per arrivare alla meta,
ma una brutta notizia non ci acquieta.
Insistente di voler sapere il tuo futuro,
Cacciaguida ti ha annunciato,
dopo degli immaginari rulli di tamburo,
la spiacevole notizia:
“Tu lascerai ogne cose diletta
più caramente; e questo è quello strale
che l’arco de lo essilio pria saetta”.
Le cose più care dovesti lasciare
Perché il tuo destino fu quello di viaggiare
ma anche l’arte, la cultura e Beatrice continuare ad amare.
Ora mi sento un po’ egoista
quando mi chiedo “Alice, quando te ne vai?”
mentre tu nella tua casa non ci tornasti mai
perché costretto a vagare,
a rivivere nuovamente l’Inferno,
un eterno inverno.
Tu esiliato, non ti scoraggiasti e continuasti a vivere:
mi hai insegnato a non arrendermi
e a non perdere la speranza
perché un giorno anche noi
riusciremo “a riveder le stelle”.
Carissima Virginia, non sempre riusciamo a liberarci da soli da ciò che ci blocca o ci costringe, ma abbiamo bisogno di qualcuno o qualcosa che ci liberi a partire dalla nostra consapevolezza, dal nostro “sì”. La Pasqua è liberazione: auguri di cuore!
Con affetto,
Tuo Prof. Marco Pappalardo
P.S. Buon compleanno a tua sorella! Sono certo che sia speciale: se lei è il tuo modello e tu sei così in gamba, non c’è dubbio. Un abbraccio.