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    Quando spiegavo ai miei studenti il percorso relazionale necessario alla costruzione di un’interazione esistenzialmente autentica, oltre ai passi necessari da compiere evidenziavo anche i passi da evitare. Tra questi indicavo che quando si incontra una persona per la prima volta e in modo apparentemente causale è necessario essere consapevoli che questo tipo di incontro non deve essere attribuito al caso. Questo perché nessun uomo è un’isola ma parte di un continente costituito dalla rete relazionale, in gran parte invisibile, che connette tutti gli esseri umani, per cui quando incontriamo una persona per la prima volta accade semplicemente che una relazione invisibile diventi visibile.
    Il mio incontro con Riccardo Tonelli, secondo il comune modo di pensare dovrebbe essere attribuito al caso. Io non conoscevo Riccardo e lui non conosceva me.
    Era il 1968 e in quel periodo, fresco di studi, avevo un lavoro “precario” come consulente del Centro di Sviluppo e Organizzazione Sociale della Provincia di Torino, nel quale mi occupavo principalmente di ricerca sociale e di educazione degli adulti, tenevo dei corsi di formazione degli animatori socioculturali per il Comune di Torino e facevo parte del Centro di Cultura Operaia. In questo centro – che era in contato con i movimenti francesi di animazione come il Centre de Culture Ouvrière e Peuple et Culture una parte significativa era dedicata all’animazione.
    Questo è stato il terreno in cui è germogliato l’incontro con Riccardo.
    Don Riccardo Tonelli, redattore della rivista Note di pastorale Giovanile, stava progettando un numero sull’animazione ed era alla ricerca di “esperti” di animazione, che allora erano alquanto rari. E tra questi era stato segnalato io. Il risultato di quell’incontro, oltre alla pubblicazione su NPG del mio articolo “La funzione dell’animatore nella circolazione dei valori”, fu un’amicizia e una condivisione spirituale e culturale inossidabili con Riccardo e l’inizio della mia partecipazione alla redazione e successivamente al comitato di direzione di NPG.
    Prima dell’incontro con Don Riccardo non mi ero occupato di Pastorale Giovanile a livello teorico ma solo pratico come Delegato nell’Azione Cattolica della mia parrocchia. Tra l’altro non mi sembra che in quegli anni l’espressione Pastorale Giovanile fosse molto usata.
    Inoltre da studente universitario, con un gruppo di coetanei avevamo dato vita a un centro giovanile nei locali sotterranei del Santuario di santa Rita da Cascia di Torino, reso abitabile con interventi edili e di pittura effettuati dai membri del gruppo. Alle diverse attività del Centro partecipavano alcune migliaia di giovani. Di là di queste esperienze pratiche non avevo alcuna conoscenza su cosa fosse e dovesse essere la Pastorale giovanile. La cosa che possedevo erano alcune competenze nel campo dell’animazione, che allora erano comunque secondarie rispetto a quelle dei miei studi e del mio campo professionale.
    In quegli anni l’Animazione era per me un interesse collaterale che beneficiava delle ricerche e degli studi che svolgevo nella mia attività professionale e accademica. Il luogo in cui ho sviluppato la mia concezione di Animazione Culturale è stato la redazione di NPG. Se non avessi fatto parte di quel gruppo redazionale e non avessi avuto il dono dell’interazione con Riccardo non avrei sviluppato alcunché nell’ambito dell’animazione, che con il passare degli anni è diventato sempre più importante, anche se la mia ricerca e la mia attività accademica riguardava anche altri ambiti delle scienze umane e della ricerca sociale.
