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    Le false guide: il fascino di chi accompagna al male


    Pedagogia dell'accompagnamento educativo /7

    Raffaele Mantegazza


    (NPG 2020-06-74)

    Ma se, senza lasciarsi affascinare,
    l’occhio tuo sa scrutare negli abissi…
    (Charles Baudelaire, Epigrafe per un libro condannato)

    Anche il male ha le sue vette, i suoi panorami, le sue sfide e soprattutto i suoi sherpa. Non si combatte efficacemente il male se non se ne coglie tutto il fascino e soprattutto la sua portata educativa. L’approccio al male è pedagogico e vi sono accompagnatori al delitto, alla violenza e alla desolidarizzazione che occorre conoscere per potervi contrapporre l’accompagnamento al bene. Educatori, guide, accompagnatori. Potrà anche stupire il fatto che da pedagogisti applichiamo questi termini a veri e propri criminali, ma proprio da pedagogisti abbiamo imparato a temere l’educazione, a considerarla uno strumento pericolosissimo, da usare con estrema cura. Il che significa anzitutto che l’educazione non è di per sé buona o cattiva; l’educazione è uno strumento, come un bisturi, che nelle meni di un cardiochirurgo salva una vita ma in quelle di Jack lo Squartatore la toglie. E il maniaco omicida può anche essere un chirurgo, può maneggiare il bisturi con la stessa perizia (anche se, come sempre accade con l’odio, uccidere una persona è infinitamente più facile che salvarla; in generale l’assassinio è uno dei gesti più semplici che un uomo possa compiere).
    Il viaggio che accompagna un giovane verso il male è prima di tutto un percorso verso l’interno del ragazzo; parte dalla dimensione profonda del desiderio, andando a toccare quei desideri oscuri che ognuno di noi porta dentro di sé, al di sotto della soglia della coscienza, e che ritornano alla luce trasformati nei sogni o nei lapsus. La guida al male esplora territori interiori che il giovane sa di avere che lo spaventano, e che spesso nessuno ha mai voluto vedere: lo sport, la musica, il web sono le sonde che gli sherpa dell’odio lanciano all’interno dell’anima dei ragazzi. Il motivo per cui queste sonde non vengono utilizzate efficacemente da chi vuole educare al bene è complesso e dovrà essere oggetto di studio. Certo è molto più facile usare un sito internet o uno slogan in una curva dello stadio per educare allo sterminio piuttosto che per portare valori positivi. Uno striscione con la scritta “negro di m***a” sarà sempre più efficace del suo analogo con la scritta “Tutti insieme: no al razzismo” perché entrambi saranno sovradeterminati dal clima dello stadio e soprattutto della curva, che banalizza i messaggi e rifiuta quel sovrappiù di pensiero che il secondo striscione (peraltro banalissimo) richiede. Ma il secondo messaggio ha anche il grave difetto di parlare solamente alla dimensione razionale dell’uomo, mentre il primo affonda nelle regioni oscure, che sono il grembo dal quale si formano le rappresentazioni e le idee e sono il territorio di caccia delle guide al male.
    È quasi certamente apocrifa la frase attribuita a Freud: “che io uccida mio padre in sogno o nella realtà, per il mio inconscio è la stessa cosa ma per mio padre no”, ma coglie perfettamente nel segno. Il desiderio è sempre innocente anche perché nelle sue dimensioni profonde è inconscio, ignoto alla stessa persona che lo prova. È il passaggio dal desiderio alla realtà a poter essere colpevole; l’etica e la morale riguardano le azioni, non i desideri. I desideri oscuri dei ragazzi (di ciascuno di noi) non possono essere cancellati ma devono trovare una direzione diversa da quella che gli educatori alla violenza offrono.
    Gli sherpa della violenza sono affascinanti; attirano e avvelenano, come da doppia etimologia del termine fascinum ci ricorda. Sono belli, perché devono poter contattare i ragazzi per seminare i germi del male (e anche il bene ha i suoi germi, ma il bene non avvelena positivamente la vita: dopo avere fatto il bene non ce ne sentiamo irresistibilmente attratti, non sentiamo di non poterne più fare a meno: il male ci sceglie, ci condiziona e ci usa, il bene va scelto ogni volta. Non c’è nessun automatismo nel fare il bene). Nel Paradiso Perduto di John Milton è innegabile il fascino di Lucifero; se l’accompagnatore al male non fosse affascinante, nessuno lo seguirebbe. È un fascino complesso, non legato solamente alla bellezza fisica (Hitler non è definibile bello con i canoni di bellezza che egli stesso ha applicato al III Reich, e questo costituisce uno dei misteri del nazismo).
    Il fascino dell’educatore al male è a senso unico: egli vuole che tutti siano come lui e non coglie mai la bellezza dei ragazzi ma solo la loro utilizzabilità. Un colonnello nazista osserva in questo modo alcuni ragazzi di un popolo vinto:

    “il colonnello non vedeva dinanzi a sé lo sboccio di creature umane, l’alba luminosa dell’umano mattino, ancora una nuova creazione dell’uomo, ancora un nuovo allargarsi della sua specie e del suo sviluppo, non vedeva tutto ciò per cui la giovinezza è sacra in ogni paese del mondo. Vedeva soltanto l’adolescenza di un popolo nemico che da poco soltanto è stato soggiogato e che non sentiva ancora abbastanza rispetto né abbastanza timore davanti ai suoi nuovi padroni”[1].

