Il bene della pace
e il male della guerra
L'insegnamento attuale della Chiesa cattolica
Aristide Fumagalli
Il conflitto fra Federazione Russa e Repubblica Popolare Ucraina non conosce cenni di attenuazione e, al volgere del primo anno di combattimenti, torna a riproporre la complessa serie di interrogativi etici che l'hanno accompagnato fin dal suo sorgere. Don Aristide Fumagalli, docente di Teologia morale presso il Seminario di Venegono e la Facoltà teologica di Milano, presenta qui una dettagliata e preziosa disamina dei criteri etici che la Dottrina sociale della Chiesa propone al discernimento morale dei credenti. Sullo sfondo dell'inequivocabile e insistita condanna della guerra da parte del Magistero contemporaneo della Chiesa, hanno posto anche argomenti che cercano di declinare questo principio fondamentale in situazioni particolari - la legittima difesa, l'ingerenza umanitaria -, e anche quelli che raccomandano forme di alternativa alla guerra - disarmo, sanzioni, nonviolenza - e infine le auspicabili strategie volte a eliminare in radice le cause che originano i conflitti, soprattutto situazioni strutturali di povertà, sfruttamento e ingiustizia. «A fronte di una guerra purtroppo in corso, cristiani possono essere in dubbio circa il modo in cui ricercare la pace, se ricorrendo alla difesa armata o alla difesa nonviolenta, e giungere a un diverso esito del discernimento. Invece che screditarsi a vicenda, sarà opportuno che si mantengano in dialogo così da arricchirsi e correggersi vicendevolmente nelle proprie valutazioni».
L'insegnamento della Chiesa cattolica trova la sua più ufficiale e autorevole espressione nel Magistero del papa e dei vescovi, i quali, attingendo al depositum fidei, attestato nella Scrittura e dalla Tradizione, propongono principi di riferimento, criteri di giudizio e norme di comportamento per il discernimento dell'agire cristiano nelle variegate circostanze dell'umano vivere. Il discernimento morale non si risolve nei pronunciamenti del Magistero, chiamato a formare le coscienze e non a sostituirle. Nella formazione della coscienza morale, l'insegnamento magisteriale è tuttavia, per chi appartiene alla Chiesa cattolica, un riferimento imprescindibile.
Il criterio fondamentale
Il criterio fondamentale che nell'attualità storica dell'incipiente terzo millennio dell'era cristiana viene proposto a riguardo della convivenza umana distingue nettamente il grande bene della pace e il grande male della guerra. La qualificazione della pace come grande bene e conseguentemente della guerra come grande male è adeguatamente compresa per riferimento alla concezione biblica della pace.
Il grande bene della pace
«Nella Rivelazione biblica, la pace è molto più della semplice assenza di guerra: essa rappresenta la pienezza della vita (cfr. Ml 2,5)». La pienezza di vita della pace biblica (nella lingua ebraica shalom), «lungi dall'essere una costruzione umana, è un sommo dono divino offerto a tutti gli uomini» [1].
La pienezza di vita divina è, secondo la Rivelazione cristiana, donata agli uomini in Gesù Cristo, il quale sigilla il suo testamento spirituale dicendo: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Donando la sua pace, Cristo consente agli uomini di superare le divisioni conflittuali e di perseguire la pacificazione comunionale, così come si legge nella lettera agli Efesini a riguardo della riconciliazione tra i giudei e i pagani: «Egli (Cristo) infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef2,14).
La pace di Cristo è donata agli uomini affinché l'accolgano e la corrispondano. Il dono divino della pace suscita e richiede la responsabilità umana della pace, la quale «non è semplicemente assenza di guerra e neppure uno stabile equilibrio tra forze avversarie, ma si fonda su una corretta concezione della persona umana e richiede l'edificazione di un ordine secondo giustizia e carità» [2].
Il grande male della guerra
Al grande bene della pace, pienezza di vita, si contrappone il grande male della guerra, la cui
violenza non costituisce mai una risposta giusta. La Chiesa proclama, con la convinzione della sua fede in Cristo e con la consapevolezza della sua missione, «che la violenza è male, che la violenza come soluzione ai problemi è inaccettabile, che la violenza è indegna dell'uomo. La violenza è una menzogna, poiché è contraria alla verità della nostra fede, alla verità della nostra umanità [3].
