Attesi dal suo amore
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    La giovinezza di Francesco, come quella del giovane di ogni tempo, è l’età in cui basta poco a farti illudere che hai il mondo tra le mani. Che nulla ti farà crollare, perché non conosci i limiti dei tuoi limiti, ma solo l’incanto di ciò che hai in potere di fare. Con il corpo a mille e l’anima che tace, sei come uno che corre dietro a qualsiasi promessa, che costruisce sogni non per cambiare, ma per scappare, evadere. Ti innamori di tutto tranne che di te stesso e di quello che sei, perché non ti conosci ancora, solo perché la parte più bella di te giace, assopita e nascosta, in fondo al tuo cuore. D’altronde, come potresti farlo, se nessuno mai ti ha insegnato a cercarti e a trovarti? Come Francesco, guardi più fuori che dentro, attratto dalle cose che hai, piuttosto che da ciò che sei, abituato a guardarti con gli occhi altrui, mai con i tuoi o di chi, come l’Altissimo, ti conosce più di chiunque altro. Pensi che la vita sia un inutile gioco che non porta a niente, e non un dono che ti porta a compimento. Ritieni che tutto ciò che esiste stia lì solo per te, per essere posseduto, usato, goduto, consumato, e non invece contemplato, rispettato, celebrato, donato.
    Giovinezza: età in cui si cerca più l’ebrezza di ciò che si prova che la verità di ciò che si nasconde. Dove la libertà si trova ancora imprigionata in un’estasi rovesciata, come accade all’esteta descritto da Kierkegaard, il quale anziché scegliere, illudendosi, sceglieva di non scegliere.
    All’improvviso, come spesso accade anche a molti ragazzi di oggi, che spesso fondano la propria vita su convinzioni effimere, Francesco sperimenta la fragilità di tutte le certezze umane. Gli è bastato un fallimento, una caduta, un attimo di dolore e tutto il mondo di prima gli crolla addosso. Il giovane Francesco va letteralmente in crisi e comincia a sperimentare il tempo del vuoto e del deserto. Nel tempo dell’assenza si accorge di sentire la nostalgia di una presenza diversa: inciampa in Dio, in Colui che nemmeno credeva esistesse. Anzi, pensava di conoscerlo e invece scopre un Dio totalmente “altro”.
    “So che non ci sei, per questo non ti cerco. So che non ci sei, per questo non mi sento cercato”: è ciò di cui era convinto Francesco, ed è ciò che pensano ancora molti giovani, rispetto a un Dio che non è tanto non creduto, quanto piuttosto ignorato, sostituito.
    Francesco, come molti ragazzi del nostro tempo, che spesso girano a vuoto su se stessi, aveva bisogno di qualcuno che lo scuotesse dal torpore che lo teneva prigioniero delle cose, al riparo dalle sfide della vita. Necessitava di essere spogliato per deporre il proprio ego ai piedi di un amore più esigente, ma anche più profondo e veritiero. Tutto questo gli accade quando incontra il Crocifisso, il quale da un lato lo sconvolge e lo stravolge, dall’altro gli apre orizzonti fino ad allora inimmaginabili ed impensabili, che ridisegnano il suo paesaggio interiore, configurando una nuova geografia del cuore e una nuova visione delle cose. Scopre di essere abitato da un Infinito che mentre lo sovrasta lo riempie, un Assoluto che sa farsi piccolo nelle cose semplici della vita di ogni giorno.
    In un tempo, quello attuale, fatto di seduzione e di manipolazione, di sudditanza e omologazione, Francesco potrebbe aiutare molti a scoprire che il Vangelo è l’unica via di vera liberazione e umanizzazione, di perfezione e compimento. Aiutare tanti ragazzi a comprendere che Dio non è una parola vuota, un concetto astratto del pensiero, un dogma religioso o un semplice fremito del cuore, ma una domanda muta che ci portiamo dentro, alla quale, prima o poi, dobbiamo rispondere, consapevoli che la risposta non la possiamo trovare da soli.
    A noi che, ammaliati dalla logica del possesso, ci attacchiamo ad ogni cosa, Francesco insegna che la povertà non è privazione o semplice rinuncia, ma elevazione interiore, condizione per ospitare un amore unico, introvabile altrove. Egli non condanna le ricchezze, ma l’uso sbagliato che se ne può fare: «Insisteva perché i fratelli non giudicassero nessuno, e non guardassero con disprezzo quelli che vivono nel lusso e vestono con ricercatezza esagerata e fasto, perché Dio è il Signore nostro e loro e ha il potere di chiamarli a sé e di renderli giusti» (Leggenda dei tre compagni, 58). In Dio, il Santo di Assisi trova le altezze perdute, le profondità dimenticate e mai frequentate. Trova quell’Amore che non esiste altrove, e dal quale sente di essere amato più di quanto potesse immaginare. Più di quanto potesse fare egli stesso. Francesco si innamora dell’Amore che supera ogni altro amore, affascinato dal fatto che la sua misura è il non avere misura. E, in questo amore smisurato, si perde e si ritrova, si dona e si abbandona, si spoglia e si svuota, si libera e si distacca da ogni cosa, anche da se stesso, perché proprio lì scopre Qualcuno che è più che se stesso.
    Per capire Francesco, quindi, la vera cifra non è la povertà o l’umiltà, la pace o la mitezza, ma l’amore, vero cuore del Vangelo, apice di tutta la rivelazione, radice di ogni autentica sequela. Perché l’amore rende folli e gioiosi, giullari e miti, intrepidi e coraggiosi, umili e pacifici, poveri e mendicanti, fratello e sorella di tutto il creato. Non si tratta certo dell’amore come prestazione, ma come vocazione. Follia del cuore e non tanto della ragione. Follia dello spirito quale unica radice di ogni parresia evangelica. Follia che non è demenza, ma sapienza vera: sapienza della croce con cui Dio confonde i sapienti di questo mondo (cfr. 1Cor 1,27-29).
    Guarda caso, l’amore è anche la cifra per capire i giovani, quelli di oggi come quelli di sempre, uomini e donne di ogni tempo, poiché, come affermava il grande psicologo ateo Erich Fromm, due sono i bisogni fondamentali dell’uomo: amare ed essere amato. E ciò è possibile solo perché proveniamo dall’Amore, creati da Lui e fatti per amare.
    Per questo motivo, la vita di Francesco e quella di molti giovani contemporanei possono incontrarsi nell’esperienza di quell’unica verità che accomuna tutti: se cerchi l’amore prima o poi inciampi in Dio; se trovi Dio, hai trovato quell’Amore che fino ad allora hai cercato altrove.
    Come al Santo di Assisi, il quale cercava l’amore nei luoghi sbagliati, è accaduto di trovarlo solo in Dio, che addirittura pensava non esistesse, la stessa cosa può succedere a tanti giovani di oggi, i quali non è vero che non cercano, ma forse lo fanno male o in luoghi poco adeguati, oppure perché non incontrano nessuno che glielo mostri e glielo insegni.
    Auguro ai lettori di queste pagine di fare la stessa esperienza di Francesco: trovare in Dio quell’amore che ci ama per primo e che, a nostra volta, ci rende capaci di amare prima Lui, e, in Lui, tutto e tutti. Quell’amore per il quale vale la pena di lasciare ogni cosa, in quanto solo Lui – “Mio Dio e mio Tutto” – mi basta! Perché, se ami, non ti basta più dire a Dio “So che ci sei”, ma osi molto di più, fino a dirgli “So chi sei!”.


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