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    Criteri e livelli di maturità cristiana



    Guido Gatti

    (NPG 1971-05-31)

    Lo studio di Gatti è il completamento ideale delle riflessioni precedenti.
    Il preadolescente con cui siamo a contatto è un uomo che di fatto è pervaso di vitalità soprannaturale. L'impegno educativo richiesto a noi educatori-pastori, consiste nel rivelargli tutto ciò, nel guidare cioè ciascuno a prendere coscienza di una propria appartenenza «al regno».
    C'è un altro fatto, a cui Note di Pastorale Giovanile crede e per cui si batte: il punto di arrivo di un processo educativo di servizio per l'uomo reale è l'educazione ad una vita cristiana. In prospettive oggettive, la completezza dell'uomo è la sua coscienza esplicita di appartenere ormai a «cieli nuovi e terre nuove», vivendo da figlio di Dio, compiendo cioè «atti di fede, speranza, carità nelle quotidiane situazioni concrete» (RdC, 30), nella Chiesa.
    Per tutti questi motivi, ci pare logico che lo studio sulla maturità preadolescenziale si concluda con annotazioni relative alla sua maturità «cristiana».
    La distinzione in due settori (maturità umana e maturità cristiana) scelta per condurre avanti queste riflessioni, non e rifiuto pratico di quanto è stato affermato teoricamente (cf l'introduzione: innesto tra naturale e soprannaturale) ma è sforzo di delimitare con precisione i termini della questione, proprio per descrivere con attenzione e competenza i due processi. La distinzione è per noi puramente funzionale per il momento educativo.
    Nella vita i due processi sono complementari. sono (e vanno continuamente condotti) in reciproca integrazione. Il preadolescente è maturo quando vive la sua spinta ad essere, con una continua apertura al trascendente e vive la sua fede in rapporto alla sua permanente maturazione.
    È tanto vero l'innesto, che nei due studi i richiami sono frequentissimi.
    Per completare, con un approfondimento personale, le istanze qui emerse, offriamo una rassegna di testi particolarmente significativi.
    Babin, I giovani e la fede (ed. Paoline);
    Gemelli, La psicologia dell'età evolutiva (Giuffré);
    Guittard, L'evoluzione religiosa degli adolescenti (Ed. Paoline);
    Kjim, Educazione alla fede (LDC);
    Liégé, Adulti nel Cristo (Borla);
    Nosengo, La vita religiosa dell'adolescente (AVE).

    LA MATURITÀ CRISTIANA

    Che cosa si intende per maturità cristiana?
    Maturità cristiana è la maturità della vita teologale e della conformazione a Cristo; cioè la maturità della fede e della carità come momenti di una scelta di fondo, di una opzione fondamentale che anima tutta la vita e che diventa il vertice e il centro di unità interiore di tutta la persona. Quando si parla di maturità cristiana ci si richiama evidentemente al fatto che la fede e la vita teologale hanno una storia, si evolvono nella persona umana e insieme con essa, maturano, passando da livelli embrionali, imperfetti, a livelli di maggior perfezione, di più compiuto sviluppo (RdC 123).
    Qui dobbiamo già introdurre una precisazione fondamentale: la vita teologale, non costituisce un mondo a sé, non esiste staccata dal resto della persona, in un suo compartimento stagno, priva di riferimenti alla sua storia ed ai suoi contenuti esistenziali, in più o meno parziale sostituzione di altri valori umani o addirittura in conflitto e in concorrenza can questi valori (concezione alternativa dei rapporti religione-realtà terrene); la fede è invece la consapevolezza (dono di Dio, prodotta in noi dall'accoglimento della sua parola) del valore e del significato divino delle realtà umane, è la capacità di vedere e accogliere il mistero di Cristo che si rivela e si offre nelle esperienze della vita e della storia umana; la carità è l'adesione libera dell'amore al Cristo che così mi viene rivelato dalla fede; adesione libera che non ha una sua esistenza indipendente ma si incarna totalmente nell'assunzione dell'impegno morale, nell'amore dei fratelli e nella realizzazione dei valori umani.
    La vita cristiana sta quindi alla persona umana, alle sue esperienze, al suo crescere, al suo attuarsi e dispiegarsi nella storia, come la consapevolezza di un valore sta alle realtà in cui questo valore si incarna e in cui l'esperimento, cioè come l'anima sta al corpo, cresce con esso, non esiste se non in esso, gli è perfettamente coestesa e con-vivente.
    Una vita teologale matura (in senso proprio) è quindi solo quella che anima, ispira (e divinizza) una personalità umanamente matura (RdC 124).
    Quando si parla di maturità cristiana del preadolescente si parla evidentemente di maturità in senso relativo: si intende cioè parlare di quel livello di maturità cristiana che è normale in un preadolescente (e che può essere anche assai bassa in senso assoluto), si parla di quel livello di fede che è possibile in concreto ad un preadolescente, che è adeguato alle sue esperienze di vita, che è intimamente fuso con una maturazione umana sana e normale per quell'età.
    Il livello di maturità cristiana del preadolescente è cioè quel livello di vita teologale capace di animare e di ispirare cristianamente (nell'ambito dei limiti di consapevolezza e di libertà esistenti a questo livello di sviluppo umano) le esperienze di vita e la crescita umana del preadolescente.