Inequivocabile e insistita è la condanna della guerra da parte del Magistero contemporaneo della Chiesa. Basti in questa sede richiamare qualche icastica espressione dei pontefici [4].
La guerra, definita da Leone XIII un «flagello» [5], quando scoppia diventa, secondo le parole pronunciate da Benedetto XV a riguardo del primo conflitto mondiale, un'«inutile strage» [6]. «Nulla è perduto con la pace – afferma Pio XII –. Tutto può essere perduto con la guerra» [7]. La violenza distruttiva della guerra in epoca contemporanea è tale che – osserva Giovanni XXIII – «riesce quasi impossibile pensare (alienum est a ratione) che nell'era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia» [8]. «Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei Popoli e dell'intera umanità!» è il grido di Paolo VI nel suo memorabile discorso rivolto all'Organizzazione delle Nazioni Unite [9]. Secondo Giovanni Paolo II, la guerra è «il fallimento di ogni autentico umanesimo» [10], «è sempre una sconfitta dell'umanità» [11]. Osserva infatti il suo successore, Benedetto XVI, che «la guerra con il suo strascico di lutti e di distruzioni è da sempre giustamente considerata una calamità che contrasta con il progetto di Dio, il quale ha creato tutto per l'esistenza e, in particolare, vuole fare del genere umano una famiglia» [12]. A sigillo dell'insegnamento pontificio contemporaneo circa il grande male della guerra valgano le più recenti parole di Francesco:
La guerra non è la soluzione, la guerra è una pazzia, la guerra è un mostro, la guerra è un cancro che si autoalimenta fagocitando tutto! Di più, la guerra è un sacrilegio, che fa scempio di ciò che è più prezioso sulla nostra terra, la vita umana, l'innocenza dei più piccoli, la bellezza del creato. Sì, la guerra è un sacrilegio! [13].
L'accresciuta consapevolezza del grande bene della pace, nonché del grande male della guerra, che in epoca contemporanea ha raggiunto potenzialità distruttive planetarie, ha indotto la Chiesa ad abbandonare la dottrina tradizionale della cosiddetta «guerra giusta» [14]. Non esiste una guerra giusta, ma semmai una giusta difesa dalla guerra [15].
La considerazione del grande male della guerra nell'ottica del grande bene della pace può solo essere quella di contrastarla, al minimo limitandone la violenza, al meglio creando alternative. In questa direzione orienta con decisione il Magistero della Chiesa riunito nel Concilio Vaticano II, che insieme alla condanna dell'«inumanità della guerra» [16] afferma l'obbligo di «considerare l'argomento della guerra con mentalità completamente nuova» [17].
La limitazione della guerra
La giusta difesa dalla guerra rientra più tradizionalmente nella dottrina della «legittima difesa» e più recentemente nell'insegnamento sull'«ingerenza umanitaria».
La legittima difesa
La Chiesa ha sempre riconosciuto il diritto alla legittima difesa, vincolandolo, tuttavia, a determinate condizioni. A tale riguardo, il card. Martini, nell'illuminante Discorso in occasione della solennità di S. Ambrogio del 2001, a pochi mesi dall'attentato terroristico dell'11 settembre alle torri gemelle di New York, dichiarava:
È chiaro che il diritto di legittima difesa non si può negare a nessuno, neppure in nome di un principio evangelico. Ma occorre una continua vigilanza e un costante dominio su di sé e delle proprie passioni individuali e collettive per far sì che nella necessaria azione di prevenzione e di giustizia non si insinui la voluttà della rivalsa e la dismisura della vendetta [18].
