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    La maturazione affettiva /3



    Giuseppe Sovernigo

    (NPG 1975-06-47)

     

    Con questo terzo intervento concludiamo la presentazione del sussidio sulla maturità affettiva.
    Problematiche del genere, evidentemente, non sopportano la parola "fine", anche sul piano dei sussidi.
    Per facilitare, quindi, la continuazione concreta di riflessioni e sussidi di questo genere, sollecitiamo il parere dei lettori.Anche perché l'autore sta rivedendo tutto il materiale, per ampliarlo, secondo prospettive direttamente educative, in vista di una pubblicazione organica.

    Terza parte

    IL SIGNIFICATO DELLA PROPRIA SCELTA AFFETTIVA

    La scelta di uno stato di vita

    Una volta raggiunta la sostanziale capacità d'amare, di fare di sé dono agli altri, di porre se stessi al servizio della crescita dell'altro, occorre fare una duplice scelta:
    - lo stato di vita in cui realizzare la propria capacità d'amare; può essere:
    il matrimonio
    il celibato consacrato
    il servizio sociale vissuto come persone non coniugate.
    - il proprio modo di amare, la visione di vita che dà valore e significato alla propria capacità d'amare secondo il proprio progetto di vita.
    La giovinezza (17-18/23-25 anni) è il momento:
    della scelta o della verifica delle modalità d'amare,
    del significato da dare al dono di sé,
    dello sforzo per cui si impegnano le proprie energie affettive con continuità.
    Oggi occorre scegliere tra due proposte di fondo, due visioni della capacità d'amare che nei loro elementi qualificanti, specifici, si differenziano, talora fino ad escludersi in alcuni aspetti, in ogni caso si diversificano per la visione di vita cui si ispirano. Nella realtà concreta queste due proposte non si trovano allo stato puro. Si incrociano e si intersecano tra loro. Possono tuttavia essere identificate in base ai criteri di valore, ai modelli proposti e ai risultati che fanno conseguire. Per la maturazione affettiva è decisivo il rendersi conto a quale concezione dell'amore, in ultima analisi, dell'uomo, ciascuno si rifà esplicitamente o implicitamente.
    Non esiste la sessualità e affettività allo «stato puro», non inserita in «un sistema», quello di ieri o quello di oggi, oppure qualunquistica quanto a significato, quasi allo stato selvaggio. Ne vanno di mezzo la qualità della propria affettività e del dono di sé e gli esiti diversi del proprio sentirsi amati, cioè della sorgente prima della gioia di vivere.
    E ciò perché il giovane che vorrà «vivere» la sua vita, e non lasciarla vivere o, peggio ancora, «lasciarsela vivere dagli altri», dovrà prendere egli stesso nelle proprie mani la propria storia, impossessarsene per orientare tramite gli incontri e scontri interpersonali il proprio mondo affettivo-sentimentale.
    Egli sta passando infatti da fonti di moralità e modelli comportamentali sempre meno legati a persone (genitori, catechisti, compagni, confessore, ecc.) ad altri sempre più legati a fatti collettivi o strutture (pubblicità, consumismo, stampa) o contro-strutture (comunità, piccoli gruppi, ecc.).
    Delineiamo ora nei tratti essenziali queste due proposte affettive di fondo offerte dalla società d'oggi.

    Proposta affettiva della società dei consumi

    Alcuni atteggiamenti classici da esaminare potrebbero essere:
    - la fedeltà,
    - i limiti della libertà,
    - i rapporti prematrimoniali,
    - l'importanza della casa,
    - la limitazione delle nascite,
    - amore e religione,
    - l'omosessualità,
    - l'emancipazione femminile,
    - il divorzio,
    - l'aborto,
    - la masturbazione,
    - i figli,
    - il ruolo della donna.
    Ci limitiamo ad alcuni aspetti di base.
    La sorgente dell'amore: sono i bisogni della persona: genitali, erotici, sentimentali, momentanei o duraturi, istintuali. Così come si presentano di volta in volta con le loro esigenze irrinunciabili. Le due dimensioni genitale ed erotica sono a sé stanti, non necessariamente collegate con l'affettività. Possono essere vissute come un «bene di consumo», di cui usare a piacimento, un mezzo per vendere, spesso separate dalla persona, dal sentimento e dai valori, dissociate dall'amore e dalla vita, ridotte spesso a gioco, a passatempo, quasi a uno sport.

