In piena metamorfosi. Dalla ricerca allo smarrimento e ritorno

Editoriale

Rossano Sala


(NPG 2021-07-6)

Sono passati sei o sessant’anni?

L’universo giovanile è magmatico, allo stesso modo della storicità sociale dell’umanità, da sempre in perenne movimento. Le diversità sono sempre più grandi e lo scambio dinamico tra globale e locale si fa sempre più animato. Non c’è altro modo di conoscere questo mondo che frequentarlo quotidianamente. Insieme poi si può anche studiarlo con passione.
Siamo molto grati a Valerio Corradi, sociologo attento e intelligente, che con una certa scadenza ci aiuta a considerare con interesse e interpretare con sapienza i cambiamenti in atto nella religiosità dei giovani. Lo aveva fatto per noi sei anni fa nell’accattivante Dossier di marzo 2015 (Giovani e religiosità. Verso un cambio di paradigma) e ci ripropone un aggiornamento in questo numero di NPG.
Facciamo un piccolo esperimento. Proviamo a pensare al 2015, partendo dalla nostra esperienza e dalla nostra memoria personale, e anche dalla considerazione di che cosa è cambiato nella pratica della pastorale giovanile, nell’immaginario ecclesiale e nella vita della società in questa piccola manciata di anni.
L’enciclica Laudato sì’ sulla cura del creato (2015), il bicentenario della nascita di don Bosco (2015), la conclusione del Sinodo sulla famiglia con la pubblicazione di Amoris laetitia (2016), la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia e di Panama (2016 e 2019), l’entusiasmante cammino sinodale con e per i giovani (2016-19), il Sinodo della regione Panamazzonica (2019) e poi l’avvento della pandemia, che ha rapidizzato i cambiamenti in atto, oltre che aggiungerne degli altri. Pensiamo ai repentini mutamenti climatici, alla sempre più critica situazione politica internazionale, all’aumento esponenziale del fenomeno delle migrazioni. È tutto un movimento magmatico che si fa sempre più liquido e più rapido. Fratelli tutti (2020) raccoglie alcune delle sfide globali più importanti e delicate del momento.
Talvolta mi chiedo se sono passati, dal 2015, sei o sessant’anni. Perché effettivamente i fondamentali su cui ragionavamo in quegli anni appaiono radicalmente mutati.

Decifrare la religiosità giovanile con categorie nuove

Verso la fine del Dossier Valerio Corradi definisce la nostra come “un’epoca di smarrimento”. Mi pare azzeccata questa proposta, legata sia alla condizione dei giovani che a quella degli adulti. Alcuni “fondamentali” appaiono perduti, sembrano mancare dei “punti fermi” prima assodati e siamo alla ricerca di “nuovi punti fermi” che non si intravedono ancora all’orizzonte.
Qualcuno parla di “fragilizzazione” di tutte le posizioni, perché nessuno è più così tanto sicuro delle proprie convinzioni. Questo è un elemento che ha il vantaggio di farci diventare tutti un po’ più umili e rispettosi delle posizioni e delle convinzioni altrui. Altri annotano che i percorsi sono sempre più personali. Difficile cercare di standardizzare e omologare le esperienze – soprattutto in ambito religioso giovanile – in quanto “il tempo dell’autenticità” che stiamo attraversando impone ad ognuno di cercare la sua personale via per affrontare le sfide e il senso dell’esistenza. Ancora altri avvertono i segnali una rinnovata “fioritura” della ricerca spirituale, che però non sappiamo bene dove ci porterà, perché spesso slegata da percorsi istituzionali e quindi di breve e incerta durata. La pandemia, che ha bloccato l’espressione istituzionale della preghiera (pensiamo alla partecipazione liturgica), ha aperto il campo per la ricerca di nuove soluzioni creative e tendenzialmente individuali.
L’evento pandemico globale che stiamo ancora attraversando ha segnato una certa irrilevanza della proposta ecclesiale di senso e una rinnovata fiducia nella scienza, che attraverso i vaccini appare l’unica forza che sembra essere in grado di contrapporsi alla virulenza in atto. Che la ricerca si sia tramutata in smarrimento deve farci pensare. Soprattutto se questo non riguarda semplicemente i giovani – tutto sommato è abbastanza normale che le giovani generazioni, per definizione in ricerca, abbiamo dei momenti di smarrimento – ma la società civile nel suo insieme, e anche la Chiesa. Certo, ci sono dei segnali inequivocabili che anche la nostra amata Chiesa, di cui con gioia ci sentiamo parte viva, stia attraversando alcuni momenti di disorientamento.
Una delle tante positività del Dossier di Valerio Corradi è l’invito a decifrare la religiosità giovanile con categorie nuove. Nel proporre un’analisi di alcuni campi di espressione della religiosità giovanile odierna avanza, alla fine, alcune proposte per sintonizzarsi con la sensibilità dei giovani d’oggi e per agganciare la sempre viva domanda di senso che attraversa l’universo giovanile. Quindi lo smarrimento non è l’ultima parola, perché tra le nebbie del nostro tempo si intravedono alcuni punti luce su cui far leva per il rinnovamento.