    Ricordo la redazione di NPG come un laboratorio creativo nel quale, partendo da competenze diverse ma complementari, ciascuno offriva il proprio contributo alla creazione di un terreno culturale. Terreno nel quale si è innestato il modello di pastorale giovanile sviluppato da Don Riccardo Tonelli, al quale per decenni ha attinto un grande numero di operatori della pastorale giovanile italiana e non solo. Per avere un’idea della ricchezza del terreno culturale che veniva costruito, è sufficiente dire che i contributi dei suoi membri spaziavano dalla teologia alla politica, dalla sociologia alla psicologia, dalla teologia pastorale alla pedagogia. Oltre a questo, è necessario situare la produzione culturale della redazione di NPG nel clima sociale e culturale di quegli anni, senza dimenticare che le nostre riunioni di redazione mensili, duravano l’intera giornata del sabato e la mattina della domenica. A questi incontri si aggiungevano i convegni organizzati dalla rivista, come quello annuale che si teneva a Brescia, i campi scuola estivi nei quali le idee prodotte si mettevano in pratica. Il mio ricordo è quello di una stagione entusiasmante, tutt’altro che breve essendo durata alcune decine di anni, che ha segnato non solo la pastorale giovanile italiana, ma ha offerto anche un contributo non marginale alla visione della cultura sociale e dell’uomo nella Chiesa e nella società Italiana.
    Anche a distanza di alcuni decenni è ancora forte in me il senso di gratitudine verso ciò che gli incontri della redazione mi hanno donato. Per me, che ero il più giovane in quel gruppo, la redazione di NPG è stato un luogo formativo molto importante. A prima vista potrebbe sembrare che la coesistenza di approcci e di saperi diversi creasse quel tipo di cacofonia che è prodotta dalle orchestre prima del concerto nel momento in cui i musicisti accordano i diversi strumenti. Ciò non si verificava grazie al polso fermo dell’allora Direttore Don Scotti e a Don Tonelli, che svolgeva un ruolo ineguagliabile di direttore d’orchestra. Egli, infatti, riusciva ad armonizzare i diversi contributi e, di ogni argomento discusso nella redazione formulava delle sintesi che tessevano in un disegno unitario i diversi contributi.
    Un esempio, oltre a quello visibile consultando i numeri della rivista di quegli anni, dell’integrazione di approcci disciplinari ed esperienziali molto diversi che erano sviluppati nella redazione, così come del clima culturale di quegli anni, è offerto da un libro pubblicato dalla LDC nel febbraio del 1973 nel quale erano presenti scritti del Cardinale Eduardo Pironio, di Vittorio Morero, Giancarlo Negri, Egidio Viganò, Riccardo Tonelli, Bartolino Bartolini e del sottoscritto. Già il titolo del libro rifletteva fedelmente il clima culturale di quegli anni: “La liberazione un dono che impegna. Fede e impegno politico nei gruppi giovanili”: “l’impegno politico – come progetto di liberazione dell’uomo in Cristo sua liberazione pasquale integrale, almeno per noi cristiani – è il quadro di riferimento e di verifica di ogni proposta pastorale”, si affermava già come tesi nell’introduzione: una specie di manifesto per la pastorale giovanile.
    In quel contesto teologico, culturale e sociale il mio personale contributo ha riguardato l’analisi della realtà socioculturale, con un riferimento particolare al mondo giovanile, il fondamento antropologico dell’educazione e l’integrazione di queste analisi e riflessioni nell’animazione culturale. La cosa interessante è che lo sviluppo dell’animazione culturale è avvenuto all’interno di un rapporto simbiotico e spontaneo con la pastorale giovanile di Riccardo Tonelli e ha anche beneficiato dell’arricchimento fornito dai contributi multidisciplinari presenti nella redazione.
    Un rapporto che tuttavia nella prima metà degli anni Settanta ha visto sia convergenze che divergenze. In effetti l’animazione culturale sin dalla sua nascita si è qualificata come un’istanza riformatrice del modello educativo in quel tempo dominante. Infatti, per realizzare l’obiettivo della promozione di uno stile di vita e di un processo formativo in grado di svolgere un ruolo protagonista della liberazione dell’uomo da ciò che ne impediva una realizzazione più compiuta era necessaria una diversa soluzione delle antinomie che sono presenti nell’educazione, in particolare di quella tra la realizzazione dell’unicità della persona e la riproduzione della società e della sua cultura. Si trattava certamente di un progetto imbevuto di utopia, ma come la storia insegna senza utopie e sogni la vita umana non evolve.
