Il CG 26: Una carta di navigazione

verso il Giubileo del 2015

all’insegna del

“Da mihi animas, cetera tolle”

Pascual Chávez Villanueva *

Carissimi confratelli,

Concludiamo oggi questa Pentecoste salesiana. Sì! Questo ha voluto essere il Capitolo Generale 26: una Pentecoste, un momento di particolare apertura allo Spirito del Signore. Ancora risuonano nei nostri cuori le parole che Papa Benedetto XVI ci ha trasmesse nel messaggio all’ apertura della nostra assise: «Il carisma di Don Bosco è un dono dello Spirito per l’intero Popolo di Dio, ma solo nell’ascolto docile e nella disponibilità all’azione divina è possibile interpretarlo e renderlo, anche in questo nostro tempo, attuale e fecondo… Riversando sui Capitolari l’abbondanza dei suoi doni, Egli raggiungerà il cuore dei Confratelli, li farà ardere del suo amore, li infiammerà del desiderio di santità, li spingerà ad aprirsi alla conversione e li rafforzerà nella loro audacia apostolica»[1].

1. L’evento capitolare: breve cronaca

In effetti, proprio così abbiamo voluto vivere il Capitolo: sotto la guida dello Spirito Santo, perché fosse Lui ad aiutarci a capire meglio, aggiornare e rendere fecondo il carisma del nostro Fondatore e Padre. Durante questi giorni, abbiamo sperimentato l’azione dello Spirito, che infiammava il nostro cuore per renderci testimoni eloquenti e coraggiosi del Signore Gesù, per portare ai giovani la buona novella della sua resurrezione e proporre loro l’esperienza gioiosa dell’incontro con Lui.
Le giornate vissute nei luoghi salesiani (San Francesco d’Assisi, Valdocco, Colle Don Bosco, Basilica di Maria Ausiliatrice e Santuario della Consolata) sono state splendide, apprezzate da tutti per l’opportunità di stare in contatto immediato con la culla – carismatica, spirituale ed apostolica – della nostra Congregazione. Per alcuni era la prima volta che avevano la gioia di visitare “i nostri luoghi santi”, per altri era la prima volta che ascoltavano una presentazione di Don Bosco, non tanto impostata su aneddoti di famiglia da raccontare e neppure su curiosità storiche da chiarire, ma piuttosto come un’esperienza spirituale e carismatica da rivivere. Insomma, quei giorni sono stati per tutti un modo concreto e – mi auguro – un primo passo per “ripartire da Don Bosco”.
I frutti dovranno essere copiosi: il desiderio di approfondire maggiormente l’eredità spirituale che ci è stata tramandata, l’impegno per far conoscere meglio Don Bosco e la nostra storia salesiana, la volontà di preparare formatori di salesianità e, infine, il desiderio di valorizzare di più questi luoghi legati al nostro carisma.
La presentazione dello stato della Congregazione, attraverso la relazione audiovisiva dei Dicasteri e delle Regioni, ha inteso esprimere il proposito di andare oltre la consegna di un libro, con la relazione del Rettor Maggiore. L’obiettivo specifico è stato quello di informare puntualmente i Capitolari sullo stato della Congregazione, per favorirne una visione globale ed un senso di responsabilità comune. La Congregazione è di tutti noi e tutti siamo corresponsabili della sua crescita, delle sue risorse, delle sue sfide.
Gli Esercizi Spirituali sono stati vissuti come un vero esercizio dello Spirito, superando la tentazione di ridurre la proposta spirituale ad un insieme di temi di studio o di aggiornamento teologico-spirituale. Questi giorni di ritiro hanno giovato a creare l’atmosfera di fede che è assolutamente indispensabile per fare del Capitolo un’esperienza di ascolto di Dio, di docilità allo Spirito, di fedeltà a Cristo. Mi sono sembrati esemplari – anche perché non è comune trovare questo ambiente in altre esperienze di Esercizi Spirituali – il silenzio, la preghiera personale prolungata nell’adorazione eucaristica, la celebrazione della Riconciliazione. Va rilevato inoltre che gli Esercizi ci hanno dato degli elementi di illuminazione importanti per quanto riguarda una maggiore comprensione teologica del carisma, della missione e della spiritualità salesiana.
Nel loro sviluppo concreto, i temi ci hanno offerto significative chiavi di lettura per imparare ad essere uomini di speranza, coinvolti nel disegno meraviglioso di Dio di salvare l’umanità, con la mistica del “Da mihi animas”, che fa dell’amore di Dio la forza trainante, e con l’ascetica del “cetera tolle”, che ci spinge a consegnare la nostra vita sino all’ultimo respiro. Un elemento importante da questa prospettiva è stato il chiarimento sulla missione, che non consiste tanto nel fare cose quanto nel diventare segno dell’amore di Dio. Proprio questo Amore è l’unica energia capace di liberare, in ciascuno di noi, le migliori potenzialità. Sappiamo di dover vivere tutto ciò all’insegna della gratuità e della grazia. Solo così si raggiunge quel particolare dono di Dio, la “grazia di unità”, per cui tutto è consacrazione e tutto è missione. Per quel che riguarda i destinatari, abbiamo udito come Don Bosco si sentì carismaticamente “toccato” dal pericolo che poteva mettere a repentaglio la felicità temporale ed eterna (la “salvezza”) dei giovani: l’abbandono in cui si potevano trovare di fronte a Dio e agli altri, un abbandono provocato dalla loro stessa povertà, talvolta drammatica. Per tutto ciò Don Bosco è per noi padre, maestro e modello. Egli, alla scuola di Maria Immacolata ed Ausiliatrice, volle caratterizzare la sua identità religiosa ponendo come punti base della sua vita il primato assoluto di Dio, il desiderio di una continua unione con Lui, per corrispondere pienamente alla sua volontà (obbedienza), come espressione di un amore totale (castità), nello spogliamento e nella rinuncia a tutto ciò che poteva impedire la sua più completa dedizione alla missione (povertà).
Vorrei ripercorrere ora con voi le tappe di questo cammino di Grazia che è stato il nostro Capitolo Generale.
La prima settimana del Capitolo (3-8 marzo) è stata dedicata alle procedure giuridiche ordinarie (presentazione e approvazione del Regolamento del CG26, elezione dei Moderatori), e soprattutto allo studio della Relazione del Rettor Maggiore da parte delle diverse Regioni. Queste, riflettendo sulla Relazione, hanno individuato le grandi sfide che emergono dallo stato della Congregazione, e, di conseguenza, le linee di futuro da presentare al Rettor Maggiore e al suo Consiglio in vista della programmazione di animazione e governo per il sessennio 2008 – 2014.
Lo studio della Relazione è stato un elemento fondamentale per l’approfondimento del tema capitolare, tenendo conto che più che mai questo Capitolo si proponeva non tanto l’elaborazione di un documento, quanto il rinnovamento della vita della Congregazione con il pressante appello a “ripartire da Don Bosco”. Esserci resi conto di dove siamo, ci permette di scoprire meglio la via di “ritorno a Don Bosco”, gli elementi da recuperare per ripartire da lui con uno rinnovato slancio.
La seconda settimana (10-15 marzo) è stata tutta impegnata nello studio dei primi tre nuclei tematici. Sono state presentate anche le questioni affrontate dalla Commissione Giuridica, specialmente quelle che avevano a che vedere con la configurazione del Consiglio Generale. Era necessario infatti arrivare alle elezioni avendo risposto alle richieste delle Ispettorie o dei singoli confratelli. Per quel che riguarda lo studio dei nuclei tematici è stato particolarmente apprezzato lo “Strumento di lavoro” come punto di partenza della riflessione capitolare. Ciò, da una parte, rappresentava la prova evidente del buon lavoro compiuto dalla Commissione Precapitolare, dall’altra sottolineava pure la validità dell’apporto offerto al CG26 dai vari Capitoli Ispettoriali. Ne sono lieto perché, come avevo scritto nella lettera di convocazione, il CG26, come processo di riflessione, ha avuto il suo inizio proprio nelle Ispettorie, con lo studio dei temi proposti e l’attivazione di un cammino di rinnovamento. Le Commissioni quindi hanno lavorato su un testo che era capitolare e non più pre-capitolare, un vero documento di partenza e non solo un sussidio. I contributi offerti dalla Commissioni lo hanno arricchito e perfezionato. Si è trattato di puntualizzazioni e cambiamenti non solo linguistici, ma tendenti a soprattutto rispondere, in maniera più adeguata, alla situazione secondo la varietà dei contesti sociali, culturali, politici e religiosi in cui la Congregazione si trova ad operare. Questo è stato il compito dell’Assemblea, che a ragione è divenuta così il vero autore del documento capitolare.