Il diritto condizionato alla legittima difesa è stato recentemente richiamato a proposito della guerra in Ucraina dal Segretario di Stato del Vaticano, card. Pietro Parolin:
L'uso delle armi non è mai auspicabile, perché comporta sempre l'altissimo rischio di togliere la vita alle persone o di causare gravi ferite e terribili danni materiali. Tuttavia, il diritto a difendere la propria vita, il proprio popolo e la propria patria comporta talvolta anche il triste ricorso alle armi. Allo stesso tempo, è necessario che entrambe le parti s'astengano dall'uso di armi proibite e che rispettino pienamente il diritto internazionale umanitario per proteggere i civili e i feriti. D'altra parte, mentre l'assistenza militare all'Ucraina potrebbe essere comprensibile, la ricerca di una soluzione basata sul dialogo, che metta a tacere le armi ed eviti l' escalation nucleare, rimane una priorità [19].
Lo stesso papa Francesco, nella conferenza stampa sul volo aereo di ritorno dal viaggio apostolico in Kazakistan (15 settembre 2022), ha così risposto alla domanda di un giornalista che gli chiedeva se in questo momento bisogna dare armi all'Ucraina:
Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l'intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più... La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi non si difende, chi non difende qualcosa, non la ama, invece chi difende, ama [20].
La tradizionale dottrina della legittima difesa, contro ogni suo abuso, stabilisce «rigorose condizioni» [21] che devono ricorrere contemporaneamente.
La prima condizione riguarda l'ingiusta aggressione, esigendo che «il danno causato dall'aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo» [22]. Questa condizione esclude la cosiddetta «guerra preventiva», che anticipa l'attacco dell'aggressore, anche solo sulla base di sospetti. L'eventuale deroga a questa condizione porrebbe «gravi interrogativi sotto il profilo morale e giuridico» ed esigerebbe comunque «una decisione dei competenti organismi», che «sulla base di rigorosi accertamenti e di fondate motivazioni» «identificassero» «determinate situazioni come una minaccia alla pace e autorizzando un'ingerenza nella sfera del dominio riservato di uno Stato» [23].
La seconda condizione consiste nell'extrema ratio contro l'ingiusta aggressione, nel fatto cioè «che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci» [24].
La terza condizione riguarda l'esito che il ricorso alla difesa può sortire, esigendo «che ci siano fondate condizioni di successo» [25]. A questo riguardo è opportuno precisare che il successo sperabile è relativo al respingere l'attacco, non al ricercare la vendetta.
La quarta condizione richiama alla proporzionalità, esigendo «che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare. Nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione» [26]. Questa condizione esclude ogni ricorso alle «armi di distruzione di massa – biologiche, chimiche e nucleari» [27]. La proporzionalità nella difesa distingue tra «atti di guerra» e «crimini di guerra», quest'ultimi sempre vietati, come pure discrimina tra «combattenti» coinvolti nelle ostilità, e «non combattenti», che mai devono essere coinvolti. «Il principio di umanità, iscritto nella coscienza di ogni persona e popolo, comporta l'obbligo di tenere al riparo la popolazione civile dagli effetti della guerra» [28].
La dottrina tradizionale della Chiesa riserva la valutazione delle condizioni della legittima difesa «al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune» [29]. Nell'attuale mondo globalizzato, l'autorità responsabile del bene comune non potrebbe che essere un'autorità internazionale, certo sovranazionale, possibilmente mondiale [30]. Tale potrebbe essere l'Organizzazione delle Nazioni Unite, nel cui Statuto si dichiara che
«i Membri devono risolvere le loro controversie internazionali con mezzi pacifici, in maniera che la pace e la sicurezza internazionale, e la giustizia, non siano messe in pericolo» e inoltre che «i Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite» [31]. Ma proprio l'ONU, a tutt'oggi, gode di un'autorità più simbolica che effettiva, più esortativa che normativa, soggetta – com'è – all'oligarchia dei cinque vincitori della II Guerra Mondiale (Cina, Francia, Regno Unito, Russia, Stati Uniti), i quali, oltre ad essere gli unici Membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, hanno in esso diritto di veto. Quanto mai decisivo ed urgente sarebbe una riforma dell'ONU che promuova lo sviluppo solidale globale, la democratizzazione delle relazioni internazionale, la regionalizzazione continentale di taluni problemi, il coinvolgimento delle Organizzazioni non governative (ONG) quale punto di vista delle minoranze.
