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    Una spiritualità «mariana» per i giovani oggi?



    Luis A. Gallo

    (NPG 1993-04-35)


    Si possono dire tante cose riguardo a una spiritualità mariana dei giovani e, nel dirle, si può sbagliare tanto. Perché non si tratta di annunciare princìpi astratti, e nemmeno contenuti perenni, ma di proporre delle linee concrete per la vita. E questo è sempre rischioso. Perché lo è sempre ogni riferimento alla realtà concreta, che può essere percepita in tanti modi diversi, magari ideologizzandola anche a propria insaputa.

    UN OPERAZIONE PREVIA

    Sono personalmente convinto, in base all'esperienza mia e di altri, che la prima cosa da fare quando si parla di spiritualità ai giovani, sia quella di realizzare un'operazione-scarto. Scartare cioè, ancora una volta e nonostante tutti gli sforzi già fatti specialmente nel periodo postconciliare in questa direzione, alcune concezioni di spiritualità tuttora molto diffuse tra le persone che frequentano i movimenti ecclesiali e i centri di spiritualità.
    Anzitutto, quella che trova il suo humus nel dualismo greco anima-corpo o spirito-corpo, secondo il quale ciò che in definitiva conta è l'anima spirituale e tutto ciò che ha a che vedere con essa, mentre la materia in genere e quanto è con essa collegato è, se non da disprezzare, almeno da sottovalutare.
    Una tale visione delle cose ha avuto delle ripercussioni negative sull'esistenza cristiana. La tendenza così accentuata per secoli nel cristianesimo a sopravvalutare lo spirituale e l'eterno e a svalutare il materiale e il temporale lo sta a dimostrare. Una delle espressioni tipiche, anche in bocca a grandi santi di quei tempi, è stata infatti quella che dichiarava programmaticamente: «Quod aeternum non est, nihil est». Su di essa costruiva, d'altronde con mirabile coerenza, la loro vita. Tra le tante conseguenze ecclesiali di una simile concezione, una molto vistosa è stata quella della separazione tra chierici e religiosi e religiose dai laici, e dal loro diverso apprezzamento. E questo in ragione del loro diverso rapporto appunto con le realtà spirituali e materiali o temporali.
    Come avremo occasione di ricordare presto, la spiritualità cristiana autentica è essenzialmente connotata dal suo rapporto con lo Spirito di Dio e di Cristo, e non con lo spirito umano in quanto si contrappone alla materia. Si è perciò «spirituali» portando dentro alla vita di fede l'uomo intero, con tutte le dimensioni, pure quelle che gli derivano dal fatto di essere anche materiale e immerso in un mondo materiale, e non selettivamente alcune di esse, quelle sopravvalutate dalla cultura greca.
    Un'altra concezione ancora non meno diffusa di spiritualità da scartare è quella che situa la spiritualità all'interno della dicotomia «religioso-profano», dandole il suo posto nell'ambito del primo. Si è allora «spirituali» nella misura in cui si è votati al religioso, al sacro, concepiti questi come ambiti a se stanti e nettamente separati dal resto della realtà e della vita. Concretamente, si è «spirituali» nella misura in cui ci si dedica con autenticità alla preghiera, alla vita interiore, magari alla contemplazione più alta, ecc.
    Anche di diverse e chiare manifestazioni concrete di questa concezione è testimone la storia della Chiesa, storia del passato ma pure del presente. Non per nulla il Vaticano II ha sentito il bisogno di mettere, a cavallo tra il capitolo quarto della Lumen Gentium dedicato ai cristiani laici e il sesto dedicato ai cristiani religiosi o consacrati, un capitolo quinto in cui proclama apertamente la vocazione universale di tutti i battezzati alla santità. È che la storia ci aveva come abituati a pensare la santità e, più specificatamente, la spiritualità come un retaggio di coloro che nella Chiesa si dedicano di preferenza alle cosiddette «cose spirituali» o alle «cose di Dio». La genuina spiritualità cristiana, quella che si definisce per il suo rapporto allo Spirito con la maiuscola, spazza via questa dicotomia. È infatti tutta l'esistenza, senza ritagli di sorta, che viene coinvolta in essa.
    Fatta così questa elementare operazione di scarto, dobbiamo dire con quale concezione di spiritualità lavoreremo. È già apparsa per inciso in quanto abbiamo esposto. Intendiamo per essa il modo concreto di vivere nello Spirito, in quello Spirito Vivificante e Santificatore che, nell'economia trinitaria della salvezza, è protagonista principale nella realizzazione del progetto di Dio sull'uomo, soprattutto a partire dal momento della glorificazione del Figlio (Gv 14, 16).
    La fede ci svela infatti la sua presenza dinamica in noi, la sua donazione da parte del Padre attraverso il Figlio, e la possibilità concreta che abbiamo di «esistere in Lui», di vivere «mossi da Lui», in modo tale che il nostro vivere non sia già quello dell'uomo naturale, che si muove sotto l'impulso del dualismo puramente umano, ma quello dell'uomo appunto spirituale, che attua tutto il suo potenziale umano sotto l'impulso del dinamismo divino (cf Rm 8,5-16; 1 Cor 2,10-16; ecc.).
    Dobbiamo ancora precisare, per chiarezza, cosa intendiamo per «spiritualità mariana», poiché sarà di questa che ci occuperemo in particolare. La possiamo descrivere molto concisamente, sullo sfondo di quanto è stato detto sopra, dicendo che è quel modo di vivere nello Spirito che cerca di modellarsi sul modo in cui Maria, la Madre di Gesù, è vissuta in quello Spirito. L'invito a vivere un tale tipo di spiritualità viene dalla convinzione, fortemente presente e operante nella Chiesa, che Maria svolga un ruolo emblematico in questo aspetto, data la sua intima vicinanza al suo Figlio. Se c'è una persona che ha saputo cogliere e realizzare quanto propose Gesù, questa è precisamente Maria, la «tutta santa», la «piena di grazia», come ama proclamarla la Chiesa tanto d'Oriente quanto d'Occidente. Sappiamo, d'altronde, che tutti i più grandi cristiani, quelli che la Chiesa ha proposto a modello di vita evangelica, hanno coltivato una tale spiritualità.
    Non è neanche necessario fermarsi a dimostrarlo.