    * Concezione della sessualità:
    a) Per alcuni la sessualità si afferma finalmente come fatto individuale, libera dai tanti tabù dello stato e della Chiesa, libera dalla pillola e affini, libera non solo dai collegamenti comunitari, ma addirittura dal rapporto del partner con cui entra in relazione. Conseguenze: il gesto così atomizzato e superficiale, sradicato dalla persona, dalle persone e dalla collettività, fa dell'uomo, essere essenzialmente socievole, uno scompensato. Tenderà a divenire un consumatore sempre più esigente della sessualità sia in sé, sia come incentivo ai consumi che vi si connettono. Come il drogato che sempre più si scompensa e sempre più si asseta di ciò che lo asseta.
    b) Per altri la sessualità significa erotismo in tutte le sue dimensioni e in particolare sotto l'angolatura del «successo». Riuscire nella carriera, vestiti, macchine, soprattutto donne. Il successo in amore costituisce la valvola di scarico che sfiata la repressione sociale quotidiana.
    c) Su una pista diversa la sessualità è presentata come gesto d'amore con l'esclusione di ogni rapporto con gli altri e con il mondo. L'amore viene allora ridotto a delicatezza e ad armonia sessuale. In un mondo brutto e cattivo occorre creare e ricreare un caldo nido di benessere sterilizzato.
    d) Per altri infine la sessualità e uno strumento «politico» per la contestazione del sistema vigente. «La sessualità è una funzione sociale e funzione di affermazione di potenza sociale. Storicamente la prima contestazione nasce proprio a questo livello. Le prime forme di anarchia sessuale costituiscono i primi focolai di contestazione poi globale (Marcuse), come pure entro un quadro maggiormente istituzionalizzato i kibbuz e i kolkoz.
    Essere adulti ed essere vitali è espressione pressoché inconsueta e disinibita di tutte le potenze dell'uomo, tutte buone e giuste.
    Il libertinaggio sessuale può veramente costituire una «carica rivoluzionaria» dapprima sulle barricate del maggio francese, poi sulle varie barricate erette un po' ovunque.
    Tuttavia a poco a poco si capisce che non tutto è possibile, ma solo quel tanto che non depaupera l'individuo delle sue forze psicologiche indispensabili per la lotta al sistema.
    * L'altro: un'occasione di soddisfazione a vari livelli e secondo modalità proprie dei bisogni sessuali tramite una relazione più o meno fine a se stessa (riportare un equilibrio interno turbato da un desiderio, da una pulsione insorta per stimolazioni interne o esterne secondo la legge dell'omeostasi). Sostanzialmente si tratta di una ricerca di sé variamente articolata.
    * L'orizzonte: l'oggi, il momento presente oppure l'oggi e il domani racchiusi entro il tempo di una vita terrena.
    * I modelli: coloro che sanno cogliere il massimo di soddisfazione a vari livelli. Talora coloro che persistono in una affettività adolescenziale.

    Proposta di Gesù di Nazareth

    All'essere umano non basta amare. Egli cerca di comprendere il senso di questo amore. Egli intuisce che è l'avvenimento decisivo della sua vita. A che titolo? Come? Perché? Il Vangelo ne ha portato al mondo la rivelazione.
    Il senso cristiano dell'amore non è un semplice risultato dell'esperienza umana. Esso sorpassa la coscienza psicologica che noi possiamo avere di essa e tutto ciò che noi ne sapremmo dire. Quanto avviene nel cuore dell'uomo è più grande di quanto si possa immaginare e concepire. L'abbiamo appreso dal Figlio di Dio fatto uomo.
    Dio solo poteva farci conoscere che amare è vivere un mistero e che questo mistero è quello della nostra salvezza.