L'ingerenza umanitaria
La dottrina della legittima difesa non riguarda la sola autodifesa, ma si estende alla difesa di altri. La difesa della vita di altri, per chi ne è responsabile, non solo è «legittima», ma può costituire anche un «grave dovere» [32], risultando quindi «obbligatoria». «Il diritto all'uso della forza per scopi di legittima difesa è associato al dovere di proteggere e aiutare le vittime innocenti che non possono difendersi dall'aggressione» [33].
Il dovere di protezione nei confronti delle vittime innocenti e indifese della guerra limita l'opzione del pacifismo radicale di chi escludesse ogni uso della forza. La rinuncia alla legittima difesa può valere per se stessi, risultando anche profetica e testimoniale, come nel caso dei martiri. Non può però valere quando si è responsabili di altri che ci sono affidati e che non possono liberamente scegliere di difendersi o meno. Non si può invocare a tale riguardo l'inequivocabile scelta di Cristo di accettare la morte in croce piuttosto che opporsi alla violenza avvalendosi delle «dodici legioni di angeli» (Mt 26,53) a sua disposizione. La scelta di Cristo, infatti, è consapevole e libera. Inoltre, egli compie la sua scelta non coinvolgendo altri e, anzi, chiedendo espressamente durante il suo arresto che non siano coinvolti [34].
Dal dovere di difendere le vittime innocenti dall'aggressione consegue che «la Comunità internazionale nel suo complesso ha l'obbligo morale di intervenire in favore di quei gruppi la cui stessa sopravvivenza è minacciata o di cui siano massicciamente violati i fondamentali diritti» [35]. A tal proposito, Giovanni Paolo II, considerando le atrocità della guerra in Bosnia ed Erzegovina negli anni 1992-1995, affermò il diritto-dovere della cosiddetta «ingerenza umanitaria»:
La coscienza dell'umanità, ormai sostenuta dalle disposizioni del diritto internazionale umanitario, chiede che sia resa obbligatoria l'ingerenza umanitaria nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli o di interi gruppi etnici: è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale [36].
Il principio dell'ingerenza umanitaria, convintamente affermato dalla Santa Sede, rinviene al cuore della vita internazionale non primariamente gli Stati, bensì la persona umana.
Esistono interessi che trascendono gli Stati: sono gli interessi della persona umana, i suoi diritti. [...] I principi della sovranità degli Stati e della non-ingerenza nei loro affari interni – che conservano tutto il loro valore – non possono tuttavia costituire un paravento dietro il quale si possa torturare e assassinare [37].
L'ingerenza umanitaria, fondata sulla dignità della persona umana, sollecita uomini politici e studiosi di diritto internazionale nella ricerca etico-giuridica in grado di definirne le motivazioni, i criteri, i limiti e i modi di concreta applicazione, nei singoli casi [38]. L'ingerenza umanitaria della comunità internazionale contempla sia l'«intervento di polizia internazionale», con mezzi militari, sia l'«intervento civile internazionale», con mezzi civili. La tipologia dell'intervento può configurarsi come: peacemaking, cioè di interrompere le violenze in corso e imporre la tregua; peace-keeping, cioè di impedire la rottura della tregua e la ripresa delle ostilità; peace-building, cioè di consolidare la durata della tregua le condizioni per la stabilità.
L'alternativa alla guerra
La difesa dalla guerra, pur legittima e doverosa quando irrompe, non è sufficiente per contrastarla. L'autentico contrasto alla guerra avviene quando, non rassegnandosi all'impegno minimo di limitarla, si persegue la sua eliminazione.
La guerra — ha detto Papa Francesco all'Angelus di domenica 27 Marzo 2022 — non può essere qualcosa di inevitabile: non dobbiamo abituarci alla guerra! Dobbiamo invece convertire lo sdegno di oggi nell'impegno di domani. Perché, se da questa vicenda usciremo come prima, saremo in qualche modo tutti colpevoli. Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l'umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell'uomo prima che sia lei a cancellare l'uomo dalla storia [39].
La cancellazione della guerra impegna nella ricerca di soluzioni alternative, ricerca che peraltro
ha assunto oggi un carattere di drammatica urgenza, poiché «la potenza terrificante dei mezzi di distruzione, accessibili perfino alle medie e piccole potenze, e la sempre più stretta connessione, esistente tra i popoli di tutta la terra, rendono assai arduo o praticamente impossibile limitare le conseguenze di un conflitto» [40].
