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    Una affascinante esperienza

    di ricerca pastorale

    con NPG

    presso il CSPG di Roma

    Mario Delpiano


     

    Primo impatto da “novellino”

    Nel 1983, sacerdote salesiano novello con tre anni di ordinazione, proveniente da una esperienza particolare di educatore presso il “centro educativo convitto” di Oulx, in val di Susa, con ragazzi difficili e provati da situazione familiari critiche, passavo alla comunità del Centro Salesiano Pastorale Giovanile di Roma, in un momento particolare della sua esistenza.
    Insieme a questa esperienza triennale di servizio educativo-pastorale con i preadolescenti deprivati e dell’area del disagio, avevo alle mie spalle diverse esperienze di libero battitore in oratori delle periferie urbane, come quella di Gerini Ponte Mammolo, e quella dell’Oratorio salesiano della parrocchia S. Giuseppe Lavoratore a Torino nella cosiddetta “Barriera di Milano”.
    Queste esperienze pastorali con soggetti ai margini, insieme al mio percorso pluriennale di studi universitari, in particolare gli studi per la laurea in Psicologia della Religione presso la Facoltà di Filosofia dell’Università di Torino, e i successivi studi in Scienze umane presso l’UPS di Roma, avevano contribuito alla mia formazione di un background fortemente problematizzante e critico nei confronti dei metodi e delle prassi educative correnti, soprattutto tradizionali, di pratica educativo-pastorale soprattutto con i soggetti minori e a rischio.
    Quello che mi mancava, da prete-educatore di trent’anni, era l’occasione di un contesto plurale di elaborazione e di ricerca intorno all’esperienza educativo-pastorale, che offrisse una organizzazione più sistemica e coerente.
    Fu proprio questo il “dono” che ricevetti nel settembre del 1983, quando, con sorpresa, il superiore religioso mi propose di trasferirmi presso il Centro salesiano di pastorale giovanile (CSPG) che in quel momento da Torino Valdocco si trasferiva in via Marsala a Roma, nella prospettiva di un servizio nazionale, per la Congregazione salesiana in Italia e per le Chiese d’Italia, maggiormente distribuito nelle regioni italiane a vantaggio di una PG più corale, condivisa e partecipata, integrata nord e sud.
    È stata per me una esperienza, limitata nel tempo per mia scelta, che davvero è divenuta una pietra miliare nel mio percorso di formazione continua; una esperienza che augurerei a tutte le nuove generazioni salesiane e non.

    Una “mission” ben precisa in un gruppo redazionale

    La ragione per cui ero stato invitato a far parte dell’équipe residenziale, composta da don Antonio Martinelli, direttore del Centro, don Giancarlo De Nicolò, don Franco Floris, don Mario Comoglio, e poi con l’aggiunta dei “non residenti” in comunità, ma presenti e attivi come don Riccardo Tonelli, direttore della rivista NPG, il prof. Mario Pollo, Giancarlo Milanesi, don Domenico Sigalini, allora direttore del nuovo ufficio Cei della PG italiana, don Carlo Nanni, don Cesare Bissoli, don Luis Gallo, e tanti altri “giganti” della riflessione culturale, pedagogica e pastorale, che di volta in volta facevano parte del gruppo redazionale in relazione alle tematiche educativo-pastorali (per esempio don Carlo Molari, il Prof. Armido Rizzi, il dott. Carmine di Sante e tanti altri). Il far parte di un gruppo redazionale è stata per me come l’esperienza di un “seminario di ricerca permanente” e continuativo, dove i problemi “veri”, come diceva spesso don Riccardo, venivano focalizzati anzitutto e poi approcciati con uno sguardo interdisciplinare, davvero sistemico, e dove il criterio irrinunciabile che doveva incrociarsi con qualsiasi altra prospettiva, era quello dell’educazione, e non certo in senso generico.

