La Chiesa, soggetto

della trasmissione della fede,

ambiente vitale dell’assenso credente

Bruno Forte



Presentando la Chiesa come “mistero” [1] il Concilio Vaticano II ha inteso esprimere l’idea chiave che essa non nasce dal basso, dalla convergenza di interessi, slanci o poteri umani, ma dalla Trinità divina attraverso le missioni del Figlio e dello Spirito Santo: questa origine dall’alto illumina la realtà ecclesiale quale “kènosi” e “splendore”, nascondimento e irradiazione, dell’amore trinitario nella storia [2]. Come nella Trinità così - per una non debole analogia - nella Chiesa, la vita nuova nella fede è frutto e irradiazione della sovrabbondanza dell’amore, che in essa è effuso da Cristo per mezzo dello Spirito Santo: la Trinità divina mette le sue tende nel tempo nella Chiesa e attraverso di essa, pur con tutti i limiti che derivano dalla dimensione storica e mondana che caratterizza il cammino del popolo di Dio. Di questa “kènosi” artefice principale è lo Spirito: “Lo Spirito Santo - scrive il teologo ortodosso Vladimir Lossky - si comunica alle persone, segnando ogni membro della Chiesa con il suggello di un rapporto personale e unico con la Trinità, divenendo presente in ogni persona. Come? … Se nella ‘kènosi’ del Figlio la persona ci è apparsa mentre la divinità rimaneva nascosta sotto ‘le sembianze del servo’, lo Spirito Santo, nel suo avvento, manifesta la natura comune della Trinità, ma lascia che la sua persona sia dissimulata sotto la divinità. Rimane non rivelato, nascosto per così dire dal dono, affinché il dono ch’Egli comunica sia pienamente nostro, fatto proprio dalle nostre persone” [3]. Lo Spirito garantisce la dimensione storica del mistero ed è Lui che la dona alla Chiesa, facendone il volto - storicamente determinato e soggetto a cambiamento - della vita divina che viene dall’alto ed è effusa per tutti. Occorre allora guardare alla Chiesa con gli occhi della fede, per cogliere anzitutto come essa sia lo strumento di trasmissione del dono di Dio, che genera alla fede, e quindi come accompagni e faccia sviluppare la fede dei credenti.

1. Guardare alla Chiesa con gli occhi della fede

L’articolo del Simbolo Apostolico dedicato alla Chiesa inizia così: “credo Ecclesiam”. Esso mostra già così come il “credere in”, proprio dell’incondizionata adesione e dedizione della vita e del cuore al divino Altro, sia adatto ad esprimere solo il rapporto con Dio (“credere in Deum”): esso si distingue dal credere come accettazione di un dato oggettivo (così “credere Deum”: credere che Dio esista) e dal credere, inteso come credito dato all’autorità di qualcuno (“credere Deo”: ammettere una verità sulla Sua parola). Alla luce di questa distinzione si comprende perché della Chiesa si possa dire propriamente soltanto “credo Ecclesiam”: la Chiesa è oggetto di fede, che rimanda totalmente al destinatario supremo dell’atto di credere, il Dio vivo, da cui l’unità ecclesiale proviene, di cui partecipa ed a cui tende. “Professiamo di credere una Chiesa Santa e non nella Chiesa, per non confondere Dio e le sue opere e per attribuire chiaramente alla bontà di Dio tutti i doni che egli ha riversato nella sua Chiesa” [4]. Così, nell’atto stesso di professare la fede relativa 4 alla Chiesa nel contesto della confessione della fede in Dio Padre, Figlio e Spirito ed in maniera da essa distinta, i credenti richiamano la profondità insondabile e al tempo stesso la concretezza storica del dono che nella Chiesa è offerto al mondo: dalla Trinità, nella Trinità, per la Trinità, l’unità della Chiesa è vissuta nel tempo come “mistero”, gloria rivelata e nascosta sotto i segni della storia, che rimanda al primato dell’Eterno, origine, grembo e patria della comunione ecclesiale.