    Il contributo alla liberazione integrale dell’uomo perseguito dall’animazione culturale (come inscritto nella sua stessa etimologia) aveva le proprie fondamenta nel processo generativo dell’amore alla vita e nell’accettazione della scommessa che è possibile, attraverso un particolare modo di educare e di vivere, far nascere la vita anche laddove i segni di morte sembrano negarne la possibilità.
    In questa radice generativa dell’amore alla vita dell’animazione si trova il cuore della sua connessione con la proposta di pastorale giovanile di Riccardo Tonelli che, semplificando, ha l’obiettivo di sostenere i giovani a dire sì alla vita e a riconoscere Gesù come Signore della vita. Spero che Riccardo non si arrabbi troppo, lassù, per questa mia eccessiva semplificazione.
    Non bisogna però pensare che l’animazione culturale, così come la figura dell’animatore, in quegli anni fossero già strutturate e formate come lo sono oggi. Essi erano stati disegnati nei loro tratti caratteristici preminenti dalla cultura e dai valori che sono emersi a cavallo del 1968.
    La rivoluzione culturale del 1968 aveva poi di fatto accelerato il passaggio nel «passato» di molte delle concezioni educative che sino ad allora avevano dominato il campo. In conseguenza di questo il ruolo dell'animatore in quegli anni si è andato delineando come quello attraverso cui, in una rinnovata visione dell'uomo, della società e dei rapporti tra fede e politica, alcune comunità ecclesiali perseguivano il compito di una educazione liberatrice dei ragazzi e dei giovani.
    Se non si collega l'origine dell'animazione a quel crogiuolo di cultura e di valori che fu il 1968 difficilmente si riescono a capire le motivazioni che hanno spinto molti giovani ad indossare l'abito, allora informe, dell'animatore né tanto meno quelle che li hanno sorretti nel duro esercizio quotidiano dell'animazione.
    La tensione morale che sorresse la vocazione all'animazione può essere sintetizzata nell'adesione di quegli animatori all'imperativo della liberazione umana. Si può affermare che la motivazione all'animazione fu per molti giovani politica, anche se profondamente intessuta dalla loro fede.
    È in quel periodo che sono stati gettati i semi che hanno consentito, anche dopo che le utopie del sessantotto sono state messe in soffitta, all’Animazione di mantenere e sviluppare in nuove forme la sua funzione di liberazione della persona umana, finalizzata a generare amore alla vita e a abilitare le nuove generazioni a costruire se stesse all’interno dell’avventura di senso che dall’origine tesse la presenza dell’uomo nel mondo.

    Un’altra caratteristica che sin dall’inizio ha differenziato il metodo dell’animazione culturale da quella dei principali modelli educativi è stata la scelta di perseguire gli obiettivi esistenziali e formativi non con un metodo di tipo individuale, basato sulla relazione duale educatore/educando, bensì con un metodo di tipo gruppale, basato sulle relazioni educando/gruppo e educatore/gruppo.
    Si era convinti che l‘animazione culturale consentisse di sviluppare un’azione in grado di far evolvere il gruppo verso una maturità in cui ci sia spazio e valore per le differenze individuali all’interno di un forte spirito solidale e cooperativo.
    Oltre a questo motivo la scelta da parte dell’animazione del metodo gruppale era suggerita anche dal fatto che il gruppo è l’unico luogo in cui può avvenire quell’apprendimento psicosociale mediante lo sviluppo di interazioni autentiche e dialogiche tra i suoi membri in grado di abilitare il giovane a una partecipazione alla vita sociale matura. E questo si pensava avrebbe consentito il trasferimento di questa esperienza, apprendimento, nelle relazioni sociali della loro vita quotidiana.
