Declinazioni pedagogiche della mistica cristiana

 

Educazione e mistica /1

Uno sguardo d’insieme

Raffaele Mantegazza

(NPG 2012-04-77)


Qual è il contributo che la grande mistica cristiana può dare a una teoria dell’educazione e alle pratiche educative odierne, anche laiche? La nostra rubrica indagherà alcuni grandi topoi della mistica cristiana declinandoli in senso specificatamente pedagogico.

In particolare verranno affrontati i seguenti temi:
* Un Dio al negativo: se quasi tutti i mistici condividono l’idea che parlare di Dio non è possibile in senso positivo perché in questo modo lo si limita, proprio questo senso di infinito «negativo» porta alla necessità di educare alla domanda piuttosto che a trovare risposte. Il primato della domanda, da tenere sempre aperta anche se non esistono risposte preconfezionate, è un contravveleno rispetto a una pedagogia che si illude di fornire risposte per ogni domanda ma non sa ascoltare i soggetti condividendo il loro spiazzamento riguardo le domande esistenziali.
* Tra Grazia e anomismo: i mistici affrontano radicalmente il senso delle regole, sconfinando spesso nell’anomismo ovvero nell’assenza di regole: il mistico e la mistica attingono una esperienza del divino che va al di là delle Scritture e anche delle regole. Questo significa che per loro le regole e i comandamenti non valgono più? Ovviamente no: pedagogicamente significa esattamente il contrario, ovvero che lo spirito della legge e della regola prevale sulla lettera e la travalica. Nell’attuale dibattito pedagogico sulle regole ci sembra che questa riflessione possa costituire un contributo significativo.
* Tra carisma e istituzione: il mistico e la mistica stanno nell’istituzione Chiesa ma al contempo fruiscono di una esperienza del divino personale e irripetibile che rischia di contrastare con ogni forma di istituzionalizzazione. Il senso delle istituzioni, che spesso viene definito «mancante» presso le giovani generazioni, soprattutto in Italia, può essere riscoperto se si pensa ad esse come a un trampolino di lancio verso un’etica che le supera, le trascende e riesce a vederne a sottolinearne i limiti e le manchevolezza.
* Essere Dio: forse uno dei sensi maggiormente pregnanti dell’esperienza mistica è la sua capacitò di educare all’infinito: il mistico e la mistica hanno una immersione totale nel divino che in alcuni momenti li porta a perdere la distinzione tra sé e la divinità, a perdersi nell’infinito e a diventare infiniti. Un senso di perdita/ritrovamento di se stessi che a nostro parere è l’anima di ogni vero apprendimento, quando il soggetto si sprofonda nell’oggetto fino quasi a dimenticare se stesso e l’oggetto, se-dotto da questo sprofondamento, inizia a svelarsi e a parlare.
* Forzare Dio: il dialogo con Dio dei mistici e delle mistiche non esclude il conflitto ma anzi lo prevede come sua struttura intima: il mistico e la mistica possono forzare Dio ad amarli, possono far subire al Regno dei Cieli la violenza dell’amore; il dialogo tra il fedele e Dio è allora un dialogo caratterizzato dal continuo conflitto e dalle continue tensioni. Educare al conflitto a partire da questa considerazione significa considerare il conflitto come anima di ogni processo educativo e come manifestazione di amore nei confronti dell’oggetto con il quale si confligge.
* Il tempo e l’infinito: le temporalità della mistica travolgono i soggetti e li immergono in una dimensione estatica del tempo; la dimensione mistica annulla la temporalità così come la conosciamo, perché ogni attimo è il momento della possibile catastrofe che cambia del tutto le coordinate dell’esistenza; ma poi il mistico torna nel mondo temporale e ha il problema di comunicare nel tempo l’esperienza compiuta nell’eternità. Il tempo dell’educazione è a sua volta un tempo sospeso, ek-statico, un tempo che necessita di essere difeso dalla temporalità quotidiana e di immergere i soggetti in una dimensione temporale altra e differente, dalla quale emergere alla fine del processo educativo per tornare a immergersi nel tempo della vita.
* Un Dio amico: il rapporto con Dio proprio del mistico e della mistica è un rapporto intimo ed emotivo, tipico dell’amicizia e del vedere faccia-a-faccia. Per il mistico Dio è anche un Dio amante: il mistico e la mistica vivono nel loro rapporto con Dio una dimensione erotica, di amore fisico, simboleggiata dalla metafora coniugale (di origine profetica). L’amicizia e l’amore, l’esperienza della condivisione e l’esperienza amorosa costituiscono uno dei cardini dell’esperienza educativa, come autentica apertura all’altro/a, consegna fiduciosa di sé all’altro/e del/della quale non si teme l’aggressione ma si auspica l’abbraccio.
* La fusione, lo scioglimento, l’immersione: educare attraverso la mistica significa educare alla debolezza: il Sé del mistico e della mistica si scioglie e si annacqua nel divino; questo porta a una educazione alla rinuncia di sé, alla debolezza, alla rinuncia all’autoaffermazione, alla passività, fino alla dimensione radicale del mangiare ed essere mangiati. L’eucaristia è un pretesto per i mistici per tematizzare l’idea di pranzo e di divoramento, nel duplice senso del fedele che incorpora il corpo di Cristo ma anche di un Dio che ci divora e ci mangia, restituendo fisicità e corporeità all’esperienza religiosa. Educare a segni deboli e poveri, educare a una essenzialità corporea, a una minimalità dell’esperienza di sé è un forte antidoto alla produzione dell’effimero e dell’eccedente tipica della nostra epoca.
* Lo statuto delle creature: verso un’educazione cosmica. Anche se il mistico e la mistica cercano Dio dentro di sé, non rinunciano allo sguardo sul cosmo e sulle creature (basta pensare a Francesco d’Assisi), proponendo l’idea di una teologia cosmica ed ecologista. Il rapporto con la natura non può che essere una dimensione fondante rispetto a una educazione che voglia essere aperta alle sfide del XXI secolo.
* Nulla e annientamento. Annientarsi in Dio non significa affatto svalutare la propria soggettività, ma al contrario pensare che la vera forza dell’Io è nel suo sacrificarsi dentro il divino. Se Dio è Nulla allora il Nulla (il nostro nulla) è la più alta esperienza del divino che possiamo fare. Annientarsi significa sperimentare la povertà e l’umiltà, e dunque educare alla kenosis. La povertà scelta dal mistico è autoumiliazione e scelta di farsi piccolo, condivisione di uno stile di vita essenziale e vicino all’esperienza di Dio che si fa piccolo in Cristo.
Le suggestioni dalle quali prenderanno le mosse le nostre riflessioni saranno tratte tra l’altro da testi quali il libro XI dalle Confessioni di Agostino, la Lettera a Eustochio e la Lettera a Paola di Gerolamo, La scala del Paradiso di Giovanni Climaco, la Vita e detti dei padri del deserto, La vita divina di Jan di Rusbroeck, i Sermoni tedeschi di Meister Eckhart, La luce fluente della divinità di Matilde von Magdeburg e altri testi della tradizione mistica cristiana.