    STORICIZZAZIONE DELLA SPIRITUALITÀ CRISTIANA

    Non ci vuole molto sforzo per capire che questo vivere nello Spirito di Cristo va storicizzato, e cioè adeguato al pire che questo vivere nello Spirito di ritmo della storia.
    Dal punto di vista teorico la necessità di una tale storicizzazione è giustificata dal fatto che l'uomo stesso che si lascia guidare dallo Spirito è un essere che vive e si evolve nel tempo, cambiando i suoi modi di vedere, di sentire, di agire e di reagire di fronte alla realtà in cui vive e di cui fa parte. Solo una visione essenzialista ad oltranza può negare un tale fatto.
    È quindi logico, da questo punto di vista, che anche ciò che chiamiamo spiritualità vada soggetto a tale esigenza. Ma oltre a essere un'esigenza teorica, una tale storicizzazione è un dato di fatto.
    Lungo i secoli, i cristiani hanno vissuto nello stesso Spirito in forme notevolmente diverse, pur conservando una sostanziale continuità in quegli aspetti che costituiscono come la quintessenza di tale vita.
    Le differenze sono dovute alle diverse accentuazioni che le circostanze storico-culturali comportavano. Confrontando un S. Benedetto con un S. Francesco d'Assisi, o una Santa Caterina da Siena con una Santa Teresa di Lisieux, non si può non riconoscere che ci si trova davanti a spiritualità profondamente diverse.
    E questo non costituisce un fatto negativo, ma al contrario un fatto enormemente positivo: sta a dire dell'inesauribile ricchezza dello Spirito e della svariata possibilità di vivere in lui che tale ricchezza offre. Possiamo aggiungere ancora che l'adeguamento della spiritualità non solo ai diversi individui o gruppi di credenti di una determinata epoca, ma anche alle esigenze che l'evoluzione culturale va creando, è un dovere di fedeltà.
    Il non cercarla, oltre che essere una maniera meschina di concepire lo Spirito di Dio, costituisce pure una mancanza di fedeltà all'uomo nella sua realtà storica.
    Certe proposte di spiritualità che obbligano i credenti a tornare indietro culturalmente nel tempo, creando di conseguenza in loro delle autentiche forme di schizofrenia tra esigenza umana e vita nello Spirito, vanno quindi totalmente scartate.
    Ciò vale non solo per la spiritualità cristiana in genere, ma anche specificamente per la spiritualità mariana, della quale ci stiamo occupando. Basta affacciarsi al mondo dei giovani per accorgersene subito, se non si è appunto in una situazione schizofrenica, che le loro aspettative sono profondamente cambiate in questo senso.
    Certe presentazioni della figura-modello di Maria, valide e arricchenti spiritualmente in altri tempi, magari non molto lontani, oggi non reggono più.
    Quanto abbiamo detto ci invita e per così dire quasi ci costringe a ricercare una spiritualità nuova per i giovani d'oggi. Anche una spiritualità mariana nuova.
    Quali i criteri? Credo si possano ritrovare indicati in quella proposta di rielaborazione dell'evangelizzazione per l'oggi fatta da Paolo VI nella Evangelii Nuntiandi. Ridotti a poche parole, essi si possono enunciare come fedeltà al dato rivelato da una parte, e come fedeltà al destinatario dall'altra.
    Bisogna innanzitutto rivisitare ciò che la Parola di Dio, specialmente nella sua fonte originale che è la Bibbia, ha detto su Maria. E, per ciò che riguarda i nostri scopi, non con un'intenzionalità dogmatica ma con l'intenzionalità appunto di scoprire questo suo vivere nello Spirito.
    E bisogna poi rivolgere lo sguardo su coloro ai quali oggi vogliamo proporre questo modello, per cogliere quali siano concretamente le loro attese.
    Ovviamente, per non venire ingenuamente incontro ad esse, ma per adeguare se è il caso criticamente la proposta ad esse. Perché non basta soddisfare le richieste, ma bisogna pure educarle.
    Tenuto conto di questi presupposti, cercherò di percorrere la strada segnalata, sia pur brevemente.

    MARIA, UNA «DONNA SPIRITUALE»

