Pietro Gianola
(NPG 1976-06-53)
Una analisi attenta della situazione dei preadolescenti e del loro comportamento mette in luce come essi riflettano quel pluralismo di vita che caratterizzano la nostra società, fino al punto di non poter più parlare di una fascia generica di preadolescenza. Le disposizioni dei ragazzi infatti non sono più univoche ma si articolano all'interno di un quadro molto vasto in cui i diversi ambienti di appartenenza focalizzano alcuni aspetti piuttosto che altri.
Emerge subito, per gli educatori, la necessità di operare secondo la realtà situazionale in cui il preadolescente vive: l'intervento educativo ha senso solo dopo una attenta analisi dell'ambiente di vita e dei condizionamenti che esso impone.
Proprio per questo, oggi più che mai, non abbiamo un ricettario di educazione alla fede e alla preghiera. Siamo invece chiamati ad elaborare un progetto educativo che risponda alle necessità reali del ragazzo, tenendo conto dei problemi della sua crescita ma anche del modo particolare con cui l'ambiente glieli fa vivere. Dovremmo dunque ammettere un pluralismo di metodi di educazione alla fede ed anche un pluralismo di metodi di educazione alla preghiera. E questa, occorre sottolinearlo, non è solo una scelta di strategia educativa, ma è anche una applicazione della legge della incarnazione in base alla quale è l'uomo in situazione che viene salvato.
Una seconda premessa vuole invece sottolineare come l'arco degli interventi pedagogici debba diventare arco di autoeducazione. Al di sotto di questa affermazione sta una scelta di soggettività più che di oggettività, di priorità della crescita del ragazzo più che delle istituzioni, di attenzione ai ritmi della persona più che alle esigenze teologiche della preghiera. La attenzione alla persona diventa, ad esempio, preoccupazione di aiutare il preadolescente a gestire positivamente la crisi di rifiuto della sua fanciullezza, crisi che nel nostro caso è disagio a pregare colorato di magicismo e di ingenuità. Questa crisi, come la flessione di continuità della preghiera, è naturale, fino al punto in cui in certi casi è opportuno che sia lo stesso educatore a provocarla.
L'attenzione alla persona ha tuttavia delle conseguenze molto più vaste, sul piano metodologico, della osservazione che abbiamo appena fatta. Alla preghiera si può arrivare per molte strade. Quella preferita vuol educare alla preghiera mediante la preghiera. A pregare, si dice, si impara pregando! Può darsi che si riesca anche ad educare alla preghiera in questo modo. Quello che si vuol dire è che non è la strada da preferire. In realtà alla preghiera si arriva partendo molto da lontano, cioè dagli interessi e problemi che connotano la preadolescenza. È assumendo con lucidità questi interessi e integrandoli con una lettura di fede, frutto di un lungo cammino di iniziazione alla vita cristiana, che ci si apre alla preghiera. Percorrendo questa strada, senza dubbio più lunga e meno gratificante, il ragazzo può giungere alla preghiera come esigenza di espressione della propria fede, evitando così quell'interrogativo «perché pregare?» che nel momento in cui viene fatto dall'adolescente è una denuncia del fallimento del compito educativo negli anni precedenti. Vediamo ora alcuni interventi educativi che possono condurre il preadolescente a sentire con naturalezza, che non esclude fatica, il bisogno di pregare.
UNA PEDAGOGIA DI INFORMAZIONE
Molti non pregano perché, di fatto, non hanno motivi per pregare, perché non si intendono di quel mondo particolare dal quale potrebbero sorgere delle stimolazioni per pregare. Un mondo sconosciuto o conosciuto male e perciò per niente affascinante.
Proprio per questo occorre affermare una priorità della parola come informazione non soltanto del mondo interiore personale in cui il preadolescente e l'adolescente incominciano a intravedere una propria identità, ma anche del mondo che li circonda con tutte le sue istanze e provocazioni. Soltanto da una informazione adeguata può sorgere infatti un desiderio di partecipazione ai problemi del mondo, partecipazione vissuta come godimento e come sofferenza, come entusiasmo e come rabbia. È la informazione per se stessa che provoca attenzione, riflessione, interrogativi, desiderio di comunicare, di parlarne in gruppo, volontà di intervento. Il preadolescente è capace di gustare e di rivivere una preghiera che sia intrisa del dramma dell'uomo, perché lo immerge in una situazione in cui l'interrogativo e la parola di risposta si incontrano per dare alla vita non una spiegazione ma un senso, un significato.