    I LIMITI DELLA MATURITÀ POSSIBILE IN UN PREADOLESCENTE

    I limiti precisi che l'età stessa pone alla maturità cristiana possibile in un preadolescente vengono quindi da due direzioni: da ciò che potremmo chiamare l'anima della vita cristiana e da ciò che ne potremmo chiamare il corpo.
    * L'anima della vita cristiana è come si è visto la vita teologale, cioè la fede in quanto consapevolezza del divino presente nella vita e la carità in quanto sua libera accettazione attraverso la piena assunzione dell'impegno morale umano.
    Essa suppone quindi l'ascolto e la disponibile apertura alla parola di Dio che illumina e svela il divino offerto a noi nell'umano, e la libertà di disporre di sé, in profondità e totalità, nell'accettare l'invito salvifico di Dio, libertà evidentemente necessaria a una autentica carità (che è sempre una scelta di fondo).
    * Il corpo della vita cristiana sono le stesse esperienze umane, gli impegni e le responsabilità terrene, il lavoro creativo con cui l'uomo si autorealizza edificando il mondo umano e aprendosi agli altri: tutto ciò insomma in cui la fede fa vedere presente la chiamata divina, la proposta divina di salvezza soprannaturale, in una parola quella autorealizzazione umana in cui il sì dell'uomo a Dio si esprime, prende corpo e si verifica.

    Fede e esperienze limitate

    Ognuna di queste due componenti della vita cristiana pone per il preadolescente dei precisi limiti al livello di vita cristiana che gli è possibile, limiti dovuti proprio all'età, cioè all'immaturità generale della persona ancora in via di sviluppo.
    * Da un lato le esperienze umane sono ancora limitate, la consapevolezza che il preadolescente ne ha, le valutazioni che ne può dare, le responsabilità che può consapevolmente affrontare sono molto ridotte, forse più di quanto abitualmente siamo portati a pensare.
    L'orizzonte di ricchezza umana esistenziale di cui la fede deve essere consapevolezza e animazione è quindi stretto.
    * Ma la fede stessa in quanto consapevolezza esplicita del mistero di Cristo che si nasconde nella realtà umana e mi si propone in essa come mistero di salvezza è ancora più limitata, dal carattere frammentario, superficiale, grettamente materialistico, sincretico (secondo l'espressione del Piaget) della sua conoscenza e dal grado imperfetto e legato di libertà con cui il preadolescente si possiede e dispone di sé.
    Ricerche e prove oggettive sul livello di conoscenza religiosa degli alunni in questo periodo dell'età evolutiva, condotti con serietà danno risultati molto deludenti sulla conoscenza consapevole delle verità della fede da parte del preadolescente. Particolarmente ciò che supera una certa religiosità naturale generica per essere specificamente cristiano (il rapporto di intimità familiare con il Dio uno e trino, la grazia, la storia della salvezza e il carattere storico del nostro rapporto con Dio, il mistero della chiesa, ecc.) resta molto al margine della mentalità religiosa del preadolescente, nonostante il bombardamento massiccio (ma forse sconsiderato) di tanta istruzione religiosa.
    Del resto, a riprova di tutto ciò, l'uomo maturo, se cerca di ricostruire la storia religiosa della sua vita, è generalmente portato a negare ogni valore alle sue esperienze religiose di quel periodo, a ritenerle puramente indotte dall'esterno, e quindi superficiali, non veramente sentite e condivise; egli è portato a porre piuttosto l'inizio della sua vera esperienza religiosa al momento dell'adolescenza, cioè al momento del primo inizio di una autentica vita interiore personale.