Si pone a questo punto il problema di come poter esprimere - parlando della Chiesa - quest’incontro inaudito di divino e umano: la difficoltà consiste nel dover dire la Differenza col linguaggio dell’identità, il divino in parole umane, il Trascendente nella forma dell’immanente. L’impresa sarebbe irrealizzabile, se non fosse stato Dio stesso a comunicarsi agli uomini nella rivelazione, dicendosi loro in parole ed eventi intimamente connessi: è grazie al fatto che la Parola si è pronunciata nelle parole della Scrittura rivelata, pur senza lasciarsi catturare in esse, che è possibile al linguaggio della fede parlare del “mistero”. Quanto diciamo da credenti sulla Chiesa deve nascere anzitutto dall’ascolto, in fedele obbedienza alla rivelazione e alla sua vivente trasmissione nella vivente tradizione ecclesiale. La parola di fede sulla Chiesa deve essere e restare teologica, senza ridursi a letture puramente sociologiche o storico-mondane del fatto ecclesiale e senza trasformarsi in un sistema totalizzante e chiuso, restando anzi sempre aperta nello stupore e nell’adorazione all’eccedenza dell’“éschaton” e alle sorprese di Dio. Parlando della Chiesa e della sua unità deve risultare chiaro in ogni momento che si parla del dono veniente dall’alto, che ha messo le sue tende fra noi, incontrando e compiendo l’attesa, che sorge dal basso.
L’ecclesiologia costruita a partire dall’iniziativa di Dio (“dall’alto”) è anche la sola risposta credibile alla ricerca di unità che muove dal cuore dell’uomo e dalla storia (“dal basso”). La Chiesa è il mistero dell’incontro dell’esodo umano e dell’Avvento divino, e lo è a partire da Colui ed in Colui, nel quale questo incontro si è originariamente e sommamente realizzato: il Cristo. Come Lui, la Chiesa è “oriens ex alto”. In quanto composta da uomini, essa però è dono che attende risposta, grazia che domanda accoglienza, discesa che suscita ascesa, quando è ricevuta nell’assenso della libertà: perciò di essa si può parlare meno inadeguatamente ricorrendo a immagini, metafore, simboli, che evochino la realtà, senza catturarla, lasciando anzi aperto lo spazio della gratuità dell’incontro. Così la Chiesa è detta popolo e dimora di Dio, Corpo di Cristo, Sposa, Tempio dello Spirito, ovile, gregge, campo del Signore e suo edificio, Gerusalemme dell’alto e “madre nostra”. Perciò i Padri amavano rappresentarla - fra altre - con l’immagine bellissima della luna, che nella notte del mondo riflette la luce del solo sole, il Cristo: “Questa è la vera luna.
Dall’intramontabile luce dell’astro fraterno ottiene la luce dell’immortalità e della grazia. Infatti la Chiesa non rifulge di luce propria, ma della luce di Cristo. Trae il suo splendore dal sole della giustizia, per poter poi dire: Io vivo, però non son più io che vivo, ma vive in me Cristo!” [5].