    In realtà, noi siamo in certo senso handicappati quando affrontiamo la ricerca biblica sulla persona storica di Maria. Ci imbattiamo infatti in una questione molto simile, ma forse ancora più acuta per il fatto di non trattarsi del personaggio principale, a quella che si riferisce al Gesù storico. E per lo stesso motivo: il modo di ragionare e di scrivere degli agiografi. Ragionando e scrivendo essi da credenti, e da credenti di quel preciso contesto culturale, hanno degli obiettivi notevolmente diversi da quelli che potrebbe avere uno scrittore non credente e, per di più, del nostro tempo.
    Se già narrando la vicenda storica di Gesù gli evangelisti lo fanno retroiettando su di essa la luce dell'esperienza pasquale, in modo tale che più che tramandarci dei nudi dati storici ci tramandano il senso che tali fatti hanno per la fede, dobbiamo concludere che qualcosa di analogo capita quando parlano della Madre di Gesù. È perciò difficile arrivare a sapere con certezza cosa essa abbia pensato, sentito, fatto o detto. I non molti momenti in cui essa appare come protagonista principale o secondaria di alcune scene, sono certamente più delle elaborazioni teologiche, certamente a sfondo storico, che dei dati strettamente storici, nel senso moderno della parola.
    Fa parte di questo modo di scrivere il fatto di convertire frequentemente i personaggi che entrano in scena, in simboli polivalenti di diverse realtà. Già nell'Antico Testamento, per esempio, quell'Abramo di cui parla il libro della Genesi è, oltre e più che il personaggio storico che avrebbe dato origine al popolo d'Israele, la personificazione simbolica dell'esperienza di fede dell'intero popolo nella sua esperienza storica. Questo processo di «simbolificazione» viene certamente applicato anche a Maria. Essa, oltre ad essere lo storico personaggio «Madre di Gesù», come la presentano sia i vangeli dell'infanzia (Mt 1,18-2,23; Lc 1,26-52) e altri brani evangelici (Mc 3,31-35; Gv 2,1-12;19,25-27), sia il libro degli Atti (1,14), è anche il simbolo di svariate realtà del mondo della fede: il popolo di Israele che accoglie il Messia (nel Magnificat), la comunità credente che porta in grembo e dona al mondo la Parola di salvezza (visita ad Elisabetta), l'umanità nuova che crede in Cristo (nozze di Cana), ecc.
    Quanto abbiamo detto, lungi però dal rendere impossibile o difficile il nostro obiettivo, in realtà ce lo facilita. Maria, infatti, quella Maria di cui ci parlano gli scritti del Nuovo Testamento, viene presentata tra l'altro come il prototipo della «donna spirituale». Bastano alcuni brevi cenni per convincersene. Cenni che d'altronde suppongono degli approfondimenti esegetici che non è il caso di affrontare, ma dei quali possiamo raccogliere alcune conclusioni.
    All'annunciazione viene detto a Maria che il Figlio che concepirà, e che sarà il Messia, il Salvatore del suo popolo, il Figlio di Dio e Figlio di Davide (cf Lc 1,31-32), sarà opera della potenza dell'Altissimo, dell'intervento in lei dello Spirito (Lc 1,35). La sua fecondità in ordine alla salvezza del mondo viene quindi qui attribuita a questa presenza e a questa azione dello Spirito di Dio in lei.
