Pietro Gianola
(NPG 1975-02-18)
Dobbiamo superare quella distorsione culturale e sociale che distingueva tra professioni «liberali» e lavori «servili». In questa concezione dualistica del lavoro e dell'uomo, la realizzazione di sé era strettamente legata alle cose che si facevano.
Il problema è un altro: la necessità di scegliere, sempre, tra «identificazione» (quel processo mediante il quale ogni soggetto si fa un'idea di sé come realtà, impegno, problema e da cui si proietta nel futuro come progetto di fedeltà e di sviluppo) e «alienazione» (quando la vita non sale al «cervello», quando l'esistere, l'avere dignità e vocazioni non diventa sapere di essere).
Nel lavoro quotidiano e nelle scelte professionali c'è un'alternativa che liberi dalla alienazione per far maturare una piena identificazione? A quali condizioni reali si può parlare di identificazione?
Non è il caso di scrivere un trattato. Neppure di delinearne lo schema. L'argomento brucia tra le mani. Scotta. È uno degli aspetti più tragici dell'esistenza degli uomini di ogni tempo. Perciò dovrebbe essere anche un campo prioritario della redenzione nella novità di Pasqua.
Invece stiamo andando ancora a fondo. Non si vedono che speranze, o illusioni.
Ereditiamo dai secoli passati una distinzione disumana, purtroppo trascinata sia in tempi pagani che in tempi cristiani senza sensi di vergogna, perciò senza urgenza di cambio, per la rivolta degli uni, per la conversione degli altri. Voglio alludere alla distinzione tra professioni liberali e lavori servili, secondo una concezione dualistica del lavoro e dell'uomo.
Se ogni uomo avesse fatto un po' dell'una cosa e un po' dell'altra, si potrebbe pensare a una distinzione del fare. Invece la tendenza era per una distinzione degli uomini, dei figli dello stesso Padre, dei fratelli (che razza di fraternità!): due maniere, due misure d'essere uomini.
Le professioni libere erano e sono quelle che nella concezione comune (e in parte nella realtà) sono proprie dell'uomo, liberatrici dell'uomo, espressione delle sue doti di pensiero, sentimento, immaginazione, progetto, scelta, creazione, legate agli interessi, fondate su cultura e scienza. I lavori servili erano quelli caratterizzati dalla fatica spesso brutale, dall'impiego della forza fisica, ripetitivi, esecutivi, destinati a fornire soddisfazione alle necessità primarie, stretti nel cerchio materia-energia (da qui lo sviluppo della macchina come sostituto, potenziamento, economia, strumento). Per lo più erano destinati a «servire» altri uomini come «asserviti» ad essi per dar loro la libertà di dedicarsi ad attività di ozio o negozio d'esseri superiori.
È evidente lo scoppio di binomi oggi tutt'altro che dissolti: identificazione e alienazione, salvezza e condanna, redenzione e dannazione. Questa è stata e resta l'ambivalenza del lavoro, della professione. Oggi la si soffre in maniera nuova, più sottile, per il nuovo modo di riproporsi.
L'UOMO TRA IDENTIFICAZIONE E ALIENAZIONE
L'uomo è un soggetto che vive tra l'impegno di fedeltà all'essere che egli è e sa di essere e l'impegno di indefinita (infinita) liberazione di quello stesso essere nel crescere, nell'agire, nell'operare con gli altri e per gli altri, nella comunione e nella convivenza con Dio, nel produrre, cioè nel vivere come uomo.
Scoprire la propria identità d'uomo, conquistare l'idea di sé, viverla e buttarla incessantemente in avanti come ideale di sé riconosciuto, aiutato, stimato, accettato, valutato e valorizzato nel progetto della vita: è il diritto e il dovere di ogni giovane, è entrare nel mondo, è salvarsi, è vivere. Dentro ognuno di noi c'è qualcosa di fondamentale. È la spinta che urge dalle radici della natura che vuole venir fuori, farsi, crescere, realizzare le sue possibilità, è la coscienza intelligente della stessa natura che sta alla base di una specie di vocazione prepotente a realizzarsi realizzandola nei suoi diversi settori, dalla base fisica fino agli atti più alti dell'uomo in quanto uomo: pensare, volere, amare, scegliere, progettare, comunicare, credere, come soggetto, come fine, come valore, protagonista responsabile dei propri gesti.
La conquista e la salvezza della propria identità personale è la prima legge della vita.
Piante e animali hanno anch'essi una prima legge di sviluppo. Ma non si può parlare di una loro ricerca di identità. Tale sviluppo, tale espressione operativa della loro natura non è mediata dalla coscienza di sé, com'è nell'uomo, unico essere per il quale è una vera liberazione.