Di questa Chiesa si parlerà allora con cautela e modestia a partire dalla sua origine trinitaria, colta nel mistero delle missioni divine (“Ecclesia de Trinitate”); di essa si descriverà la forma trinitaria, resa dalla ricchissima categoria di “comunione”, riferita alla partecipazione alla vita del tre volte Santo, che si comunica nelle realtà sante della Parola, dei sacramenti e dell’istituzione ecclesiale, per generare i “santi” nella fede e nella carità (“Sanctorum communio”); della Chiesa, infine, si richiamerà la patria trinitaria, il suo ultimo destino e il suo compito di incamminarsi verso di esso nel tempo, descrivendo la missione del popolo di Dio, pellegrino nella storia (“Ecclesia viatorum”). In questa triplice scansione è l’unica buona novella che viene detta e pensata: il “vangelo della Chiesa”, in quanto scaturente dalla Trinità, icona della Trinità, incamminata verso la Trinità, al servizio della ricapitolazione del mondo intero in Gesù Cristo, perché Lui lo consegni a Dio, suo Padre. A questa Chiesa si rivolge nel tempo l’invocazione dei credenti, che è voce della nostalgia di unità, presente nel più profondo del cuore di ciascuno e di tutti: “Non eclissarti mai nell’oscurità del novilunio, o sempre raggiante Luna! Rischiaraci il sentiero nell’impenetrabile divina oscurità delle Scritture! Non cessare mai, o sposa e compagna di viaggio del Sole Cristo, che qual consorte lunare t’avvolge con la sua luce, non cessare mai di inviarci da lui i tuoi raggi luminosi, perché egli da sé e per tuo tramite doni alle stelle la sua luce e le infiammi di te e per te” [6].

2. La Chiesa trasmette il dono di Dio, generando alla fede

È grazie all’azione dello Spirito Santo, che la vivifica incessantemente, che la Chiesa, trasmettendo il dono divino ricevuto, si offre agli occhi di chi crede come “splendore” della Trinità nel tempo, sorgente di luce che accende nei cuori la luce della fede: essa annuncia e testimonia agli uomini la bellezza del Dio vivente e li chiama a credere in Lui per via di attrazione, mostrando come l’accoglienza credente della vita divina non solo renda l’uomo più felice, ma ne faccia strumento di grazia e di vita nuova per gli altri. La responsabilità di portare il Vangelo fino agli estremi confini della terra e di impiantare dovunque la Chiesa è perciò di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. Tutti i battezzati hanno ricevuto lo Spirito, tutti devono donarlo: “Ad ogni discepolo di Cristo incombe il dovere di diffondere per parte sua la fede” [7].
Così, attraverso la comunione con i loro vescovi in comunione col vescovo di Roma, tutti coloro che hanno accolto con fede la vita nuova ricevuta nel battesimo sono chiamati a contribuire alla trasmissione della fede secondo i doni che lo Spirito ha dato a ciascuno. Tutti, nella corresponsabilità e nella comunione, sono chiamati a partecipare attivamente alla missione della Chiesa: trasmettere la fede non è opera di navigatori solitari, ma compito vissuto nella barca di Pietro, sotto la guida dei pastori, in comunione di vita e di azione con tutti i battezzati, ciascuno secondo il dono ricevuto dallo Spirito.
“Tutti i credenti in Cristo - afferma l’Enciclica Dominum et vivificantem - sull’esempio degli apostoli, dovranno mettere ogni impegno nel conformare pensiero e azione alla volontà dello Spirito Santo, principio di unità della Chiesa” [8], e dunque dovranno riconoscersi chiamati ad accogliere il dono della fede e a trasmetterlo ad altri. “La pienezza della realtà salvifica, che è il Cristo nella storia, si diffonde in modo sacramentale nella potenza dello Spirito Paraclito. In questo modo lo Spirito Santo è l’altro consolatore, o nuovo consolatore, perché mediante la sua azione la Buona Novella prende corpo nelle coscienze e nei cuori umani e si espande nella storia. In tutto ciò è lo Spirito Santo che dà la vita” [9]. La verità salvifica, di cui la Chiesa è portatrice, esige che essa sia tutta impegnata nell’annuncio: tutta la Chiesa annuncia tutto il Vangelo! La buona novella da annunciare non è una semplice dottrina, ma una persona, il Cristo: è lui, vivente nello Spirito, l’oggetto della fede e il contenuto dell’annuncio, e insieme è lui il soggetto che opera nello Spirito in chi evangelizza. Il Cristo evangelizzato è al tempo stesso il Cristo evangelizzante nei suoi testimoni. Ne consegue per la Chiesa l’esigenza di non appartenere che a Lui, di esserne la memoria vivente, lasciandosi sempre nuovamente evangelizzare da Lui, per essere sempre di nuovo rigenerata dalla Sua Parola (Ecclesia creatura Verbi!).