    Ai piedi della croce Giovanni fa stare, oltre il discepolo che Gesù amava e che in qualche modo rappresenta e la Chiesa tutta e l'intera umanità, anche Maria la madre di Gesù. E poco dopo averle affidato quel suo nuovo figlio, Gesù sempre nel racconto di Giovanni «emise lo spirito» (Gv 19,30). Sappiamo che molti Padri ed esegeti hanno visto in questa frase non tanto la descrizione laconica della morte di Gesù, quanto piuttosto la donazione del suo Spirito per la salvezza del mondo. Ora, Maria è lì, ai piedi della croce ed è la prima a ricevere questo Spirito dal Figlio, essa che deve diventare la Madre dell'umanità.
    Luca poi, raccontando secondo il suo progetto la Pentecoste, la venuta cioè escatologica dello Spirito sulla comunità dei discepoli, lascia intravedere che in quella casa c'era anche Maria, la Madre di Gesù (Atti 1,14 e 2,1). Anch'essa, quindi, resta piena di Spirito Santo per la realizzazione della missione affidata ai discepoli: «Riceverete su di voi la forza dello Spirito Santo, che sta per scendere. Allora sarete i miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la regione della Giudea e della Samaria, e in tutto il mondo» (Atti 1, 8b).
    Credo che siano sufficienti questi pochi accenni, peraltro non approfonditi, per cogliere l'intenzionalità o almeno una delle intenzionalità con la quale gli scrittori presentano la figura di Maria: essa è il simbolo di coloro che, credendo in Cristo, ricevono il suo Spirito e sono come lui mossi da esso.
    Ciò sta a dirci già subito che la spiritualità mariana deve essere segnata decisamente da una caratteristica intralasciabile, quella del cristocentrismo. Non è da oggi che si dice nella Chiesa: «Ad Jesum per Mariam». Questa frase può essere interpretata in chiave marianocentrica - in forma adeguata o in forma inadeguata certamente -; ma può anche essere interpretata in chiave cristocentrica, nel senso fortemente sottolineato dal Vaticano II nella Lumen Gentium: la devozione mariana non può mai essere vissuta come schermo a questo cristocentrismo, ma come un aiuto ad esso (cf LG 67).
    Nel nostro caso, cristocentrismo vuol dire concretamente che quello Spirito in cui e secondo cui si vuole vivere, è quello in cui e secondo cui visse lo stesso Gesù di Nazareth. Di lui ci dicono infatti le testimonianze neotestamentarie che era mosso da Spirito, che lo Spirito lo spingeva di qua e di là (Mc 1,14), che in forza dello Spirito guariva la gente e cacciava via gli spiriti impuri (Lc 11,20), che nello stesso Spirito gioiva perché i piccoli accoglievano il suo messaggio (Lc 10,21), ecc.
    Si può chiedere, davanti a tutte queste affermazioni, che cosa sia questo Spirito. Tutta la Bibbia lo attesta: è la forza vivificante di Dio all'opera nel mondo; una forza vivificante che è presente anche, e in modo del tutto particolare e con un'intensità impareggiabile, in Gesù.
    È questa la forza interna che lo muove, il fuoco che lo divora, e che lo porta a sfidare anche le più tenaci opposizioni e perfino la morte. Ed è pure questo lo Spirito che comunica ai suoi seguaci. Anche, quindi, alla sua propria Madre. La sua è pertanto una spiritualità decisamente segnata da questo Spirito del suo Figlio. Questo dato dovrà essere tenuto ben presente al momento di fare una proposta di spiritualità mariana a chicchessia, anche ai giovani d'oggi.