    Tra le conquiste relative al modo di vivere la relazione educativa, in particolare in ambito ecclesiale, era emersa – da altre pratiche e studi sociali – l’importanza nella comunicazione interpersonale della coerenza tra il contenuto e la relazione. E questo dava valore a un antico sapere maturato nella pratica dell’evangelizzazione, della pastorale e della buona educazione: la testimonianza. Ciò consentì l’affermazione della concezione che l’animatore non poteva essere solo un “tecnico” o, se lo si preferisce, un professionista, ma anche un militante, una persona cioè in grado di testimoniare con il suo modo di credere, di porsi nella relazione con gli altri, con la sua vita e con il suo impegno ciò che propone alle nuove generazioni.
    Questo modo di pensare i processi educativi sviluppati secondo il modello dell’animazione culturale nella pastorale giovanile era in profonda sintonia con lo spirito del tempo che permeava la vita della società (nei movimenti giovanili, in particolare studenteschi, nei movimenti operai, in parte dei partiti, nella vita culturale e accademica e in molti gruppi, movimenti, associazioni) e comunità, definite di base) e di una parte della comunità ecclesiale e nel dibattito teologico dopo il Concilio Vaticano II. In quegli anni era molto presente la concezione che il cristiano dovesse impegnarsi per contribuire attivamente alla realizzazione del Regno il cui seme era stato gettato da Gesù e la cui crescita era affidata allo Spirito. Il cristiano era chiamato a cooperare, per quanto nelle sue deboli, possibilità al passaggio dal già al non ancora.
    A questo corrispondeva, a livello sociale, la convinzione che l’uomo potesse, attraverso la politica, l’economia e la cultura, costruire un mondo migliore, che il futuro in qualche modo era nelle sue mani. In quegli anni comincia anche a prendere forma in ambito salesiano l’interpretazione del modello educativo proposto dall’animazione come una nuova espressione del sistema preventivo di Don Bosco.
    Il clima culturale e sociale dopo la contestazione studentesca negli anni intorno al 1968 e l’autunno caldo sindacale del 1969, cambia radicalmente in seguito agli “anni di piombo” e le Brigate Rosse e alle stragi. Cambiamento che è leggibile in tre fenomeni: il ritorno al privato, la fine della condizione giovanile e l’individualizzazione dei percorsi di crescita delle nuove generazioni. Questi tre fenomeni possono essere considerati i prodromi della soggettivizzazione e dell’individualismo che si manifesterà fortemente nei decenni successivi e che nel nuovo secolo si manifesterà nella comparsa del Dio personale e di una religiosità che non richiede l’appartenenza a una religione e, quindi, per i cristiani alla chiesa.
    NPG descrisse con le sue analisi quel fenomeno sociale e adeguò le sue proposte pastorali e educative alla frammentazione del mondo adolescenziale e giovanile ai nuovi vissuti dell’esperienza religiosa, dando maggior rilievo alla realizzazione personale senza per questo rinunciare a proporre ai giovani un ruolo attivo nel sociale e nel politico, soprattutto attraverso la mediazione di associazioni e le nascenti forme di volontariato. Nei miei articoli su NPG affrontavo il tema del ruolo politico dell’associazionismo, ma anche la profonda crisi della figura dell’animatore e il modello di animazione. Il retroterra motivazionale originario dell'animazione si era sfumato, non solo per la caduta della tensione morale e ideale della seconda metà degli anni Settanta, ma anche e forse soprattutto – a causa di una sorta di determinismo educativo che aveva sotteso l'impegno di molti animatori. La maggior parte di essi si era illusa che bastasse animare in un certo modo per ottenere, nel breve periodo, significativi risultati a livello delle coscienze degli animandi e addirittura a livello di trasformazione delle strutture ecclesiali e sociali. Questi animatori sono stati contraddetti dagli eventi, frustrati nelle loro attese. Avevano dimenticato che l'educazione svela i suoi risultati in cicli e in modi che sfuggono alle vicende del contingente e alla evidenza della quantificazione obiettiva. Molti gruppi poi avevano scelto come animatori degli adolescenti, la cui età, la cui preparazione e le cui problematiche esistenziali li rendevano poco idonei al ruolo dell'animatore e facili allo scoramento.