    Educare al male significa eliminare le differenze in nome di una comoda omogeneità, significa volere che il processo di crescita sia unilaterale e unidirezionale. L’educatore non cambia, non può e non deve cambiare, perché sta crescendo dei propri cloni; la sua figura è al di qua di ogni possibile critica, i ragazzi devono diventare esattamente come lui, che a sua volta è stato cresciuto per adeguarsi a un modello esterno. L’educazione al male può essere affascinante ed emozionante nei suoi metodi, ma nei suoi risultati è di una noia senza fine: il mondo che essa sta preparando è un mondo nel quale risuona l’unica nota della monotona violenza sul debole: e una volta eliminato l’ultimo debole ci sarà solo il silenzio della pazzia.
    Ma l’arma vincente dell’accompagnatore al male è la sua capacità di usare il rito iniziatico come strumento educativo. I riti del male sono ovviamente violenti, ma mobilitano energie che di per sé non sono né positive né negative. Questi riti violenti hanno molta presa soprattutto sulle persone che non hanno fatto i conti con la propria fragilità e che dunque la perseguitano negli altri. Nel cartone animato “I Simpson”, la prima volta che il bambino Martin Prince, primo della classe e di solito vittima dei bulli, partecipa a un’azione di gruppo consistente nel chiudere un ragazzino nello spogliatoio delle ragazze, sostiene che tra le cose che l’hanno fatto maggiormente godere c’è “il fatto che non ero io”. Essere co-partecipi delle azioni del gruppo violento permette una protezione e un protagonismo anche se ci si posiziona semplicemente nel ruolo dello spettatore. L’educatore al male sa manipolare le emozioni dei ragazzi attraverso veri e propri rituali (rubare la sciarpa al tifoso avversario, picchiare il ragazzo che vende accendini all’angolo della strada, incendiare una cabina telefonica). Questa è una delle possibili chiavi di lettura dei fenomeni del bullismo e del vandalismo[2].
    “Amicizia”, “solidarietà”, “cameratismo” sono le parole che gli educatori al male propongono e fanno vivere ai ragazzi; ovviamente si tratta di un’amicizia a senso unico, di una solidarietà tra uguali e di un cameratismo “a base di spintoni” come già denunciava Adorno. Ma il sentimento dell’amicizia già insozzato dal suo utilizzo nei social network come Facebook, è ulteriormente sottoposto a tensione negativa da questi gruppi nei quali i tuoi “amici” sono in realtà i tuoi capi che restano vilmente nascosti nell’ombra mentre tu compi il gesto criminale che ti farà salire di considerazione nella loro “amicizia” (che ovviamente non è mai gratuita e disinteressata come l’amicizia vera).
    Se non si coglie fino in fondo questo fascino oscuro del male è difficile anche proporre alternative. A proposito dei viaggi della memoria Primo Levi propose una pausa di riflessione proprio poco prima della sua tragica morte: il fatto che spesso nei campi di sterminio i ragazzi si lascino andare a comportamenti assolutamente non consoni al luogo se non addirittura a scherni dovrebbe farci molto riflettere. Non è una provocazione paradossale, il fatto che un ragazzo che ha compiuto il viaggio della Memoria potrebbe diventare neonazista o perlomeno confermare un orientamento razzista che aveva alla partenza; occorre sempre ricordare lo straordinario fascino del male, soprattutto sulle coscienze adolescenziali: è indubbio che le SS, i gerarchi nazisti, il nazismo nel suo insieme possono suscitare ammirazione e identificazione nei giovanissimi.
    L’abisso c’è: fa parte della montagna, ne costituisce il fascino e il rischio, non ha dimensioni etiche o morali. Educare a guardare in fondo all’abisso senza farsene affascinare è difficile, ma è l’unica arma contro coloro che utilizzano l’abisso per farvi precipitare persone innocenti, con la scusa dell’educazione che è sempre un’arma pronta ad ogni utilizzo.


    NOTE

    [1] F. Langer, I fanciulli e il pugnale, Garzanti, Milano 2001, p. 126.
    [2] Cfr.  R. Mantegazza, Da bullo a bullo. Lettera a un ragazzo violento da un ex ragazzo violento, Milano-Udine, Mimesis 2020.


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