    I GIOVANI D'OGGI DESTINATARI DELLA PROPOSTA Dl SPIRITUALITÀ MARIANA

    Parlare dei giovani oggi è sempre problematico. Soprattutto per via delle generalizzazioni in cui si può facilmente incorrere. Eppure bisogna farlo, se si vuole che una proposta di spiritualità rispetti il criterio della fedeltà al destinatario. È vero che per alcuni tipi di intervento nel mondo giovanile ci vogliono delle conoscenze molto precise, addirittura fondate su inchieste e statistiche di livello scientifico. Per ciò che riguarda il nostro tentativo sembra invece che sia sufficiente una conoscenza empirica, quella che si può avere da un'esperienza sufficientemente aperta alle attese dei giovani. In questo nostro tentativo ci riferiremo solo ai giovani di questo Primo Mondo in cui ci troviamo, il mondo del benessere diffuso e del progresso sfrenato, con tutta la sequela di conseguenze positive e negative che essi comportano. Un altro discorso si dovrebbe fare, certamente, nei confronti dei giovani del mondo povero ed emarginato del Sud dell'umanità.
    La nostra esperienza ci fa toccare con mano che questa gioventù non è oggi, da diversi punti di vista, una realtà omogenea. C'è però una componente comune tra le sue diverse fasce, che è quella della problematicità con cui vivono il senso della vita. In genere per loro tale senso non è più scontato, come lo era in altri tempi o in forza della fede ricevuta dalla famiglia o dalla società o per via di altre ricerche da essi realizzate a questo scopo.
    Non pochi di questi giovani danno chiari segni di aver smarrito questo senso, o di non averlo mai trovato, e ciò li porta a dire «no» alla vita o suicidandosi anche per i più futili motivi, o immergendosi in un nichilismo che, se è vero e non solo apparente, li rende apatici a qualunque valore. Altri pretendono di dare senso alla loro vita mediante forme di violenza anche distruttrice che li convertono in un fattore di morte per sé e per gli altri. Violenza che viene alimentata spesso dai mezzi di comunicazione sociale, con la proposta di modelli di vita imperniati su questo atteggiamento. Altri ancora, nella loro disperata ricerca di senso, si danno a soluzioni illusorie quali la droga o equivalenti, che finiscono per condurli alla morte personale e sociale.
    Ci sono invece dei giovani che questo senso della vita lo trovano o lo ritrovano nell'intersoggettività, nella coltivazione di rapporti interpersonali intensi di amicizia fatta accoglienza, dialogo, comunione, e concretizzata nella creazione di gruppi ristretti in cui trovano gratificazione personale e anche la forza per sopravvivere nelle altre forme di rapporti meno soddisfacenti (famiglia, scuola, lavoro, ecc.).
    Non mancano infine dei giovani che scelgono di dare senso alla loro vita mediante l'impegno personale e/o di gruppo nel servizio verso gli altri, soprattutto verso i più bisognosi; sia in forme assistenziali, di volontariato o in altre di indole più socio-politica.
    Questo quadro della condizione giovanile, che naturalmente non ha nessuna pretesa di essere esauriente, ci pone davanti agli occhi coloro a cui vogliamo oggi fare la proposta di una spiritualità mariana. Certo, essa potrà difficilmente venir fatta ai giovani descritti nelle prime pennellate, di taglio nettamente negativo, del nostro quadro. Probabilmente essa dovrà essere preceduta da altri passi che conducano a una riscoperta del senso positivo della vita, della vita propria e di quella altrui. Può darsi però che alcuni di essi trovino nella figura stessa di Maria, la Madre di Gesù, la strada per questa riscoperta.