    Non erano dunque in crisi l'animazione e il ruolo dell'animatore, bensì una certa pratica di essa. Ciò avrebbe potuto però consentire ai gruppi ecclesiali di rifondare la loro azione educativa, il loro modo di fare animazione rendendole più adeguate ai propri bisogni e al bene «assoluto» degli educandi. Per questo probabilmente era necessaria la trasformazione dell’animazione in una funzione pienamente educativa e in uno stile di vita, e insieme alla «professionalizzazione» del ruolo dell'animatore.
    Intanto l’Elledici pubblicava varie collane sull’animazione, consolidando la struttura e i concetti fondamentali della teoria e del metodo dell’animazione culturale odierni.
    Tematiche che – a fronte delle trasformazioni socioculturali, maturate nella seconda metà degli anni Settanta, indicando la direzione del cambiamento e il bisogno di individuare le nuove vie che conducevano alla liberazione integrale dell’uomo – erano una parte importante delle discussioni nelle riunioni della redazione di quegli anni e dopo.
    In quello stesso periodo storico, nel 1983, NPG trasferisce la propria sede da Valdocco (Torino) a Roma al Sacro Cuore. Io stesso per lavoro mi sono trasferito con la famiglia a Roma. In famiglia era sorto il sospetto che mi fossi trasferito a Roma per seguire NPG! Naturalmente la composizione della redazione subì un radicale cambiamento, così come la durata delle riunioni della redazione che passarono dal giorno e mezzo dei fine settimana a una mezza giornata. Questo non comportò assolutamente una diminuzione della creatività e della produttività degli incontri di redazione. Per quanto mi riguarda con l’acquisizione dell’insegnamento all’UPS la collaborazione con Riccardo Tonelli si intensificò e la complementarità tra Pastorale Giovanile e animazione si sviluppò ulteriormente, anche a livello accademico. Basti pensare che l’insegnamento dell’animazione era incardinato nell’Istituto di Teologia Pastorale della facoltà di Teologia e alla realizzazione all’interno del Dipartimento di Pastorale giovanile e catechetica di un tirocinio teorico pratico annuale di pastorale giovanile di cui eravamo congiuntamente titolari Riccardo Tonelli e io.
    È negli anni romani che si è si realizzato il conseguimento della maturità dell’animazione culturale in parallelo con quella della Pastorale Giovanile ad opera di Don Riccardo Tonelli.
    Un esempio del livello di maturità raggiunto e del livello di integrazione tra animazione e pastorale giovanile è dato dalla stesura da parte di Riccardo Tonelli e del sottoscritto del “Credo dell’animazione” articolato in nove punti a cui rimandiamo col link.
    Questo “credo” nel processo educativo dell’animazione si incarnava in tre gruppi di obiettivi e in un metodo particolare: accostarsi alla cultura come modo di individuarsi e di riconoscersi nel quotidiano» attraverso la costruzione dell’identità personale dentro la cultura; scoprire il sociale come luogo della solidarietà in cui riproporre se stessi senza mistificazioni e, quindi, la partecipazione alla vita sociale; riconoscere l’invocazione che la realtà rilancia come invocazione aperta alla speranza totale attraverso la ricerca della trascendenza e della religiosità.

    I tre decenni che vanno dal trasferimento di NPG a Roma alla prematura scomparsa di Don Riccardo Tonelli, che coincidono come il periodo della piena maturità della Pastorale giovanile e dell’Animazione culturale, hanno visto un fiorire di pubblicazioni, di ricerche, di corsi e convegni e, soprattutto la diffusione del modello di pastorale giovanile e di animazione nei paesi di lingua spagnola, in Africa, nell’Est Europa, nel Medio Oriente e in Asia.
