Grammatica e cantieri di sinodalità nella PG
Gianluca Zurra
(NPG 2022-02-44)
La parola “studio” non sembra godere di molta simpatia. La percezione immediata è che si abbia a che fare con una operazione astratta rispetto alla vita concreta, alla praticità dell’esperienza e ad un ascolto della realtà effettiva. Ne è testimone il detto assai diffuso: “Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare”. In questo caso il fare è esaltato, a discapito del dire e ancora di più del “mare” aperto della riflessione, che tende ad essere squalificato come perdita di tempo, o nel migliore dei casi come ciò che non sembra essere veramente decisivo.
Il cammino sinodale ha la possibilità, invece, di risultare profetico anche in questa direzione. Si potrebbe correggere l’espressione dicendo: “Meno male che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare!”. È lo spazio aperto dello studio, che non ha nulla di astratto, in realtà, ma è la capacità dell’uomo di fermarsi e di riprendere il senso di ciò che vive perché nulla diventi superficiale. Tramite questa operazione di riflessione la parola diviene gesto pratico, certo, ma insieme la pratica si arricchisce di significato, di progettazione, di profondità, senza cedere alla frammentazione o ad un agire troppo sbrigativo. Chiesa sinodale, che si mette in ascolto, significa anche questo: una comunità che prende sul serio il faticoso lavoro dello studio, rallentando, fermandosi, dando spessore, larghezza, profondità ad ogni più piccola esperienza della vita.
Per ridare dignità ecclesiale allo studio è necessario cogliere in che senso la riflessione sia ciò che specifica l’umano rispetto ad ogni altro essere vivente, per riscoprire questa postura come propria di Gesù, passando poi ad alcune conseguenze per la missione della Chiesa in sinodo.
Gli umani ri-flettono
Il termine “riflessione” è molto significativo, anche a livello corporeo: rievoca la curvatura della schiena di chi ritorna su ciò che ha vissuto, per custodirne il senso. Non è il curvarsi depressivo e nostalgico su ricordi del passato, ma è la disposizione a lasciarsi cambiare da ciò che si vive, ad accogliere il significato profondo della realtà.
La singolarità dell’umano sta in questa capacità di non limitarsi mai al semplice flusso della vita, ma di ritornarci sopra per diventarne responsabile e protagonista attivo. Questo passaggio è sempre mediato dallo “studio”, ben più ampio della sua accezione accademica: si tratta di saggezza pratica, di silenzio, di lettura, di confronto comunitario, di tutto ciò che, insomma, non sta nell’ambito della produzione immediata, ma che pure fa la differenza sulla qualità della vita e delle scelte che si compiono.
Studiare diventa così un’azione che si addice a tutti e non solo ad una stretta cerchia di intellettuali. La forma più accademica, scelta da alcuni, sta al servizio di questa dimensione popolare della ri-flessione e la forma popolare dello studio, a cui nessuno si può sottrarre se vuole “vivere e non vivacchiare”, non può che trarre beneficio e profondità dalla sua forma accademica. Se si attiva questo circolo virtuoso gli umani diventano più uomini superando pericolosi sguardi ideologici. In effetti sono proprio le ideologie a non sopportare la riflessione, chiedendo certo di “flettersi”, ma per inginocchiarsi e obbedire in modo servile.
Riappropriarsi dello studio, dunque, nella sua accezione ampia, significa riguadagnare uno spazio fondamentale di dignità umana, senza il quale tanto il dire, quanto il fare sarebbero più poveri, esposti a superficialità e strumentalizzazioni.
La passione di Gesù per la riflessione
Che il Figlio di Dio ri-fletta si nota nel suo flettersi e chinarsi verso le persone, soprattutto per chi ha bisogno di essere guarito, sostenuto, rimesso in piedi, ma anche verso le cose! Le parabole sono l’espressione più trasparente dello “studio” di Gesù, nel suo riconoscere il Regno di Dio all’opera nelle più comuni esperienze della vita che vede accadere sotto i suoi occhi.
Ma ci sono almeno due racconti significativi per cogliere in che senso la postura della riflessione sia letta da Gesù come lo spazio fondamentale per riconoscere il passaggio di Dio nella storia: il dialogo con Marta e Maria nella casa di Betania[1] e la tempesta sul lago[2].
L’arrivo di Gesù a Betania rivela i cuori delle due sorelle: ancora una volta è nel dialogo che succede qualcosa di nuovo. Troppo spesso è stato commentato questo testo come una esaltazione della vita contemplativa tramite la scelta di Maria, riscattando tuttavia anche l’atteggiamento attivo di Marta. In realtà l’episodio, ricondotto nella cultura del tempo, è molto più forte e rivoluzionario: qui siamo di fronte ad un rabbì che definendo l’atteggiamento di ascolto di Maria “la parte migliore” invita una donna alla sua scuola, cosa del tutto impensabile e scandalosa fino a quel momento. Se dunque è vero che Gesù non squalifica l’atteggiamento servizievole di Marta, ma coglie in lei un affanno autocentrato che rischia di mortificare il senso stesso del suo servizio, è altrettanto vero che qui siamo di fronte a qualcosa di inedito: una donna, Maria, è ospitata nell’attività dello studio tradizionalmente riservato ai maschi, liberando così la figura femminile, Marta, dalla sua esclusiva dimensione domestica. Emerge un suggestivo ribaltamento: l’ascolto di Maria, che sembrava essere un atteggiamento remissivo, passivo, diventa un vero e proprio studio e approfondimento creativo della Parola come avveniva nelle scuole rabbiniche, mentre il servizio di Marta, che sembrava un movimento pratico, concreto, si rivela troppo astratto, chiuso in se stesso, incapace di incrociare davvero la relazione con il suo Signore.