    ALCUNE LINEE ESSENZIALI Dl UNA SPIRITUALITÀ MARIANA PER I GIOVANI

    Maria, secondo quanto dicevamo sopra, è uno straordinario modello di spiritualità. Un modello degno di essere proposto ai credenti in Cristo di tutti i tempi, e quindi anche ai giovani d'oggi. E se in altri tempi la spiritualità mariana ha avuto delle caratteristiche proprie (si pensi per esempio a quelle messe in luce da S. Luigi-Maria Grignion di Montfort), oggi credo che la caratteristica principale debba essere, come ho già anticipato, quella di un accentuato cristocentrismo. Un cristocentrismo però che a sua volta sia inteso secondo ciò che sono le legittime attese del momento attuale. Infatti, anche la cristologia odierna è profondamente segnata da ciò che sono le accentuazioni proprie del momento culturale in cui ci troviamo.
    Spiritualità mariana vorrà quindi dire vivere con Maria e come Maria, secondo le condizioni proprie dell'età in cui si trovano i giovani, nello stesso Spirito del suo Figlio. Ora, questo vivere può concretizzarsi in tre componenti strettamente collegate tra di loro, che si possono enunciare sinteticamente così: sentire ciò che sentì Gesù; lavorare per ciò per cui lavorò Gesù; essere disposti a soffrire ciò che soffrì Gesù.

    Sentire ciò che sentì Gesù

    L'esperienza di Gesù comporta fondamentalmente due dimensioni, pure esse intimamente collegate tra di loro: figliolanza nei confronti di Dio, passione per la vita nei confronti degli uomini suoi fratelli. È un'esperienza che implica certamente un determinato modo di vedere, di pensare e concepire le realtà tra le quali e con le quali si vive, ma che soprattutto comporta un modo di sentire in profondità le realtà in questo modo: «Abbiate in voi lo stesso sentire (fronein) che fu in Cristo Gesù», dice Paolo ai Filippesi (Fil 2,5).
    Questo sentire, che non è un mero e superficiale sentimentalismo, ma una specie di strutturazione psichica profonda, costituisce come la «matrice emotiva» (Tillich) dalla quale scaturisce poi anche l'agire. È, direi, come la «carne psichica» (passi l'espressione!) dello Spirito di Gesù. Certo, questo sentire sarà vissuto a seconda delle diversità del corredo psichico di ognuno, ma non potrà mai essere assente dalla spiritualità. E va inoltre coltivato adeguatamente, come lo coltivava certamente lo stesso Gesù, a giudicare da alcuni dati che ci hanno tramandato i vangeli, quali quello delle sue notti passate in preghiera con Dio (Lc 6,12; ecc.).
    Senza dubbio Maria ha fatto un'esperienza simile. Non ne abbiamo testimonianze bibliche, ma lo possiamo fondatamente supporre. Anzi, ci si può chiedere se questa esperienza di intimissima figliolanza con Dio e di incontenibile passione per la vita degli uomini che visse Gesù, non sia dovuta in gran parte al previo influsso materno di Maria. Un'osservazione dello psicologo E. Fromm sul ruolo dell'amore materno nella formazione dell'uomo ci può orientare verso una risposta positiva al riguardo: la madre, sostiene questo Autore, è colei che istilla nel figlio l'amore per la vita (cf L'arte di amare). Ad ogni modo, se Maria visse nello Spirito del suo Figlio, possiamo essere certi che fece fondamentalmente la stessa sua esperienza. Ovviamente, adeguata alla sua psicologia di donna e di donna ebrea di quel tempo. Pure lei, quindi, visse con intensa intimità un rapporto di figliolanza con Dio, e un'ardente passione per la vita degli uomini.