    La “sfida” di una Ricerca psico-sociale sui preadolescenti italiani

    La mia discesa a Roma, da “pivello” in compagnia degli amici della comunità, era legata a una ragione speciale: il Centro aveva progettato, in accordo e col supporto anche economico della Conferenza Ispettorie Salesiane d’Italia (Cisi), la promozione di una Ricerca sul campo intorno alla fascia dei ragazzi/e preadolescenti (11-14 anni) affidata alla équipe nazionale di un Ente salesiano - il CNOS-COSPES - che raccoglieva, in sinergia e con una piattaforma culturale comune, gli Psicologi e gli Orientatori dei vari Centri Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice, sparsi in Italia, che si prestavano - nelle scuole salesiane, in quelle pubbliche, statali e private e nei Centri di Formazione Professionale - a servizi qualificati di orientamento scolastico-professionale, esistenziale e vocazionale: una vera piattaforma psico-orientativa di avanguardia nella mondo della scuola, della formazione professionale, nell’università.
    Il mio compito era quello di far parte organica del “gruppo ricerca” in quanto espressione dell’Ente committente, e pertanto portatore di attenzioni proprio in prospettiva “educativa-pastorale”. Per me è stata una occasione meravigliosa di ulteriore esperienza formativa, che mi apriva alla teorizzazione e progettazione e organizzazione della ricerca sul campo (supportata da diversi docenti della Università Salesiana di Roma e di Mestre) e di partire così dalla ricerca dai dati antropologici e pedagogici di lettura della realtà, necessari per qualsiasi lavoro ulteriore di progettazione educativa-pastorale, che avremmo dovuto sviluppare negli anni successivi ai risultati della ricerca Cospes.
    È stata la mia prima vera “avventura” vissuta al CSPG partita a fine 1983 e protrattasi fino al 1987.
    In tal modo veniva definito anche il mio ruolo e compito principale presso il CSPG.
    Il percorso di ricerca si realizzava attraverso un numero programmato di incontri residenziali anzitutto, di due o tre giorni, sul territorio nazionale, anche in relazione ai diversi centri COSPES distribuiti in diverse regioni italiane. Il direttore e conduttore della Ricerca, sempre con équipe ristretta e poi con quella allargata, era don Severino De Pieri, allora docente all’Università di Brescia e all’Ups e poi anche presso lo IUSVE di Venezia-Mestre.
    Il problema fondamentale di partenza, affrontato non senza difficoltà, è stato quello di verificare l’esistenza di elementi specifici che caratterizzano l’età della preadolescenza, o se bastava considerarla una o la prima fase dell’età adolescenza tout court (il che poi vuol dire diluita in essa).
    Un problema non facile, spinoso, discutibilissimo nell’ambito della ricerca sull’età evolutiva, e assai controverso. Tanto è vero che anche oggi diversi continuano a non cogliere o a misconoscere la specificità di questa “età della vita”. Dopo una serie di incontri di studio e di confronto, cominciò ad affiorare nel gruppo ristretto prima e poi nel gruppo allargato un insieme di elementi che ci sembravano interessanti e che ci avrebbero offerto la possibilità di fotografare e di identificare l’età della preadolescenza, sulla linea e oltre Piaget, in continuità/discontinuità con la fanciullezza precedente e con l’adolescenza successiva, e tutto ciò supportato dagli studi sulla preadolescenza dei grandi studiosi dell’età evolutiva da Piaget in poi; fu soprattutto lo studio e la ricerca di M. Cesa-Bianchi a Milano con la teoria della contro-dipendenza, e poi l’incontro con la teoria focale di Coleman utilizzata per l’Adolescenza. A partire da queste ipotesi si lavorò assiduamente nel corso di tutta la ricerca, giungendo ad individuare una serie di processi e di cambiamenti sotterranei che in gran parte sfuggivano o erano sottovalutati da parte di coloro che si interessavano a questa fascia di età. Dopo l’affascinante ma anche certosino periodo di due anni di ricerca e di stesura dei rapporti, passando sia attraverso una analisi qualitativa che attraverso interviste semi-strutturale e successivamente una analisi quantitativa con questionario, si è giunti prima alla pubblicazione a puntate su NPG dei singoli rapporti con dati sintetici della ricerca e poi nel 1986 alla pubblicazione presso la Elledici della Ricerca dal felice titolo L’età negata con una grande risonanza sia a livello ecclesiale, pertanto educativo pastorale, sia a livello sociale e territoriale in tutta Italia.