    La libertà del preadolescente

    Sul piano della libertà, gli psicologi tendono a negare al preadolescente una vera capacità di disporre di sé in libertà fondamentale e quindi tolgono all'impegno morale del preadolescente quel valore di libera e responsabile attuazione di sé in libertà fondamentale e quindi di opzione fondamentale per Dio o contro di lui, di risposta decisiva all'appello che egli ci rivolge in Cristo per la nostra salvezza. Risposta di fondo che invece sembra già (almeno in parte) possibile nell'adolescenza vera e propria.
    Questo potrebbe essere confermato dall'osservazione empirica del comportamento del preadolescente: secondo molti educatori esso può essere bene definito come «opportunistico»; egli è di volta in volta disciplinato, disponibile, volonteroso ma anche estremamente pigro, scatenato, volgare e grossolano, senza qualificarsi mai veramente a fondo e quindi anche senza mai smentirsi. Le classi più indisciplinate, le cricche più ribelli e strafottenti sono quelle formate da preadolescenti, che pure forniscono il materiale più usato per le attività parrocchiali, liturgiche, oratoriane ecc.
    In realtà il preadolescente è in balìa dell'ambiente, dei compagni, dell'educatore, non è se stesso in modo autonomo perché non è veramente libero se non di una libertà che è adesione facile, spontanea ma quasi passiva allo stimolo e alla pressione che agisce su di lui con più forza. Questo spiega perché nel campo specificamente religioso il preadolescente sia così poco personale, così poco interiore. Normalmente egli non sa pregare in modo autenticamente personale, né accompagnare con adesione interna la preghiera comunitaria.
    Anche nel suo rapporto con Dio egli è essenzialmente un rimorchiato: al di là di tutte le apparenze la sua religiosità è soprattutto esteriore.

    Una maturità limitata

    Tutto ciò pone quindi dei limiti precisi al livello di maturità cristiana possibile in un preadolescente. Non solo infatti manca molto di quella maturità umana che una fede matura dovrebbe ispirare e animare, ma la stessa consapevolezza della fede e la libertà della volontà nell'aderire alla proposta salvifica di Cristo, sono necessariamente imperfette, e questo per i limiti di sviluppo dell'intelligenza e della volontà.
    Non c'è infatti fede esplicita e compiuta senza ascolto e comprensione della parola di Dio, e non c'è vera carità (naturalmente si parla della carità esplicita; la carità embrionale dei «cristiani anonimi» qui non è in questione) se non c'è una vera libertà, capace di assumere l'impegno morale come responsabilità davanti a Dio.