    1. La sorgente dell'amore

    - Il cuore dell'uomo aperto alla grazia e purificato costantemente.
    - Dio stesso si definisce come la sorgente dell'amore; è l'amore in persona.
    «Noi, osserva Giovanni, abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore. Chi sta nell'amore, dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4,16).
    Ogni storia umana è quella del suo amore. Di questo Cristo ci ha detto tutto rivelandoci che non siamo noi che abbiamo amato Dio, ma che è lui che ci ha amati per primo (1 Gv 4,10).
    Questa buona notizia acquista il suo senso pieno per colui che sa amare in verità. Colui che non ama, vi resta chiuso e indifferente. Solo colui che ama può riconoscere l'amore di Dio e credervi.
    Credere all'amore di Dio, è entrare con lui in una nuova vita, è essere salvati. Per poter amare come lui, bisogna essere in contatto con lui come la vite e i tralci:
    «lo sono la vera vite e il Padre mio è il Vignaiolo... Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto perché senza di me non potete fare nulla... Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore...» (Gv 15,1-10).
    Bisogna aver dato carta bianca «ad un certo Gesù che è morto e che Paolo afferma essere libero» (Atti 15,19).
    «Non ti sembra sufficiente, osserva Fausto di 20 anni, che le nostre vite siano radicalmente cambiate da quando ci siamo conosciuti? Non ti sembra grande il fatto che io sia diventato più uomo e lei più donna? Io ho abbandonato le utopistiche idee di qualche tempo fa per affrontare con realismo la vita e lei sente finalmente che la sua vita vale perché ha trovato un modo di dedicarla a qualcuno. Tuttavia ancora non può darmi una risposta e capirmi, quando le chiedo perché ci amiamo, poiché non crede che c'è un Principio al nostro amore».

    2. La prima storia d'amore

    «Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27).
    Dio è amore, chi ama si comunica. Dio ha creato per comunicare il suo amore. Tre persone che si amano fino a formare una cosa sola.
    Dio chiama l'uomo e la donna a realizzare la somiglianza con lui, a formare una realtà sola, ad essere creatori di vita come lui.

    L'uomo e Dio
    «Il Signore Dio plasmò l'uomo con L'uomo non è solo una delle «tante» polvere del suolo e soffiò nelle sue creature di Dio, infatti Dio nel crearlo narici un alito di vita e l'uomo divenne gli ha comunicato una parte della sua un essere vivente» (Gen 2,7).
    L'uomo non è solo una delle «tante» creature di Dio; infatti Dio nel crearlo gli ha comunicato una parte della sua vita, facendolo quindi simile a lui e capace di una relazione amicale con lui.

    L'uomo e il mondo
    Dopo aver creato l'uomo e la donna, Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra... Ecco io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero su cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo» (Gen 1,28-29).
    L'uomo ha una doppia relazione con il mondo: di dipendenza, perché anche lui è terreno e ha bisogno degli altri esseri terreni, e di dominio per la sua superiorità basata sulla sua intelligenza e sulla sua capacità di dialogo diretto con Dio.
    Il modo di vivere questa doppia relazione è il lavoro.

    L'uomo e la donna
    «Allora l'uomo disse: "Questa è carne della mia carne e ossa delle mie ossa".
    La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tratta» (Gen 2,23).
    1. Uomo e donna uguali in natura e quindi in dignità. Affermazione rivoluzionaria e carica di conseguenze. Carne della carne nel linguaggio semitico significa corpo e persona... (quindi i due = unica realtà).
    2. Uomo e donna sono distinti per il loro modo di essere nel mondo. Stanno di fronte l'un l'altro per un dialogo.
    3. L'uomo è fatto per la donna e viceversa... Le sue parole sottolineano la gioia e la meraviglia di chi ha trovato finalmente un essere che lo completa e pone fine alla sua solitudine, un essere che è l'altra suo essere uomo.