    La nascita di un grande interesse per l’età della preadolescenza

    Nella seconda parte degli anni ‘80 scuole, associazioni socio-educative e di promozione, Diocesi, comunità e Associazioni ecclesiali, comuni piccoli e grandi, dal nord al sud espressero un grande interesse verso questo “faro puntato sull’età della preadolescenza”, su quella che alcuni chiamavano “età balorda”, perché percepita come “né carne né pesce”. E si moltiplicarono i convegni o la presentazione dei dati della ricerca su tutta la penisola. Da quella data il mio compito prevalente ad NPG, insieme a don Severino e don Tonolo, ma anche dei ricercatori Cospes nelle loro sedi, città e regioni, è stato quello di partecipare oltre che promuovere la presentazione della Ricerca nazionale in tutta Italia, con lo scopo di tenere aperta l’antenna verso questo mondo di “giovanissimi compagni di viaggio” che apparivano come desiderosi di protagonismo e di riconoscimento sociale comunitario.
    Questa seconda fase del mio servizio ad NPG fu dunque quella della divulgazione e della disseminazione dei risultati e del nuovo volto dei preadolescenti italiani, considerati un po’, fino a questo momento, un’età negata, e dunque sulla quale appariva importante e urgente puntare i fari per capirla e conoscerla nelle sua caratteristiche specifiche. Questo a mio parere sia a livello civile che ecclesiale si è rivelato un momento molto importante nel contesto dei mondi educativi, scolastici e non, associativi e non, ecclesiali e oltre i confini ecclesiale, per prendere coscienza dei cambiamenti e dell'“approccio diverso” di lettura e interpretazione, che ha contribuito a dare il via alla revisione profonda dei progetti educativi ed educativo-pastorali esistenti nel contesto italiano. Dalla presentazione delle caratteristiche dei preadolescenti italiani di allora si passava alla presa di consapevolezza della esigenza di ripensare profondamente e seriamente il sistema dei dispositivi di progettazione e di azione pedagogica e pertanto anche catechistica e soprattutto pastorale.
    Ed è il secondo compito che nella “redazione preadolescenti”, promossa presso il CSPG, da subito abbiamo cercato di attivare, trovando la grande disponibilità, oltre che degli educatori del mondo salesiano ed ecclesiale, delle associazioni ecclesiali come l’ACR nazionale, l’Agesci, il Cor di Roma ed altri. Si procedette pertanto ad affrontare una lettura educativa della ricerca psico-sociale e a cogliere le sfide, le provocazioni, i nuovi bisogni e significati che componevano allora il mondo simbolico del vissuto preadolescenziale del momento.

    La scelta del modello dell’Animazione Culturale per dire “educazione oggi”

    Un primo elemento cui porre attenzione, tipico della cultura pedagogica condivisa alla équipe del Centro, era quello della consapevolezza del pluralismo dei modelli pedagogici e della necessità di individuare e fruire di un modello educativo capace di dialogare con l’interdisciplinarietà, sia nell’azione pedagogica molteplice che nell’azione pastorale. Dunque si trattava di custodire l’esigenza fondamentale di un “modello pedagogico” aperto alla possibilità di un approccio di fede. Ci veniva incontro, proprio grazie alla ricerca decennale precedente del Centro e di NPG (fine anni ’70 - fine anni ‘80), la scelta motivata, consolidata, approfondita del modello dell’animazione culturale (AC). Infatti proprio negli anni ’80 veniva progressivamente codificandosi un riflessione pedagogica innovativa attraverso il modello dell’AC, sensibile a piattaforme culturali anche d’oltralpe, che nel Centro, attraverso la teorizzazione e sviluppo di Mario Pollo e l’opera di mediazione di Franco Floris e Domenico Sigalini, confluita nei Quaderni dell'animazione (una vera miniera di pratica e teoria pedagogica) sviluppati dal lavoro collettivo e cooperativo dell’équipe redazionale sotto gli stimoli e le progressive sistematizzazioni teoriche operate anche da Carlo Nanni e Riccardo Tonelli, senza voler minimamente misconoscere il lavoro di altri membri dell’équipe.
    Ricordiamo quei tempi e quei nomi: Mario Comoglio per il Ciclo vitale del gruppo e poi lo stile cooperativo, don Antonio Martinelli vera "anima" del gruppo; poi Luis Gallo, Carmine Di Sante, e tanti amici della redazione che, in contemporanea, offrivano i loro contributi nella favolosa Collana di teologia per giovani animatori, questa e altre collane vicine curate editorialmente da Giancarlo De Nicolò.
    A metà anni ’80 si era totalmente immersi in un processo di innovazione pedagogica lungo il sentiero dell’Animazione Culturale che registrava una grande ricaduta nelle diocesi italiane per quanto riguardava la Pastorale giovanile, e non solo, gestite attraverso un numero indescrivibile di scuole di animazione diocesane o espressione di congregazioni religiose diverse; contemporaneamente nel mondo dell’ Animazione sociale e culturale attraverso cooperative e associazioni giovanili di diverso livello.