La trasmissione ecclesiale della fede esige che il Cristo sia integralmente annunciato, nella comunione dei credenti vissuta nel tempo e nello spazio, come voce della comunione dello Spirito, che, attraverso la tradizione apostolica, rende la Chiesa identica a se stessa nel suo principio sempre presente, che è il Cristo vivente. E poiché il Signore Gesù è venuto per la salvezza di tutti, la trasmissione del Suo messaggio comporta anche inseparabilmente la cattolicità del destinatario cui offrirlo: la buona novella è risuonata per tutti ed esige di raggiungere tutti. “Andate e fate discepole tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28,19s). Per mezzo del ministero ecclesiale, nella potenza dello Spirito, è Cristo che “predica la Parola di Dio a tutte le genti e continuamente amministra ai credenti i sacramenti della fede” [10]. Lo scopo della trasmissione della fede non è altro che portare ogni uomo all’incontro con Cristo: essa è diretta alla profonda verità di ogni essere umano, bisognoso di incontrare il Risorto e di farne sempre nuovamente esperienza.
La frontiera dell’evangelizzazione non è, allora, la linea di demarcazione esteriormente riconoscibile fra spazio sacro e spazio profano, ma anzitutto il luogo della decisione salvifica, il cuore umano, lì dove la totalità di un’esistenza raggiunta dallo Spirito Santo si apre alla fede, decidendosi per Cristo. In questa decisione, possibile solo nell’incontro della libertà della persona con la Parola di Dio e lo Spirito che dà vita, il tempo quantificato diventa tempo qualificato, ora di grazia, oggi di salvezza: da “chrònos”, successione secondo il prima e il poi, si trasforma in “kairòs”, tempo della grazia e della vita nuova (cf. ad esempio Mt 8,29; 26,188; Mc 1,15; Lc 19,44; 21,8; Gv 7,6-8; At 1,7; 1 Ts 5,1ss.; Ef 5,16; Col 4,5; ecc.). La frontiera della trasmissione della fede passa dunque anzitutto nelle scelte fondamentali che qualificano la vita, e perciò anche all’interno della comunità ecclesiale che, evangelizzando, ha sempre nuovamente bisogno di essere evangelizzata e di decidersi per il suo Signore nel vivo delle situazioni della storia.
La Chiesa evangelizza, se continuamente si evangelizza, lasciandosi purificare e rinnovare dal giudizio della Parola di Dio e dal fuoco dello Spirito nella fede sempre di nuovo accolta e donata.
È dunque esigenza imprescindibile per ogni battezzato, come per la Chiesa intera, impegnarsi affinché l’annuncio raggiunga veramente tutto l’uomo in ogni uomo. La Parola della salvezza esige la libertà e la generosità audace della fede che l’accolga e la gridi dai tetti, fino agli ultimi confini della terra. Ciò esige l’impegno in un processo analogo al dinamismo dell’Incarnazione: “La Chiesa, per poter offrire a tutti il mistero della salvezza e la vita portata da Dio, deve inserirsi in tutti i diversi raggruppamenti umani con lo stesso movimento, con cui Cristo stesso, attraverso la sua incarnazione, si legò alle determinate condizioni sociali e culturali degli uomini, con cui visse” [11]. Se il Signore non chiederà conto ai suoi discepoli 11 dei salvati, perché la salvezza è un mistero di grazia e di libertà di cui nessuno può disporre dall’esterno, chiederà loro conto degli evangelizzati. In tal senso, una Chiesa senza urgenza e passione missionaria oppone resistenza allo Spirito che pur vuole animarla e si trasforma in un campo di morti, contraddicendo la sua natura di comunità dei risorti nel Risorto, impegnata a vivere, celebrare e trasmettere la fede in Lui.