Mirando a cancellare la guerra dalla storia umana, la Chiesa propone di eliminare le armi con cui la si combatte e prospetta modi alternativi per regolare i conflitti.
Il disarmo
L'eliminazione dell'odierno enorme potenziale bellico, che minaccia gravemente la convivenza pacifica dei popoli, va perseguito, secondo la dottrina sociale della Chiesa, mediante un «disarmo generale, equilibrato e controllato». La detenzione di armi deve corrispondere al «principio di sufficienza, in virtù del quale uno Stato può possedere unicamente i mezzi necessari per la sua legittima difesa», e tale principio «deve essere applicato sia dagli Stati che comprano armi, sia da quelli che le producono e le forniscono».
Il principio di sufficienza regge anche di fronte all'obiezione di chi rivendicasse il potere di deterrenza delle armi.
L'accumulo delle armi sembra a molti un modo paradossale di dissuadere dalla guerra eventuali avversari. Costoro vedono in esso il più efficace dei mezzi atti ad assicurare la pace tra le nazioni. Riguardo a tale mezzo di dissuasione vanno fatte severe riserve morali. La corsa agli armamenti non assicura la pace. Lungi dall'eliminare le cause di guerra, rischia di aggravarle. L'impiego di ricchezze enormi nella preparazione di armi sempre nuove impedisce di soccorrere le popolazioni indigenti; ostacola lo sviluppo dei popoli. L'armarsi ad oltranza moltiplica le cause di conflitti e aumenta il rischio del loro propagarsi [41].
Le sanzioni
La regolazione dei conflitti, piuttosto che alle «politiche di deterrenza nucleare, tipiche del periodo della cosiddetta Guerra Fredda» [42], deve eventualmente ricorrere alle sanzioni, il cui scopo non può però mai essere quello di «costituire uno strumento di punizione diretto contro un'intera popolazione: non è lecito che per le sanzioni abbiano a soffrire intere popolazioni e specialmente i loro membri più vulnerabili». Il vero scopo del ricorso alle sanzioni deve sempre essere quello di «aprire la strada alle trattative» [43], basate sul dialogo diplomatico e il negoziato multilaterale.
La nonviolenza
Nella ricerca di alternative alla guerra, il più recente Magistero della Chiesa va incoraggiando il metodo della non violenza. Nel Messaggio per la celebrazione della 50° giornata mondiale della pace (1 gennaio 2017), dedicato a La nonviolenza: stile di una politica per la pace, papa Francesco sostiene che la costruzione della pace, se vuole essere coerente con il Vangelo, deve fondarsi sulla «nonviolenza attiva». Lungi dall'essere un atteggiamento di «resa, disimpegno e passività» nei confronti dell'ingiustizia, essa è piuttosto una strategia per combatterla senza ricorrere alla forza «ingannevole» delle armi [44]. In quanto combatte la guerra senza armi, la non violenza
può essere davvero un punto di incontro tra le spinte profetiche del Vangelo e le esigenze della storia: essa si presenta fondamentalmente come uno stile di vita che rifiuta la violenza come mezzo di soluzione dei conflitti e cerca viceversa di imbastire nuove relazioni, nuove possibilità di incontro [45].
Nell'orizzonte della nonviolenza attiva, assume particolare rilievo la «difesa popolare nonviolenta».
La Difesa Popolare Nonviolenta consiste in una strategia di azioni (o omissioni) che sono espressione di una decisa disobbedienza nei confronti dell'invasore o del tiranno in modo da rendere impossibile la gestione della res pubblica. È il caso degli scioperi, dell'informazione indipendente, dei boicottaggi, della non cooperazione e della disobbedienza civile nei confronti di leggi e disposizioni ritenute ingiuste. Non va, infine, dimenticata l'istituzione di strutture e poteri clandestini paralleli, che cerchino di compromettere l'efficienza dell'amministrazione statale. Tutta questa attività è comunque sempre indirizzata a conquistare l'avversario alla causa della giustizia: il rifiuto pregiudiziale dell'altro, per quanto malvagio e disonesto, è alieno dalla stessa concezione della vera nonviolenza, che «significa trattare l'altro non come un nemico da sconfiggere ma come un amico da convincere» [46].