    Un approccio ermeneutico per attualizzare il Sistema Preventivo di don Bosco

    Covava ancora in tanti educatori, preti e non, la convinzione che per essere fedeli allo stile educativo di don Bosco fosse necessario fare le cose che Lui faceva, dire le cose che lui diceva, ripetere parole e gesti, senza rendersi conto che la fedeltà richiedeva non la ripetizione pedante o ossequiosa ma una risposta di creatività e innovazione, e mantenendo le radici nella tradizione vitale pedagogica salesiana, che era anzitutto un vissuto condiviso, più che una conoscenza e una applicazione di prassi consolidate.
    Preciso meglio: il contesto della tradizione pedagogica del Centro salesiani attorno a NPG, ma anche quello del mondo salesiano in cui ci si era vitalmente collocati, offriva a tutti una ricca tradizione e una miniera di esperienza pedagogica, più o meno codificata, ma vitale per coloro che vivevano la missione educativa e pastorale giovanile salesiana.
    Pertanto il Sistema Pedagogico di don Bosco, vissuto nella centenaria esperienza dell’educazione e pastorale salesiana, costituiva il terreno di crescita di ogni ulteriore sviluppo di esperienza e di riflessione su di essa. La sfida era quella di ripensare in chiave ermeneutica, nel contesto attuale del dopoconcilio e della vera e propria “rivoluzione culturale” degli anni ’60-’80, il Sistema Preventivo, vero e proprio tesoro di vita e di esperienza pedagogica solo in parte codificata. Ed è anche vero che proprio in quegli anni la tradizione pedagogica salesiana veniva profondamente studiata, approfondita e sistematicamente sviluppata da parte di alcuni docenti dell’Università Salesiana; don Pietro Stella da punto di vista storico, don Braido e don Groppo dal punto di vista pedagogico, don Giancarlo Milanesi dall’ottica della sociologia della condizione giovanile. L’Università salesiana si era aperta, al di là della teologia, filosofia, diritto, catechetica, alle Scienze Umane che chiedevano pertanto di essere seriamente assunte in un dialogo interdisciplinare rispettoso e fecondo, che successivamente don Tonelli orientò nella pastorale giovanile verso la trans-disciplinarietà. Pertanto assumendo la sfida si trattava di fare una operazione creativa di tipo ermeneutico fedele al carisma pedagogico di don Bosco e della sua tradizione, dunque attento agli studi storici, ed insieme fedele alla realtà attuale della realtà giovanile e dei minori (per noi i preadolescenti nella società degli anni ’80-’90), interpretata e approcciata delle diverse discipline delle scienze dell’educazione e dalla pastorale in dialogo tra loro. Questa via e questo metodo avviato ormai da due decenni per la pastorale giovanile in dialogo con l’educazione, era per me la via tracciata per proseguire il lavoro di progettazione educativo-pastorale sulla preadolescenza.
    Nella mia esperienza vissuta, sia prima di arrivare al Centro, ma sempre coinvolto col mondo salesiano in questa operazione ermeneutica faticosa, e poi con la mia permanenza, ho maturato in sintonia e con la forza travolgente dell’equipe di allora, che oggi fare educazione secondo il carisma di don Bosco, cioè essere fedeli al sistema preventivo, significava assumere pienamente e criticamente il modello dell’animazione culturale in dialogo con la pastorale.
    Questa sfida è quindi positivamente stata assunta e ha permesso di dare alla luce il Modello dell’Animazione Culturale come modello educativo capace di esprimere nell’oggi della socio-cultura pedagogica il Sistema Preventivo di don Bosco. Le reazioni furono diverse, tra resistenze e fascinazioni, tra entusiasmi e regressioni, ma la meglio è stata quella dell’assunzione, certo in forma critica, del modello culturale dell’animazione in campo pedagogico, al punto che anche il mondo salesiano europeo lo assunse con entusiasmo e con iniziative di confronto e di arricchimento, come gli incontri continuativi con la pastorale giovanile spagnola dei salesiani e con quelli del nord Europa. Il punto di non ritorno fu l’inserimento del Corso di Animazione Culturale all’Ups tenuto da Mario Pollo e poi presso la stessa Lumsa.