La terza settimana (17-20 marzo) è stata centrata più chiaramente sul lavoro in Assemblea, per una condivisione del lavoro fatto dalle Commissioni. È stato il momento in cui ha potuto avere spazio anche il pensiero e la preoccupazione dei singoli capitolari che intendevano aiutare ad illuminare il tema, dar voce a sensibilità e visioni diverse, favorire, sui diversi aspetti, una votazione del documento che fosse più cosciente, più personale, più responsabile. Una sottolineatura andrebbe fatta sul fatto che dagli interventi spesso è emerso che maggiormente ci preoccupa.Così, per esempio, parlando dell’urgenza di evangelizzare, si è evidenziato che essa va intesa e vissuta nella forma in cui noi salesiani evangelizziamo; e questo sia per quanto riguarda i nostri destinatari prioritari (i giovani), sia per quanto si può riferire alle modalità dell’evangelizzazione. Parlando della necessità di convocare, lo si deve fare con la stessa convinzione di Don Bosco, per aiutare i giovani a scoprire il sogno di Dio sulla loro vita ed incoraggiarli a dare a Dio almeno un’opportunità. Le vocazioni – lo dicevo io stesso nel discorso di apertura – non sono una missione, ma il frutto della missione, quando essa viene ben fatta. Se a questo aggiungiamo la constatazione delle folle immense di giovani che vivono in situazioni di estrema precarietà e di lotta per la loro sopravvivenza, o di altri che, pur non avendo problemi di povertà materiale, conducono la vita “senza bussola”, o magari sprecano questo dono prezioso con scelte che non appagano o che diventano cammino di autodistruzione, non possiamo non darci da fare per far maturare vocazioni. Parlando della povertà evangelica, vediamo in essa un invito del Signore a fare nostra la sua beatitudine, vivendo liberi dall’affanno dei beni terreni, superando la tentazione dell’arricchimento, assumendo uno stile di vita austero, semplice, che liberi il nostro cuore e la nostra mente da tante cose che ostacolano la nostra dedizione totale alla missione, rendendoci meno credibili. La ricchezza è un vero pericolo: essa rende gli uominimiopi nei confronti dei valori duraturi (vedi il ricco stolto, Lc 12,13-21), duri di cuore nei confronti dei poveri (vedi la parabola del povero Lazzaro ed il ricco epulone, Lc 16,19-31), idolatri al servizio di Mammona (vedi le parole di Gesù sull’uso del denaro, Lc 16,9-13). Si tratta di uno dei temi più scottanti, ma anche di una scelta che ha una grande forza liberatrice per noi e per gli altri. Ed ancora: quando si parla delle nuove frontiere dobbiamo farlo non da attivisti dei diritti umani, né da ben intenzionati collaboratori di ONG, ma da educatori consacrati, che cercano di rispondere ai bisogni dei giovani, senza pregiudicare le opere che abbiamo e che compiono un servizio significativo. Perciò ribadisco qui quanto ho detto nella “Sintesi Globale e Visione Profetica” della mia relazione iniziale: è importante che le opere rispondano ai bisogni dei giovani, con nuove presenze, lì dove esse sono necessarie, o con una presenza nuova, lì dove già siamo, ma dobbiamo rinnovarci.[2]
La quarta settimana (24-29 marzo) è stata vissuta in un clima di discernimento per l’elezione del Rettor Maggiore, del suo Vicario e dei Consiglieri. Si trattava di uno degli obiettivi principali e, al tempo stesso, di uno dei compiti più delicati del Capitolo Generale. Guidati dal P. José Maria Arnaiz, come capitolari siamo riusciti ad entrare in quell’atmosfera spirituale che ci ha reso consapevoli, liberi e responsabili per esprimere il nostro parere attraverso il voto personale. In generale, tutte le elezioni sono state vissute con tranquillità, anche se, nella valutazione fatta alla fine, si è rilevato il bisogno di favorire una maggiore conoscenza delle attese su ogni Dicastero o Regione e di definire meglio il profilo del Consigliere da eleggersi con informazioni più curate sui nomi dei possibili candidati. Non c’è dubbio che nella composizione del Consiglio Generale intervengono molti fattori: innanzitutto i sentimenti di coloro i cui nomi vengono presentati come candidati, quindi la sensibilità culturale nello svolgimento del processo, inoltre il desiderio legittimo di cercare la rappresentatività di tutta la Congregazione. Tuttavia, l’alta convergenza raggiunta nell’elezione del Rettor Maggiore e di tutti i Consiglieri è stata un segno dell’unità della Congregazione nella diversità delle realtà che la costituiscono.
Questa unità nella diversità ha avuto una sua espressione particolare nella serata di festa e fraternità dopo l’elezione del Rettor Maggiore. Il lungo applauso dato ai Consiglieri che hanno terminato il loro servizio (don Antonio Domenech, don Gianni Mazzali, don Francis Alencherry, Mons. Tarcisio Scaramussa, don Albert Van Hecke, don Filiberto Rodríguez, don Joaquim D’Souza, compresi i Consiglieri defunti nell’esercizio del loro lavoro, don Valentín de Pablo e don Helvécio Baruffi) è stato l’espressione della riconoscenza per il servizio svolto a favore della Congregazione, nell’animazione di un Settore o di una Regione. Sempre a riguardo delle elezioni non si può non sottolineare una novità molto significativa, quale è stata la nomina del primo Salesiano Coadiutore come membro del Consiglio Generale.
La quinta settimana (31 marzo – 5 aprile) è iniziata con la visita in Vaticano e l’Udienza con il Santo Padre. La visita alla Basilica di San Pietro, dove siamo stati accolti dal Card. Angelo Comastri, Arciprete della Basilica, ci ha dato la grazia di rinnovare la nostra professione di fede davanti all’urna delle reliquie dell’Apostolo Pietro e di pregare davanti alla statua di Don Bosco, chiedendo il coraggio di poter gridare come lui “Da mihi animas, cetera tolle”. L’incontro con il Papa Benedetto XVI è stato poi uno degli eventi culminanti del CG26, in sintonia con la visione ecclesiale e spirituale di Don Bosco. Le parole del Santo Padre ai Capitolari sono state accolte come delle linee illuminanti e programmatiche. Nei giorni successivi, le Commissioni ed l’Assemblea hanno ripreso lo studio della prima redazione fatta dal Gruppo di redazione. Si è continuato così il lavoro svolto nella Settimana Santa, prima della settimana delle elezioni, riprendendo lo studio in commissione ed in assemblea dei cinque nuclei. Si è fatta pure una votazione di merito per i diversi temi presentati dalla Commissione Giuridica. La settimana si è conclusa con la visita alle Catacombe di San Callisto, dove abbiamo voluto recarci per fare riconoscente memoria dei Rettori Maggiori, in particolare, degli ultimi tre, don Luigi Ricceri, don Egidio Viganò e don Juan Edmundo Vecchi, sostando in preghiera presso l’ipogeo dove sono sepolti, dopo la celebrazione eucaristica e il pranzo. Nella mia preghiera personale ho voluto ringraziare il Signore per il dono fatto alla Congregazione attraverso ciascuno di essi. Chiedendo l’aiuto e l’intercessione di questi miei predecessori, ho chiesto pure per tutti i Confratelli la grazia di saper andare alle sorgenti della nostra propria identità (“ritornare a Don Bosco”) per trovare un cammino di futuro (“ripartire da Don Bosco”). Il nostro futuro cammino di fedeltà nasce dalla fedeltà di chi ci ha preceduto.
Non vi nascondo che mi sono domandato spesso: «Ma questa è davvero un’esperienza pentecostale? E lo Spirito Santo agisce davvero attraverso di noi per rinnovare la Congregazione riscaldando il cuore dei confratelli?» Credo di sì. Lo Spirito Santo non cambia le situazioni esteriori della vita, ma quelle interiori; Egli ha il potere di rinnovare le persone e di trasformare la terra. Egli ha agito prima di tutto in ciascuno di noi, radunandoci, coinvolgendoci in un progetto comune, facendoci responsabili di elaborare tutto ciò che rende possibile una ripresa di identità, di visibilità e di credibilità della nostra vita e della nostra missione.
Per quel che riguarda il lavoro svolto dalla Commissione Giuridica, essa ha preso in esame ciascuna delle proposte arrivate dai Capitoli Ispettoriali, dai singoli confratelli, dal Consiglio Generale, dai Capitolari. Il tutto per una presentazione chiara all’Assemblea, che avrebbe dovuto esprimere poi il suo parere. Leggendo la storia della Congregazione, ci rendiamo conto del peso che hanno avuto i vari Capitoli Generali per la configurazione delle strutture di animazione e di governo ai diversi livelli (locale, ispettoriale e mondiale). Certamente per raggiungere alcuni cambiamenti nelle strutture sono stati necessari parecchi Capitoli Generali; e questo non a causa di lentezza o mancanza di coraggio nell’introdurre modifiche significative, ma piuttosto perché non sempre si poteva avere una visione completa di quanto entrava in gioco con queste scelte. Il ritorno, anche in questo Capitolo Generale, alla riflessione su alcuni aspetti dell’attuale configurazione del Consiglio Generale significa che c’è bisogno di uno studio serio, con soluzioni alternative, che presenti una proposta realmente innovativa e valida nella sua completezza. Da tutto ciò è nato un primo orientamento approvato dall’ Assemblea Capitolare: quello di fare, lungo il sessennio, una verifica del Governo centrale della Congregazione (composizione e funzionamento), in modo tale che il suo servizio sia più efficace e vicino ai confratelli.