Certo è indispensabile anche l'informazione sul «qualcuno a cui parlare» nella preghiera, informazione che ha luogo lungo tutto l'arco della iniziazione cristiana, specialmente nei momenti di catechesi. In quanto cristiani l'informazione sul «qualcuno» a cui rivolgere la parola si apre ad una triplice direzione: sensibilizzazione per cogliere la presenza del Padre; conoscenza di Cristo Gesù; accettazione della azione dello Spirito, oggi.
In primo luogo la presenza di un Padre con cui parlare: un Padre che partecipa delle nostre vicende, che risponde agli interrogativi essenziali dell'uomo. L'immagine di Dio Padre subisce una evoluzione nella esperienza che il ragazzo ne fa: nella infanzia è il Padre che ha creato il cielo e la terra; nella fanciullezza e nella prima preadolescenza è il Padre di cui parla Gesù nel Vangelo; nella terza media può già diventare un Padre interiorizzato, che tocca da vicino la sua esistenza di ragazzo, e allo stesso tempo il Padre di tutti, il «Padre nostro».
L'immagine di Cristo più affascinante per il preadolescente è il Gesù di Marco, l'uomo misterioso, l'eroe in lotta per rimanere fedele ai suoi ideali. Un Gesù vivo, che si muove ed interviene per i poveri, pronto a dare una mano. Un Gesù immediato.
Anche dello Spirito il ragazzo può intuire la presenza come colui che parla ed agisce dentro di noi, come colui che non ci lascia accontentare di quello che già facciamo, ma continuamente ci spinge a interessarci di tutto ciò che è attorno a noi e sostiene la nostra fantasia nel fare il bene. Infine una informazione sulla preghiera stessa attraverso un metodo di tipo induttivo, attraverso cioè il confronto e la ricerca a partire da modelli già realizzati.
Non si tratta di studiare i formulari di preghiera ma di ricercare come gli altri vivono la preghiera di gruppi giovanili, incontri con uomini di autentica preghiera. Naturalmente questo non esclude tutto un altro lavoro che consiste nel far vedere come pregava Gesù e come hanno pregato i cristiani lungo i secoli.
UNA PEDAGOGIA DI MOTIVAZIONI
La motivazione non è altro che la stessa informazione nel momento in cui vien fatta propria e, per così dire, risuona dentro. In fondo l'informazione che non da origine o rinforzo alla motivazione è priva di significato. Il passaggio dalla informazione è mediato dall'interesse, cioè da una partecipazione carica di emozione al contenuto della informazione. Questa è la strada della educazione. Il preadolescente matura delle motivazioni nel momento in cui viene guidato dentro le vicende del mondo che lo circonda: dalla classe al quartiere, dalla famiglia al gruppo, dai problemi dell'inquinamento alla fame del mondo.
In questo cammino verso le motivazioni tuttavia l'interesse non è direttamente connesso col fatto o col contenuto della informazione, quanto dal modo con cui viene presentata la stessa informazione. La motivazione nasce così da un interesse per il mondo, che si forma nel preadolescente rispecchiando l'interesse per il mondo delle persone che gli forniscono le informazioni; siano queste i genitori o gli educatori in genere o al limite, gli stessi mass-media.
La sequenza informazione-interesse-motivazione deve caratterizzare anche la educazione alla preghiera, tenendo presente tuttavia che l'interesse per la preghiera presuppone un antecedente interesse per il mondo. La preghiera infatti è una forma di feed-back, un tornarci su carico di amore, entusiasmo, ammirazione, immaginazione partecipante, volontà di farci qualcosa, silenzio carico di emozione (almeno per alcuni)...
UNA PEDAGOGIA DI DIREZIONE E DI GUIDA
La centralità dell'educatore è già emersa specialmente quando abbiamo rilevato come l'educazione passi attraverso la partecipazione dell'educando all'interesse che sostiene l'educatore nel suo approccio con il mondo. Proseguiamo il discorso con altri rilievi.
Il preadolescente è ancora fortemente dipendente dall'esterno. Di fronte a questo senso di dipendenza, diverso è tuttavia l'atteggiamento degli educatori. I mass-media e la pubblicità se ne servono per creare degli abiti operativi condizionati che travolgono l'autonomia delle scelte del ragazzo. Alcuni educatori usano una tecnica abbastanza vicina a quella dei mass-media nel momento in cui pretendono di educare attraverso la ripetizione meccanica, più o meno imposta, di certi comportamenti, compreso quello di farlo pregare perché pregando impara a pregare. Si favorisce così una dipendenza da formule, tempi, ritmi, contenuti, mentalità propri del mondo degli adulti. D'altra parte il senso di dipendenza ha funzione educativa di primo piano. È in stretto rapporto con la maturazione psicosociale del ragazzo, in quanto la dipendenza diventa partecipazione e inserimento attivo nel mondo che lo circonda.