    Lavorare per ciò per cui lavorò Gesù

    Abbiamo parlato di quel sentire profondo che era certamente presente tanto in Gesù quanto nella sua Madre. Ma l'istanza ultima di Gesù non è il sentire tanto meno il pensare o il parlare! ma l'agire: «Non chiunque dice 'Signore, Signore' entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7,21; ecc.).
    Fare la volontà del Padre non significa diventare esecutori magari anche attenti e precisi di una incombente decisione divina sulla propria vita o sugli avvenimenti della storia, ma fare propria la causa del Regno di Dio quale causa della vita più piena degli uomini, specialmente dei più bisognosi. Significa, in concreto, lavorare per ciò per cui lavorò indefessamente Gesù, mossi dalla sua stessa passione per la gloria del Padre che è la pienezza di vita degli uomini. Una pienezza che esclude qualunque limitazione, appunto perché la vita concreta degli uomini si gioca sull'ampio fronte dell'intera realtà. Non è quindi più spirituale torniamo ancora a ribadirlo chi si dedica alle cosiddette «cose spirituali» o «cose di Dio», ma chi si dedica alle cose degli uomini mosso dallo Spirito di Gesù, a cominciare da quelle per niente «spirituali» quali sono il pane da mangiare, il vestito per coprirsi, il tetto per avere una sicurezza. Gli atti più «materiali» o «profani» possono diventare così veramente spirituali, mentre quelli più «spirituali», quali la preghiera e la contemplazione, possono essere vuoti di Spirito, dello Spirito di Gesù, appunto perché non vanno nella direzione della ricerca della vita degli uomini.
    Noi non sappiamo, dai dati che ci hanno tramandato gli evangelisti, come abbia vissuto storicamente Maria questo impegno. Il fatto però che Luca abbia elaborato la narrazione della visita ad Elisabetta (Lc 1,39-56) e Giovanni la narrazione delle nozze di Cana (Gv 2,1-12) in quel modo in cui l'hanno fatto, ci può permettere di intravedere quale sia stato il modo di impegnarsi di Maria dietro le orme del suo Figlio. Certamente quella incontenibile passione per la vita concreta degli uomini, soprattutto dei più poveri e bisognosi, deve averla spinta ad un darsi costantemente da fare per venire incontro, premurosa ai loro bisogni.