La difesa popolare nonviolenta, a differenza della legittima difesa armata, non ha una lunga e diffusa tradizione, benché conosca esempi preclari quali quelli dell'ahisma del Mahatma Gandhi [47]. Essa esige un alto grado di coesione della società civile, oltre che una disposizione al sacrificio, anche della vita, nonché all'insuccesso per la repressione violenta, ciò che, a ogni buon conto, è richiesto anche per la legittima difesa armata.
La coltivazione della pace
La più radicale cancellazione della guerra va oltre la pur necessaria ricerca di alternative per affrontare i conflitti, spingendosi sino a eliminare le cause che li originano, primariamente quelle dovute a situazioni strutturali di povertà, sfruttamento e ingiustizia.
Lo sviluppo integrale
A questo proposito riluce come un faro l'insegnamento di Paolo VI nell'enciclica Populorum progressio, nella quale afferma che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace) [48], precisando come «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo» [49]. Ma «lo sviluppo integrale dell'uomo non può aver luogo senza lo sviluppo solidale dell'umanità» [50]. Rilanciando l'insegnamento di Paolo VI, papa Francesco, nell'enciclica Fratelli tutti, afferma che «la pace reale e duratura è possibile solo "a partire da un'etica globale di solidarietà e cooperazione al servizio di un futuro modellato dall'interdipendenza e dalla corresponsabilità nell'intera famiglia umana"» [51].
La tensione escatologica
Il grande dono della pace è già seminato nella storia, ma non ancora fiorito. Il grande male della guerra è già contrastabile nella storia, ma non ancora vinto. La storia della salvezza si estende tra la guerra e la pace, tra la violenza di Lamech, che ripaga settanta volte sette l'offesa subita (cfr. Gen 4,23-24), e Cristo, che insegna a perdonare settanta volte sette l'offesa ricevuta (cfr. Mt 18,21-22).
Alla luce della Rivelazione cristiana, la storia umana scorre nella tensione tra il contenimento e lo sradicamento della guerra, tra il realismo della pace insidiata dalla guerra e l'utopia della pace pienamente compiuta.
È necessaria, allora, una grande capacità di discernimento per coniugare utopia e realismo: da un lato il sogno della grande pace, dall'altro la necessità di compiere un cammino graduale, fatto di passi intermedi — che sono espressione di quel bene che è possibile qui e ora [52].
Il discernimento storico
Il discernimento nel presente della storia trova certo nell'insegnamento evangelico della Chiesa la sua legge fondamentale, quella di essere pacificatori: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). In occasione della Giornata Mondiale della Pace del 1° gennaio 2020, papa Francesco ha riformulato il criterio evangelico dicendo che «il mondo non ha bisogno di parole vuote, ma di testimoni convinti, di artigiani della pace».
Il discernimento storico non trova nell'insegnamento della Chiesa una risposta univoca e definitiva su come, qui e ora, operare la pace. Peraltro, le vicende della storia umana, tanto più quelle drammaticamente segnate dalla violenza della guerra, «non sono di competenza solo e spesso neanche in prima istanza della Chiesa. Non spetta alla Chiesa dare l'ultimo giudizio pratico su atti di cui solo pochi conoscono le modalità ultime e precise» [53].
Nella condizione storica dell'umanità, in cui il buon grano della pace convive con la zizzania della guerra, ai cristiani è senz'altro chiesto di essere artigiani di pace. D'altra parte, la coltivazione del buon grano della pace, dovendo tenere conto della presenza della zizzania, ammette diverse opzioni, che tuttavia dovranno corrispondere al seguente criterio operativo: in necessariís unitas, in dubiis libertas, in omnibus caritas (nelle cose necessarie unità, in quelle dubbie libertà, in tutte carità).
A fronte della necessità di condannare la guerra, i cristiani devono essere uniti, operando per eliminare le cause, sostenendo ogni via alternativa per la soluzione dei conflitti, ricercando a oltranza il dialogo per affrontarli e superarli.