2. Lettura ‘profetica’: verso una “comprensione” di quanto è accaduto

Il Capitolo ha prodotto un documento, con cinque schede di lavoro, tra loro interdipendenti, sui grandi temi già indicati nella lettera di convocazione: “Ritorno a Don Bosco per ripartire da lui”; “L’urgenza di evangelizzare”, “La necessità di convocare”, “La povertà evangelica” e “Le nuove frontiere”. Queste schede di lavoro hanno voluto dare concretezza al motto “Da mihi animas, cetera tolle”, applicando lo schema già conosciuto dal CG25 (Appello di Dio, Situazione, Linee di azione) ed arricchito con alcuni criteri di verifica, che additano i traguardi da raggiungere: la mentalità da maturare e le strutture da cambiare.
Ritengo che il documento finale sia davvero buono e costruttivo, tenendo conto della varietà di contesti e situazioni in cui la Congregazione si trova ad incarnare il carisma di Don Bosco. Spetta ora a ciascuna Regione ed Ispettoria il lavoro di contestualizzare le grandi linee di azione, con i conseguenti interventi, per renderle più rispondenti alle situazioni e alle sfide concrete.
Sono sicuro che tutti i Confratelli troveranno pagine stimolanti, che aiutino a dinamizzare la loro vita ed a qualificare la missione salesiana. Forse l’insieme può sembrare non tanto radicale; eppure sono convinto che, se preso a cuore, susciterà entusiasmo e, soprattutto, permetterà a tutti rinnovarsi spiritualmente e recuperare slancio apostolico.
Il documento presuppone una buona conoscenza della realtà sociale e anche di quella della Congregazione ed esprime il desiderio di operare in esse una trasformazione. Ce l’ha ricordato il Santo Padre nel Discorso al CG26, il 31 marzo: «Il vostro XXVI Capitolo Generale si colloca in un periodo di grandi cambiamenti sociali, economici, politici; di accentuati problemi etici, culturali ed ambientali; di irrisolti conflitti tra etnie e nazioni. In questo nostro tempo vi sono, d’altra parte, comunicazioni più intense fra i popoli, nuove possibilità di conoscenza e di dialogo, un più vivace confronto sui valori spirituali che danno senso all’esistenza. In particolare, gli appelli che i giovani ci rivolgono, soprattutto le loro domande sui problemi di fondo, fanno riferimento agli intensi desideri di vita piena, di amore autentico, di libertà costruttiva che essi nutrono. Sono situazioni che interpellano a fondo la Chiesa e la sua capacità di annunciare oggi il Vangelo di Cristo con tutta la sua carica di speranza»[3].
In effetti, non si può parlare di evangelizzazione o di vocazioni, della semplicità di vita e delle nuove frontiere senza avere in mente lo scenario dove viviamo ed operiamo e le sfide che sta incontrando la vita salesiana e la sua missione.
Abbiamo avuto in mente i volti e le urgenze dei giovani più bisognosi, destinatari della nostra missione. Li abbiamo scelti come “prediletti” da noi, appunto perché la predilezione per i poveri “è implicita nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi, per arricchirci con la sua povertà”[4]. Tale fede è stata assunta da Don Bosco e fatta passare alla tradizione salesiana (cf.Cost. 11).
Quali sono dunque le chiavi di lettura del documento?

– La prima: Riscaldare il cuore dei confratelli, ripartendo da Cristo e da Don Bosco. Non si tratta di un’operazione per suscitare un sentimento superficiale o un entusiasmo passeggero. È piuttosto in gioco il compito faticoso ed urgente di una conversione, di un ritorno al deserto – come fu per Israele – per incontrarvi l’amante dei primi giorni, quello che ci incantò e riempì di promessa e di futuro la nostra vita (cf. Os 2,16-25). Abbiamo bisogno di un incontro con il Signore che venga a parlarci al cuore, che ci aiuti a ritrovare le nostre migliori energie, quelle che scaturiscono dal cuore; che venga a ridare gioia ed incanto alla nostra vita, ad aiutarci ad approfondire le nostre motivazioni, a rinforzare le nostre convinzioni, a spronarci ad un cammino nel segno della fedeltà all’alleanza, ordinando la nostra vita personale, comunitaria ed istituzionale secondo i valori del Vangelo e secondo il carisma di Don Bosco.
Mi viene alla mente la storia di quel monaco “buono e conformista”, che va dal suo Abate a chiedere un consiglio per migliorare la sua vita, secondo i racconti dei Padri del deserto:
Capitò una volta - si racconta - che Abbà Lot andò a trovare Abbà Giuseppe e gli disse:
Abbà, per quanto posso seguo una piccola regola, pratico tutti i piccoli digiuni, faccio un po' di preghiera e meditazione, mi mantengo sereno e, per ciò che mi è possibile, conservo puri i miei pensieri. Che altro devo fare?
Allora il vecchio monaco si mise in piedi, alzò le mani al cielo e le sue dita si convertirono in dieci torce di fuoco. E disse:
Perché non ti trasformi in fuoco?.[5]
Ecco l’obiettivo da raggiungere con questo Capitolo: trasformarci in fuoco! La storia ci riporta direttamente all’eloquente e pregnante scena della Pentecoste: «Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su di loro; ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo» (At2,3-4a). “Riscaldare il cuore” altro non significa se non trasformarsi in fuoco, avere i polmoni pieni di Spirito Santo.
Tutto ciò è in sintonia con quello che è stato il motto del Congresso sulla Vita Consacrata (novembre 2004), in cui abbiamo voluto interpretare e vivere la nostra vita religiosa, partendo da una grande passione per Cristo e una grande passione per l’Umanità.
Alla luce di queste due grandi passioni le priorità principali sono:
La spiritualità. Ciò comporta un impegno del tutto particolare affinché la Parola di Dio e l’Eucaristia siano veramente il centro della vita del consacrato e della sua comunità. Siamo convinti che la persona consacrata deve essere segno e memoria vivente della dimensione trascendente che esiste nel cuore di ogni essere umano.
La comunità. Siamo consapevoli che la testimonianza della comunione, aperta a tutti coloro che hanno bisogno, è fondamentale nel nostro mondo e diventa non soltanto sostegno per la fedeltà dei religiosi, ma anche testimonianza di una forma alternativa di vita al modello imperante, che ci fa rifluire spesso verso forme di individualismo.
La missione, da realizzare e vivere soprattutto sulle frontiere missionarie come l’esclusione, la povertà, la secolarizzazione, la riflessione, la formazione e l’educazione a tutti i livelli.
Ci sembrano questi i “luoghi” dove i consacrati devono essere presenti per esprimere la dimensione missionaria della Chiesa. La missione però comprende anche la “passione” – intesa come sofferenza o degenza – di tanti religiosi che continuano a pregare per la Chiesa e per gli operai della messe, e la “passione” come martirio di tanti religiosi incarcerati o trucidati a causa del Regno. Essi rappresentano la migliore espressione del Vangelo.
Se vogliamo sentire ardere il nostro cuore ed infiammare di passione quello dei confratelli, dobbiamo percorrere la stessa strada dei discepoli di Emmaus. “Si tratta – dicevo nell’omelia all’indomani della mia rielezione – più che di una via materiale, di un percorso mistagogico, di un autentico itinerario spirituale, valido oggi innanzitutto perché mette in evidenza quella che è la nostra situazione: quella di persone disincantate, che hanno una conoscenza di Gesù, ma senza una vera esperienza di fede; che conoscono le Scritture, ma non hanno trovato la Parola. Perciò si abbandona Gerusalemme e la comunità apostolica e si torna a quanto si è vissuto prima. La via di Emmaus è un cammino che ci porta dalla Scrittura alla Parola, dalla Parola alla Persona di Cristo nell’Eucaristia, e da essa ci riporta alla comunità per restare. Lì potremo vedere confermata la nostra fede incontrando i fratelli: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».”