    Il matrimonio
    «Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24).
    Il matrimonio è uno e indissolubile. Il suo vincolo è più forte del sangue e ha per effetto una quasi identità personale. L'amore matrimoniale risulta da una scoperta di essere l'uno complemento dell'altro.

    L'uomo con se stesso
    «Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, ma non ne provavano vergogna» (Gen 2,25).
    Il primo incontro tra l'uomo e la donna si fa nella meraviglia e nell'accoglienza reciproca libera e spontanea senza paura di strumentalizzazioni e insidie.

    L'uomo con gli altri
    «Poi Dio disse: non è bene che l'uomo sia solo» (Gen 2,18).
    L'uomo è un essere essenzialmente sociale, fatto per il dialogo e la comunione.

    IL DRAMMA DELLA ROTTURA

    La prova
    «Ma il serpente disse alla donna che gli aveva fatto presente la via indicatale dal Creatore: Non morirete affatto. Anzi Dio sa che quando ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male» (Gen 3,4-5).
    L'uomo cerca sempre di andare alla felicità per la scorciatoia inventata da lui, senza fidarsi della segnaletica messa dal Creatore. Spesso però smarrisce la via e cade nel burrone.
    Il peccato è una affermazione di indipendenza da Dio.
    L'intima natura di ogni peccato consiste
    - nel tentativo illusorio di far da sé in modo esclusivo,
    - nel cercarsi da sé un accrescimento di vita qualitativo e quantitativo,
    - nel vivere il rapporto con Dio in termini di competizione per cui l'uomo non dà fiducia a Dio, respinge il suo appello all'amicizia, si fida solo della sua ragione.

    Una prima presa di coscienza
    Dopo che ebbero mangiato del frutto proibito, «allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi. Intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture» (Gen 3,7).
    La prima conseguenza del peccato: divisione dell'uomo con se stesso, spirito e corpo.
    Nudità: coscienza di disagio per un disordine interiore. L'uomo si scopre povero, fragile, pieno di limiti e paure di fronte all'altro. Di qui il bisogno di coprirsi cioè di difendersi, di prendere le distanze.

    Rotture a catena: la responsabilità
    «Rispose l'uomo, a Dio che gli aveva chiesto come mai si vergognasse di essere nudo: La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell'albero e io ne ho mangiato» (Gen 3,12).
    La prima deresponsabilizzazione. L'uomo non si sente solidale con lei.

    Rottura dell'armonia coniugale
    «Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà» (Gen 3,16).
    L'armonia e l'uguaglianza dei rapporti è rotta.
    Le relazioni si svolgeranno sotto il marchio della forza cieca, dell'istinto e dell'egoismo del più forte.
    Il peccato sconvolge l'ordine voluto da Dio. Invece di essere l'associata all'uomo e sua uguale, la donna diverrà la seduttrice dell'uomo che la asservirà perché è più forte. Il rapporto familiare è profondamente turbato.

    La difficile vocazione di madre
    «Alla donna Dio disse: Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai i figli» (Gen 3,16).
    Il peccato rende difficile anche la vocazione propria della donna: l'essere madre e sposa.

    La difficile vocazione al lavoro
    «All'uomo Dio disse: ... Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai cibo per tutti i giorni della tua vita... Con il sudore del tuo volto mangerai il pane...» (Gen 3,17-19).
    Il peccato altera anche la vocazione propria dell'uomo nell'esercizio del suo lavoro.
    L'uomo prova difficoltà a fare ciò che è esigito dalla sua stessa natura.
    Invece di essere il luogotenente di Dio in Eden, l'uomo lotterà contro un suolo divenuto ostile.