    Il piano di una lettura e progettazione educativa per il tempo della preadolescenza

    Pertanto nella lettura in chiave educativa della preadolescenza per noi, arrivati in seconda generazione al CSPG, era scontato - ma anche consapevolmente assunto - il collocamento dentro il filone e il modello dell’animazione culturale.
    In questa ottica la redazione PA procedette con una serie di incontri redazionali distribuiti lungo un anno, alla elaborazione di alcune ipotesi per un progetto educativo nell’età della preadolescenza, e che trovò una sua prima espressione in articoli progressivi su NPG e poi nel secondo volume della collana: La relazione cercata (1988). Questo lavoro può considerarsi davvero frutto corale di una pluralità di soggetti ecclesiali rappresentativi come l’Acr nazionale e l’Agesci nazionale, e non solo, ma anche di differenti soggetti plurali interessati e motivati a scommettere su questa “età ritrovata”.
    In seguito, lavorando sul nucleo degli elementi centrali per un processo educativo e pastorale, si giunse alla successiva codificazione della prassi pedagogica di gruppo, anticipata prima da una serie di contributi di Domenico Sigalini su NPG, e poi sfociata come lavoro maturo nel prezioso libro: Preadolescenti in gruppo del dott. Vincenzo Lucarini, grande alleato in redazione e appassionato alla preadolescenza, sia dal punto di vista psico-pedagogico, sia dal punto di vista pastorale, avendo esperienze in AC.
    La preoccupazione del Centro era quella di poter offrire una piattaforma di elementi progettuali secondo un preciso modello, che permettesse a chiunque stesse a cuore l’educazione oggi e abitasse la passione educativa verso questa fascia di compagni di viaggio, di aprirsi ad una visione globale, di tipo sistemico, sia di ordine progettuale che metodologico. E le risposte sono state numerose, molteplici, al punto che ci si ritrovava in una bella compagnia di operatori a diversi livelli con una visione condivisa.