    CRITERI NEGATIVI DI QUESTA MATURITÀ

    Quali possono essere quindi le caratteristiche di questa maturità cristiana limitata e relativa del preadolescente?
    Anzitutto in senso negativo: la maturità di fede possibile nel preadolescente consiste in una fede che sta normalmente e sanamente superando la sua fase infantile.
    E quali sono le caratteristiche di una fede infantile?
    * La fede infantile, cioè la fede del fanciullo, la fede che è normale in un fanciullo bene educato cristianamente, è innanzitutto una fede totalmente dipendente dalla fede dei genitori.
    * È una fede formulata in maniera infantile, noi diremmo quasi fiabesca (e infatti il fanciullo non sempre la distingue dal mondo delle fiabe).
    * La fede infantile è inoltre una fede basata su una concezione interessata, meccanicistica, magica del rapporto con Dio, una fede quindi nel Dio «tappabuchi» di Bonhoeffer, che risponde all'esigenza infantile di protezione e al desiderio fanciullesco di evasione magica dai limiti dell'esistenza.
    * Nel fanciullo inoltre la fede accompagna e anima un impegno morale passivo e indotto (la coscienza morale-religiosa è una semplice introiezione dell'autorità parentale: per questo la fede è sentita e vissuta spesso come qualcosa di negativo, come una proibizione, un freno all'espansione istintiva dell'ES).
    Il preadolescente non ha ancora superato del tutto queste caratteristiche limitanti della fede infantile, ma le va normalmente superando tanto più quanto più si avvicina all'adolescenza vera e propria.
    Il superamento della fede infantile non deve però portare il preadolescente al superamento della fede «tout court», al disprezzo della religione, ma deve maturare gradualmente in un modo di pensare e di vivere il suo SI a Dio, più consono alla sua età e alla sua psicologia.

    CRITERI POSITIVI

    Restano appunto da vedere quali siano i criteri positivi di questo modo di pensare e di vivere il proprio sì a Dio consono all'età e al livello di sviluppo del preadolescente.

    La fede del preadolescente

    La fede che possiamo considerare matura, relativamente all'età preadolescenziale, è anzitutto una fede che assume pienamente le caratteristiche positive del livello di maturazione umana del preadolescente, che porta quindi nell'ambito della vita cristiana le caratteristiche positive che differenziano il preadolescente dal fanciullo, che riproduce a livello di consapevolezza di fede e di adesione della volontà al mistero di Cristo le acquisizioni positive di consapevolezza e di libertà che sono tipiche dell'età, acquisizioni che sono del resto, come si è visto, limitate.
    La preadolescenza è l'età in cui appare, all'inizio molto imperfettamente, ma più avanti in misura crescente e con maggior chiarezza, la logica formale in sostituzione della logica concreta del fanciullo. Questa apparizione diventa l'occasione per una prima sistemazione, ancora molto imperfetta e labile, delle verità espresse dall'insegnamento religioso. Il senso della concretezza resta però sempre molto forte (come limite ma anche come qualità positiva) e quindi questa sistemazione dovrà avere il più possibile i caratteri della concretezza e dell'adesione alla realtà vissuta.
    Il ragazzo comincia a porsi le prima difficoltà di carattere dottrinale, si fanno largo i primi dubbi, favoriti dal contesto di pluralismo religioso in cui viviamo. È quindi il momento di aiutare il ragazzo a risolvere gradualmente queste difficoltà, scoprendo il carattere di ragionevolezza della fede come anche però il fatto che essa non è legata ad una evidenza di tipo matematico ma dipende sempre in certa misura da una opzione della volontà. Il preadolescente quindi ha bisogno di spiegazioni il più possibile comprensibili ed esaurienti, ma anche di cominciare a scoprire che non si può credere, senza una simpatia previa per il messaggio di Cristo e per la sua persona.
    Il preadolescente raggiunge generalmente un livello maggiore di indipendenza dalla famiglia (se è maschio soprattutto dalla mamma, e questo in dipendenza di una certa accentuazione, più ostentata che reale, della sua psicologia maschile); è un progresso di libertà personale troppo spesso esiguo e controbilanciato dal gregarismo spinto e dalla dipendenza dalla «banda» tipica dell'età. Essa tuttavia può essere l'occasione per un certo sganciamento della vita morale dai tabù familiari, il primo piccolo passo nella formazione di una coscienza e di un impegno morale più autonomo, difficile impresa che la maggior parte degli uomini non porta sostanzialmente a compimento neppure da adulti.