È evidente che nell’elogio di Maria si manifesti come agli occhi di Gesù lo studio e la riflessione siano un luogo rivelativo, vero e proprio veicolo di novità in cui il rapporto con Dio e la vita quotidiana si intrecciano, si approfondiscono, generando profezia e cambiando dall’interno la cultura.
Nella stessa direzione possono essere letti i molteplici racconti evangelici dell’attraversamento del lago in tempesta. È proprio durante questi passaggi drammatici che i discepoli comprendono qualcosa di nuovo sul loro Maestro. La dinamica è molto simile, pur nella diversità delle redazioni: si parte da una situazione solo apparentemente chiara, che ha bisogno di essere ripresa (ri-flessa) in un percorso notturno misto a sogno, per approdare ad una riva che a sua volta ripresenta nuove sfide e imprevisti. Ma intanto in quell’attraversamento drammatico, vera prova di fiducia che chiede un cambio di prospettiva, il discepolato si tempra e si arricchisce. Siamo di fronte ad una bella immagine dello studio: una ripresa faticosa e sudata della vita, perché occhi e orecchie possano essere abilitati a vedere e udire ciò che diversamente non sarebbe percepibile.
D’altronde, se Gesù riconosce in Maria di Betania l’atteggiamento migliore e più volte si rivela ai discepoli in drammatici attraversamenti che richiedono riflessione, è perché lui stesso ha fatto di questa esperienza un elemento fondamentale della sua relazione con il Padre: durante le tentazioni nel deserto, sul monte in disparte a pregare, fino al grido drammatico nell’orto degli ulivi. Da Risorto non dismette certo i panni del rabbì che spiega le Scritture con saggia passione, chiamando a raccolta la comunità dei discepoli perché prima di ogni altra cosa divengano consapevoli del servizio apostolico a cui sono chiamati.
Studio e riflessione sono un preciso modo di essere del Figlio di Dio, stile immediatamente posto al centro della prima comunità cristiana, che proprio così ha iniziato a fare del Vangelo vissuto una profezia quotidiana per l’ambiente del tempo, senza cadere né nella fuga dal mondo, né in una operosità affannata e sterile.
Una Chiesa che studia e riflette
In tempi di facili ideologie, la Chiesa in cammino sinodale può rappresentare una forte profezia per la cultura, se nel suo modo di essere rimette al centro la passione per lo studio e per la riflessione, riconsegnando alla fede la sua qualità di sapere sapiente sulla vita.
Questo atteggiamento diventa fondamentale perché l’ascolto della storia sia profondo, competente, saggio e anche così la comunità cristiana può “godere il favore di tutto il popolo”, come succedeva per la Chiesa delle origini narrata negli Atti degli Apostoli[3].
A tale riguardo, proprio la prospettiva sinodale esige una riscoperta del lavoro teologico anche e soprattutto tra i giovani e a favore dei giovani, almeno secondo tre attenzioni fondamentali. La prima è l’indicazione di Evangelii Gaudium: il dialogo tra fede e cultura non ha bisogno di una “teologia da tavolino”, ma di un carisma teologico che sappia dare ragione del vissuto umano alla luce della fede in Gesù[4], senza astrazioni. La seconda prospettiva è la necessità che lo stile sinodale caratterizzi anche il lavoro teologico, che non può essere solitario, ma a sua volta comunitario e svolto da uomini e donne, presbiteri e laici insieme. Come sarebbe proficuo che la teologia cominciasse ad essere colta non come attività di élite o di pochi, ma esercizio accessibile, condivisibile e a favore di tutti, dentro e fuori la Chiesa! La terza attenzione può essere l’invenzione di spazi giovanili di riflessione per i nuovi linguaggi della fede e dello studio biblico, perché il Vangelo possa essere rimesso in circolo nella sua forza culturale e nella sua capacità di essere un sano antidoto alle contrapposizioni ideologiche.
Anche in questa direzione il cammino sinodale può essere un’occasione unica da non perdere, ritrovando il gusto dello studio in ambito ecclesiale come un’espressione della buona testimonianza evangelica, a favore delle nuove generazioni: meno male che tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare (della riflessione)! Una consapevolezza che dovrebbe sempre essere parte integrante della missione della Chiesa.
NOTE
[1] Cfr Lc 10, 38-42
[2] Cfr Mc 4, 35-41; Mt 8,18.23-27; Lc 8, 22-25
[3] Cfr At 2, 42-47
[4] “La Chiesa, impegnata nell’evangelizzazione, apprezza e incoraggia il carisma dei teologi e il loro sforzo nell’investigazione teologica, che promuove il dialogo con il mondo della cultura e della scienza. Faccio appello ai teologi affinché compiano questo servizio come parte della missione salvifica della Chiesa. Ma è necessario che, per tale scopo, abbiamo a cuore la finalità evangelizzatrice della Chiesa e della stessa teologia e non si accontentino di una teologia da tavolino”. Cfr EG 133