La fede che accoglie, insomma, è chiamata ad essere inseparabilmente la fede che dona: e questo avviene pienamente nell’ambiente vitale che è la comunione ecclesiale. Perciò la vita secondo lo Spirito del credente è inseparabile dalla comunione ecclesiale, al punto che Sant’Agostino afferma: “Tanto si ha lo Spirito Santo, quanto si ama la Chiesa di Cristo” [12]. E San Giovanni Crisostomo non esita a dire al credente: “Non separarti dalla Chiesa! Nessuna potenza ha la sua forza. La tua speranza, è la Chiesa. La tua salvezza, è la Chiesa. Il tuo rifugio, è la Chiesa. Essa è più alta del cielo e più grande della terra. Essa non invecchia mai: la sua giovinezza è eterna” [13]. Giovane nella fede sempre nuovamente accolta, 13 la Chiesa è giovane nella fede sempre di nuovo trasmessa: generando alla fede, essa si rigenera; rigenerandosi in Cristo e nello Spirito diventa attraente della bellezza di Dio per chi ancora non ha incontrato il dono dall’alto. È in questo senso che Papa Francesco insiste nel dire che “trasmettere la fede non è fare proselitismo, è un’altra cosa, più grande ancora… La Chiesa cresce non per proselitismo ma per attrazione... La fede si trasmette per attrazione, cioè per testimonianza” [14].

3. La Chiesa, Madre dei credenti, nutre e accompagna la vita di fede

Nella Lumen fidei Papa Francesco scrive: “La trasmissione della fede… passa attraverso l’asse del tempo, di generazione in generazione. Poiché la fede nasce da un incontro che accade nella storia e illumina il nostro cammino nel tempo, essa si deve trasmettere lungo i secoli. È attraverso una catena ininterrotta di testimonianze che arriva a noi il volto di Gesù… Il passato della fede, quell’atto di amore di Gesù che ha generato nel mondo una nuova vita, ci arriva nella memoria di altri, dei testimoni, conservato vivo in quel soggetto unico di memoria che è la Chiesa. La Chiesa è una Madre che ci insegna a parlare il linguaggio della fede” (n. 38). La fede si riceve e si vive nella comunità che annuncia la Parola di Dio, celebra i sacramenti e agisce nella storia come segno e strumento della carità divina. Nell’educazione alla fede ha perciò un ruolo centrale la Chiesa, madre che genera figli per Dio nell’acqua del battesimo e li aiuta a crescere nella vita secondo lo Spirito. È allora importante comprendere come la Chiesa possa educare a credere in Dio e a vivere fedelmente l’alleanza con Lui.
Ci aiutano a capirlo anzitutto i santi, con l’amore alla Chiesa di cui sono testimoni: essi parlano di lei come un figlio parla della madre, che gli ha dato la vita e gliela ha fatta amare. La amano di un amore filiale, la trovano bella e degna d’amore, anche quando qualche ruga copre il suo volto, perché riconoscono il dono che la Chiesa fa ai credenti generandoli alla vita divina col battesimo e l’aiuto che dà loro per crescere alla scuola della Parola di Dio, col nutrimento che offre il Pane di vita e la forza che trasmette il perdono dei peccati ricevuto col sacramento della riconciliazione. Agli occhi di chi vive con fede tali esperienze la Chiesa appare grembo materno, madre amorevole! Proviamo a chiederci allora: abbiamo fatto esperienza di questa Chiesa “madre” nella fede? Siamo pronti a vivere la nostra fede non da navigatori solitari, ma come chi sa di doverla condividere con altri? Riconosciamo nella Chiesa con gli occhi della fede il mistero della presenza di Dio? o la vediamo come una semplice rete di amicizie o di interessi umani? riconosciamo nella varietà dei doni e dei servizi, presenti nella Chiesa, non un’invenzione umana, né il frutto di giochi di