Viktor Frankl: affrontare le difficoltà promuovendo la ricerca di senso

Inserito in NPG annata 2019.

Sulle spalle dei giganti /9

Antonino Romeo

(NPG 2019-08-69)


 

Se la vita ha un significato in sé,
allora deve avere un significato anche la sofferenza.
Viktor E. Frankl, “Uno psicologo nei lager”

 
Nato nel 1905 a Vienna, ebbe la possibilità di conseguire la laurea in medicina e dedicò i suoi studi rispettivamente alla psicologia, alla psichiatria e alla filosofia durante tutta la sua carriera accademica e lavorativa. L’esperienza che ne cambiò profondamente il percorso fu quella della deportazione nei campi di sterminio nazisti. Nel 1941 Viktor Frankl si sposò con Tilly Grosser. Qualche mese dopo, i nazisti la obbligarono a perdere il figlio che aspettavano. Nel 1942 Viktor, sua moglie e i suoi genitori furono mandati al campo di concentramento di Theresienstadt. L’anno seguente suo padre morì di fame. Nel 1944 Viktor fu trasferito al campo di Auschwitz con la moglie, finché non vennero separati e lui non ebbe più sue notizie. Nel 1945 fu finalmente liberato dai nordamericani e sebbene anche sua moglie, nel campo di Bergen-Belsen, venne liberata, morì schiacciata dalla folla che si riversò fuori dai cancelli. Sua madre, invece, era morta qualche anno prima in una camera a gas. Dopo essere uscito dal campo di concentramento, la prima cosa che provò a recuperare fu un suo manoscritto che gli fu strappato all’entrata nei campi di concentramento e fu così che pubblicò il suo primo libro “Logoterapia e analisi esistenziale”. Presto, prima dell’arrivo del Natale del 1945, Frankl sentì l’irrefrenabile impulso di parlare di quello che aveva vissuto e appreso nei campi di concentramento. Fu così che nacque la più grande opera di Viktor Frankl “Uno psicologo nei lager”, in cui racconta la sua deportazione e le crudeltà subìte, ma anche le sue osservazioni sulla forza di volontà dimostrata da coloro che erano riusciti a trovare un senso alla loro esistenza. Il libro è stato tradotto in quasi tutte le lingue ed è considerato un’opera maestra sia come testimonianza dell’olocausto sia nel campo della psicologia. Nel 1947 si risposò ed ebbe una figlia. Il suo matrimonio durò felicemente per 50 anni. Ricevette più di 40 lauree honoris causa, pubblicò altri 30 libri e insegnò nelle università più prestigiose al mondo, tra cui quella di Harvard, di Stanford e di Vienna. Morì nel 1997.

Il senso della vita

Pensando a quale contributo Viktor Frankl potesse dare al vissuto e lavoro degli educatori, abbiamo pensato ad alcune suggestioni.
La prima suggestione è Vasco Rossi e alla sua famosissima canzone “Un senso”: “Voglio trovare un senso a questa vita, anche se questa vita un senso non ce l’ha; voglio trovare un senso a questa storia, anche se questa storia un senso non ce l’ha…”. Pare che secondo la rockstar italiana la vita non abbia un senso e le storie biografiche di ciascuna persona nemmeno. Invece, molte persone cantando, “urlano” la loro ricerca di senso della vita.
Viktor Frankl nelle sue riflessioni sostiene che ciascun uomo è sempre diretto verso il senso; infatti lui stesso dice di sé: “Ho trovato il senso della vita aiutando gli altri a trovare un significato nella loro vita”.
La seconda suggestione è il ricordo di un autore Martin Buber che per lo stesso Frankl ebbe un ruolo fondamentale. Nel “Il Cammino dell’uomo”,[1] Buber scrive che la prima domanda che Dio pone all’uomo è: “Dove sei?”. Dove sei nel cammino della tua vita, nella tua storia, nel racconto della tua esperienza umana e professionale? In quale direzione stai andando?
È un interrogativo che provoca nell’uomo una duplice reazione: nascondersi (come Adamo) o aprirsi verso l’incontro e l’accoglienza della propria e altrui sofferenza. Solo fuggendo dal nascondimento, però, l’uomo può trovare la sua maturità, può ri-tornare a se stesso e dare senso a ciò che vive. L’uomo deve fare della sua vita un cammino, ma non solo per sé. Infatti, questa è una domanda relazionale, perché è l’Altro che con la sua stessa esistenza, chiede “Dove sei?”.È un interrogativo di aiuto che chiede all’uomo di muover-si verso l’Altro. Bisogna rispondere non solo per ritornare a sé stessi, ma per aprirsi agli altri e al mondo intero.
Accogliere questa domanda esistenziale nelle difficoltà e nelle sofferenze permette alla vita di trasformar-si e di aprirsi al futuro. Come direbbe Viktor Frankl la vita si trasforma così in strategia di speranza. Nel suo celebre libro “Uno psicologo nei lager”,[2] egli descrive la forza di resistenza dello spirito che dimostra come la capacità di avere un orizzonte nel futuro permetta a ciascuna persona di attraversare anche le esperienza limite senza, però, smarrire la speranza. La vita è un cammino in di-venire, non si può scegliere cosa accadrà, ma si può trasformare il modo di affrontare le situazioni.

