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    Educare l’amore. Percorso per fidanzati /8

    Raffaele Gobbi

    (NPG 2011-01-65)


    Il percorso Educare l’amore approda a conclusione sulla sponda della Grazia. Con grazia, perché è bene essere acutamente consapevoli dei rischi e delle derive della società di oggi ma senza livore, senza esagerato pessimismo, atteggiamenti poco consoni a chi mette al centro della sua fede il Risorto. Annunciare ed educare con grazia, ossia superando lo stile di una militanza aggressiva ma con la forza debole e mite della Parola. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date»: proporre e invitare, alzare la voce quando serve e stare in silenzio quando è opportuno, tutto questo con una grande libertà interiore, pienamente dediti a questo impegno ma anche sereni e fiduciosi in un Oltre che ci viene incontro.
    La Grazia ha la concretezza del rito in cui il matrimonio si compie in quanto sacramento. E se il cammino è verso questo approdo, sarà il rito stesso a far comprendere più profondamente certe dinamiche del fidanzamento. Si comprende il fidanzamento alla luce della grazia del matrimonio così come manifestato nel rito. E questo giova per ritrovare tutta la bellezza e la freschezza di una realtà così straordinariamente bella per tante persone come lo ‘stare assieme’.
    Come ha scritto qualche tempo fa Andrea Bozzolo proprio su questa rivista:
    «Che l’amore sponsale di un uomo e di una donna debba necessariamente esprimersi in un rito, non è un’ovvietà; o almeno, non lo è più. Una delle circostanze più ricorrenti nell’attuale prassi pastorale è, infatti, l’incontro con fidanzati che non percepiscono il senso che una celebrazione rituale può avere all’interno della storia del loro rapporto di amore. Anche a prescindere dalle situazioni, pur diffuse, di un “matrimonio per prova”, ossia di un vincolo che vorrebbe avere la consistenza coniugale ma senza l’impegno della definitività, la domanda, più o meno implicita, che molti fidanzati si pongono è formulabile all’incirca in questi termini: “Se il matrimonio nasce dall’amore e noi già ci amiamo, il rito che senso ha?”».[1]

    Io ti prendo come mia sposa
    Io ti prendo come mia sposa
    davanti a Dio e ai verdi prati
    ai mattini colmi di nebbia
    ai marciapiedi addormentati
    alle fresche sere d’estate
    a un grande fuoco sempre acceso
    alle foglie gialle d’autunno

    Così cantava Baglioni anni fa: nel rito evocato dal cantautore non c’è traccia di altri esseri umani, parenti, amici, la società. Siamo indubbiamente immersi in questo sentire privatistico dell’amore a due; anche là dove il rito del sacramento è curato e preparato con una certa cura non è infrequente che si tratti di ricerca di bellezza estetica più che di profondità misterica. Con paziente tenacia, senza lasciarsi andare a sterili lamentazioni od invettive, i fidanzati vanno stimolati a cogliere la rete di relazioni e socialità di cui sono oggetto e soggetto. In particolare nel corso prematrimoniale la comunità cristiana deve fare la sua naturale comparsa, ad esempio con una presentazione pubblica alla parrocchia, con l’intervento attivo di sposi della comunità che incontrino i fidanzati e altro ancora. Sono segni che non possono colmare del tutto un vuoto di sensibilità ma almeno indicare una via, una attenzione.

    Far colpo, far Mistero

    Il rito del matrimonio nella sua sobria semplicità sa dire tutto senza troppi fronzoli. Si inizia con il raccordo esplicito all’iniziazione cristiana, nel ricordo del battesimo. Passando dal dialogo sulle intenzioni dei nubendi alla manifestazione del consenso; dallo scambio degli anelli alle invocazioni dei santi; con la possibilità dell’incoronazione e vela­zione.
    Grazia per i fidanzati, che assieme al presidente della celebrazione curano il rito, significa superare la logica del far colpo, del far leva in modo esagerato sulla spettacolarità per cogliere tutta l’espressività del sacramento che realizza ciò che viene annunciato. Si tratta di andare oltre la superficie dei gesti, dei suoni, delle parole per sperimentare lo spessore misterico del sacramento.
    In questa direzione giova focalizzare per tempo l’attenzione sulla comprensione e preparazione del rito. Iniziare al senso e alla bellezza della liturgia è una via che permette sia di andare incontro ad esigenze molto concrete dei nubendi che di proporre una catechesi ancorata a gesti, simboli e parole che sono il cuore del rito.

    Narrare

    Va narrato il bell’annuncio evangelico dell’amore a due che trova il suo coronamento e non la sua tomba nel matrimonio. È un compito da perseguire già con preadolescenti e adolescenti, non è affatto troppo presto!
    Questo perché molta parte della comunicazione odierna ha una struttura di narrazione più che di argomentazione vera e propria. Un bel narrare unisce la capacità di muovere/educare i sentimenti con la spinta a riflettere e ragionare. Dal registro narrativo si può passare con naturalezza a quello argomentativo per rendere ragione e approfondire, coinvolgere la persona nelle sue facoltà razionali.
    Occorre dare a fidanzati e a coppie di sposi la parola per raccontare e testimoniare la loro esperienza di amore illuminata dalla luce della fede.
    Dal vivo della testimonianza di persone credenti si potrà cogliere cosa significhino pudore e castità; l’amore fedele, esclusivo e fecondo; il matrimonio e la speciale consacrazione come vocazione. Sfogliare alcune pagine della Scrittura che narrano l’amore umano è altrettanto possibile e utile (libro di Tobia, Cantico dei Cantici, ecc). Specie nei percorsi prematrimoniali questo respiro biblico è una risorsa preziosa: non pochi nubendi saranno affascinati e interpellati dalla bellezza della Scrittura, quando la si saprà proporre senza piegarla a fonte di citazioni per provare affermazioni teologiche o canoniche e senza ridurla a moralismo.