– La seconda chiave di lettura è la Missionarietà o l’urgenza di evangelizzare, non spinti da un affanno proselitista, ma dalla passione per la salvezza degli altri, dalla gioia di condividere l’esperienza di pienezza di vita in Gesù.
Durante il Capitolo uno dei nuclei e, al tempo stesso, anche un tema trasversale è stato precisamente quello dell’urgenza di evangelizzare. L’Apostolo Paolo esprimeva questo con una sorta di imperativo esistenziale: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!» (1Cor 9,16b). Questo intenso senso missionario incarna perfettamente il comando che Gesù rivolge ai suoi discepoli: Siate miei “testimoni fino agli estremi confini della terra” (At 1,8). Don Bosco fece proprio questo appello pressante di Gesù e già all’indomani della approvazione delle Costituzioni (1874), l’11 novembre 1875, inviò la prima spedizione missionaria in America Latina.
Il CG26 ci invita a metterci in sintonia con quella che è stata l’ispirazione originaria di Don Bosco, la dimensione missionaria della sua vita, ma anche del suo carisma. Tutto questo rappresenta un punto fondamentale del testamento spirituale che egli ci ha lasciato. Il Capitolo appena concluso ci offre l’opportunità per capire meglio qual è la risposta che siamo chiamati a dare oggi.
L’urgenza della missionarietà, oggi, è particolarmente viva perché, in primo luogo, tutto il mondo è tornato ad essere “terra di missione”; in secondo luogo perché, oggi, c’è una maniera diversa di concepire la missionarietà, di realizzare la “missio ad gentes”. Essa si attua infatti nel rispetto dei diversi ambienti culturali, in dialogo con le altre confessioni cristiane e le diverse religioni, e ci impegna nella promozione umana e nella lievitazione della cultura (cf. EN 19).
Ma da dove promanava la missionarietà di Don Bosco? Quali sono state le ragioni del suo immenso zelo missionario?.
A mio avviso ci sono tre grandi elementi, che devono costituire un punto di riferimento per tutti noi.
Il primo è quello di essere obbedienti al comando del Signore Gesù che, al momento dell’ Ascensione, prima di lasciare questo mondo per salire al Padre, ci ha detto: «sarete miei testimoni fino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Ci ha dato così tutto il mondo come campo di evangelizzazione e questo sino alla fine della storia. Per noi Salesiani, come in genere per tutti i credenti, la prima ragione per essere evangelizzatori è dunque l’obbedienza al mandato del Signore Gesù.
Il secondo elemento della dimensione missionaria di Don Bosco è la convinzione del valore lievitante e della funzione trasformatrice che ha il Vangelo, la sua capacità di fermentare tutte le culture. Nella ‘magna carta’ della evangelizzazione, l’Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi del 1975, Paolo VI ha scritto che il Vangelo si può inculturare in tutte le culture, vale a dire, si può esprimere diversamente secondo le culture, senza che si identifichi con nessuna di esse. Nemmeno con la cultura ebraica nella quale Gesù è nato, nel senso che nessuna cultura concorda pienamente con la novità del Vangelo. Perciò tutte le culture sono chiamate a lasciarsi purificare ed elevare. Non esiste autentica evangelizzazione, se essa non tocca l’anima della cultura, quell’insieme di valori cui fanno riferimento i centri di decisione della persona. Ogni cultura è importante, perché rappresenta lo spazio dove le persone nascono, crescono, si sviluppano, imparano a relazionarsi, ad affrontare la vita, ma si deve anche riconoscere che ogni cultura ha i suoi limiti e ha bisogno della luce del Vangelo. Oggi poi, quando parliamo dell’urgenza di evangelizzare, non stiamo pensando soltanto all’Oceania, all’Asia, all’Africa, all’America latina, ma anche all’Europa, la quale più che mai ha bisogno del Vangelo e del carisma salesiano.
Il terzo elemento, molto specifico del carisma di Don Bosco, è la sua predilezione per i giovani, consapevole che nelle politiche dei governi e nel tessuto sociale dei popoli, malgrado tutte le dichiarazioni, essi non contano e sembrano doversi rassegnare ad essere solo dei consumatori di prodotti, di esperienze e sensazioni. Ma questo non corrisponde al Vangelo, alla prassi e alla logica di Gesù, che quando gli è stata posta la domanda «Chi è il più importante?», ha chiamato un bambino vicino a sé e lo ha posto al centro. Mettere i giovani al centro della nostra attenzione missionaria! Questo è uno degli elementi più specifici del ricco patrimonio spirituale che Don Bosco ci ha lasciato. Ed il compito che ci viene affidato è quello di portarlo in tutte le culture dove noi andiamo e lavoriamo e dove, spesso, i giovani non contano. La grandezza di Don Bosco è stata appunto questa: aver fatto dei giovani dei protagonisti, non soltanto della loro educazione, ma anche della sua esperienza pedagogica e spirituale. Don Bosco, inaugurando strade nuove come sacerdote, ha creduto nei giovani e si è speso totalmente, con il suo genio apostolico, per assicurare loro opportunità di sviluppare tutte le loro dimensioni ed energie di bene, per far valere i loro diritti, per renderli responsabili (soprattutto i migliori) della continuazione della sua opera nella storia.
Nel Capitolo, dopo aver ribadito l’urgenza di evangelizzare, abbiamo ricordato che noi Salesiani svolgiamo questa missione secondo il carisma pedagogico che ci è proprio. “La pastorale di Don Bosco non si riduce mai a sola catechesi o a sola liturgia, ma spazia in tutti i concreti impegni pedagogico/culturali della condizione giovanile. (…) Si tratta di quella carità evangelica che si concretizza (..) nel liberare e promuovere il giovane abbandonato e sviato”[6].
Se non è salesiana quell’educazione che non apre il giovane a Dio ed al destino eterno dell’uomo, non lo è nemmeno l’evangelizzazione che non punta a formare persone mature in tutti i sensi e che non sa adattarsi o non rispetta la condizione evolutiva del ragazzo, dell’adolescente, del giovane.
È vero che in alcuni contesti secolarizzati la Chiesa incontra particolari difficoltà per evangelizzare le nuove generazioni. Anche se evidentemente i sondaggi e le statistiche non sono l’ultima parola e si devono considerare diverse tipologie del vissuto religioso, che comprendono pure forme di intensa spiritualità, non si può negare che in vari paesi ci sono segni di una progressiva cristianizzazione. Si nota che sia la pratica religiosa che le convinzioni profonde sono più deboli tra i giovani. “Si tratta di uno strato della popolazione più sensibile alle mode culturali e certamente più colpito dalla secolarizzazione ambientale”[7]. Sembra esserci un divorzio tra le nuove generazioni di giovani e la Chiesa. L’ignoranza religiosa e i pregiudizi che ogni giorno assumono acriticamente da certi mezzi di comunicazione hanno alimentato in loro l’immagine di una Chiesa-istituzione conservatrice, che va contro la cultura moderna, soprattutto nel campo della morale sessuale. Diventa perciò normale per molti di loro svalutare o relativizzare tutte le offerte religiose che vengono loro proposte.
Altro dramma particolarmente grave è la rottura che si è creata nella catena di trasmissione della fede da una generazione all’altra. Gli spazi naturali e tradizionali (famiglia, scuola, parrocchia) si rivelano inefficaci per la trasmissione della fede. Cresce, quindi, l’ignoranza religiosa nelle nuove generazioni e così tra i giovani continua la “emigrazione silenziosa extra-muros della Chiesa”. “Le credenze religiose si tingono di pluralismo e seguono sempre meno un canone ecclesiale: quindi lentamente scendono i livelli di pratica religiosa: sacramenti e preghiera”[8].
Non è facile definire l’immagine che i giovani hanno di Dio, ma certamente il Dio cristiano ha perso la centralità nei confronti di un Dio mediatico che porta alla divinizzazione delle figure del mondo dello sport, della musica, del cinema. Il giovane sente la passione per la libertà e non si ferma davanti alle porte delle chiese. Sono tanti i giovani che pensano che la Chiesa sia un ostacolo alla loro libertà personale.
Di fronte a questa situazione ci possiamo chiedere: quale educazione offrono le istituzioni scolastiche ed ecclesiali? Perché la domanda religiosa è stata cancellata dall’orizzonte vitale dei giovani? Il ragazzo, l’adolescente, il giovane sono generosi per natura e si entusiasmano per le cause che valgono veramente la pena. Perché dunque Cristo ha cessato di essere significativo per loro?
La Chiesa, se vuol rimanere fedele alla sua missione di sacramento universale di salvezza, deve imparare i linguaggi degli uomini e delle donne di ogni tempo, etnia e luogo. E noi Salesiani, in modo particolare, dobbiamo imparare e utilizzare il linguaggio dei giovani. Non c’è dubbio che nella Chiesa di oggi, ma anche all’interno delle nostre istituzioni, esista un “serio problema di linguaggio”. In fondo si tratta di un problema di comunicazione, di inculturazione del Vangelo nelle realtà sociali e culturali; un problema di educazione alla fede per le nuove generazioni. Ecco dunque una sfida e un compito per noi oggi: essere degli educatori capaci di comunicare coi giovani e di trasmettere loro il grande tesoro della fede in Gesù Cristo.
L’educazione salesiana, nella trasmissione della fede e dei valori, parte sempre dalla situazione concreta di ogni persona, dalla sua esperienza umana e religiosa, dalle sue angosce ed ansie, dalle sue gioie e dalle sue speranze, privilegiando sempre l’esperienza e la testimonianza. Cura la pedagogia dell’iniziazione cristiana, in modo tale che Cristo sia accettato più come l’amico che ci salva e ci rende figli di Dio, che non come il legislatore, che ci carica di dogmi, precetti o riti. Si mettono in evidenza gli aspetti positivi e festosi di ogni esperienza religiosa, fedeli a Don Bosco nel sogno dei nove anni: “Mettiti adunque immediatamente a fare loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù”[9]
“Evangelizzare educando” vuol dire per noi saper proporre la migliore delle notizie (la persona di Gesù) adattandoci e rispettando la condizione evolutiva del ragazzo, dell’adolescente, del giovane. Il giovane cerca la felicità, la gioia della vita ed essendo generoso è capace di sacrificarsi per raggiungerle, se davvero gli mostriamo un cammino convincente e se ci offriamo come compagni competenti di viaggio. I giovani erano convinti che Don Bosco voleva loro bene, che desiderava la loro felicità qui sulla terra e nell’eternità. Per questo accettavano il cammino che egli proponeva loro: l’amicizia con Gesù, Via, Verità e Vita.
Don Bosco ci insegna ad essere allo stesso tempo educatori ed evangelizzatori (“grazia di unità”). Come evangelizzatori conosciamo e cerchiamo la meta: portare i giovani a Cristo. Come educatori dobbiamo saper partire dalla situazione concreta del giovane e riuscire a trovare il metodo adeguato per accompagnarlo nel suo processo di maturazione. Se come pastori sarebbe una vergogna rinunciare alla meta, come educatori sarebbe un fallimento non riuscire a trovare il metodo adeguato per motivarli ad intraprendere il cammino e per accompagnarli con credibilità.