    Il passo ulteriore verso una pastorale dei preadolescenti

    Con il lavoro di ricerca e condivisione nell’ambito educativo venne a costituirsi, presso NPG e il CSPG, un vero e proprio “gruppo redazionale”, parallelo a quello della rivista, e rivolto specificamente verso una riflessione sistemica di pastorale dei preadolescenti. Il servizio finora era stato rivolto sia al mondo ecclesiale che all’universo dei mondi educativi interessati prioritariamente all’età specifica, ora si trattava di concentrarsi su una riflessione specifica per una “pastorale dei preadolescenti” da maturare nelle comunità ecclesiali. Non è che nel corso della rivista lungo gli anni non fosse stata coltivata l’attenzione per quelli che si chiamavano “ragazzi”, ma essa non si connotava con lo specifico dell’età, e soprattutto si collocava all'interno dei confini di una educazione cristiana dei ragazzi come proposta dalla catechesi e oltre, dalla attenzione, nel mondo salesiano, al movimento “Amici di Domenico Savio”, alla pastorale dei ragazzi in oratorio.
    Quella specificità che invece caratterizzava il tempo del cammino anche cristiano tipica dello stato di “esploratori” nel cammino Agesci, non veniva a qualificarsi nella pastorale dei preadolescenti nei cammini ecclesiali. Infatti, per fare un esempio, nel cammino ACR si mettevano insieme fanciulli e preadolescenti.
    Questo variegato gruppo redazionale, arricchito con la presenza di referenti nazionali di varie associazioni ecclesiali, da incaricati degli uffici diocesani per l’età della preadolescenza, e dal nostro ormai consolidato gruppetto redazionale, ci ha permesso di sviluppare il terzo tempo del nostro cammino di riflessione, ricerca e progettazione.
    Il modello di pastorale che si respirava al CSPG e attorno alla rivista NPG era per noi il contesto vitale teologico-pastorale e pedagogico adatto. Lo avevamo assunto progressivamente e per il gruppo era “l’aria che si respirava”. I punti forti di esso erano: il criterio dell’incarnazione (l’incarnazione come prospettiva, non solo come evento) da assumere nel fare e riflettere in chiave pastorale: pertanto si trattava di assumere quel tempo speciale della vita che è la preadolescenza come il luogo in cui si incarna l’evangelo e la vita cristiana è lievitata da una presenza. Questo naturalmente richiedeva un approccio ermeneutico capace di attivare la circolarità tra la realtà fotografata e vitalmente incontrata della preadolescenza e l’annuncio dell’evangelo. La scelta radicale del criterio dell’incarnazione ci sollecitava immediatamente ad assumere positivamente e anche criticamente la “scelta fondamentale dell’educazione”: primo annuncio, catechesi, processi di evangelizzazione richiedevano necessariamente, per la nostra prospettiva, l’assumere seriamente l’educazione e i processi educativi, naturalmente animati e sostenuti dallo sguardo di fede e dalla passione per la vita dei ragazzi/e del tempo. E per il nostro gruppo educazione significava la scelta convinta e coraggiosa dell’Animazione Culturale collocata nella nostro orizzonte credente.
    Con queste premesse procedemmo ad una riflessione organica sulla pastorale dei preadolescenti che ha avuto i suoi momenti progressivi, secondo il nostro percorso di confronto in alcune tappe: lettura educativo-pastorale della preadolescenza “con sguardo di fede”, e pertanto ricomprensione della preadolescenza come “età dell’esodo”, cogliendo le sfide e le provocazioni rivolte da questa età alle comunità ecclesiali, pertanto alla pastorale oratoriana, a quella catechistica, ai processi di iniziazione cristiana, al cammino di formazione cristiana nelle scuole cattoliche. Naturalmente si è resa necessaria una lettura critica e positiva della religiosità dei preadolescenti e l’approfondimento della “domanda religiosa” che resta prevalentemente sepolta alla consapevolezza. La nostra convinzione era che non tanto dalla religiosità ma dalla vita esplosiva del preadolescente poteva emergere l’appello del dono e del mistero.
    Naturalmente individuati alcuni elementi per noi fondamentali delle sfide all’evangelizzazione cercammo anche di realizzare una lettura dell’offerta delle comunità ecclesiali verso questa età.
    Dalla lettura pastorale della preadolescenza cercammo insieme di compiere i passi verso una progettazione organica di una pastorale dei preadolescenti. Pertanto primo compito da affrontare era il ripensamento dell’obiettivo generale di una pastorale dei ragazzi, e l’impianto degli obiettivi di secondo e di terzo livello, verso l’operatività. Il risultato che ha avuto maggiore apprezzamento e che ha trainato il rinnovamento di questi anni è stata la predisposizione di un modello di itinerario di educazione alla fede nell’età della preadolescenza, a partire dal modello di itinerario elaborato a metà anni ’80 al CSPG e in NPG.