    Fede e vita

    - Tutto questo riguarda la vita cristiana, in quanto consapevolezza esplicita, cioè la vita cristiana nella sua anima teologale esplicita. Ma l'anima non esiste senza un corpo; la vita teologale senza un complesso di esperienze terrene da ispirare e da animare.
    La fede e la carità dell'adolescente non sono mature (neppure relativamente all'età) se non assumono e sorreggono dal di dentro le sue esperienze umane, in particolare quelle specifiche, che differenziano la preadolescenza dalla fanciullezza e quindi significano una crescita e uno sviluppo.
    Quali sono queste esperienze e queste caratteristiche?
    Ogni enumerazione potrebbe sembrare arbitraria, anche perché in realtà non esiste una preadolescenza ma dei preadolescenti, e ogni generalizzazione potrebbe falsare la realtà.
    Enumeriamo alcune caratteristiche generalmente ritenute comuni all'età, ma solo a titolo di esemplificazione.
    * Innanzitutto sembra essere tipica della preadolescenza l'assimilazione di modelli (diversi dai genitori) con caratteri di grandezza e di eccezionalità, la tensione (più fantastica che reale) verso un certo ideale eroico di vita, concretizzato in un eroe concreto, ammirato e velleitariamente imitato.
    L'assunzione da parte della fede e della vita teologale di questa esperienza del ragazzo non comporterà tanto l'identificazione dell'eroe con un personaggio religioso (Gesù o D. Bosco o Domenico Savio); anche questo forse, ma più ancora il riconoscimento del significato religioso di questa aspirazione all'eroico, il riconoscimento che c'è in esso un segno di una chiamata divina.
    * Un'altra esperienza tipica dell'età è un certo tipo di socievolezza che spinge il preadolescente a radunarsi in bande di coetanei, generalmente di carattere extrascolastico, legate da un forte senso di solidarietà e di cameratismo e da un certo senso di fedeltà e di lealtà a un capo naturale, indiscusso.
    Il preadolescente è così disponibile a una prima, sia pure molto imperfetta, esperienza comunitaria del cristianesimo. Ma soprattutto è in grado di comprendere, in questo suo graduale aprirsi agli altri, la possibilità di incontrare in essi il Signore. La parte materialmente più estesa e anche moralmente più significativa del suo rapporto con Dio, del suo amore a Dio, prenderà corpo (nella sua vita di adulto) nell'apertura ai fratelli: egli andrà a Dio soprattutto attraverso quello che Congar chiama il sacramento del prossimo. È un'esperienza che deve crescere gradualmente col crescere della sua vita sociale, dei suoi rapporti umani con gli altri. Man mano che si apre ad essi, deve saper scoprire in questa apertura l'apertura a Dio.
    * Un altro elemento tipico dell'età è dato da un più vivace bisogno di agire indipendente. Mentre il fanciullo esaurisce il suo bisogno di agire nel gioco e nel dovere scolastico, il preadolescente, opportunamente guidato può iniziare ad occuparsi seriamente di attività extrascolastiche personali, come ad es. gli hobbies. Sono elementi preziosi per una educazione umana, esperienze arricchenti e personalizzanti, che la fede assume come momenti di una autorealizzazione che è sviluppo di doni di Dio e risposta responsabile a una sua chiamata.
    * Ma l'esperienza di base del preadolescente, quella che permea tutte le altre e dà ad esse unità e senso, è l'esperienza del crescere, del diventare più adulto, del maturare, dell'arricchirsi sempre di più attraverso tutte le esperienze e tutti gli eventi. Il ragazzo desidera ardentemente crescere, si sente un essere che cresce e si sviluppa. La fede farà vedere al preadolescente nel suo crescere un dono di Dio, ma un dono che impegna e che responsabilizza: un dono che può essere diversamente utilizzato. La sensibilità cristiana farà assumere al ragazzo il suo impegno di crescere (che è l'impegno morale di base perché tutti i comandamenti si possono ridurre all'unico: sii o meglio diventa te stesso, inventati nella fedeltà alle leggi oggettive dell'amore) come risposta di fondo al Dio che chiama all'esistenza e alla salvezza, al Dio sempre fedele al suo amore creativo e salvifico.