– La terza chiave di lettura è il tema delle “Nuove frontiere” come luogo naturale per la vita consacrata e come chiamata a rendersi presente nei luoghi di maggiore degrado e bisogno, dal punto di vista sia religioso che culturale, ecologico, sociale.
Consapevoli che la missione è la ragione del nostro essere salesiani e che i bisogni e le attese dei giovani determinano le nostre opere, nel Capitolo Generale uno dei temi più dibattuti è stato appunto quello delle “nuove frontiere”, dove i giovani ci attendono. Si tratta di frontiere non solo geografiche, ma economiche, sociali, culturali e religiose. Qui dobbiamo agire con il criterio che guidò le scelte di Don Bosco, vale a dire, “dare di più a chi ha avuto di meno”.
Sono contento che, già da anni, nella Congregazione stia crescendo la sensibilità e la preoccupazione, la riflessione e l’impegno per il mondo dell’emarginazione e del disagio dei giovani. Questa realtà non rappresenta più un settore particolare, identificato con qualche opera speciale o animato solo da qualche confratello particolarmente motivato. L’attenzione agli ultimi, ai più poveri, ai più disagiati sta diventando una “sensibilità istituzionale” che, poco a poco, coinvolge molte opere delle Ispettorie. Si sono moltiplicate le piattaforme sociali, si è dato luogo ad un lavoro in rete e si sta operando in sinergia con altre agenzie che lavorano nello stesso campo. È come se si fosse cominciato ad “uscire dalle mura”, girando per la città e ascoltando l’urlo e l’invocazione di aiuto dei giovani. Tutto ciò, per noi, significa rinnovare la predilezione per i più poveri, per i più abbandonati e per coloro che si trovano in una situazione di rischio psicosociale: ragazzi perduti, maltrattati, vittime di soprusi e angherie. Con lo stesso cuore di Don Bosco sentiamo di dover trovare nuove forme di opposizione al male che angustia tanti giovani. Sentiamo pure il dovere di invertire la tendenza culturale e sociale, soprattutto attraverso ciò che è la nostra ricchezza specifica: essere portatori di un sistema educativo che è capace di cambiare il cuore dei giovani e di trasformare la società. Non possiamo dare come ‘carità’ quello che spetta loro come ‘giustizia’. In questo anno, nel quale si celebra il 60° anniversario della Dichiarazione dei Diritti Umani, dobbiamo fare un passo in avanti ed impostare tutto il nostro progetto educativo nell’orbita dei diritti dei minori, come indicavo nella Strenna 2008.

