Il sorriso che spalanca l’Infinito
Marco Giuffrida *
Se ripenso agli anni passati in oratorio - sia come destinatario che come animatore - inevitabilmente uno dei luoghi del cuore è il cortile. È proprio in questo luogo che ho intrecciato legami d’amicizia molto intensi che durano ancora nel tempo, che sopravvivono anche alla morte.
Il cortile della mia casa salesiana, l’Oratorio FMA Maria Ausiliatrice di Catania, ha una scalinata dove i ragazzi, durante i giorni del Grest, si radunano per squadra. È in quella circostanza che oltre dieci anni ho incontrato per la prima volta Enrico: un bambino biondo con due occhi azzurri e un sorriso che difficilmente si riesce a dimenticare. La frequenza della scuola, oltre alla presenza il sabato in oratorio, ha fatto sì che considerasse quelle mura come una vera e propria seconda casa. Nel tempo la sua presenza, mai ingombrante, piuttosto silenziosa e costante, ha permeato le nostre ore passate in cortile, riempiendole di piccoli gesti di quotidiana attenzione nelle relazioni con gli altri. A tredici anni, finita la terza media, è entrato ufficialmente nel gruppo animatori. Già da qualche anno, noi più grandi lo avevamo “tenuto d’occhio”: era uno dei ragazzi più promettenti, uno che si sarebbe “sporcato” volentieri le mani nel servizio verso i più piccoli, lo si vedeva dai gesti più semplici. Da parte sua, il desiderio di diventare animatore salesiano c’era, la “buona stoffa” pure. È proprio in questo gruppo che si è definita sempre di più la mia amicizia con lui: se prima c’era, giustamente, il distacco tra animatore e animato, l’esperienza dello stesso gruppo mi ha unito più profondamente a lui, condividendo, seppur con età diverse, lo stesso cammino.
La sua essenza è germogliata in quegli anni: Enrico, oltre al servizio in oratorio, giocava nella squadra di basket Sport Club Gravina - dove era definito una vera e propria “bandiera” con un forte e orgoglioso senso di appartenenza - e arbitrava, sempre nel mondo del basket. Nel 2019 ha esordito in Promozione, promosso come arbitro in Serie D - un obiettivo raggiunto con largo anticipo nonostante la giovane età -, fischiando anche una partita in C femminile. Nonostante i suoi numerosi impegni, non ha mai tralasciato lo studio, distinguendosi tra gli studenti più meritevoli.
Chi è, quindi, Enrico?
La prima parola che mi viene in mente è “amico”. Un amico che teneva non solo alle sue amicizie, ma anche a quelle degli altri. Non ricordo alcun momento in cui Enrico sia stato coinvolto in qualche lite o discussione tra noi animatori, piuttosto, se vedeva qualche situazione di incomprensione tra altri, cercava di essere il primo a sorridere, a fare in modo che tutto si potesse risolvere al più presto.
La seconda parola che affiora, pensando a lui, è “allegro”. L’allegria con lui era di casa. Se c’era qualcuno di triste, faceva di tutto per strappargli un sorriso. Quello che mi ricordo con più chiarezza è il suo modo di organizzare gli scherzi. Inevitabilmente lui già rideva prima di farli, ma se riusciva nel suo intento era la persona più felice del mondo. La sua gioia travolgente non era orientata a sé stesso, piuttosto verso gli altri.
La terza parola è “presenza”, o meglio, “instancabile presenza”. Lui c’era sempre, nonostante i mille impegni. Durante le giornate di Grest, era tra i primi ad arrivare e tra gli ultimi ad andare via, prendendo su di sé compiti di responsabilità che sarebbero dovuti toccare a persone molto più grandi di lui. Non lo faceva per orgoglio, ma per spirito di servizio: sacrifici che, nonostante il sole e il caldo, ha sempre portato a termine con ottimi risultati.
La sera del 25 aprile 2021, viaggiando in motorino sulla circonvallazione di Catania, Enrico ha avuto un incidente in cui, nonostante i soccorsi, ha perso la vita a sedici anni. In quelle ore le telefonate si susseguono, nessuno di noi si sarebbe mai aspettato una notizia del genere e la domanda è sempre quella: perché proprio lui?
Gli interrogativi sono tanti, rimbombano nella testa e offuscano la vista, non fanno vedere oltre. Non è facile accettare tutto questo. La morte sembra - apparentemente - aver vinto. Sono certo di una cosa: il disegno di Dio è più grande di me ed è imperscrutabile. Aver avuto accanto come amico Enrico, per un tempo relativamente breve, è stato un vero e proprio dono.
L’ultima storia sul suo profilo Instagram ritraeva il mare di Catania con la canzone 21 Grammi di Fedez e, forse, tutto questo non è un caso. Il titolo della canzone si riferisce al peso dell’anima che, secondo gli studi condotti da Duncan MacDougall, si perde dopo la morte. Una canzone che ci invita a guardare oltre, a vivere una vita vissuta bene fino “all’ultimo respiro”, nonostante le difficoltà. Ci ha voluto lasciare questo messaggio prima di andarsene: un messaggio di speranza e non di dolore.
Il cortile dell’Oratorio che lo aveva visto crescere, correre in mezzo agli altri dietro un pallone, adesso è intitolato proprio a lui. Una scelta che è partita dagli animatori ma anche dalla scuola, che vive quello spazio quotidianamente come luogo di incontro e gioco. Una memoria che non rimane impressa soltanto su una lastra attaccata ad un muro, ma è segnata nei cuori. Tutti noi, a partire dalla famiglia, dagli animatori, i compagni di classe, i professori, i compagni del basket, ricordando quell’amico che «ci ha insegnato a sorridere», quel «guerriero della pace» (come lo ha chiamato la prof di matematica), abbiamo avuto il dono di conoscere Enrico, un bagliore che non può e non deve spegnersi.
Jovanotti ne Il cielo immenso canta così: «L'amore dato non ritorna a posto / Ma resta in giro / e rende / il cielo immenso». È forse qui la chiave di tutto: la presenza luminosa di Enrico nelle nostre vite, l’amore che ha elargito, rimane ancora in mezzo a noi e non si ferma nemmeno davanti alla morte, poiché il suo sorriso ha spalancato l’Infinito.
* 26 anni di Catania, laureando al biennio specialistico in Fotografia Editoriale presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Della sua passione, la fotografia, ne vuole fare professione. È impegnato da tempo nell’animazione salesiana.