    Negli anni successivi la morte di Tonelli il modello dell’Animazione Culturale nella Pastorale Giovanile italiana sembra perdere la centralità che aveva acquisito nei decenni precedenti, sostituito da generici modelli educativi sovente ascrivibili più alla didattica che alla pedagogia.
    Questo è avvenuto mentre l’animazione si diffondeva all’interno degli interventi di politica sociale promossi da molti enti locali, da enti di formazione e scuole. Questa realtà si è talmente sviluppata da creare una realtà associativa di rappresentanza, l’Associanimazione, alla quale aderiscono cooperative e altre organizzazioni di animatori professionali operanti nel terzo settore.
    Il declino dell’animazione nell’ambito della pastorale giovanile italiana può essere dovuto a un insieme complesso di motivi. Il primo è certamente legato alla fine delle “grandi narrazioni”, fine che è strettamente intrecciata con la crisi della politica, intesa non solo come gestione del potere e dell’economia, ma come progetto di emancipazione della realtà umana individuale e sociale. La crisi della dimensione progettuale non tocca solo la vita politica e sociale ma anche quella individuale e si manifesta come opacità dello sguardo degli uomini contemporanei, tra i quali in particolare i giovani, verso il futuro. Questa scomparsa è associata a quella del Regno, della concezione di una salvezza il cui raggiungimento richiede l’impegno dei cristiani nella storia. Un impegno non prometeico, nel senso che esso è necessario e non si disperde nel nulla, anche se chi lo attua non ne vede i frutti e/o sperimenta l’esperienza del fallimento e della sconfitta.
    Un’altra causa è ascrivibile sicuramente alla dominanza tra le nuove generazioni di un’esperienza religiosa che nella maggioranza dei casi deriva da esperienze di fede di tipo individuale che prevalgono nettamente su quelle comunitarie. Una delle caratteristiche che accomuna queste nuove forme di esperienza religiosa è senza dubbio la ricerca a livello individuale della perfezione e della crescita personale, dell’arricchimento della propria anima che avviene insieme alla scoperta del “Dio personale”. Non è perciò casuale che le ricerche di tipo qualitativo sulla religiosità giovanile abbiano evidenziato il fatto che anche molti giovani che si dichiarano cattolici indichino la loro scelta religiosa come la via per “ricercare se stessi” e “riscoprire il proprio sé”.
    Chiaramente rispetto a questa forma di religiosità senza religione il modello di pastorale e di animazione che vede nell’esperienza del gruppo l’embrione dell’esperienza di Chiesa non viene preso in considerazione e si preferisce il rapporto duale, quando invece sarebbe oltremodo necessario quello gruppale. Un’altra causa della crisi dell’animazione culturale è l’averla scambiata per una tecnica per vivacizzare gli incontri, come una forma di intrattenimento e oltretutto operata da persone prive delle adeguate competenze professionali. Infine, un’altra ragione è la prevalenza della ricerca di risultati nel breve periodo, concretamente misurabili, dimenticando che i risultati a breve misurabili possono essere raggiunti dalla didattica ma non dall’educazione, i cui effetti si manifestano nel medio e lungo periodo e non sono facilmente misurabili. Di qui il prevalere di metodi didattici, a volte grossolani, sull’animazione.
    Personalmente sono convinto che superata la liquefazione o polverizzazione della modernità l’animazione prenderà nuovamente il posto che le spetta. Probabilmente dentro il filone indicato e prodotto all’interno di NPG, ma anche oltre, con le nuove acquisizioni teoriche ed esperienze sociali ed educative.
    Anche se non muore in me la consapevolezza di un “periodo d’oro”, che è stato fecondo – e può tornare ad esserlo – nel campo dell’educazione e dell’evangelizzazione, e di cui sono lieto di aver fatto la mia piccola ma appassionata parte.


    T e r z a
    p a g i n A


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