10. Eucaristia: un pezzo

di futuro nel presente

Riccardo Tonelli

La Chiesa italiana sta vivendo, in questi mesi, un avvenimento importante: il “Congresso eucaristico nazionale”, celebrato ad Ancona dal 3 all’11 settembre 2011.
Purtroppo non ci pensiamo molto, anche perché chi manovra la nostra attenzione attraverso gli strumenti raffinati di cui dispone… ha deciso che dobbiamo preoccuparci di altre cose. Fanno più spettacolo e possono essere facilmente utilizzate per costruire potere, denaro e prestigio.
Noi, invece, vogliamo pensarci almeno un poco, per scoprire cosa possiamo guadagnarci sul piano del senso, della speranza, della qualità della vita.

L’Eucaristia come esperienza di spiritualità

Sono sicuro che tu sei uno di quelli che hanno la bella abitudine di partecipare spesso alla Eucarestia. Sei presente alla domenica e sei contento di essere presente anche tutte le volte che, come amico delle PGS, sei invitato a partecipare.
La presenza è importante. Rappresenta la condizione minima per condividere pienamente un evento. Purtroppo, però, qualcuno riesce ad essere presente fisicamente… ma con il cuore e il pensiero scorrazza altrove, sui campi da gioco dove deve veramente concentrare tutte le risorse, o in giro con gli amici, sui viali della città.
Conosco persone un poco più serie, che, ogni tanto, hanno il coraggio di interrogarsi sul senso della loro presenza ad un evento… che è abbastanza strano rispetto a quelli della vita quotidiana. Non vogliono mancarlo, ma ogni tanto si chiedono quale sia il suo senso, perché non basta di sicuro assicurare la presenza solo come risposta ad un invito o, peggio, ad un comando.
Cosa c’entra dunque la Messa con la mia vita e i miei progetti?
La domanda è seria. Se la pongono le persone serie: quindi… anche tu, mi auguro. Voglio suggerirti qualche cosa, chiedendoti di pensarci con un poco di calma e costruirti la tua risposta, utilizzando eventualmente queste mie battute.
Intitolo la mia risposta con una frase un poco misteriosa: l’Eucarestia è un pezzo di futuro, radicato nel passato, per sostenere il presente, duro e impegnativo.
Lo so che non brilla di chiarezza immediata. Per questo, mi devo spiegare.
Molti giovani (e non solo i giovani), per mille e differenti ragioni, vivono catturati dal presente. Fanno della loro vita un rincorrersi di piccoli frammenti di esistenza che produciamo e ci lasciamo alle spalle. Vissuta così, la nostra vita è muta e senza prospetti­va. Ci lascia nel buio di ogni presente perché chi è senza passato si trova, per forza, anche senza futuro.
L’Eucaristia ci aiuta a riallacciare, sul tempo che vi­vendo produciamo, il passato al presente e al futuro. Essa è la grande festa cristiana del presente tra pas­sato e futuro, tra memoria e profezia.
Il passato è rievocato come sorgente e ragione della festa nel presente. Non è quel pesante condizionamento che siamo costretti a tirarci dietro, spesso controvoglia; ma l'avvenimento che gli dà senso e lo riempie di ragioni. Il passato è costituito dalla storia di Gesù, dall’attesa che ha orientato l’esistenza del popolo ebraico, dalla fede coraggiosa dei suoi discepoli.
Celebrando l’Eucarestia, facciamo memoria di Gesù, di quella decisione d’amore folle che lo ha portato a dare la sua vita, liberamente, sulla croce, per restituirci la gioia di chiamare Dio con il nome di Padre e di scoprirci davvero fratelli. Ci ha invitato a non dimenticarlo mai e per questo, nell’ultima cena consumata con i suoi discepoli prima di morire, ha spezzato il pane tra loro e ha condiviso una coppa di vino, raccomandando di ripetere anch’essi lo stesso gesto, in suo ricordo.
Nell’Eucarestia viene anche anticipato il futuro. Ci fa vivere un frammento di quel futuro che ci è promesso e verso cui siamo in trepida attesa.
L’Eucarestia assomiglia a quello che hanno vissuto i tre discepoli che Gesù aveva invitati a seguirlo sul monte Tabor e così hanno potuto partecipare a quell’evento meraviglioso e imprevisto che chiamiamo “la Trasfigurazione”. Aveva parlato della sua morte ormai vicina. I discepoli l’avevano contestato in questa sua scelta, perché sembrava andare contro le loro attese. Gesù non sta a discutere: era inutile. Anticipa un poco di futuro, felice e glorioso, e così mostra che la morte non è la fine di tutto ma l’inizio di una esperienza nuova e affascinante. La Trasfigurazione è un pezzo di futuro, sperimentato tra le trame dure del presente.
Così è anche ogni celebrazione eucaristica: scoperta gratuita ed entusiasta dei segni della novità anche tra le pieghe tristi del­la necessità del presente. Per questo, possiamo vestire nel pre­sente i panni fantasiosi del futuro, senza passare per uomini che fuggono quelle responsabilità cui chiama ogni presente. Essa è quindi una grande esperienza trasformatrice. Aiuta a spezzare le catene del presente, senza fuggirlo. È un piccolo gesto di li­bertà, che sa giocare con il tempo della necessità e sa anticipa­re il nuovo sognato: il regno della convivialità, della libertà, della collaborazione, della speranza, della condivisione.
È importante ricordare che tutto questo non si realizza in un gioco d'intese, di realizzazioni o di compromessi. La sua radice è invece il mistero di Dio, reso presente nella pasqua del Crocefisso risorto.
Lo stretto collegamento tra celebrazione e vita quotidiana sollecita chi è tentato a leggere la propria esperienza solo dalla pro­spettiva del suo esito, quando asciugata ogni lacrima vivremo nei cieli nuovi e nella nuova terra, a misurarsi coraggiosamente con i gesti della necessità, nel tempo delle lacrime e della lotta. Nello stesso tempo, immerge nel futuro la nostra piena condivisione al tempo: in quel frammento del nostro tempo che è tutto dalla parte del dono insperato e inatteso. Dalla parte del futuro, il presente ritrova la sua verità, il protagonismo soggettivo acco­glie un principio oggettivo di verificazione.
In questa discesa verso la sua verità, siamo sollecitati a restare uomini della libertà e della festa, anche quando siamo segnati dalla sofferenza, dalla lotta e dalla croce.