potere o di ambizioni terrene, ma l’opera salvifica di Dio? È la fede a riconoscere come nella Chiesa ogni dono venga dall’alto, ogni vocazione sia chiamata, rivolta da Dio a ciascuno per il bene di tutti. Proprio così, la varietà dei carismi e dei ministeri ecclesiali non compromette, ma esprime la profonda unità del popolo di Dio nella fede. In questa luce, si possono riconoscere quali segni e strumenti del dono divino i pastori, dal Papa, vescovo della Chiesa di Roma che presiede nell’amore, ai vescovi in comunione con Lui, ai sacerdoti che in ogni comunità sono inviati dal vescovo, ai diaconi, collaboratori del vescovo, ai battezzati nella varietà dei carismi e dei ministeri da loro ricevuti. È così che nell’amore al Papa e al Vescovo, nella docilità alla loro guida, nella comunione fraterna con tutti i battezzati, quanti hanno accolto i doni dall’alto possono entrare in dialogo fra loro e crescere nell’unità. È questa la comunione di un popolo di credenti adulti e responsabili, generata dall’unica fede, e che si esprime nella capacità di ciascuno pronunciare con la vita tre grandi “no” e tre grandi “sì”.
Il primo “no” è al disimpegno, cui nessuno ha diritto, perché i doni di Dio vanno vissuti nel servizio degli altri: a questo “no” deve corrispondere il “sì” alla corresponsabilità, per cui ognuno si faccia carico per la propria parte del bene comune da realizzare secondo il disegno di Dio. Il secondo “no” è alla divisione, cui nessuno può sentirsi autorizzato, perché i carismi vengono dall’unico Signore e sono orientati alla costruzione dell’unico Corpo, che è la Chiesa: il “sì” che ne consegue è quello al dialogo fraterno, rispettoso della diversità e volto alla costante ricerca della volontà divina per ciascuno e per tutti. Il terzo “no” è alla stasi e alla nostalgia del passato, cui nessuno deve acconsentire, perché lo Spirito è sempre vivo e operante nella storia: ad esso corrisponde il “sì” alla continua riforma, per la quale ognuno possa realizzare sempre più fedelmente la chiamata di Dio e la Chiesa tutta possa celebrarne la gloria. Attraverso questo triplice “no” e questo triplice “sì”, pronunciati con la forza donataci dalla fede, la Chiesa si costruisce come icona della Trinità, comunione di uomini e donne, adulti e responsabili nella loro diversità, uniti fra loro nell’amore e testimoni del dono di Dio a tutto l’uomo, a ogni uomo. Propongo, allora, 8 di verificare la nostra vita di credenti alla luce del triplice “sì” e del triplice “no”, provando a capire quale dei tre è più urgente per ciascuno di noi.
Va sottolineato, poi, come la comunione ecclesiale sia necessaria per vivere e crescere nella fede: di fronte all’arcipelago, che è spesso la società in cui viviamo, la comunione della Chiesa rappresenta una buona novella contro la solitudine. È così che vorremmo si offrisse a tutti la nostra Chiesa, suscitando e coltivando relazioni di rispetto e di amore, che siano un’immagine eloquente della comunione trinitaria e accendano in chi è lontano il desiderio di Dio e dell’esperienza del Suo amore, offerta nella Chiesa. Queste relazioni vanno vissute anzitutto nella vita quotidiana, a cominciare da quella vissuta in famiglia, “piccola Chiesa”, luogo fondamentale e originario dell’educazione a credere. I genitori sono chiamati a essere per i figli i primi testimoni della fede. In questo consiste, peraltro, la missione affidata a ciascun battezzato: essere luce delle genti, attrarre gli uomini a Dio con la fede vissuta e con vincoli di amore, che mostrino a tutti la bellezza dell’incontro con Gesù, vissuto nella Chiesa.