    Rottura con il fratello
    «Mentre erano in campagna Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise» (Gen 4,8).
    Dopo Caino la vendetta di Lamech: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido» (Gen 4,23).
    E dopo Lamech tanti altri che credono nella violenza.
    Il disordine nelle relazioni tra l'uomo e la donna viene esteso anche alle relazioni sociali.
    Il primo uomo generato dai progenitori è stato un fratricida, uno cioè che, nonostante i richiami della coscienza (Gen 4,6), non ha saputo sottrarsi al desiderio di far violenza e dopo si è rifiutato di pentirsi. «Dove è tuo fratello?». La responsabilità di fronte a Dio è responsabilità nei confronti del fratello.

    Rottura e incomprensione fra gruppi sociali
    Dei gruppi umani cercano di sistemarsi e pensano ad una forte unità.
    Si costruiscono una città, cioè una civiltà come segno di autodifesa, di autonomia, di volontà titanica di ricerca di gloria. Questo in opposizione al comando di Dio. Dicono infatti «per non essere dispersi sulla faccia della terra». Questa frase rimanda a Gen 1,28: «Riempite la terra». Ma il materiale usato per la loro impresa titanica è fragile e inconsistente: mattoni di bitume, anziché di pietra. Dio previene la pazzia e disperde gli uomini dividendoli. È il tentativo dell'uomo di far da sé, di darsi uno sviluppo, una storia, di crearsi un domani di sicurezza, di progettarsi la continuità della vita puntando sui propri criteri, in opposizione al disegno di Dio, rompendo la collaborazione. Questa via, dice la Bibbia, ha un triste finale (Gen 11,1-9).

    LA RICOMPOSIZIONE IN GESU' DI NAZARETH, IL SIGNORE

    Gesù di Nazareth, restaurando l'uomo mediante la sua opera e il suo messaggio di salvezza secondo l'iniziale piano di Dio, propone una via, la «sua via» anche riguardo alla problematica dell'amore e della sessualità.
    Ciò che lui è come uomo e Dio, che fa come segno di un'altra realtà, che annuncia come messaggio, che avvia come sua continuazione e segno nella storia umana è per rendere possibile a tutti di percorrere la «sua via»: rifare l'uomo ad immagine e somiglianza di Dio.

    3. La dimensione erotica e sessuale

    Esse vanno strettamente legate alla affettività, integrate nell'insieme della persona.
    Sono a servizio della crescita della persona, anzi sono «il linguaggio esterno» della capacità di amare, del dono di sé.
    La pedagogia cristiana considera la sessualità come opera di Dio, come una realtà che non si esaurisce nel corpo, ma investe l'essere umano nella sua totalità; una realtà che ha un ruolo determinante nella motivazione dell'uomo, dalla personalità fisica a quella morale e quindi nello sviluppo della somiglianza con Dio; una realtà che si attua in un incontro personale.
    Perciò le norme date non sono proibizioni a sé stanti o mutilazioni della persona fine a se stesse, ma indicazioni
    - per amare meglio,
    - per essere più uomini,
    - per accogliere con più profondità il dono di Dio,
    - per realizzare una comunicazione tra persone e con Dio più sincera e autentica,
    - per vivere tutte le dimensioni del dono di sé, cioè verso un partner eterosessuale, verso gli amici e i nemici e verso Dio.
    Perciò Cristo riorienta la sessualità, vissuta disordinatamente, riportandola a servizio dell'amore (L'adultera, Gv 8,1-10; Simone e la peccatrice, Lc 7,36-48). Afferma che il corpo umano e tempio di Dio e membro vivo del corpo di Cristo, il mezzo con cui l'uomo esprime il suo spirito.
    Chi persiste nell'abuso sa «che i fornicatori non entreranno nel regno dei cieli» (1 Cor 6,12-20).
    Se l'atto sessuale non è un atto d'amore, è un abuso del proprio corpo.
    Perciò essere puro significa saper amare, amare appassionatamente, con tutto il proprio essere.