È il nostro privilegio e il principio, insieme, o della felicità d'essere e di affermarsi o dell'infelicità di vedersi mortificati, bloccati, impediti o non aiutati, emarginati dall'umanità, anche solo fatti oggetti, mezzi, strumenti, macchine da lavoro e produzione.
Non serve avere un corpo se esplorandoci e provandoci fin da bambini, nell'adolescenza, da adulti, rispecchiandoci negli altri, non sappiamo di essere corpo con tutto ciò che comporta di parti, funzioni, capacità d'uso e di realizzazione.
Non serve neppure avere un'anima per una vita specifica di creature ragionevoli finché non si sa d'esserlo. Non serve appartenere a una più vasta natura, a una società umana geografica e storica, a una storia di salvezza di figli di Dio finché non lo si conosce, non ci si riconosce. Il vero uomo nasce a sé e in sé e da sé nel suo cervello a mano a mano che identifica se stesso.
Essere se stesso, possedere se stesso, valutare se stesso, valorizzare se stesso «investendosi» nell'azione, negli impegni, nelle espressioni, nelle collaborazioni, nella fede e nella speranza, in dimensione individuale, sociale, religiosa, cristiana (compreso il lavoro, la professione).
Ma l'uomo è morso anche dall'alienazione.
Quando la vita non sale al cervello, quando l'avere corpo, anima, dignità, vocazioni non diventa sapere d'essere, un uomo è già alienato.
Quando un uomo è assunto in una società come mezzo, forza, servo, macchina che produce e si riproduce, consumatore utile per i cicli della natura, da quello dell'azoto a quello dei biodegradabili a quello degli stipendi, quando è largamente «eterodiretto» dal sistema, anche se lui stesso l'ha costruito, l'uomo è alienato.
Alienazione è il contrario di identificazione. È alienato uno che e in quanto non si è mai identificato come uomo. Peggio ancora chi ha avviato una qualche identificazione di sé tra l'inconscio, l'intuizione e la coscienza, l'aspirazione, ma poi non trova spazi, aiuti, accettazioni, occasioni, si riduce per sé o deve ridursi per gli altri e con gli altri a qualcosa di «altro», di diverso, di snaturato da sé, dall'uomo che egli sa di essere. L'autodefinizione, l'autorealizzazione, è legge e spinta primordiale della vita. Non però comunque. L'essere dell'uomo è troppo ricco di quantità e di qualità, porta ben visibili le tracce della sua origine divina, dell'immagine e somiglianza con l'infinito. È felice ogni volta che quel che è e quel che fa ha significato e valore per identificarlo (liberarlo). È infelice quando è legato all'insignificanza. Il conflitto, tra la rassegnazione e la ribellione, è di norma ogni giorno.
IL LAVORO TRA IDENTIFICAZIONE E ALIENAZIONE
Si sa che il giuoco è per il bambino la via privilegiata per scoprire ed esprimere la identità, dal trastullo individuale alle forme socializzate e più attivamente impegnative. Giocando, esplora, prova, scopre, possiede, cresce.
La scuola dovrebbe essere una lunga occasione di esplorazione e espressione sempre più matura, articolata, allargata, impegnata, ricca di orientamenti, preparazioni, scelte. Non preparazione alla vita, ma vita che prepara alla vita.
Poi viene il lavoro (ieri moltissimi passavano subito dal giuoco al lavoro, oppure la scuola era miseramente ridotta o duramente selettiva).
Siamo di nuovo al discorso del lavoro liberale (e liberante) e del lavoro servile. Con la differenza, rispetto ai secoli passati, che oggi anche le professioni sono spesso degenerate in forme «servili». Lo sviluppo smisurato dei «sistemi» con le loro esigenze e leggi ferree, la costruzione di «idoli» come l'azienda l'ufficio la potenza, la ricchezza, la produttività, i piani di sviluppo, il benessere, la scienza, le burocrazie, le tecnologie avanzate... hanno abbondantemente «prostituito» l'uomo. Liberalismo e marxismo si equivalgono, hanno la stessa matrice alienante l'uomo rispetto a sé come «sistemi». I cristiani hanno troppo scimmiottato un po' l'uno un po' l'altro. L'alternativa è scarsa.
Eppure oggi si concentrano molti sforzi per capire e valutare il lavoro e la professione al di là dello stato di necessità, protagonisti di una grossa liberazione totale e generale dell'uomo: luoghi privilegiati della identificazione dell'uomo.
All'utilità produttiva di beni e servizi si vorrebbe unire in ogni lavoro una radicale validità di espressione personale, di socializzazione, perfino di attuazione religiosa.