    Si trattava di organizzare progressivamente una ipotesi di modello che sviluppasse in progressività il cammino dei preadolescenti a partire dalla assunzione entusiastica e responsabilizzante delle novità di questa età del cambiamento, attraverso l’elaborazione dell’area dell’identità: dall’io al “noi” fino alla scoperta “dell’oltre”; l’apertura all’incontro con Gesù il Signore e l’Amico fedele della loro vita che rivela un Dio che tifa per loro, per giungere alla scoperta della Chiesa e dell’essere “già” chiesa nella bella compagnia del gruppo, e poi maturare progressivamente la proiezione verso la progettualità personale verso il futuro dentro la grande compagnia della comunità dei credenti, fino ad individuare alcune caratteristiche di una spiritualità dei preadolescenti.
    Ulteriore passo da compiere è stato quello dell’organizzazione delle risorse capaci di far camminare nella realizzazione dell’itinerario di educazione alla fede: il problema del metodo dell’itinerario.
    In diversi incontri redazionali abbiamo affrontato i seguenti capitoli: la scelta fondamentale del gruppo dalla secondarietà alla primarietà, cioè il gruppo come nuovo “mondo vitale”, dove le relazioni sono al centro e nel quale sboccia la relazione educativa; la figura di un educatore attrezzato e libero per coltivare la relazione educativa con i ragazzi, sia a livello di gruppo sia e livello personale, con tutte le caratteristiche che debbono qualificare l’identità dell’educatore-animatore dei PA. Questo ci è parso il nodo fondamentale, proprio perché la preadolescenza mette in discussione, anche se silenziosamente, i modelli relazionali del vissuto precedente.
    Il “fare esperienza” come capitolo fondamentale dell’itinerario educativo: si trattava di far incontrare i preadolescenti con la realtà del mondo e del vissuto quotidiano e di fornire loro, perché le acquisiscano, la capacità di lavorare l’esperienza fino a farla esplodere nella dimensione “simbolica” e poi anche sacramentale.
    Gli strumenti, le tecniche, i linguaggi per elaborare l’esperienza erano gli strumenti fondamentali di lavoro, e questo per coglierne la ricchezza che l’esperienza di vita dona per la crescita della persona.
    E poi alcune tematiche specifiche molto importanti per questa età: la corporeità nella preadolescenza e la sua elaborazione sia in termini psico-educativi sia in termini della sua piena valorizzazione; e da qui la riflessione sull’attività motoria e sportiva, e sulla educazione alla corporeità e socio-affettiva.
    Uno degli ultimi capitoli del nostro lavoro redazionale che si è compiuto a metà anni ’90 è stato quella della problematizzazione e della riflessione sulla catechesi nel tempo della preadolescenza, partendo dalla considerazione che la preadolescenza ci appare fortemente un tempo di iniziazione alla vita.
    È stata una bellissima avventura per me e per tanti amici, con alcuni dei quali continuiamo ad essere in contatto, anche se le storie personali ci hanno allontanato. È stata certo una esperienza costruttiva e formativa collettiva; per me un grande dono imprevisto nella storia della mia vita, ma anche un’occasione interessante per attivare, con numerosi educatori alla fede in tutte le parti della penisola, un percorso di messa in crisi di stereotipi, di problematizzazione di questa età e delle prassi in atto, come tentativo di affrontarla con uno sguardo nuovo, appassionato e curioso, e di grande confronto sulle prassi pastorali, anche catechistiche, nelle comunità ecclesiali e in diverse chiese locali.
    Oggi, nella mia attuale esperienza, ricerca e confronto nella diocesi di Locri-Gerace, dalla prospettiva dell’Ufficio Catechistico e di evangelizzazione diocesano, sono giunto alla maturazione di una conclusione che, dopo il confronto allargato e pluriennale con tanti operatori, in questo universo di “compagni di viaggio” il tempo della preadolescenza per la pastorale è un tempo privilegiato non tanto e sempre meno di Iniziazione Cristiana, come purtroppo ancora è prevalente, ma il tempo della mistagogia come avventura e scoperta per il PA, e come accompagnamento appassionato da parte dell’educatore, del mistero che abita la loro vita quotidiana e il loro “esodo” verso l’adolescenza.


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