Educare alla Costituzione /16
Raffaele Mantegazza
(NPG 2012-03-62)
Dare ossigeno alla Costituzione. Questo è il compito di ogni educatore ed educatrice democratici, ovvero di ogni educatore ed educatrice che possano legittimamente esercitare il loro compito in Italia. Perché l’educazione alla Costituzione e alla democrazia non è una opzione o una scelta: è l’obbligo politico, etico e civile di chiunque educhi nel nostro paese.
Come fare però a recuperare le giovani e giovanissime generazioni ai valori della Costituzione? Come ottenere ragazzi e ragazze che portino in se stessi lo stesso animo democratico di Giordano Cavestro (Mirko), giovane partigiano di 18 anni fucilato nel 1944, che affida alla sua ultima lettera riflessioni poetiche:
Parma, 4-5-1944
Cari compagni, ora tocca a noi.
Andiamo a raggiungere gli altri tre gloriosi compagni caduti per la salvezza e la gloria d’Italia. Voi sapete il compito che vi tocca. Io muoio, ma l’idea vivrà nel futuro, luminosa, grande e bella. Siamo alla fine di tutti i mali. Questi giorni sono come gli ultimi giorni di vita di un grosso mostro che vuol fare più vittime possibile. Se vivrete, tocca a voi rifare questa povera Italia che è così bella, che ha un sole così caldo, le mamme così buone e le ragazze così care. La mia giovinezza è spezzata ma sono sicuro che servirà da esempio. Sui nostri corpi si farà il grande faro della Libertà.
Ma sbaglierebbe chi pensasse che questi valori, questo spirito di sacrificio siano lontani dai nostri giovani. Chi vive e lavora con i ragazzi e le ragazze sa bene di quali straordinari sforzi etici e di quale e quanta generosità essi ed esse siano capaci, basti pensare alle migliaia tra loro che popolano le associazioni di volontariato. Le figure dei giovanissimi partigiani Eurialo e Niso, narrati dall’omonima canzone dei Gang, non sono poi così lontane, nella loro tragica amicizia, dalla sensibilità dei nostri giovani:
La notte era chiara,
la Luna un grande lume
Eurialo e Niso uscirono dal campo verso il fiume.
E scesero dal monte lo zaino
sulle spalle,
Dovevano far saltare il ponte
a Serravalle.
Eurialo era un fornaio e Niso
uno studente,
Scapparono in montagna
all’otto di settembre
I boschi già dormivano,
ma un gufo li avvisava.
C’era un posto di blocco
in fondo a quella strada.
Eurialo disse a Niso
asciugandosi la fronte
«Ci sono due tedeschi di guardia
sopra al ponte».
La neve era caduta
e il freddo la induriva
ma avevan scarpe di feltro,
e nessuno li sentiva.
Le sentinelle erano incantate
dalla Luna,
Fu facile sorprenderle
tagliandogli la fortuna,
Una di loro aveva una spilla
sul mantello,
Eurialo la raccolse e se la mise
sul cappello.
La spilla era d’argento,
un’aquila imperiale
Splendeva nella notte
più di un aurora boreale.
Fu così che lo videro i cani
e gli aguzzini
Che volevan vendicare
i camerati uccisi.
Eurialo fu bloccato in mezzo
a una pianura,
Niso stava nascosto coperto di paura
Eurialo lo circondarono
coprendolo di sputo,
A lungo ci giocarono come fa il gatto col topo.
Ma quando vide l’amico
legato intorno a un ramo,
Trafitto dai coltelli
come un San Sebastiano
Niso dovette uscire,
troppo era il furore
Quattro ne fece fuori prima di cadere.
E cadde sulla neve ai piedi dell’amico,
E cadde anche la Luna
nel bosco insanguinato,
Due alberi fiorirono vicino al cimitero,
I fiori erano rossi,
sbocciavano d’inverno.