    4. Il prossimo

    Una persona da amare, da non trattare mai come oggetto, come cosa, nemmeno con i desideri, chiunque sia (cf il buon samaritano, Lc 10,25-37),
    Solo Dio può giudicare l'altro.
    Il prossimo è segno di Dio: «Avevo fame e mi avete dato da mangiare...» (Mt 25,3 1-46).
    Nessuno ha mai visto Dio. Come amare Dio che non vediamo, se non amiamo il nostro fratello che vediamo?
    Amare veramente un essere umano e sempre aprirci all'amore di Dio.
    Dio stesso non ha agito diversamente nei nostri confronti: egli ci ha inviato il suo Figlio che ha abitato in mezzo a noi.
    Vivendo in unione con Dio e con il prossimo il cristiano troverà una pace e una sicurezza che persistono nonostante i possibili turbamenti provenienti dalle difficoltà. Infatti la vita cristiana non distrugge le reazioni spontanee della natura di fronte al pericolo, né le deviazioni psichiche acquisite nell'infanzia o derivanti da una educazione religiosa errata o male integrata. La pedagogia cristiana può aiutare grandemente il soggetto nella accettazione positiva della propria realtà intima con il suo complesso di elementi, di potenzialità, di lacune, di impossibilità. L'accettazione di se stessi è un presupposto essenziale per il processo di maturazione personale a tutti i livelli. Quando invece non si opera tale accettazione, si hanno fenomeni di regressione che sfociano spesso in comportamenti anormali a significato compensativo.

    5. Perché ciò sia possibile

    * Gesù propone la purezza interiore senza della quale non c'è verità nell'uomo... È quello che esce dal cuore dell'uomo che inquina tutto l'uomo» (Mt 5,27-30). Corregge il precetto mosaico: «non commettere adulterio», con: «chiunque getta su una donna uno sguardo di desiderio ha già commesso un adulterio con lei».
    Si capisce allora come per Cristo la purezza rituale sia del tutto insufficiente. Occorre: non applicazione di leggi e principi, ma irruzione in noi del modo divino di amare.
    Non quindi una purezza basata sull'esteriorità, sull'osservanza, sull'opinione pubblica, su alcune leggi...

    * Gesù sostiene, e ne dà una prova insuperabile con la sua vita, che l'amore verso Dio e verso il prossimo è la cosa più importante della vita.
    «Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: "Maestro che cosa devo fare per avere la vita eterna?".
    Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella legge, che cosa vi leggi?".
    Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso".
    E Gesù: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai!".
    Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?".
    Gesù rispose: "Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e..."» (Lc 10,25-37).
    Infatti «Nessuno ha amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,14).

    * Lascia come segno distintivo di coloro che seguiranno «la sua vita» il comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati. Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). Per la pedagogia cristiana l'amore è perciò capacità di aprirsi al prossimo in un aiuto amorevole, superamento di ogni forma di interesse egoistico, dedizione all'altro per il bene dell'altro, inserimento attivo nella vita comunitaria.

    6. Un amore da vivere sempre

    Per Gesù questo autentico amore, vocazione dell'uomo, può essere vissuto sia nel matrimonio che nella verginità.