Ricordando l'esperienza di Don Bosco

Stando a quanto scrive lo stesso Don Bosco nelle “Memorie dell’Oratorio”, l’esperienza che lo ha sconvolto e sollecitato a una nuova maniera d’essere prete è stato il suo contatto con i ragazzi del carcere di Torino. Egli la racconta con queste parole: “Vedere turbe di giovanetti sull’età da 12 a 18 anni; tutti sani, robusti, di ingegno svegliato; ma vederli là inoperosi, rosicchiati dagli insetti, stentare di pane spirituale e temporale, fu cosa che mi fece inorridire”[10].
Ecco un primo elemento da registrare: Don Bosco ha visto, ha ascoltato, ha saputo cogliere la realtà sociale, leggerne il significato e tirarne le conseguenze. Da questa esperienza nacque in Don Bosco un’immensa compassione per quei ragazzi. Nel contatto con essi sentì l'urgenza di offrire loro un ambiente d'accoglienza e una proposta educativa secondo i loro bisogni: "Fu in quella occasione che mi accorsi come parecchi erano ricondotti in quel sito perché abbandonati a se stessi. Chi sa, diceva tra di me, se questi giovani avessero fuori un amico, che si prendesse cura di loro, li assistesse e li istruisse nella religione nei giorni festivi, chi sa che non possano tenersi lontani dalla rovina o al meno diminuire il numero di coloro che ritornano in carcere? Comunicai questo pensiero a Don Cafasso e col suo consiglio e coi suoi lumi mi sono messo a studiare il modo di effettuarlo"[11].
Ed ecco un secondo elemento da percepire nell’esperienza del nostro Padre Don Bosco: la fantasia pastorale, quella che lo portò a creare con immaginazione e generosità risposte adeguate alle nuove sfide. Tutto ciò implicava il farsene carico in prima persona e creare quelle strutture che potessero rendere possibile un mondo migliore e alternativo per quei ragazzi.
È così che Don Bosco pensa innanzitutto di prevenire queste esperienze negative, accogliendo i ragazzi che arrivano alla città di Torino in cerca di lavoro, gli orfani o quelli i cui genitori non possono o non vogliono prendersi cura, coloro che vagano nella città senza un punto di riferimento affettivo e senza una possibilità materiale per una vita dignitosa. Offre loro una proposta educativa, centrata sulla preparazione al lavoro, che li aiuta a recuperare fiducia in se stessi e il senso della propria dignità. Offre un ambiente positivo di gioia e amicizia, nel quale assumano quasi per contagio i valori morali e religiosi. Offre una proposta religiosa semplice, adeguata alla loro età e soprattutto alimentata da un clima positivo di gioia e orientata dal grande ideale della santità.
Consapevole dell'importanza dell'educazione della gioventù e del popolo per la trasformazione della società, Don Bosco si fa promotore di nuovi progetti sociali di prevenzione e di assistenza. Si pensi al rapporto col mondo del lavoro, ai contratti coi datori di lavoro, al tempo libero, alla promozione dell'istruzione e cultura popolare. Anche se Don Bosco non parlò esplicitamente dei diritti dei ragazzi – non era nella cultura del tempo – operò cercando di ridare loro dignità e di inserirli nella società in condizioni tali da poter affrontare la vita con successo (“empowerment”).
Ecco infine un terzo elemento, a mio avviso molto significativo, che ha caratterizzato l’esperienza di Don Bosco. Egli percepì che non era sufficiente alleviare la situazione di disagio e di abbandono in cui vivevano i suoi ragazzi (azione palliativa). Sempre più chiaramente si sentì portato a fare un cambiamento culturale (azione trasformatrice), attraverso un ambiente ed una proposta educativa che potessero coinvolgere molte persone identificate con lui e con la sua missione. Tutto ciò rappresentò non solo l’avvio di un’istituzione (l’Oratorio di Valdocco), ma anche il primo sviluppo di quell’intuizione particolare che portò Don Bosco a dare inizio a un vasto movimento per la salvezza della gioventù: la Famiglia Salesiana (cf. Cost. 5). I bisogni erano molti. Cercò così prima di tutto la collaborazione di sua madre, poi quella di qualche sacerdote diocesano. Coi suoi migliori giovani diede inizio alla Società di San Francesco di Sales, poi fondò l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e mise in atto l’Associazione dei Cooperatori. La sua mente era un continuo “sogno del bene dei giovani”. Il suo cuore era una continua “espressione dell’amore di Dio per i giovani”.
Noi, come Salesiani, continuiamo a coltivare nel cuore questa passione per i più poveri, per gli abbandonati, per gli ultimi. Più conosco la Congregazione, estesa nei cinque continenti, più mi rendo conto che come Salesiani abbiamo tentato di essere fedeli a questo criterio fondamentale di essere vicini e solidali coi più bisognosi, prendendo a cuore quelle realtà giovanili che la società non vuol vedere: i ragazzi della strada, gli adolescenti soldato, i bambini operai, i ragazzi sfruttati nel maledetto turismo sessuale, gli sfollati a causa guerra, gli immigranti, le vittime dell’alcool e della droga, gli ammalati di HIV/AIDS, i ragazzi privi di senso religioso... Come dicevo sopra, constatiamo che oggi la sensibilità tra noi è cresciuta e, grazie a Dio, continua a crescere. Oggi il lavoro dei pionieri è stato assunto dalla Istituzione, e soprattutto si sta acquistando una mentalità che ci permette di collocarci ovunque con questa chiave di lettura, facendo la scelta a favore dei più esclusi ed emarginati. È una grazia sentire che in Congregazione sta crescendo questa mentalità: “dare di più a chi ha ricevuto di meno”.
Mentre nei paesi in via di sviluppo predominano volti di ragazzi sigillati dalla povertà materiale, nei paesi sviluppati il marchio che li caratterizza è la perdita del senso della vita, la resa al consumismo, all’edonismo, all’indifferentismo, alla tossicodipendenza. Le risposte dunque vanno necessariamente differenziate.
Alla luce di queste grandi dimensioni che possono e devono cambiare la nostra vita e attività apostolica diventa più evidente ed impellente il nostro bisogno di convertirci all’essenzialità, ad una vita povera, austera e semplice, che sia espressione del totale distacco da tutto ciò che ci può impedire di consegnarci fino in fondo a coloro che il Signore ci ha affidati.

3. Scelte fatte ed avvio per renderle operative: prospettive di animazione e governo

Le dimensioni soprammenzionate hanno avuto una prima traduzione nelle varie schede del documento. In effetti, le grandi scelte del CG26 per la rinascita spirituale e lo slancio apostolico sono state espresse nelle “Linee di azione” di ciascuno dei temi. Esse ci offrono degli orientamenti da assumere, da far passare dalla carta alla vita. Non possono infatti essere semplici dichiarazioni di intenti, ma diventare vero programma di vita, di animazione e governo, di proposta educativa pastorale.

Per il tema “Ripartire da Don Bosco”, abbiamo deliberato:

Ritornare a Don Bosco
Linea di azione 1
Impegnarsi ad amare, studiare, imitare, invocare e far conoscere Don Bosco, per ripartire da lui.

Ritornare ai giovani
Linea di azione 2
Ritornare ai giovani, specialmente ai più poveri, col cuore di Don Bosco.

Identità carismatica e passione apostolica
Linea di azione 3
Riscoprire il significato del Da mihi animas cetera tolle come programma di vita spirituale e pastorale.
Per il tema “Urgenza di evangelizzare”, abbiamo deliberato:

Comunità evangelizzata ed evangelizzatrice
Linea di azione 4
Mettere l’incontro con Cristo nella Parola e nell’Eucaristia al centro delle nostre comunità, per essere discepoli autentici e apostoli credibili.

Centralità della proposta di Gesù Cristo
Linea di azione 5
Proporre con gioia e coraggio ai giovani di vivere l’esistenza umana come l’ha vissuta Gesù Cristo.

Educazione ed evangelizzazione
Linea di azione 6
Curare in ogni ambiente una più efficace integrazione di educazione ed evangelizzazione, nella logica del Sistema Preventivo.

Evangelizzazione nei diversi contesti
Linea di azione 7
Inculturare il processo di evangelizzazione per dare risposta alle sfide dei contesti regionali
Per il tema “Bisogno di convocare”, abbiamo deliberato:

Testimonianza come prima proposta vocazionale
Linea di azione 8
Testimoniare con coraggio e con gioia la bellezza di una vita consacrata, dedita totalmente a Dio nella missione giovanile.

Vocazioni all’impegno apostolico
Linea di azione 9
Suscitare nei giovani l’impegno apostolico per il Regno di Dio con la passione del Da mihi animas cetera tolle e favorire la loro formazione

Accompagnamento dei candidati alla vocazione consacrata salesiana
Linea di azione 10
Fare la proposta esplicita della vocazione consacrata salesiana e promuovere nuove forme di accompagnamento vocazionale e di aspirantato.