“Se la vita ha un significato in sé, allora deve avere un significato anche la sofferenza”. La sofferenza in qualche modo, fa parte della vita – proprio come il destino e la morte. Solo con miseria e morte, l’esistenza umana è completa. Dal modo in cui un uomo accetta il suo ineluttabile destino e con questo destino tutta la sofferenza che gli viene inflitta […] sorgono infinite possibilità di attribuire un significato alla vita, anche nei momenti più difficili, fino all’ultimo atto di esistenza”.[3]

Nel cammino della vita è fondamentale darsi uno scopo perché così facendo ci si apre al futuro e la vita assume un senso e significato di esistenza autentica. Riprendendo una famosa citazione di Nietzsche, Viktor Frankl scrive: “Chi ha un perché per vivere, può sopportare ogni come”.[4] Quindi, è possibile superare il dolore, la sofferenza, la malattia, la solitudine e le numerose fragilità esistenziali che la vita presenta perché ciascun uomo possiede in sé una "forza di resistenza dello spirito" che, proprio nei momenti più difficili, permette alle persone di opporsi al proprio destino e le rende capaci di dominarlo dall’interno per dire sì alla vita nonostante tutto. Infine, la capacità di mantenere un orientamento al futuro consenta alle persone di attraversare anche le situazioni-limite senza perdere la speranza.

L’apertura alla trascendenza

Altra suggestione deriva dai vissuti di costanti relazioni con gli adolescenti. Spesso, osservando volti cupi, sguardi vuoti, persone disorientate, storie fragili, vicissitudini umane incomprensibili razionalmente emerge l'interrogativo su quale contributo alla pedagogia e all’educazione possa dare il nostro autore. E' faticoso, come educatore, accompagnare le storie altrui alla ricerca del loro senso della vita, perché spesso si tende a voler dare una propria risposta di senso agli interrogativi dolorosi posti dall'altro. Se si sostiene, invece, che la vita è un cammino alla ricerca di senso, allora può aprirsi anche l’interrogativo religioso cui ciascuno poi darà una sua personale risposta.[5] L’uomo è un essere capace di pensare e quindi di interrogare la propria esistenza: a fronte di ciò sarà anche possibile aprirsi al mistero di un’alterità rivelata o comunque simboleggiata. La religione è un’esperienza che può rispondere circa l’origine dell’esistenza umana e delle sue vicissitudini terrene per aprirsi al mondo. Secondo Frankl l’identità personale si forma in un dialogo costante tra i sistemi di significato con cui ciascuno ha modo di confrontarsi e il bisogno di tracciare un personale orizzonte di senso che a un certo punto permetta di elaborare un progetto di vita. Il confronto con la dimensione religiosa si colloca nel cuore di questo dinamismo. Per Frankl, la religiosità è tutt’uno con la ricerca di senso e, come tale, irriducibile. Ovvero: non indagabile. La svolta antropologica sembra fare spazio al tema della trascendenza. È innegabile che in alcune circostanze della vita[6], il vissuto immanente non è sufficiente per spiegare ciò che accade all’esistenza. Ecco che sembra necessario, a volte, potersi spingere oltre su “ciò che deve essere” ciascuna esistenza umana, non solamente su “ciò che è”. L’apertura verso la trascendenza, che poi può realizzarsi in una religiosità o in ricerca di Dio, è ciò che permette alla dimensione dell’esistenza di scegliere chi essere:

“Che cos’è dunque l’uomo? […] è un essere che da sempre decide ciò che è” un essere che porta con sé contemporaneamente la possibilità di abbassarsi al livello degli animali o di innalzarsi al livello di una vita santa”.[7]

L’idea di far dialogare immanenza e trascendenza, religiosità e ricerca di senso, antropologia e teologia potrebbe condurre a posizionarsi nel cammino della vita con la consapevolezza di poter uscire fuori da sé per ex-sistere e quindi formare una propria personalità e identità. Essere uomo, realizzare il senso della propria vita, vuol dire essere orientato verso qualcosa che ci trascende, verso qualcosa che sta lassù, sopra noi stessi, verso un senso da scoprire e realizzare, verso un desiderio di infinito e mistero da raggiungere. Per superare le prove del cammino dell’uomo bisogna dimenticar-si e superar-si verso un oltre ancora sconosciuto.

L’arte del desiderio nella vita

Ultima suggestione si riferisce al tema del desiderio. Desiderare è la strada maestra per promuovere la ricerca di senso, la realizzazione della propria vita e la via per superare le eventuali difficoltà.
La ricerca infinita della realizzazione dell’esistenza umana è il fulcro della questione antropologica. Desiderare significa progettare la vita, vuol dire spingersi in avanti, è immaginarsi altrimenti, è ricercare il senso della vita. Educare è desiderare. Desiderare è ricercare. Ricercare è allargare lo sguardo sul futuro e sulla trascendenza. È spostare lo sguardo dalla terra al cielo. È orientare i propri passi sul cammino delle stelle e dell’infinito, consapevoli che così facendo si aprirà il mistero dell’esistenza.
Viktor Frankl può diventare per gli educatori un punto di riferimento importante. Capita spesso nel corso dell’esistenza il desiderio di fermarsi, di fare silenzio, di fare una pausa nel cammino. Dialogare con sé stessi, alla ricerca della parte più intima e nascosta che abita la nostra interiorità, è necessario anche in situazioni apparentemente normali. Invece, ne sentiamo l’urgenza quando emergono nella nostra vita situazioni dolorose, quando i nostri sogni si infrangono, oppure quando i progetti che avevamo pensato di realizzare naufragano nella quotidianità dell’abitudine [8] e del già noto. È proprio in questi momenti che la nostra esistenza può diventare feconda e generativa. Generare pensieri che possano condurre a decisioni e di conseguenza a scelte significa mettere ordine alla vita. Il pensiero è generativo quando si apre al futuro ed è capace di progettare sentieri esistenziali nuovi. Frankl contribuisce nella sua lunga ricerca a sostenere la necessità di educarsi alla pensosità[9], potremmo dire a formulare una pedagogia del pensiero. Potremmo chiamarlo anche discernimento esistenziale, quello che ci conduce a confrontarci con i vari sistemi di significato alla ricerca del senso di vivere:

“La nostra tesi è che c’è sempre un significato della vita: un significato alla cui ricerca va l’uomo. Sta nel potere dell’uomo intraprendere la realizzazione di tale significato”.[10]

Educare è desiderare e rendere i pensieri generativi di senso. L’uomo, a differenza degli animali, è colui che si pone domande. Quotidianamente incontro giovani che si pongono le eterne domande sulla vita: “ Chi sono io”, “Da dove vengo”, “ Dove sto andando”, “Cosa significa amare”, “Che senso ha la morte”, etc. Paradossalmente bisogna sentirsi fortunati se ancora oggi, nonostante il disagio giovanile, qualcuno si pone simili interrogativi. Su questo Viktor Frankl è molto chiaro:

“Non solo ritengo sia specificatamente umano l’interrogativo circa il senso della vita, ma anche che appartenga unicamente all’essere uomo la possibilità di interrogarsi su tale significato. In particolare i giovani hanno la prerogativa di maturare la propria maggiore età ponendo in questione il senso della vita e facendo di tale privilegio un uso arricchente”.[11]

Affrontare le difficoltà promuovendo la ricerca di senso significa anche allenare il proprio sguardo. Abbiamo citato il tema dello stupore perché esso è un principio di valore esistenziale (e fenomenologico) capace di toglierci dall’indifferenza, dai pregiudizi, dalla noia e dall’inutilità. La nostra epoca è caratterizzata dalla frammentarietà, dall’incertezza e dalla transitorietà che impediscono di “vedere” se stessi e gli altri. La cultura del relativismo che sostiene che non esiste una cultura universale, ma ciascuno può esprimere la sua personale visione del mondo, rallenta anche i processi educativi e la capacità di accompagnare l’altro verso un orizzonte di senso in grado di affrontare i momenti di difficoltà e fragilità.

Educare è “portare altrove”

In chiusura possiamo trarre una possibile riflessione pedagogica trasversale alle suggestioni che hanno accompagnato queste pagine sul pensiero di Frankl. Innanzitutto, la prima domanda di senso che va posta oggi in educazione è proprio la domanda sul senso dell’educazione. Educare ha ancora senso? Quale è il suo scopo? L’educazione va interrogata continuamente se vogliamo che i giovani possano ricercare in essa una possibile direzione di senso nonostante le esperienze di dolore e prove della vita. Educare è apertura e possibilità: significa - oltre che “tirar fuori, nutrire e allevare”[12]– anche “portare via” (educere). La relazione e l’incontro con l’altro diventano educativi nel momento in cui è chiara la direzione del “portar via”.
Quindi educare ha un duplice movimento e significato: quello del “tirar-fuori” (dello sviluppo delle risorse) o del “metter-dentro” e di “in-segnare” le nozioni; ma grazie a Viktor Frankl possiamo anche dire che l’educazione deve rispondere alla necessità dell’”oltre”, della “tensione a”, dell’”orientamento verso” qualcosa di esterno. E-ducere è “portare altrove” e accompagnare l’altro alla scoperta di nuovi orizzonti. È introdurlo in mondi a lui ancora sconosciuti, è indicare la possibilità della trascendenza, è aiutarlo a superare i limiti entro cui si trova a vivere e insegnargli ad ex-sistere, ossia a “stare fuori” di sé, a rivolgersi al mondo e a ri-progettarsi sempre, nonostante le vicissitudini della vita.
Il contributo di Viktor Frankl ci invita a volgere l’attenzione educativa verso la dimensione esistenziale della persona. Questa potrebbe essere la strada per affrontare le numerose difficoltà della vita. Forse, contrariamente a ciò che pensa Vasco Rossi, è possibile trovare un senso alla vita, perché la vita ha il suo senso che è la storia di ciascuno di noi.

 
NOTE

[1] Buber M., Il cammino dell’uomo, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose (BI), 1990.
[2] Frankl E.V., Uno psicologo nei lager, Edizioni Ares, Milano, 2005.
[3] Ibidem, pag. 117.
[4] Frankl E.V., Uno psicologo nei lager, Edizioni Ares, Milano, 2005, pag 129.
[5] Frankl V.E., Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Morcelliana, Brescia, 2000.
[6] Giovanni Paolo II, Fides et Ratio. Lettera enciclica circa il rapporto fede e ragione, Edizioni Paoline 1998.
[7] Frankl E.V., L’uomo in cerca di senso, Franco Angeli, Milano, 2017, pag 11.
[8] Jedlowski P., Il sapere dell’esperienza, Carocci, Roma, 2008.
[9] Mortari L., Apprendere dall’esperienza, Carocci, Roma 2003.
[10] Frankl V.E., Senso e valori per l’esistenza. La risposta della logoterapia, Città Nuova, Roma, 2010
[11] Frankl V.E., La sofferenza di una vita senza senso. Psicoterapia per l’uomo d’oggi, LDC Leumann, Torino, 1992.
[12] Massa R., Cambiare la scuola. Educare o istruire?, Laterza, Roma- Bari 1997.