Per quel che riguarda la preghiera possiamo allora dire che il ragazzo si autoeduca stando accanto a modelli di uomo realizzati, prototipi di uno stile di vita affascinante, e allo stesso tempo uomini di preghiera capaci di coinvolgere altri in questo loro interesse, e non attraverso la costrizione o il condizionamento ma aiutando i ragazzi a liberare la capacità di preghiera che sta in loro, incoraggiando alla conquista di una parte del proprio essere uomo che non sempre si è capaci di gustare.
La dipendenza si esprime anche nel legame profondo con il gruppo dei suoi coetanei. Più che il confronto diretto con gli adulti il ragazzo preferisce l'inserimento in un gruppo verso il quale assume un atteggiamento di fiducia e con cui è pronto a fare un cammino di fede e di preghiera. Il gruppo diventa così uno spazio privilegiato di educazione alla preghiera E questo è opportuno ricordarlo ai troppi educatori che pretendono di educare alla preghiera per il solo fatto di far pregare il preadolescente assieme a duecento suoi coetanei.
UNA PEDAGOGIA DI ESPERIENZE EDUCANTI
Gli spunti che la vita di ogni giorno offre per educare alla preghiera non sono pochi, purché si sia attenti a rintracciarli nella povertà dei gesti e fatti di ogni giorno, piuttosto che nelle esperienze di grande rilievo che raramente possiamo offrire ai nostri preadolescenti. Del resto, in genere, queste esperienze provocanti fanno parte del mondo degli adolescenti e dei giovani piuttosto che di quello dei ragazzi. Il mondo di questi ultimi è il mondo della normalità. Compito dell'educatore e trasformare questa normalità in momento educativo. Ciò che si chiede in fondo è una azione di valorizzazione della carica educativa del quotidiano attraverso un filtraggio delle esperienze. La fantasia e la intuizione dell'educatore sono chiamate continuamente in gioco.
Tuttavia non ci si può abbandonare alla improvvisazione ma occorre programmare una serie di incontri coordinati in una sequenza che conduca alla scoperta del mondo della preghiera. A pregare si impara. Un certo tipo di scuola di preghiera ha senso fin dalla preadolescenza. Troppo spesso invece la preoccupazione è quella di far pregare i ragazzi attraverso dei formulari più o meno adatti, accontentandosi di risultati immediati e superficiali.
Scopo di questi incontri non è una istruzione sulla preghiera, attraverso dei procedimenti di tipo oggettivo-deduttivo tesi a mettere in luce i contenuti essenziali della preghiera, ma una ricerca sulle motivazioni, sulle forme espressive, sugli atteggiamenti, sulle situazioni di apertura al mondo della preghiera.
Molto interessante, almeno come indicazione e offerta di spunti, è la sequenza proposta nella prima parte del volume «Ragazzi in preghiera» dove si presentano delle tracce e degli stimoli per una ricerca di gruppo che partendo dalle situazioni interpersonali che la vita di ogni giorno propone al ragazzo, le assume e le apre all'orizzonte della preghiera per una informazione sulla stessa, per un rinforzo di motivazioni e per una proposta di preghiera stimolante per la creatività del gruppo.
PREGARE LA VITA E VIVERE LA PREGHIERA
La meta della educazione alla preghiera si può dire raggiunta nel momento in cui si attua una discreta integrazione tra vita e preghiera. Il discorso che abbiamo fatto ha affrontato il tema degli interventi che vi possono condurre facendo una serie di scelte che possiamo coordinare nel principio «pregare la vita» in tensione con l'altro principio «vivere la preghiera».
Tra i due principi c'è una tensione dinamica che occorre precisare. Il punto di arrivo è identico; diversa è invece la loro funzione educativa. Le due direzioni hanno una diversa capacità di assimilazione. Occorre tenerlo presente dal momento che la spiritualità cui si cercava di condurre fino a qualche anno fa era sostenuta proprio dallo slogan «vivere la preghiera», ponendo così il momento della preghiera al centro della esistenza, mentre la sensibilità giovanile attuale è affascinata dallo slogan «pregare la vita», non meno carico di potenzialità educativa, attraverso lo sforzo che da esso ha origine di rivivere nella preghiera le dimensioni di fondo della esistenza, ponendo così al centro dell'interesse non tanto la preghiera in quanto tale ma il rivivere di fronte a Dio il quotidiano.