4. Vivere di fede

Riccardo Tonelli 

Per intenderci sulle parole

Ho scelto come titolo di questa riflessione una espressione "vivere di fede", che viene utilizzata in differenti contesti. Si parla di fede politica, di fede in una persona o in una istituzione; qualche tifoso scatenato dichiara persino la sua fede in una squadra di calcio.
In questi modelli esiste un denominatore comune: fede è un com­plesso di ideali, capaci di guidare gli orientamenti di una per­sona, fino a sollecitare un impegno coerente di vita.
Nella declinazione religiosa la fede riferisce a Dio il fondamen­to di questi ideali e l'orizzonte ultimo della vita.
La fede cristiana assume e condivide questo atteggiamento. Lo ra­dica sulla rivelazione che Dio ha fatto di sé nella creazione e nella storia. E si esprime come risposta personale alla Parola ascoltata. Si differenzia dalle altre fedi religiose perché rico­nosce in Gesù di Nazareth il testimone definitivo del Padre.
Come si può notare da questa specie di precisazione delle parole, i punti di contatto sono tanti. Ma non sono piccole le differenze.
Sono convinto che sia davvero urgente metterci d’accordo bene sul significato che vogliamo dare alle parole. A proposito di fede religiosa… ne sono state dette di tutti i colori. E poi, il titolo avanza una pretesa: l’invito a vivere di fede. Per vivere… dobbiamo sapere di che cosa vivere e a quali condizioni possiamo vivere.