    Essere disposti a soffrire ciò che soffrì Gesù

    Appunto perché era un «uomo spirituale» nel senso che abbiamo indicato, Gesù dovette scontrarsi con coloro che questo Spirito di Dio non l'avevano, ma viceversa erano mossi da altri spiriti: lo spirito dell'egoismo, che li portava all'indifferenza e all'insensibilità verso gli altri, e a produrre emarginazione e addirittura sfruttamento nei loro confronti; lo spirito dell'orgoglio, che li faceva disprezzare gli altri; lo spirito dell'invidia, che li portava a desiderare per sé il bene degli altri; lo spirito del legalismo, che li chiudeva in un atteggiamento servile e mercanteggiante nei confronti di Dio; ecc.
    Questo scontro mise Gesù in condizione di dover sopportare contraddizioni di ogni genere, fino a essere messo in croce, per portare avanti il suo progetto, il progetto del Padre. In questo contesto il suo Spirito si manifesta come coraggio, pazienza, costanza imbattibile. Lo muoveva soprattutto a non mollare davanti agli ostacoli, ad affrontare anche la morte per la causa abbracciata.
    A questa vicenda dolorosa partecipò pure la sua Madre. I vangeli ce lo ricordano. Secondo Giovanni, come abbiamo già ricordato, essa era ai piedi della croce (Gv 19,25). Indubbiamente Maria visse con lo stesso Spirito del suo Figlio questa fecondità del chicco di frumento che, data la realtà concreta della nostra condizione umana, deve passare attraverso il dolore, la fatica, la contraddizione, per poter dare la vita (Gv 12,24-25). Non per niente Gesù usa nei suoi discorsi il paragone della donna che soffre per dare alla luce una vita nuova (Gv 16,21).
    Chi vuole essere «spirituale» dietro a Gesù e alla sua Madre deve essere quindi disposto a soffrire ciò che essi hanno sofferto. Perché gli spiriti che si opponevano al progetto di Gesù esistono oggi come allora, dentro di noi e attorno a noi. In questo senso la spiritualità è anche una lotta e implica necessariamente la croce. Però la croce non come canonizzazione di qualunque tipo di sofferenza, ma come sopportazione attiva del dolore fecondo.
    Fare l'esperienza che fecero Gesù e Maria, lavorare appassionatamente per ciò che per cui essi lavorarono, essere disposti a sopportare e soffrire ciò che essi sopportarono e soffrirono: ecco tre componenti caratteristiche e imprescindibili della spiritualità mariana dei giovani.
    Il fatto però che si tratti appunto di giovani, e di giovani del nostro tempo, mi porta a sottolineare, per finire, un altro tratto caratteristico dello Spirito di Gesù, che non può quindi mancare nella spiritualità mariana: la sua spinta verso il nuovo, verso l'inedito. La parabola degli otri è molto eloquente e significativa al riguardo (Mt 9,17). Il regno di Dio, ossia il trionfo pieno e definitivo della vita sulla morte negli uomini e tra gli uomini, è infatti la grande e vera novità della storia. Nell'ultimo libro della Bibbia, l'Apocalisse, il Dio «che era, che è e che viene» dichiara solennemente: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). Per questo, Gesù è un sognatore e un «rivoluzionario», perché è in intima e operosa comunione con questo Dio. Egli sogna una situazione umana nuova, diversa; invita ad un cambiamento radicale di rapporti e strutture che faccia possibile tale novità; sollecita, come dirà poi Paolo, a «buttare via il lievito vecchio» (l Cor 5,77) per diventare massa nuova, a deporre l'uomo vecchio per diventare uomini nuovi (Col 3,910); incoraggia ad essere non meri uomini della memoria che ripetono il passato, ma piuttosto uomini della fantasia che inventano il futuro nuovo e migliore.
    I giovani sono biologicamente e psicologicamente in situazione di connaturalità con una spinta di questo genere. Sempre che non siano stati guastati da fermenti di vecchiaia. Lo Spirito di Gesù trova quindi in essi degli otri predisposti. La loro spiritualità dovrà quindi essere una spiritualità eminentemente utopica. Non di quella utopia che è sterile illusione, ma di quella che con sano realismo provoca la realtà ad una rottura con il presente, in vista di quell'impossibile-possibile che l'amore del Dio della vita ha sognato per l'uomo e del quale Gesù, e con lui anche Maria, hanno dato i segni anticipandoli nel loro impegno.
    Ciò vuol dire, da una parte, che i giovani devono coltivare ed essere aiutati a coltivare una spiritualità profetica, nel senso indicato dalla Gaudium et Spes (n. 11a). Una spiritualità che li impegni seriamente nel discernimento dei segni del progetto di Dio negli avvenimenti, richieste e aspirazioni cui prendono parte insieme con gli altri uomini e giovani del nostro tempo. Ad essere cioè contemplativi, ma non di una contemplazione che li alieni dalla storia, ma di quella contemplazione che li faccia capaci di scoprire Dio in ciò che accade in essa.
    E, dopo il discernimento, deve venire anche l'impegno nella realizzazione di quanto attraverso esso scoprono. Per essere così spirituali ci vuole, come è logico, una profonda inserzione nelle realtà del mondo, nelle mutevoli e contingenti realtà della storia.
    D'altra parte, questa spiritualità utopica non dovrà portare i giovani a fuggire la dura realtà del presente alienandosi in vane prospettive di futuro, ma a calare l'utopia del regno della vita nella grigia e alle volte pesante monotonia del quotidiano, come fecero appunto Gesù e sua Madre. In loro infatti non c'è una fuga irresponsabile verso un futuro inconsistente, ma la ricerca realista di un anticipo del domani di fraternità nell'oggi del conflitto e della morte.

    Conclusione

    Ho tentato di segnalare alcuni elementi che, a mio giudizio e a partire da una certa esperienza, possono tratteggiare una spiritualità mariana per i giovani d'oggi. La cosa migliore però a questo scopo sarebbe quella di affacciarsi alla realtà e vagliarla. Si troverebbero sicuramente nella Chiesa giovani che ci potrebbero fare da maestri in questo senso. Forse potremmo imparare molto da loro, più di quanto alle volte sospettiamo.
    Poiché nei loro riguardi si attua certamente con speciale intensità quanto dice la Lumen Gentium: «Con la sua materna carità, Maria si prende cura dei fratelli del suo Figlio ancora peregrinanti e posti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano condotti nella patria beata» (n. 62).


    T e r z a
    p a g i n A


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