Le due forme della vocazione consacrata salesiana
Linea di azione 11
Promuovere la complementarietà e la specificità delle due forme dell’unica vocazione salesiana e assumere un rinnovato impegno per la vocazione del salesiano coadiutore

Per il tema “Povertà evangelica”, abbiamo deliberato:

Linea di azione 12
Testimonianza personale e comunitaria
Dare una testimonianza credibile e coraggiosa di povertà evangelica, vissuta personalmente e comunitariamente nello spirito del Da mihi animas ceteratolle

Linea di azione 13
Solidarietà con i poveri
Sviluppare la cultura della solidarietà con i poveri nel contesto locale.

Linea di azione 14
Gestione responsabile e solidale delle risorse
Gestire le risorse in modo responsabile, trasparente, coerente con i fini della missione, attivando le necessarie forme di controllo a livello locale, ispettoriale e mondiale.

Per il tema “Nuove frontiere”, abbiamo deliberato:

Principale priorità: i giovani poveri
Linea di azione 15 (cfr. linea d’azione 13)
Operare scelte coraggiose a favore dei giovani poveri e a rischio.

Altre priorità: famiglia, comunicazione sociale, Europa
Linea di azione 16
Assumere un’attenzione privilegiata alla famiglia nella pastorale giovanile; potenziare la presenza educativa nel mondo dei media; rilanciare il carisma salesiano in Europa.

Nuovi modelli nella gestione delle opere
Linea di azione 17
Rivedere il modello di gestione delle opere per una presenza educativa ed evangelizzatrice più efficace.
Il richiamo delle linee d’azione del CG26 in questo discorso conclusivo ha lo scopo di ribadire l’importanza della loro assunzione e ‘inculturazione’ da parte delle Regioni e delle singole Ispettorie. Esse saranno il “messaggio concreto” del CG26, che dovrà essere studiato e tradotto, a livello pastorale, nei diversi contesti, individuando anche criteri di verifica ed elementi di valutazione.

Mi soffermo sul “Progetto Europa”

Oggi, più che mai ci rendiamo conto che la nostra presenza in Europa va ripensata. L’obiettivo – come già dicevo nell’indirizzo al Santo Padre in occasione della Udienza concessa ai membri del CG26 – è “mirato a ridisegnare la presenza salesiana con maggiore incisività ed efficacia in questo continente. Cercare, cioè, una nuova proposta di evangelizzazione per rispondere ai bisogni spirituali e morali di questi giovani, che ci appaiono un po’ come pellegrini senza guide e senza meta.”
Si tratta dunque di ringiovanire con del personale salesiano le Ispettore più bisognose per rendere più significativo e fecondo il carisma salesiano nell’Europa d’oggi. Intendo chiarire dunque che:
Questo è un progetto di Congregazione;
coinvolgerà tutte le Regioni e le Ispettorie con l’invio di personale;
per irrobustire le comunità, chiamate ad essere interculturali ed a rendere presente Don Bosco tra i giovani, specialmente i più poveri, abbandonati e a rischio;
il tutto sarà affidato al coordinamento dei tre Dicasteri per la Missione.
Questo progetto esigerà ovviamente un cambiamento strutturale nelle comunità del Vecchio Continente. “Vino nuovo in otri nuovi”. Non quindi un’opera di semplice “mantenimento di strutture”, ma un progetto nuovo per esprimere una presenza nuova, accanto ai giovani d’oggi. Ci muoviamo con il cuore di Don Bosco, ricchi della sua passione per Dio e per i giovani, per collaborare alla costruzione sociale di una Nuova Europa, perché abbia veramente “un’ anima”, perché ritrovi le sue robuste radici spirituali e culturali, perché a livello sociale dia spazio e pari opportunità a proposte di educazione e cultura, senza discriminazioni o scelte di esclusione sociale.

Tra le priorità vi segnalo le più importanti:
creare nuove presenze per i giovani,
stimolare iniziative dinamiche ed innovatrici,
promuovere vocazioni.
Tutto questo dovrebbe aiutare i Salesiani che lavorano in questo contesto a raggiungere una mentalità sempre più europea, irrobustire la sinergia tra le Ispettorie nei diversi settori e rafforzare la collaborazione a livello Regionale.

4. Verso il bicentenario della nascita di Don Bosco: la Congregazione in stato di ritorno a Don Bosco per ripartire da lui

Cosa farebbe Don Bosco oggi? Non lo sappiamo! Ma sappiamo che cosa ha fatto ieri e dunque possiamo sapere che cosa fare per agire come lui oggi. È questione di conoscenza ed imitazione.
Abbiamo ribadito in questo Capitolo che è assolutamente indispensabile contemplare Don Bosco, amarlo, conoscerlo ed imitarlo, per scoprire le sue motivazioni più profonde e trainanti, quelle da cui ricavava l’energia che lo faceva lavorare per i giovani instancabilmente; le sue convinzioni più salde e personali, che lo portavano a non tirarsi indietro, che anzi lo rendevano affascinante e convincente; i suoi obiettivi definiti e chiari, che lo facevano andare avanti, con una sola causa per cui vivere: vedere felici i giovani qui e nell’eternità.
Don Bosco sentì il dramma di un popolo che si allontanava dalla fede e soprattutto sentì il dramma della gioventù, prediletta da Gesù, abbandonata e tradita nei suoi ideali e nelle sue aspirazioni dagli uomini della politica, dell’economia, magari anche della Chiesa. Mi domando se questa situazione non sia, per tanti versi, simile a quella che abbiamo identificato nel nostro Capitolo Generale.
Ebbene, davanti a tale situazione Don Bosco ha reagito energicamente, trovando forme nuove di opporsi al male. Alle forze negative della società ha resistito denunciando l’ambiguità e la pericolosità della situazione, “contestando” – a suo modo, si intende – i poteri forti del suo tempo. Ecco che cosa significa avere una mente ed un cuore pastorali.
Sintonizzato su questi bisogni, ha cercato di dare una risposta, con le possibilità offertegli dalle condizioni storico-culturali e dalle congiunture economiche del momento storico, e questo nonostante parziali opposizioni del mondo ecclesiastico, di autorità e fedeli. Fondò così oratori, scuole di vario tipo, laboratori di artigiani, giornali e riviste, tipografie ed editrici, associazioni giovanili religiose, culturali, ricreative, sociali; costruì chiese, promosse missioni “ad gentes”, attività di assistenza agli emigranti; fondò due congregazioni religiose e un’associazione laicale che ne continuarono l’opera.
Ebbe successo grazie anche alle sue spiccate doti di comunicatore nato, nonostante la mancanza di risorse economiche (sempre inadeguate alle sue realizzazioni), il suo modesto bagaglio culturale ed intellettuale (in un momento in cui c’era bisogno di risposte di alto profilo) e l’essere figlio di una teologia e di una concezione sociale con fortissimi limiti (e pertanto inadeguata a rispondere alla secolarizzazione e alle profonde rivoluzioni sociali in atto). Sempre sospinto da superiore ardimento di fede, in circostanze difficili, chiese ed ottenne aiuti da tutti, cattolici ed anticlericali, ricchi e poveri, uomini e donne del denaro e del potere, e esponenti della nobiltà, della borghesia, del basso e dell’alto clero.
Tuttavia l'importanza storica di Don Bosco, prima che nelle tantissime «opere» e in certi elementi metodologici relativamente originali – il famoso “sistema preventivo di Don Bosco” –, è da scoprirsi nella percezione intellettuale ed emotiva del problema della gioventù “abbandonata” con la sua portata morale e sociale;
nell’intuizione della presenza a Torino prima, in Italia e nel mondo poi, di una forte sensibilità, nel civile e nel “politico”, del problema dell’educazione della gioventù e della sua comprensione da parte dei ceti più sensibili e dell’opinione pubblica;
nell’idea che lanciò di doverosi interventi su larga scala nel mondo cattolico e civile, come risposta necessaria per la vita della Chiesa e per la stessa sopravvivenza dell’ ordine sociale;
e nella capacità di comunicare questa stessa idea a larghe schiere di collaboratori, di benefattori e di ammiratori.
Né politico, né sociologo, né sindacalista ‘ante litteram’, semplicemente prete-educatore, Don Bosco partì dall’idea che l’educazione poteva fare molto, in qualsiasi situazione, se realizzata con il massimo di buona volontà, di impegno e di capacità di adattamento. Si impegnò a cambiare le coscienze, a formarle all’onestà umana, alla lealtà civica e politica e, in questa prospettiva, cercò di "cambiare" la società, mediante l’educazione.
Trasformò i valori forti in cui credeva – e che difese contro tutti – in fatti sociali, in gesti concreti, senza ripiegamento nello spirituale e nell’ecclesiale inteso come spazio od esperienza esente dai problemi del mondo e della vita. Anzi, forte della sua vocazione di sacerdote educatore, coltivò un impegno quotidiano che non era assenza di orizzonti, bensì dimensione incarnata del valore e dell’ideale; non era nicchia protettiva e rifiuto del confronto aperto, ma sincero misurarsi con una realtà più ampia e diversificata; non era un mondo ristretto ad alcuni pochi bisogni da soddisfare e luogo di ripetizione, quasi meccanica, di atteggiamenti tradizionali; non era rifiuto di ogni tensione, del sacrificio esigente, del rischio, della lotta. Ebbe per sé e per i salesiani la libertà e la fierezza dell’autonomia. E non volle neppure legare la sorte della sua opera all'imprevedibile variare dei regimi politici.
Il noto teologo francese Marie-Dominique Chenu, O.P., rispondendo negli anni ottanta del secolo corso alla domanda di un giornalista che chiedeva di indicargli i nomi di alcuni santi portatori di un messaggio di attualità per i tempi nuovi, affermò senza esitare: “Mi piace ricordare, anzitutto, colui che ha precorso il Concilio di un secolo: Don Bosco. Egli è già, profeticamente, un uomo modello di santità per la sua opera che è in rottura con il modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei”.
Fu un modello per tanti; non pochi ne imitarono gli esempi, diventando a loro volta il “Don Bosco di Bergamo, di Bologna, di Messina e così via”.
Ovviamente il “segreto” del suo “successo” ciascuno lo trova in una delle diverse sfaccettature della sua complessa personalità: capacissimo imprenditore di opere educative, lungimirante organizzatore di imprese nazionali ed internazionali, finissimo educatore, grande maestro, ecc. Questo il modello che abbiamo e siamo chiamati a riprodurre il più fedelmente possibile!