Risposta: una strana storia

Dico subito la mia convinzione. Così scopro le carte.
Ho intitolato l’articolo “vivere di fede” perché sono convinto che la riflessione sulla fede riguarda riguarda la vita e il suo senso, la nostra lotta contro la morte, la costruzione di una speranza, capace di trasformare in cose possibili anche quelle impossibili.
Perché?
Rispondo raccontandoti una storia, che viene da lontano… riguarda Gesù, i suoi discepoli e la situazione dolorosa di un ragazzo che stava per morire.
Gesù aveva spiegato ai suoi discepoli tutto quello che era necessario per andare in giro per il mondo, con passione e competenza, a predicare il Vangelo.
Aveva detto loro quello che dovevano annunciare e la prospettiva da cui farlo. "Vi affido una bella notizia. Raccontatela a tutti. La gente ne ha bisogno e l'aspetta con ansia. Sono stanchi ormai di sentire lunghe prediche, piene di ordini e di divieti. Dite: il Regno di Dio è vicino... anzi, è già in mezzo a voi. Si tratta di scoprirlo, imparando a guardarsi d'attorno. Le parole che pronunciate devono servire a far sperimentare che Dio è un padre buono che vuole la vita di tutti".
Qualcuno gli aveva chiesto: "Da chi dobbiamo incominciare?". E Gesù: "I poveri sono quelli che hanno il diritto di ricevere per primi questa bella notizia. Di solito sono gli ultimi. Le belle notizie le ricevono solo dagli altri... se qualcuno ha compassione di loro e racconta ciò che gli altri, quelli che contano, sanno già a memoria. Per favore, non fate così anche voi. Incominciate proprio dagli ultimi. Questo modo di fare è stato inaugurato nel giorno della mia nascita. L'avete sentito dire, spero? Gli angeli hanno trattato prima di tutto con i pastori. Gli altri, una volta tanto, hanno dovuto informarsi da loro".
Gesù, nel corso accelerato di formazione ai suoi discepoli, aveva insegnato anche qualche tecnica. Voleva diffondere la convinzione che la buona volontà da sola non basta. Aveva raccomandato: "Attenzione a non moltiplicare le parole... I fatti sono la parola più convincente. Incominciate con i fatti: fate camminare gli zoppi, ridate la vista ai ciechi e l'udito ai sordi". Poi aveva aggiunto, subito subito: "Fidatevi di chi vi manda. Non portatevi troppe provviste. Quando entrate in una casa, salutate chi ci abita e fatevi invitare a pranzo: è una specie di compenso per il servizio che gli fate. Anche voi, infatti, siete degli operai che hanno diritto ad una paga giusta: operai del Regno... ma sempre operai, che mangiano quello che hanno guadagnato, con il sudore della propria fronte. Se qualcuno vi caccia... ci rimette lui. Voi, tranquillamente, cambiate alloggio".
Gesù aveva spiegato tutto ai suoi discepoli, come un buon maestro, contento di condividere la propria sapienza con gli amici, per coinvolgerli totalmente nella sua causa.
Sono pronti a partire: in giro per il mondo per annunciare la bella notizia. Gesù fa un ultimo gesto d'affetto nei loro confronti. "Vi accompagno per un pezzo di strada... volete?".
Erano felici. La compagnia con Gesù dava sicurezza... anche se pensavano di sapere tutto, gli imprevisti sono sempre imprevedibili.
Arrivano nella piazza principale del primo paesetto che era sulla loro strada. S'accorgono subito di un crocchio di persone, al centro della piazza.
Gesù non ci fa caso e tenta di procedere avanti, per la sua strada, come se quella gente non dovesse preoccuparlo più di tanto. Con lo sguardo penetrante che viene dall'amore e dalla passione per la vita, si era già accorto di tutto. Fa l'indifferente per mettere alla prova la preparazione dei suoi discepoli.
La lezione di Gesù l'avevano imparata proprio bene. "Gesù, fermati... dobbiamo andare a vedere. Ci hai insegnato ad essere curiosi per la vita e la speranza della gente. Non possiamo procedere, senza prima verificare se qualcuno, là tra quella folla, ha bisogno di noi".
"Bravi", dice Gesù, "D'accordo... i miei discepoli non camminano con gli occhi bassi, come se nulla dovesse interessarli... perché hanno ben altre preoccupazioni".
Due partono decisi. Vanno a vedere di persona. Tornano dopo pochi secondi, con il fiatone. "Dobbiamo fermarci e intervenire subito. Tra quella gente c'è un povero ragazzo che sta uccidendosi con le sue mani. Sbava... batte con il capo sul selciato della piazza, grida come un ossesso. Il padre è lì impotente. Gli altri sono spaventati... e non sanno che fare. Andiamo noi... sei d'accordo, Gesù? Ce l'hai insegnato tu: il buon pastore lascia nell'ovile le pecore brave e corre disperato dietro quella che è fuggita".
Altra gran consolazione per il cuore di Gesù. Pensa: sono proprio bravi i miei discepoli... posso fidarmi di loro. Con gente così, cambiamo la faccia della terra. Avevano capito bene che non possono essere discepoli di Gesù e annunciatori del Regno quelli che non hanno passione, forte e intensa, per la vita e per tutte le sue manifestazioni.
Arrivano i discepoli di Gesù. Si fanno largo tra la folla. Prendono per mano il ragazzo che sta per morire... lo chiamano per nome... fanno i gesti che avevano visto fare spesso da Gesù. Niente. Anzi, peggio di prima. La gente li guarda minacciosa. Poi, qualcuno alza la voce: "Sparite... c'è già abbastanza confusione. Fuori dai piedi. Tornate da dove siete venuti".
Tornano da Gesù. Sono distrutti. Sembrava tutto così facile. Si aspettavano l'applauso riconoscente della folla e l'abbraccio del padre. E invece si sono presi insulti.
"Gesù... che facciamo? Vai tu, per favore. Fallo per quel povero ragazzo. Solo per lui".
Gesù interviene. Chiama per nome il ragazzo. Lo solleva con una mano. Non sbava più. È tranquillo. Sorride. È guarito. Si butta tra le braccia del padre. La morte è stata sconfitta. Ancora una volta la vita ha vinto, grazie a Gesù.
La gente applaude. Il padre ringrazia Gesù. Gli chiede indicazioni su dove rintracciarlo, più avanti, con calma, per dirgli la gratitudine di tutta la sua famiglia.
Gesù parla del Regno di Dio vicino, presente tra loro. Accenna al Padre che sta nei cieli. Poi, saluta e torna dai suoi discepoli. È felice. Anche oggi ha annunciato il Regno di Dio con parole convincenti.
Assieme, Gesù e i discepoli, stanno per riprendere il cammino. Ma non poteva finire così. Ritorna, in primo piano, il corso di formazione per diventare buoni evangelizzatori. Se non l'avessero sollecitato i discepoli, sarebbe di sicuro intervenuto direttamente Gesù. Il pezzo che mancava era troppo importante, per lasciarlo in sospeso.
Qualcuno prende il coraggio a due mani e butta lì la questione principale: "Senti, Gesù... ci hai insegnato tante cose, ma qualche segreto te lo sei tenuto. Ci dispiace... ma non è serio. Se vuoi che siamo discepoli tuoi a tempo pieno e non ti facciamo fare la figura barbina che abbiamo fatto oggi, devi svelarci questo segreto. Come mai a te ha funzionato e a noi no? Abbiamo fatto di tutto per guarire quel povero ragazzo, ma non ci siamo riusciti. Sei arrivato tu e, in quattro e quattr'otto, l'hai restituito vivo all'abbraccio del padre. Perché? Dove abbiamo sbagliato? Quale tecnica ci manca ancora?".
Fanno eco tutti: "Dai, Gesù, insegnaci anche l'ultimo trucco... per favore".
Risponde Gesù senza mezzi termini: "Vi ho insegnato tutto... non mi sono tenuto nessun segreto. Credetemi. Perché, allora, risultati tanto diversi? Avete ragione a lamentarvi... Qualcosa vi manca ed è la cosa più importante. Non si aggiunge alle competenze che avete già acquisito, perché non è una tecnica in più, disponibile solo agli iniziati.
Sapete cose vi manca?".
Tutti restano a bocca spalancata, in attesa.
Gesù si ferma un attimo, per costringerli a pensare e ad ascoltare fuori d'ogni interesse d'efficienza. Poi aggiunge, con quel pizzico di fantasia con cui diceva le cose più importanti: "Vedete quella montagna là...". Tutti si girano, con un punto interrogativo disegnato sul volto. "Bene, se voi aveste tanta fede quanto un granello di senapa - e lo sapete che è il più piccolo dei semi -, potreste dire a quella montagna: spostati da là a qua... e la montagna si sposterebbe, pronta e obbediente.
Vi mancava la fede... l'unica tecnica che, alla fine, sposta davvero le montagne".
Non ce ne vuole tanta: Gesù non raccomanda una montagna di fede per spostare un granello di senapa. La fede ci vuole però... anche poca opera in grande: fa passare da morte a vita.
La scuola di formazione di Gesù è terminata. Ha insegnato i contenuti, la prospettiva e le tecniche: tutte cose importanti... insufficienti per far passare da morte a vita. Non sono inutili: anzi, non se ne può proprio fare a meno. Solo che non bastano a risolvere i problemi. Ci vuole la fede: la decisione di immergersi nel mistero di Dio, perché solo Dio fa passare davvero da morte a vita e noi, con tutta la nostra competenza, siamo "soltanto servi".