    Faccia a faccia

    In un mondo sempre più proteso a personalizzare le pubblicità e a modellare il marketing sulla fisionomia se non di singoli almeno di piccoli gruppi di persone (micromarketing o marketing personalizzato), l’incontro faccia a faccia del sacerdote con la coppia di fidanzati interessata al matrimonio cristiano è un passaggio prezioso. Evidentemente non si tratta di rincorrere logiche mondane, né di scivolare nel clericalismo per cui solo il ‘prete’ sa dire le parole giuste e ha l’autorevolezza adeguata per dialogare con chi si avvia a configurare una vocazione differente dalla sua!
    Resta confermata l’importanza di coppie di sposi che affianchino e conducano i percorsi prematrimoniali… eppure nel turbinio di impegni pastorali l’incontro con chi chiede il matrimonio cristiano è da considerare con attenzione, proprio per le positive aperture di cammino che può generare. Sarà un incontro in cui far sperimentare uno stile di ascolto attento e non giudicante e al tempo stesso sapiente nel proporre un salto di qualità, un approfondimento del percorso di coppia.

    Quale bellezza salverà il mondo?

    Sento che ancora oggi la domanda su questa bellezza ci stimola fortemente: «Quale bellezza salverà il mondo?». Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio.
    Occorre insomma far comprendere ciò che Pietro aveva capito di fronte a Gesù trasfigurato («Signore, è bello per noi restare qui!»: Mt 17,4) e che Paolo, citando Isaia (52,7), sentiva di fronte al compito di annunciare il vangelo («Quanto sono belli i piedi di coloro che recano un lieto annunzio di bene!»: Rom 10,15).[2]
    L’orizzonte pastorale tratteggiato dal cardinal Martini è sicuramente all’insegna della grazia!
    Una bellezza che è stile di vita e azione pastorale; una bellezza che è acutamente Grazia, cioè consapevolezza del dono di Dio. Una grazia con cui accompagnare i fidanzati che chiedono il sacramento e con cui proporsi a chi al sacramento ancora non pensa, pur essendo fidanzato-convivente.

    Ide-azione

    Il filmCasomaiè incentrato sulla celebrazione sui generis di un matrimonio. Senz’altro è una visione stimolante nell’ottica di questo articolo: a partire dal rito stesso viene recuperata e compresa la vicenda a due della coppia. Certamente il rito come presieduto dal don Livio cinematografico è ‘fuori dagli schemi’ ma funzionale a comprendere quanto scioccamente superficiale e banale sia il rifiuto del matrimonio oggi.
    Momenti di coinvolgimento per una testimonianza di coppie di sposi hanno la loro importanza. Anche solo per andare controcorrente rispetto alle purtroppo numerose vicende di fallimenti matrimoniali e per riconoscere l’impegno cristiano esemplare di non poche coppie credenti, si dia la parola proprio a delle coppie, anche con qualche anno di matrimonio sulle spalle.
    Chiediamo alle coppie di fidanzati di leggere integralmente il libro di Tobia, delicata storia d’amore e fiducia nella Provvidenza, intesa non come passivo fatalismo ma attivo mettersi in cammino. Accogliamo da loro i commenti e le risonanze che nascono dalla diretta lettura del testo.
    Agli operatori pastorali che hanno a che fare con i fidanzati si chieda di leggere e commentare questa riflessione di Martini (Lettera pastorale del 1999-2000, citata sopra), che inquadra bene cosa significa il ‘con grazia’ di questo articolo.
    Essere testimoni della Bellezza che salva nasce dal farne continua e sempre nuova esperienza: ce lo fa capire lo stesso Gesù quando, nel vangelo di Giovanni, si presenta come il «Pastore bello» (così è nell’originale greco, anche se la traduzione normalmente preferita è quella di «buon Pastore»): «Io sono il pastore bello. Il bel pastore offre la vita per le pecore... Io sono il bel pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore» (Gv 10,11.14s). La bellezza del Pastore sta nell’amore con cui consegna se stesso alla morte per ciascuna delle sue pecore e stabilisce con ognuna di esse una relazione diretta e personale di intensissimo amore.


    NOTE

    [1] Il rito si addice all’amore? NPG 2002/1, p 53.
    [2] Estratti dalla lettera pastorale del 1999-2000 Quale bellezza salverà il mondo? del cardinale Carlo Maria Martini, Editore Centro Ambrosiano, Milano. Consultabile all’indirizzo www.diocesidimilano.it, nella sezione dedicata all’arcivescovo emerito.


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