A fronte di una guerra purtroppo in corso, i cristiani possono essere in dubbio circa il modo in cui ricercare la pace, se ricorrendo alla difesa armata o alla difesa nonviolenta, e giungere a un diverso esito del discernimento. Invece che screditarsi a vicenda, sarà opportuno che si mantengano in dialogo così da arricchirsi e correggersi vicendevolmente nelle proprie valutazioni.
A fronte di tutti mali della guerra, i cristiani sono chiamati alla carità che opera, in primis, soccorrendo le vittime e inoltre ricercando a oltranza la riconciliazione.
Uno sguardo sintetico
A conclusione di questa presentazione dell'insegnamento attuale della Chiesa sulla pace e la guerra e quale efficace sintesi sia consentito riprendere ancora una volta, e questa volta con maggiore ampiezza, il già citato Discorso del card. Martini:
La pace è il più grande bene umano, perché è la somma di tutti i beni messianici. Come la pace è sintesi e simbolo di tutti i beni, così la guerra è sintesi e simbolo di tutti i mali. Non si può mai volere la guerra per se stessa, perché è sistematica violazione di sostanziali diritti umani. Vi saranno al limite casi di legittima difesa di beni irrinunciabili. Però il contrasto all'azione ingiusta, non di rado doveroso e meritorio, deve restare nei limiti strettamente necessari per difendersi efficacemente. Potranno anche essere necessarie coraggiose azioni di 'ingerenza umanitaria' e interventi volti alla, restituzione e al mantenimento della pace in situazioni a gravissimo rischio. Ma non saranno ancora la pace. Pace non è solo assenza di conflitto, cessazione delle ostilità, armistizio. Non è neppure soltanto la rimozione di parole e gesti offensivi (Mt 5, 21-24), neppure solo perdono e rinuncia alla vendetta, o saper cedere pur di non entrare in lite (Cfr. Mt 5, 38-47). Pace è frutto di alleanze durature e sincere (enduring covenants e non solo enduring freedom), a partire dall'Alleanza che Dio fa in Cristo perdonando l'uomo, riabilitandolo e dandogli se stesso come partner di amicizia e di dialogo, in vista dell'unità di tutti coloro che Egli ama. In virtù di questa unità e di questa alleanza ciascuno vede nell'altro anzitutto uno simile a sé, come lui amato e perdonato, e se è cristiano legge nel suo volto il riflesso della gloria di Cristo e lo splendore della Trinità. Può dire al fratello: tu sei sommamente importante per me, ciò che è mio è tuo. Ti amo più di me stesso, le tue cose mi importano più delle mie. E poiché mi importa sommamente il bene tuo, mi importa il bene di tutti, il bene dell'umanità nuova: non più solo il bene della famiglia, del clan, della tribù, della razza, dell'etnia, del movimento, del partito, della nazione, ma il bene dell'umanità intera: questa è la pace [54].
NOTE
1 Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2004; [= CDSC], 489. Cfr. Guerra e pace nella Bibbia (= Dizionario di Spiritualità Biblico-Patristica 32), Borla, Roma 2002.
2 CDSC 494.
3 CDSC 496.
4 Cfr. CDSC 497.
5 Allocuzione al Collegio dei Cardinali, «Acta Leonis XIII», 19 (1899), pp. 270-272.
6 Nota alle potenze belligeranti, 1 agosto 1917, AAS, 9 (1917), pp. 417-420.
7 Radiomessaggio, 24 agosto 1939, AAS, 31 (1939), p. 334.
8 Pacem in terris, 11 aprile 1963, 67, AAS, 55 (1963), p. 291.
9 Discorso all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, 4 ottobre 1965, AAS, 57 (1965), p. 881.
10 Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 1999, 11, AAS, 91 (1999), p. 385.
11 Discorso al Corpo Diplomatico, 13 gennaio 2003, 4, AAS, 95 (2003), p. 323.
12 Benedetto XVI, Angelus, Lorenzago di Cadore, 22 luglio 2007.
13 Papa Francesco, Contro la guerra. Il coraggio di costruire la pace (= Saggi), Solferino, Milano 2022, p. 8.
14 Cfr. M. Franzinelli - R. Bottoni, Chiesa e guerra. Dalla «benedizione delle armi» alla «Pacem in terris», Il Mulino, Bologna 2005; C. Bresciani - L. Eusebi (edd.), Ha ancora senso parlare di guerra giusta? Le recenti elaborazioni della teologia morale (= Oggi e domani - serie II, 73), EDB, Bologna 2010.