La notte era chiara,
la Luna un grande lume
Eurialo e Niso uscirono dal campo verso il fiume.
Così come non sono lontani dai ragazzi di oggi le figure ispiratrici di questa canzone, gli Eurialo e Niso narrati da Virgilio (Eneide, IX 424-445).
Quello che occorre è risvegliare la forza etica e civile, morale e religiosa dei ragazzi e delle ragazze e conferirle una direzione politica. La nostra Costituzione è un testo straordinario dal punto di vista dell’affermazione e della tutela dei diritti, ma questo non può bastare, altrimenti si corre il rischio di ripetere l’errore che condannò a morte la Repubblica di Weimar. L’apparato democratico weimariano, pur straordinariamente evoluto quanto a coerenza normativa e ad affermazione dei diritti dei cittadini, ha infatti faticato a penetrare in quella sfera intima che stabilisce e determina quante e quali parti di sé ogni singolo cittadino è disposto a sacrificare ( e qui non si parla tanto di beni materiali ma di parti simboliche di sé e della propria immagine) a favore delle procedure di legittimazione e di affermazione di un determinato assetto politico, sociale, economico. La democrazia è da sempre la difficile arte del chiedere ai cittadini di rinunciare ai propri egoismi di parte in funzione di un bene collettivo e di quella che è la più alta conquista dell’Occidente democratico: la partecipazione. Ma questo fine si ottiene solamente se si è compiuto uno sforzo per rendere appetibili dal punto di vista affettivo democrazia e partecipazione, ovvero se le cittadine e i cittadini sono in grado di identificare questi due aspetti del vivere associato con le loro sfere più intime, con i loro più segreti desideri, con la profondità del loro mondo affettivo.
Quando si studia la Germania pre-hitleriana a colpire è invece soprattutto l’indifferenza delle giovani generazioni nei confronti della politica, della istituzioni e della democrazia; in una situazione che è per questo verso drammaticamente simile a quella attuale, i ragazzi e le ragazze che popolavano la Germania nel primo dopoguerra erano intimamente convinti che «la politica è una cosa sporca» e soprattutto che si tratta di una cosa ben poco affascinante; potremmo dire che ai giovani e agli adolescenti la politica non seppe parlare; non seppe cioè pronunciare quelle parole profonde che vanno a toccare la dimensione emotiva dei giovani, risvegliando così il loro desiderio di identità e di appartenenza a un progetto comune. Se i giovani non si sono interessati di politica nel 1930 è stato anche perché la politica non ha fatto assolutamente nulla per rendersi interessante e seducente nei confronti dei giovani; almeno finché qualcuno, dalla destra estrema antisemita e criminale, non ha scorto proprio nei giovani una sorta di territorio vergine da colonizzare e l’ha investito con una serie di dispositivi pedagogici di conquista del consenso soprattutto a livello simbolico, emotivo e affettivo.
È a questo livello allora che deve collocarsi una autentica educazione alla democrazia e alla Costituzione; il suo compito è prendersi carico delle ansie e delle angosce, delle gioie e delle speranza dei giovani e condurle oltre. Oltre l’egoismo, oltre la paura del futuro, oltre l’individualismo e la violenza:
Oltre il dubbio ed il vuoto
oltre il silenzio ed ancora più in là
se hai spiato la morte
da dietro i vetri della tua età.
Ti prego ancora tieni duro
ho bisogno di te
per prendere al collo il futuro
per prenderci tutto
per me per te.
Questo grande freddo
dai nostri cuori vedrai se ne andrà
verrà un nuovo giorno
e bruceremo queste città.[1]
E allora ci piace concludere questa rubrica con le parole di una persona che ai giovani credeva davvero e che proprio nei giovani vedeva l’unica possibilità per far crescere la Costituzione per darle ossigeno, per farla nuovamente respirare:
Quanto sangue e quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, questo è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.[2]
NOTE
[1] The Gang, Oltre.
[2] Dal Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei 26 gennaio 1955.