Rendere “vero” quello che facciamo

La celebrazione eucaristica non è un gesto magico, che produce l’effetto quando le formula è pronunciata bene, senza errori od omissione.
L’esito è assicurato dall’intreccio continuo tra la presenza di Gesù e la nostra collaborazione.
In ogni Eucaristia facciamo memoria di Gesù che dona la vita a tutti, accettando liberamente la morte. Questo è il suo contributo alla nostra vita e alla nostra speranza. Non è poco, di sicuro. Ma… non basta.
Gesù stesso ci ha invitato a rendere disponibile la nostra collaborazione, facendo memoria di quello che lui ha fatto per dare la vita a tutti. Fare memoria non è come scorrere l’albo dei ricordi, sprofondati tranquillamente in una poltrona. Fare memoria è rivivere e attuare l’evento ricordato.
Questo è un punto molto importante su cui riflettere.
Nell’ultima cena Gesù ha condiviso un poco di pane e una coppa di vino, raccomandando di fare anche noi lo stesso, per ricordarci di lui e realizzare il suo progetto.
Il pane e il vino sono un segno della nostra disponibilità a condividere quello che Gesù ha fatto. Sostituendo le parole ai fatti, ripetere il gesto di Gesù, per ricordarci di lui, certamente significa celebrare sotto i segni del pane e del vino, consacrati e condivisi. Ma non solo questo. Se riducessimo a questo, resteremmo troppo nel formale, rischiando la tentazione facile di un poco di magismo.
La condivisione del pane e del vino richiede una condivisione molto più impegnativa: la disponibilità a dare ogni giorno, nel piccolo e nel grande, la nostra vita per la vita di tutti. Questo è l’evento che ci ha fatto passare da morte a vita in Gesù.
Lo dico chiedendo di riflettere su una cosa… strana.
Tutti sanno che Giovanni, nel suo Vangelo, non racconta l’ultima cena, come invece hanno fatto gli altri tre evangelisti. Viene spontaneo chiedersi: come mai?
Giovanni racconta il fatto del lavare i piedi ai discepoli, poco prima della cena finale. La lavanda dei piedi è narrata con un ritmo tutto speciale. Giovanni non racconta un fatto come gli altri. Ripete e riprende lo stesso schema con cui gli altri evangelisti hanno raccontato l’istituzione dell’Eucarestia. Il racconto termina con lo stesso invito: fate anche voi lo stesso, per ricordarvi di me. Prendete il pane e condividetelo, raccomandano i tre Sinottici. Lavatevi i piedi a vicenda, raccomanda Giovanni. Pane condiviso e lavanda dei piedi servono a ricordare e a rendere attuale il dono d’amore di Gesù per noi.
Sottolineo una mia convinzione.
Giovanni era preoccupato perché stava constatando, dopo 50 anni dalla morte e resurrezione di Gesù, che troppi cristiani si erano ridotti a fare memoria di Gesù… sulla strada facile del condividere il pane e il vino invece di dare la propria vita per amore. E allora… cambia il segno: ne sceglie uno molto più impegnativo e provocante.
L’Eucarestia produce vita nell’incontro tra Gesù, che si consegna a noi per amore, e ciascuno di noi, che si rende disponibile a lavare quotidianamente i piedi ai fratelli.

Tornare a Gerusalemme dopo la celebrazione eucaristica

L’Eucarestia si conclude con una constatazione che diventa un invito caldo: La messa è finita… ricomincia la vita quotidiana. Nell’Eucarestia siamo diventati persone nuove. Ora dobbiamo mostrarlo con i fatti nella nostra vita concreta.
Abbiamo un esempio davanti, solenne e impegnativo.
Tutti ricordiamo quello che è capitato ai due discepoli di Emmaus. Fuggivano, disillusi e disperati da Gerusalemme, dopo la morte di Gesù. Quando a cena con lui, celebrando una specie di prima Eucarestia, hanno scoperto che era veramente risorto, sono tornati di corsa a Gerusalemme, per gridarlo a tutti.
Anche noi, celebrando l’Eucarestia, come i discepoli di Emmaus ritroviamo le ragioni più profonde della speranza e un desiderio ardente di “tornare a Gerusalemme”, per inondare tutti di questa speranza. Dalla Gerusalemme dell’Eucaristia ritorniamo alla Gerusalemme della vita quotidiana.