Un mondo in trasformazione

Cambiamento, ricerca, smarrimento vanno più in là. Forse la parola che possiamo e dobbiamo cominciare ad utilizzare con più dimestichezza è “metamorfosi”. È una parola che ci potrebbe incutere terrore, sulla scorta dell’opera più conosciuta di Franz Kafka: Die Verwandlung (La metamorfosi), del 1915. Anche noi, come Gregor Samsa – il protagonista del racconto – rischiamo di risvegliarci un mattino ritrovandoci trasformati in un enorme insetto, con la cui forma potremo essere chiamati a convivere negli anni a venire.
Piuttosto che con Kafka, convengo con più serenità verso il testo postumo del saggio sociologo bavarese Ulrich Beck (La metamorfosi del mondo, Laterza, Bari 2017), perché anche a me pare che la parola corretta per definire il nostro passaggio d’epoca sia comunque questa: metamorfosi.
Perché tra il bozzolo e la farfalla è molta di più la discontinuità che la continuità. E lo stesso bozzolo non sa davvero che cosa diventerà da grande. Non lo può nemmeno immaginare, sta fuori dalla sua portata questa possibilità. Il nostro è davvero un tempo di contingenza e incertezza dove nessuno pensatore sensato azzarda previsioni non solo sul lungo medio periodo, ma anche sul medio e sul breve. Solo i superficiali e gli incompetenti appaiono certi di come saranno gli anni a venire, ma saranno di certo smentiti dai fatti.
Solo per restare nell’ambito ecclesiale e giovanile, e solo per restare in Italia, mi domando: chi si arrischia a fare previsioni sull’esito del cammino sinodale italiano appena intrapreso? Chi con buona coscienza potrà preconizzare con certezza la direzione di futuro del cristianesimo nel nostro paese nei prossimi decenni? Come pensiamo di affrontare anche solo la semplice “gestione” delle nostre realtà ecclesiali italiane senza un minino di ricambio generazionale? In che modo il mondo digitale – o quello delle migrazioni – impatterà nei prossimi decenni sulla forma della pastorale giovanile e della Chiesa stessa nel nostro bel paese? Se poi allarghiamo lo sguardo verso la Chiesa universale, il panorama politico globale, i cambiamenti climatici e la gestione dell’economia entriamo in un’incertezza senza precedenti…
In ambito scientifico si parla volentieri di “effetto farfalla”, per indicare come una variazione minima, locale e imprevedibile in un sistema comporta dei cambiamenti enormi in tutto il sistema stesso. Ora, per stare dentro quella metafora, abbiamo in giro parecchie farfalle, e dal loro movimento e dalla loro combinazione non ipotizzabili uscirà qualcosa di inedito.

Facciamoci di nuovo attenti ai segni dello Spirito

Qual è l’atteggiamento più corretto per affrontare questa metamorfosi epocale in atto? Lo sguardo della fede vive prima di tutto della certezza che Dio non è solo genericamente presente nella storia, ma che particolarmente presente in questa storia! Discernere, lo abbiamo imparato molto bene nel cammino sinodale con i giovani, significa prima di tutto farci attenti alla presenza silenziosa e discreta, imprevista e imprevedibile di Dio nel volto e nell’esistenza dei giovani. “Luoghi teologici”, abbiamo affermato, sono le esistenze umane. Lo sono in forma particolare le vite dei giovani, dei piccoli, dei poveri. Lì Dio si incarna ancora una volta e precisamente lì vuole essere riconosciuto, amato, servito.
Per poter fare questo è opportuno purificare il nostro sguardo, lavorare prima di tutto su noi stessi, sulla nostra qualità spirituale. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», afferma Gesù nel terzo versetto del capitolo quinto vangelo di Matteo. Per vedere Dio nella storia degli uomini e dei giovani non basta studiare, non basta leggere statistiche sui giovani o fare con loro degli interessanti focus group passeggeri. Bisogna stare stabilmente tra loro e soprattutto chiedere a Dio stesso di aiutarci ad assumere il suo stesso sguardo, liberando la nostra anima dalle oscurità che la abitano. Gesù su questo non fa troppi giri di parole:

Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello (Lc 6,42).

Tanti nel nostro tempo non vedono Dio – anche uomini e donne di Chiesa – perché faticano a riconoscere che non è la sua assenza il problema, ma la nostra incapacità di scorgerne la presenza. La cartina al tornasole di questo atteggiamento è lo sguardo negativo sul mondo giovanile, che ancora troppe volte sa solo ingigantire pagliuzze, perdendo di vista le travi. Invece, come ben ci suggerisce papa Francesco, coltiviamo

lo sguardo attento di chi è stato chiamato ad essere padre, pastore e guida dei giovani che consiste nell’individuare la piccola fiamma che continua ad ardere, la canna che sembra spezzarsi ma non si è ancora rotta (cfr Is 42,3). È la capacità di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”, portatore di semi di vita divina e davanti al quale dobbiamo “toglierci i sandali” per poterci avvicinare e approfondire il Mistero (Christus vivit, n. 67).