15 Questa convinzione è rintracciabile, almeno formalmente, anche al di fuori della Chiesa, per esempio nella struttura governativa dello Stato italiano, che nel passaggio dalla Monarchia alla Repubblica ha cambiato la denominazione del «Ministero della Guerra» in «Ministero della Difesa».
16 Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 77.
17 Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 80.
18 https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-05/quo-100/terrorismo-ritorsione-legittima-difesa-guerra-e-pace.html.
19 https://ilregno.idattualita/2022/8/santa-sede-guerra-in-ucraina-ce-anche-un-diritto-alladifesa-dario-menor.
20 https://www.vatican.va/content/francesco/idspeecles/2022/september/documents/20220915- kazakhstan-voloritorno.html.
21 Catechismo della Chiesa Cattolica (= CCC), 2309.
22 CCC, 500.
23 CCC, 501.24 CCC, 500.
25 CCC, 500.
26 CCC, 500.
27 CDSC, 509.
28 CDSC, 505.
29 CCC, 2309.
30 Cfr. Seconda navigazione. Annuario di filosofia 2006. Pace e guerra tra le nazioni, Guerini e Associati, Milano 2006.31 Statuto (Carta) delle Nazioni Unite, Artt. 2, 3.4
32 CCC, 2265.
33 CDSC, 504.
34 Cfr. Gv 18,6-9: «Appena disse loro "Sono io", indietreggiarono e caddero a terra. Domandò loro di nuovo: "Chi cercate?". Risposero: "Gesù, il Nazareno". Gesù replicò: "Vi ho detto: sono io. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano", perché si compisse la parola che egli aveva detto: "Non ho perduto nessuno di quelli che mi hai dato"».
35 CDSC, 506.
36 Giovanni Paolo II, Discorso alla FAO, 6 dicembre 1992, 3.
37 Giovanni Paolo II, Discorso ai membri del Corpo Diplomatico, 16 gennaio 1993, pubblicato in: «120sservatore Romano», 17 gennaio 1993, p. 7.
38 Cfr. F. Occhetta, Ingerenza umanitaria, «Aggiornamenti Sociali», 3 (2001), pp. 264-267: 265-266.
39 Papa Francesco, Contro la guerra, cit., p. 170.
40 CDSC, 498.41 CCC, 2315.
42 CDSC, 508.
43 CDSC, 507.
44 https://www.vatican.va/content/francescont/messages/peace/documents/papa-francesco_20161208_messaggio-l-giornata-mondiale-pace-2017.html.
45 G. Cesareo, Guerra e pace: la morale cristiana da Giovanni XXIII al Vaticano II, al nostro tempo. Il contributo specifico italiano (= Etica Teologica Oggi 50), EDB, Bologna 2011, p. 72.
46 G. Cesareo, Guerra e pace, cit., p. 80.
47 Cfr. E. Peyretti, Nonviolenza e tecniche di difesa nonviolenta, in Seconda navigazione. Annuario di filosofia 2006 Pace e guerra tra le nazioni, Guerini e Associati, Milano 2006, pp. 243-282.
48 Paolo VI, Populorum progressio, 87.
49 Paolo VI, Populorum progressio, 14.
50 Paolo VI, Populorum progressio, 43.
51 Francesco, Fratelli tutti, 127, che cita: Id., Discorso sulle armi nucleari, Nagasaki — Giappone, 24 novembre 2019.
52 G. Cesareo, Guerra e pace, cit., pp. 81-82.
53 https://www.osservatoreromano.va/it/news/2022-05/quo-100/terrorismo-ritorsionelegittima-difesa-guerra-e-pace.html.
54 https://www.osservatoreromano.vant/news/2022-05/quo-100/terrorismo-ritorsione-legittima-difesa-guerra-e-pace.html.
(FONTE: La Rivista del Clero Italiano, 2 - febbraio 2023 - pp. 105-120)