    IL CRITERIO DELL'UNITÀ INTERIORE

    Un posto e una attenzione a parte nella disanima di quelli che potremmo chiamare i criteri positivi della maturità cristiana del preadolescente meritano l'unità e la coerenza interna della vita religiosa con tutto lo sviluppo della personalità, che essa deve animare e indirizzare a Dio.
    Purtroppo, spesso il periodo della preadolescenza è il periodo dell'inizio di quella frattura tra coscienza e pratica religiosa da una parte e vita umana con i suoi compiti terreni e le sue responsabilità intramondane dall'altra, che affliggono il cristianesimo oggi. Si direbbe che l'educazione religiosa, per copiosa e benintenzionata che sia, non riesca a tenere il passo con la crescita umana e con il progressivo ingresso del preadolescente nel mondo degli impegni e degli interessi terreni. L'unico settore dello sviluppo con cui la coscienza religiosa riesce a mantenere un certo contatto è quello incipiente della sessualità; ma anche qui purtroppo, è solo con le inibizioni, le segrete vergogne e gli occulti ma tormentosi sensi di colpa che accompagnano i primi momenti di questo sviluppo, che la religione finisce per identificarsi; non con i suoi aspetti esaltanti e positivi, che restano invece un'esperienza tipicamente non-religiosa quando non addirittura in contrasto con l'esperienza religiosa.
    La causa di questa frattura non è tanto la mancanza di istruzione religiosa, di cura religiosa da parte degli educatori e dei pastori; questa istruzione anzi pecca generalmente per eccesso, almeno quantitativo, mentre la cura e l'attenzione educativa e pastorale sono a volte addirittura ossessive.
    Il fatto è che questa istruzione e questa educazione per una certa pavidità tradizionale di fronte a certi temi (sessualità), per eccessiva preoccupazione di completezza astratta e formale, di fedeltà ai programmi astratti (riproducenti a volte in piccole «summule» tutto l'arco della riflessione teologica tradizionale) perde il contatto con la vita vissuta, diventa un mondo a sé, che impegna sempre meno interesse e meno spazio psicologico nella vita dell'adolescente. Ora questo è tutt'altro che un sintomo di maturità di fede e di vita cristiana: è anzi il segno patognomico di una paralisi progressiva del momento religioso della vita, che, separato dagli altri aspetti umani che esso dovrebbe animare, e a cui dovrebbe dare un senso e una destinazione soprannaturale, finisce per perdere ogni mordente, per restare immaturo e fondamentalmente sterile per tutta l'esistenza.
    La fede matura è tutto l'opposto: secondo «Il rinnovamento della catechesi», è una esperienza umana integrale che si inserisce e si integra nelle risorse naturali dello spirito e di tutto l'uomo, elevandone singolarmente le capacità (26). La fede - esso dice ancora - deve essere integrata nella vita; la coscienza del cristiano non conosce frattura, è profondamente unitaria; la fede deve diventare prospettiva organica e dinamica di tutta l'esistenza (53).

    Compito della catechesi

    Compito della catechesi dovrebbe quindi essere quello di svelare al ragazzo il senso umano prima e poi cristiano delle sue esperienze: del lavoro, del dovere, dell'amore, del crescere ecc. (RdC 128-133). Questa aderenza alle esperienze di vita del ragazzo dovrà preoccupare molto di più che la fedeltà a un programma prefissato sia pure da autorità più che rispettabili. Nel RdC si riassume ogni suggerimento metodologico sotto la formula «fedeltà a Dio e fedeltà all'uomo»; potremmo dire fedeltà a Dio nella fedeltà all'uomo; fedeltà all'uomo, al ragazzo concreto (Paolo VI direbbe «fenomenico») che è infinitamente più importante della fedeltà a qualsiasi programma.
    Una catechesi del genere forse non preparerà al concorso Veritas o alla gara finale di religione, ma certo prepara (magari da lontano però in modo autentico) all'incontro con Dio nella propria vita, e non in un settore sterilizzato di essa. Del resto non sono i tempi brevi ma quelli lunghi che contano.


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