In questa luce si comprende come l’educazione alla fede sia il compito primario della Chiesa, che Cristo ha voluto con il preciso scopo di prolungare la sua azione salvifica, dando concretezza nel tempo al compito da Lui affidato: “Andate e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt 28,19). La missione ecclesiale è quella di favorire l’incontro dell’uomo d’oggi con il Dio che è Amore, in un fecondo rapporto tra fede e vita, così che i credenti possano mostrare a tutti come la proposta cristiana sia via di vera umanizzazione e ben corrisponda all’anelito di verità, di libertà, di giustizia e di pace, presente nel cuore di ogni uomo. La responsabilità educativa investe, perciò, tutta la comunità cristiana, chiamata a ripensare sempre di nuovo il suo stile di evangelizzazione, affinché la fede in Cristo s’incarni nell’attualità e diventi fonte di speranza per tutti. In quest’impegno convinto di educazione a vivere della bellezza di Dio, la Chiesa dovrà testimoniare di essere una comunità ricca della gioia che nasce dalla fede.
Le ragioni della sua gioia sono molteplici agli occhi della fede: è la gioia di chi sperimenta e annuncia la tenerezza del Signore e vive la speranza, che non conosce rassegnazione, indifferenza, divisione. È la gioia di chi vive del comandamento dell’amore e del programma di vita del Vangelo, che riconosce nelle beatitudini il manifesto della relazione vera e vivificante con gli altri, per assaporare in profondità l’esistenza umana e gustare l’intimità con Gesù. Riflettiamo, allora, sullo stile delle nostre comunità cristiane: sanno trasmettere la gioia e la bellezza di Cristo? O vivono di una “routine” più o meno stanca e ripetitiva? Come rinnovarle secondo il Vangelo e aiutarle ad essere luoghi della gioia e fonti di essa? È questa la Chiesa che vorremmo: sempre più missionaria, non in uno spirito di conquista, che sappia di potere umano, ma in una passione d’amore, in uno slancio di servizio e di dono, che dica a tutti quanto è bello essere discepoli di Gesù! Certo, la Chiesa è e resta un popolo in cammino, pellegrino verso la patria del cielo. Ogni presunzione di essere arrivati va considerata una tentazione: non dobbiamo dimenticare i nostri peccati, le nostre fragilità e paure. Fiduciosi nella tenerezza di Dio, non rinunciamo però a sognare la Chiesa impegnata nella sua continua purificazione e riforma, solidale con il povero e con l’oppresso, povera e sobria nel suo stile di vita, amica degli uomini e accogliente per tutti, vigile e critica verso tutte le miopi realizzazioni mondane.
Beninteso, questo non significherà disimpegno o annuncio a buon mercato: la vigilanza che è chiesta a chi crede è costosa ed esigente. Si tratta di assumere le speranze umane e di verificarle al vaglio della risurrezione di Cristo, che da una parte sostiene ogni impegno autentico di liberazione dell’uomo, dall’altra contesta ogni assolutizzazione di mete terrene. La patria, che ci fa stranieri e pellegrini in questo mondo, non è sogno che alieni dal reale, ma stimolo all’impegno per la giustizia e per la pace nell’oggi del mondo. Vorremmo una Chiesa, nutrita dal pane eucaristico, sempre più testimone della gioia e della speranza che non delude, libera e generosa nel suo servizio alla giustizia, promotrice del dialogo e della pace fra gli uomini: una Chiesa dell’amore, unita, santa, cattolica e apostolica, non di meno aperta al riconoscimento di tutto il patrimonio di grazia e di santità che lo Spirito rende presente nelle tradizioni cristiane, che non sono in piena comunione con lei e con cui deve dialogare, offrendo loro i doni di cui è portatrice e ricevendo da esse la testimonianza del bene, che il Signore opera in loro.