La fede per la vita

Fine della storia.
Qualcuno può pensare: “Beh… ti sembra questo il modo di dare ragioni per dimostrare l’importanza della fede?”. Lo so. Ho scelto apposta questa strada, perché sono convinto che il “raccontare storie del Vangelo” sia l’unico modo serio di dare ragione dei fatti più impegnativi della vita e per dare fondamenti sicuri alla speranza.
A fil di ragionamento si dimostra il teorema di Pitagora e le leggi della fisica. Non posso però dimostrare, con le stesse strumentazioni, le esperienze più profonde della vita. Non esistono prove matematiche per dimostrare l’amore e quando qualcuno le cerca, “dimostra”, con la forza dei fatti, che non ha capito nulla dell’amore.
La storia di Gesù e dei suoi discepoli “mostra” che l’unica via per far nascere vita dove c’è morte, anche quando tutto sembra impossibile, è quel granello di esistenza, piccolo come un seme di grano, che si chiama la fede.
Questa è dunque la mia convinzione e la ragione per cui ti chiedo di dedicare un poco del tuo tempo e dei tuoi interessi a riflettere sulla fede. Riflettiamo su qualcosa che riguarda la vita e la speranza e lo facciamo per constatare su quale direzione di impegno possiamo orientare la nostra esistenza, se vogliamo far nascere vita anche in quelle situazioni in cui sembra che non ci sia più nulla da fare.
Per ora mi fermo qui.
Nel prossimo articolo cercherò di raccontare in che consista questa “fede” tanto importante che rappresenta la condizione per vivere e far vivere.