    * L'amore divenuto Sacramento
    Il matrimonio degli sposi credenti non è solo un fatto affettivo e sociale.
    È anche e soprattutto un mistero di Salvezza. L'amore coniugale è immagine e imitazione dell'amore che Cristo porta alla sua Chiesa (Mt 19,1-9).
    Infatti, amandosi, gli sposi credenti non rispondono solo:
    - al desiderio del loro cuore,
    - alla chiamata alla vita,
    - al progetto di fondare una famiglia propria,
    - di prendere un posto nella società.
    Amandosi essi sono chiamati:
    - a riconoscere l'amore di Dio per loro due e per tutti,
    - a credervi,
    - a corrispondervi insieme.
    Il compito assegnato è di ricopiare, proporzionalmente, quanto Cristo ha fatto per la sua Chiesa fino al sacrificio di se stesso. In virtù di tale sacrificio Egli l'ha santificata, purificata per avere in Lei una sposa splendente di spirituale bellezza, santa e senza difetto alcuno (Ef 5,21-33).
    Già dal loro battesimo essi partecipano con tutti gli altri cristiani allo stesso corpo di Cristo e allo stesso spirito di amore; come sposi, essi manifestano e compiono, secondo la loro propria vocazione, questa comunione battesimale con il Risorto. Ormai è nel Cristo che, coniugalmente, essi non sono che uno. Per ciò stesso, il loro matrimonio, una volta compiuto, riceve una indissolubilità che nessuna autorità di questo mondo, neppure la Chiesa, per qualsiasi ragione, potrà rompere. Essi ricevono da Dio la grazia di amarsi come sposi con un cuore nuovo, quello stesso che comunica la santità di Cristo a ciascuno di coloro che credono, con tutta la forza della parola, che la loro unione è un sacramento, cioè realtà salvifica. È attraverso la realtà terrestre e visibile del loro amore che essi devono partecipare all'amore di Dio e riconoscerlo.
    Lontani dall'evadere dai compiti del loro amore, essi vi apporteranno, al contrario, una esigenza più grande perché essi ne vedranno meglio il senso sia che si tratti:
    - del loro mutuo dono,
    - della paternità e maternità responsabile nella procreazione,
    - dell'educazione dei figli,
    - dell'inserimento nella società,
    - della loro responsabilità nella Chiesa.

    * L'amore indiviso, segno e anticipo del «regno»
    Il celibato evangelico risponde a un appello di Cristo.
    Mentre l'insieme delle civiltà antiche non vedevano nel matrimonio che il mezzo per sopravvivere, e le famiglie di perpetuarsi, e mentre l'Antico Testamento stesso era tutto rivolto verso la generazione del Messia ed il matrimonio vi rivestiva un carattere più o meno obbligatorio, con il Vangelo si apre una prospettiva nuova. L'amore coniugale e la costituzione di un focolare vi divengono espressamente l'oggetto di una libera decisione.
    La maggior parte dei cristiani sono chiamati a sposarsi nel Signore, altri sono chiamati a non sposarsi per il Signore. Il celibato evangelico è fondato sulla parola di Cristo.
    Il Cristo stesso ci ha insegnato - perché nessuno di noi avrebbe osato valersene - che sarebbe stato dato ad alcuni di rimanere fin da ora senza sposo o sposa «per il regno dei cieli» (Mt 19,1). Significare il «regno» inteso come realizzazione autentica di sé realizzando l'immagine di figli di Dio è reso possibile da una particolare radicalità di dono di sé chiamata a farsi a poco a poco disponibilità totale.
    I celibi sono chiamati a vivere fin da ora come alla fine dei tempi.
    Sappiamo infatti, che nel giorno della risurrezione, quando appariranno i nuovi cieli e la terra nuova, non si prenderà più né marito né moglie (Mt 22,30).
    Il celibato evangelico è una anticipazione di questo momento. Per questo valore rinunciano all'uso della genitalità, pur vivendo con chiarezza la loro identità sessuale. È e deve essere una scelta di amore quotidianamente rinnovata. Il celibato scelto per «il regno dei cieli» è uno stato di amore. Esso è possibile soltanto per colui che l'ha integrato nella sua vita spirituale.
    È per amore, infatti, per darsi senza divisione al Signore (1 Cor 7,35), per non avere altra preoccupazione che il suo servizio, che un certo numero tra noi lasciano «casa, fratello, sorella, padre, madre, figli e campi» a causa di lui e a causa della buona notizia (Mc 10,28-29).
    Ben lontano dallo staccarli dai loro fratelli e distrarli dalla vita presente, questo amore di Cristo risuscitato conduce coloro che si consacrano interamente a lui a riconoscere ogni giorno più l'amore di Dio ed a testimoniarlo. La loro consacrazione non cessa di richiamare ai credenti la dimensione e la realtà della speranza cristiana.
    Le virtualità che la paternità naturale accende nel cuore dell'uomo hanno qualcosa di grande e di sublime: spirito altruistico, assunzioni di pesanti responsabilità, capacità di amore e di dedizione superiore ad ogni sacrificio, esperienza concreta e quotidiana delle difficoltà della vita, assillo per l'avvenire, ecc. Tutto questo è altrettanto vero della paternità o maternità spirituale.
    Per questo il celibato non è di tutti. Esso richiede una speciale chiamata del Signore e non cessa di essere, per tutta la vita, un rischio e un pericolo qualora venissero ad estinguersi il palpito di paternità pastorale e spirituale e la esclusiva dedizione al Cristo.
    La stessa prospettiva di amore del Cristo e di servizio dei loro fratelli permetterà ai celibatari non consacrati, anche se essi non hanno scelto questo stato, di assumerlo in tutta la sua fecondità.