Non si vorrebbe più né lavorare per vivere, né vivere per lavorare, ma vivere lavorando e lavorare vivendo. E vivere è essere, uomini, esprimersi, liberarsi, perfezionarsi, comunicare, donarsi, creare, essere felici insieme da uomini.
UNA VIA Dl SOLUZIONE
Per molte giuste ragioni gli interrogativi, le perplessità, le decisioni per la scelta professionale preoccupano molti giovani negli anni di preparazione o quando ancora possono fare qualche cambiamento.
Perché la cosa maturi con validità ognuno dovrebbe seguire questo modello di orientamento.
Prima ancora di pensare a scelte professionali ognuno dovrebbe partire dal conquistare una propria identità d'uomo e se è credente, di cristiano, attraverso scelte fondamentali, assolute. Dovrebbe definire il tipo d'uomo che sceglie di essere e restare, con alcuni atteggiamenti e valori che ne caratterizzano l'essere in sé, con gli altri, l'agire; il tipo di società che intende privilegiare e sviluppare, condividere, dai piccoli gruppi ai più larghi rapporti; il tipo di cultura che intende coltivare e porre come presupposto di riferimento per ogni ulteriore scelta particolare; il tipo di lavoro professionale deciso tra forme «aziendali» di prestazione d'opera all'iniziativa altrui a scopo di retribuzione e forme «imprenditoriali» di investimento attivo, responsabile, creativo delle proprie capacità a scopo di realizzazione personale, di collaborazione e liberazione sociale; il tipo di salvezza degli atti singoli, delle scelte singole, degli impegni singoli entro progetti universali o immanenti all'uomo o trascendenti in Dio.
I giovani che chiedono all'orientamento e alla scelta della professione di definirgli l'identità di uomini e cristiani, ripetono l'errore degli ebrei che nel deserto fusero un vitello d'oro per chiedergli salvezza.
Già nell'argomento della libertà s'è capito l'errore di partire dal rivendicare un diritto al suo largo esercizio. Il vero problema è quello della liberazione, d'una maturità generale di base che poi ha ogni diritto di chiedere spazio e ha infinita fantasia e forza per farsene sempre uno o per dilatarlo o usarlo con validità personale e sociale.
Così qui il problema è quello della identificazione come processo mediante il quale ogni soggetto si fa un'idea di sé come realtà, impegno, problema, valore, e perciò si proietta nel futuro come ideale di sé, come progetto di fedeltà e di sviluppo, di crescita e di inserimento, in rapporto agli altri e magari a Dio in Cristo.
Chi non ha provveduto a una identificazione-definizione di sé rischia di fare la scelta professionale solo su basi di casualità, di necessità (unica possibilità pratica immediata), di suggestione, di sogni di guadagno, potere, prestigio, facilità, combinazione con altri ruoli... Può anche accadere che ci si ritrovi, che metta la testa a posto. Le conversioni sono sempre possibili. Ma non sono facili.
Chi invece ha un sua identità, possiede una precisa gamma di valori indiscutibili che getta sulla bilancia delle considerazioni. Non si ripromette riuscite marginali, ma centrali, essenziali. Non si lascerà strutturare dal lavoro in nessuna fase di esso (preparazione, esecuzione, carriera, organizzazione) ma sarà lui stesso a strutturare il lavoro secondo la propria identità. Farà tutto il possibile per riuscirci. Lotterà, si unirà con altri, soffrirà. Ma soprattutto avrà sempre pronte delle alternative di metodo, di tecnica, di organizzazione, di modi di esecuzione migliori. O, almeno, volendo e potendo cambiare, lo farà a ragion veduta e non quasi per un'irrequietezza non ben motivata e non mai risolta.
La maggiore o minore soddisfazione nel lavoro, e quindi i criteri di orientamento e scelta, non possono essere legati troppo né all'indicazione delle capacità e della riuscita nelle materie di studio richieste, né alle attitudini operative, quanto piuttosto in definitiva (pur sulla base di quelle indicazioni) rispetto al tipo di espressione umana, di relazioni umane, d'impegno umano, che tali mansioni comportano, permettono, favoriscono, o limitano, mortificano.
È possibile che oggi per un giovane dotato di qualche esigenza di qualità, in possesso di una valida identità personale, la società (e perfino la Chiesa) non offrono molti modelli e strutture di ruoli, di occupazioni nel lavoro, che garantiscano dall'esterno una buona riuscita?
Potrebbe essere soprattutto tempo di invenzione, di nuove definizioni. Cosa quasi impossibile se non entro la partecipazione a vere lotte di rinnovamento a livello di politica generale e particolare, o almeno entro l'animazione solidale maturata e sostenuta insieme in gruppi e comunità giovanili, ma non solo di giovani.