Infine, nell’epoca del “villaggio globale”, la Chiesa annunciatrice ed educatrice della fede è chiamata all’incontro con i credenti delle diverse religioni, con cui da discepoli di Gesù ci riconosciamo chiamati al comune servizio all’uomo a favore della giustizia e della pace e alla testimonianza del divino nella storia. Le grandi religioni sono accomunate da una sorta di dovere dell’ascolto, che implica l’apertura radicale del cuore all’Eterno, nella disponibilità a lasciarsi gestire la vita da Lui. Il cristiano non rinuncerà mai ad annunciare con dolcezza e rispetto che Dio si è coinvolto nella storia con l’incarnazione del Verbo e la missione dello Spirito: è questo l’annuncio della sua fede, un annuncio d’amore, che dovrà coniugare la proclamazione del Vangelo, cui tutti hanno diritto, con l’autenticità del dialogo, per far avanzare la famiglia umana verso la pienezza del tempo in cui “Dio sarà tutto in tutti” (1Cor 15,28) e il mondo intero sarà la Sua patria. Questa Chiesa del dialogo e della missione non potrà mai escludere chi non crede e chiunque sia alla ricerca del 10 Volto di Dio: verso costoro avrà anzi un atteggiamento di attenzione e rispetto, mostrando anche così di essere la Chiesa per cui Gesù ha pregato: “Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17,21). È la Chiesa dell’amore, che nasce dalla fede e che genera alla fede.
È questa l’immagine di Chiesa realizzata in Maria, la credente, Vergine Madre del Figlio, che accoglie il dono di Dio e lo dona, pronta sempre a intercedere per noi.
È la Chiesa che vorremmo costruire insieme con l’aiuto del Signore, cui invito a rivolgervi con me dicendo: Dio, Padre nostro, da Te viene la Chiesa, popolo che hai suscitato nel tempo per rendere gli uomini partecipi della vita divina nella fede.
In Te vive la Chiesa, comunione nel dialogo e nel servizio della carità, a immagine e somiglianza della Trinità santa.
Verso di Te tende la Chiesa, pellegrina nella speranza della fede, segno e strumento dell’opera di riconciliazione e di pace del tuo Figlio incarnato nella forza dello Spirito Santo.
Donaci di amare questa Chiesa come Madre nostra nella fede e di volerla Sposa bella del Tuo Cristo, senza macchia né ruga, partecipe e trasparente della vita dell’eterno Amore, per essere con la sua fede luce di salvezza per tutte le genti. Amen!

NOTE

1 Concilio Vaticano II, Costituzione sulla Chiesa Lumen Gentium, cap. I.
2 Concilio Vaticano II, Decreto sull’attività missionaria della Chiesa Ad Gentes, 2. 3. 4.
3 V. Lossky, La teologia mistica della Chiesa d’Oriente, Il Mulino, Bologna 1967, 160s.
4 Catechismo della Chiesa Cattolica, 750.
5 S. Ambrogio, Hexaemeron 4, 8, 32: CSEL 32, I, 138, 15-20. Cf. H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri. Simboli della Chiesa, Paoline, Roma 1971, 205ss.
6 Anastasio il Sinaita, Anagogica Contemplatio in Hexaemeron 4: PG 89,1076 CD. Secondo il testo emendato e tradotto da H. Rahner, L’ecclesiologia dei Padri, o.c., 204s.
7 Concilio Vaticano II, Costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, 17.
8 Giovanni Paolo II, Enciclica Dominum et vivificantem (18 maggio 1986), n. 62.
9 Ib., n. 64.
10 Lumen Gentium, 21.
11 Ad Gentes, 10.
12 “Quantum quisque amat ecclesiam Christi, tantum habet Spiritum Sanctum”: S. Agostino, In Iohan. Evang. Tract., 32,8: CChr 36,304.
13 San Giovanni Crisostomo, Homilia De capto Eutripio, c. 6: PG 52,402.
14 Papa Francesco, Omelia del 3 maggio 2018.

 
(Relazione al Convegno Ecclesiale di Potenza, 19 Settembre 2019)