    7. Per camminare lunga «la nuova via»

    All'uomo non è più tanto semplice continuare i suoi rapporti con gli altri come prima. Rimane sempre rinascente in lui il desiderio di pensare solo a sé, strumentalizzando gli altri al proprio tornaconto. È tentato di non considerare l'altro pari a sé «carne della sua carne», ma di usarlo per i propri interessi.
    Per ogni favore che fa ha già in mente un possibile vantaggio.
    Non ha più la facilità di donarsi gratuitamente.
    Dovrà riparare alla mancanza di questa tendenza (fin da bambino infatti tende all'egoismo) con la maturazione personale (come deve vincere la sua repulsione al lavoro, che pure non è per sé desiderato).
    La rottura iniziale con tutte le sue conseguenze, ricomposta in Cristo salvatore, viene superata per ognuno che fa propria quella «via»:
    - Attraverso i sacramenti. In essi Dio sottoscrive, consacra e aiuta la buona volontà di comunione degli uomini.
    - Attraverso l'ascolto della Parola che salva. «Voi siete puri per la mia parola (Gv 13).
    Si tratta quindi di fedeltà a Dio, di risposta alla sua parola e al suo amore. Lontani quindi da uno sterile autocontrollo personale. È un qualcosa che investe tutta la nostra personalità, il nostro orientamento di fondo nella vita.
    - Attraverso la preghiera. Che siano sposati o consacrati al celibato, i cristiani non cessano di rinnovare il loro cuore nella preghiera al Dio d'amore. Essi sanno che, da tutta l'eternità, questo amore unisce, nella Trinità, il Padre, il Figlio e lo Spirito. È lo stesso amore che ha voluto la creazione dell'uomo e la sua salvezza. È questo amore che ispira l'ultima preghiera di Gesù prima della sua passione. quando, rivolgendosi al Padre suo, egli domanda per noi tutti: «Che essi siano uno, come tu Padre ed io, siamo uno».
    - Attraverso nuovi modelli. Innanzitutto Gesù di Nazareth si pone come modello esemplare, come colui che ha saputo amare nel modo più vero e completo. «Vi do un comandamento nuovo, aveva detto dopo la lavanda dei piedi: che vi amiate gli uni gli altri; come io ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34).
    E presso la tomba dell'amico Lazzaro aveva pianto perché... era suo amico.
    È modello ogni altro che ha amato Dio e il prossimo, attraverso l'integrazione affettiva eterosessuale o quella celibataria, in modo autentico e totale, realizzando se stesso nel dono di sé.
    Niente è più simile al cuore di Dio che il cuore dell'uomo.
    Là dove l'amore è profanato, l'uomo si degrada e Dio è rifiutato. Meglio questo amore è vissuto, più l'umanità, riconoscendo i suoi propri doni, si compie e si avvicina a Dio.
    È prima di tutto per il cuore che l'uomo è mortale. Ma è anche accogliendo la grazia di amare, che l'umanità, al di là delle sue forme precarie e delle vicissitudini della storia, diviene una creazione nuova ed attinge la pienezza della vita.


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