5. Conclusione

Cari confratelli, abbiamo vissuto il CG26 nella stagione liturgica della Quaresima e nel tempo di Pasqua. Il Signore ci ha invitati così ad accogliere l’indicazione del bisogno che abbiamo di fare esperienza pasquale, se vogliamo raggiungere la tanto desiderata rinascita spirituale ed un rinnovamento del nostro slancio apostolico. Non c’è vita senza morte. Non c’è la mistica del “Da mihi animas” senza l’ascetica del “cetera tolle”.
Vorrei concludere richiamando ancora una particolare esperienza di Don Bosco. Nel estate del 1846 egli si ammala e si trova in pericolo di morte. Dopo alcune settimane supera il male e, convalescente, può tornare all’Oratorio solo appoggiandosi su un bastone. I ragazzi accorsi lo costringono a sedersi sopra un seggiolone, lo alzano e lo portano in trionfo fino al cortile. In cappella, dopo le preghiere di ringraziamento, Don Bosco proferisce le parole più solenni ed impegnative della sua esistenza: «Cari figlioli, la mia vita la devo a voi. Ma siatene certi: d’ora innanzi la spenderò tutta per voi».[12] Don Bosco, ispirato dallo Spirito Santo, in certo senso, emise un voto inedito: il voto d’amore apostolico, di consegna della propria vita per i giovani, che osservò in ogni istante della sua esistenza. Ecco quanto significa il “Da mihi animas, cetera tolle”, che è stato motto ispiratore del nostro Capitolo Generale. Ecco il programma di futuro per la rinascita spirituale e per lo slancio apostolico con cui vogliamo arrivare alla celebrazione del bicentenario della sua nascita.
Faccio auspici che noi e, insieme a noi, tutte le persone identificate con i valori della Spiritualità e del Sistema Educativo Salesiano possiamo amare i giovani ed impegnarci come Don Bosco nella realizzazione della missione salesiana. Mi auguro che i giovani possano trovare in ciascuno di noi (come i ragazzi dell’Oratorio trovarono in Don Bosco a Valdocco) delle persone disponibili a camminare con loro, a costruire con loro e per loro una presenza educativa affascinante e significativa, capace di proposta e di coinvolgimento, propositiva al punto di produrre un cambio culturale.
Un’icona che può illustrare perfettamente questo momento storico della Congregazione è l’episodio del passaggio del “mantello e dello spirito” da Elia ad Eliseo, suo discepolo (2 Re 2,1-15). Elia cerca parecchie volte di allontanare da sé Eliseo, prima a Galgala poi a Betel e a Gerico, forse per il desiderio di trovarsi solo al momento della sua scomparsa. Ma Eliseo vuole essere il suo principale erede spirituale e gli resta accanto. Come bramerei che ciascuno dei confratelli, nei confronti di Don Bosco, facesse suo il desiderio di Eliseo di ricevere due terzi dello spirito di Elia. Divenuto erede spirituale di Elia, Eliseo raccoglie il suo mantello e con esso si posa su di lui anche lo spirito del maestro. Eliseo ripete alla lettera l’ultimo miracolo di Elia e ciò rende certi i discepoli dei profeti che veramente “lo spirito di Elia” si è posato su Eliseo.
A tale proposito, mi vengono alla mente le parole di Paolo VI alla beatificazione di Don Rua, quando disse che quella beatificazione rappresentava una conferma della sua qualità di successore di Don Bosco, di discepolo suo, della sua capacità di aver accolto e trasmesso lo spirito del Padre. Come Don Rua, per raccogliere l’eredità di Don Bosco permettiamo a Dio, con la nostra totale disponibilità, di operare in noi, come operò in lui.
Eccomi qui, Carissimi Confratelli, a consegnarvi il frutto di questo CG26, del quale siete stati protagonisti. Vi consegno sì un documento, che sarà come la nostra carta di navigazione per il sessennio 2008-2014, ma vi consegno soprattutto lo spirito del CG26. Esso ha voluto essere un’ intensa esperienza pentecostale per un profondo rinnovamento della nostra vita e missione. Esso rappresenta dunque per tutti i Salesiani la piattaforma di lancio della Congregazione verso il grande giubileo salesiano del 2015.
Che lo Spirito possa soffiare con forza sulla Congregazione per avere il coraggio di chiedere ancora e sempre, insieme a Don Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle”.

Roma, 12 aprile 2008

* Discorso alla chiusura del CG26

 

NOTE

[1] Al Reverendissimo Don Pascual Chávez Villanueva, Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco. Dal Vaticano, 1 marzo 2008, n. 1
[2] Cf. La Società di San Francesco di Sales nel sessennio 2002-2008. Relazione del Rettor Maggiore don Pascual Chávez Villanueva, p. 290
[3] L’Osservatore Romano. Lunedì-martedì 31 marzo-1 aprile 2008, p. 8
[4] Benedetto XVI, Discorso d’Inaugurazione alla Vª Conferenza Generale dell’Episcopato Latinoamericano e del Caraibi, n. 3. Aparecida – Brasile. 13 maggio 2007.
[5] Citato da José María Arnaiz, ¡Que ardan nuestros corazones! Devolver el encanto a la vida consagrada. Publicaciones Claretianas. Madrid, 2007, p. 34
[6] Cfr. ACS 290, 4.2
[7] LLUIS OVIEDO TORRO’, “La religiosidad de los jóvenes”, Razón y Fe, giugno 2004, p.447
[8] LLUIS OVIEDO TORRO’, o.c., p. 449.
[9] G. Bosco, Memorie dell'Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992, pag. 35
[10] G. Bosco, Memorie dell'Oratorio, a cura di Ferreira A., LAS Roma 1992, pag. 104
[11] ibidem
[12] cf. MB II, 497-498