Approfondimento esegetico
Cesare Bissoli
(NPG 2011-05-20)
È la parola-guida, il leitmotiv che Benedetto XVI ha scelto per la GMG a Madrid, ormai imminente. Non è una scelta-francobollo, alla moda. Ma vuole dare il profilo costitutivo della GMG, come la pensa il Papa. Ne dà una spiegazione nel suo Messaggio che delinea il senso dell’evento.
In puntate successive (e in questo stesso dossier) NPG ha spiegato – con articoli di Luis A. Gallo – la visione del Papa, ma ora, in prossimità immediata della celebrazione, merita concentrarci su quella che abbiamo chiamato parola guida, perché sarà sicuramente al centro del suo articolato e appassionato discorso ai giovani di tutto il mondo.
Rispondiamo a queste domande: perché il Papa offre una parola-guida presa dalla Bibbia? Che cosa vuol dire il testo citato? Come tocca la preparazione immediata alla Giornata di Madrid?
Perché una citazione della Bibbia in testa a tutto?
Perché la Bibbia ci comunica la Parola di Dio, il suo pensiero, il suo progetto, la sua volontà, ci offre la traccia del cammino da percorrere, un cammino profondo, interiore, spirituale, perché la GMG non cada in un folklore turistico, in un raduno festaiolo. Solo Dio alle persone che lo vogliono incontrare – e tale è nel suo fondo l’essenza di una GMG – può dire come vuol essere incontrato, che poi significa assicurare la validità e la gioia di una grande esperienza profondamente umana perché profondamente religiosa.
Di qui l’uso di porre l’intera GMG sotto la Parola di Dio, citando la Bibbia. È quanto ha fatto il grande, indimenticabile inventore di questo splendido avvenimento, Giovanni Paolo II.
Vogliamo ricordare le parole-guida di Giovanni Paolo II in alcuni grandi incontri mondiali (sapendo che la GMG per sé si celebra ogni anno con un motivo biblico nuovo). Ricordiamo i testi biblici delle prime tre GMG e delle sue ultime due. Roma nel 1986: «Sempre pronti a rispondere a chiunque vi domanda riguardo della speranza che è in voi» (1Pt 3,15); Buenos Aires 1987: «Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi» (1Gv 4,16); Santiago de Compostela 1989: «Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14,6); Roma 2000: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14); Toronto 2002: «Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo» (Mt 5,13-14).
Benedetto XVI nella sua prima GMG a Colonia 2005 scelse: «Siamo venuti per adorarlo» (Mt 2,2); Sydney 2008: «Avrete forza dello Spirito Santo e sarete mie testimoni» (Atti 1,8).
Ora per Madrid 2011 Papa Benedetto ha scelto un’esortazione di San Paolo: «Radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede» (Col 2,7).
Chiaramente vi è un pensiero preciso in questa scelta: mettere in rilievo il trinomio indissolubile: giovani-Cristo-fede. La fede dei giovani in Cristo come fonte di vita e di gioia.
Fissiamo subito il senso fondamentale di questo testo, che lo stesso Papa Benedetto commenta nel suo Messaggio e che verrà sviluppato in modo articolato nella GMG madrilena. Per questo la rivista NPG – come abbiamo accennato – ne ha fatto un commento esistenziale in diverse puntate (e nell’articolo che segue). Proponiamo ora una spiegazione esegetica, ossia uno studio sintetico ma accurato del testo in se stesso, per capire correttamente ciò che Paolo voleva dire, e così giungere a ciò che lo Spirito stesso di Gesù voleva dire e continua a volere dire oggi.
Un clima difficile: credere in Gesù è possibile? Non vi è qualcosa di meglio?
«Siate radicati e fondati in Cristo, saldi nella fede (cf Col 2,7)
La Lettera da cui è tratto questo invito è stata scritta da san Paolo per rispondere a un bisogno preciso dei cristiani della città di Colossi. Quella comunità, infatti, era minacciata dall’influsso di certe tendenze culturali dell’epoca, che distoglievano i fedeli dal Vangelo. Il nostro contesto culturale, cari giovani, ha numerose analogie con quello dei Colossesi di allora. Infatti, c’è una forte corrente di pensiero laicista che vuole emarginare Dio dalla vita delle persone e della società, prospettando e tentando di creare un ‘paradiso’ senza di Lui…».
Lo stesso Benedetto XVI ci introduce nel contesto da cui egli ha preso la parola-guida della GMG.
Il Papa ci apre la strada ricordando il contesto reale di vita dei cristiani cui Paolo si rivolge. La fede in Gesù Cristo infatti si vive in un contesto storico che influisce bene o male sulle persone: famiglia, parrocchia, scuola, movimenti e associazioni, tempo libero, in una parola, società. Chi sa il con-testo viene a conoscere meglio il testo.
– Paolo scrive ai Colossesi, cioè ai cristiani di Colossi (città del ‘ciclamino’ per il colore della lana che vi veniva lavorata). Era una cittadina nella regione della Frigia, oggi collocabile nella Turchia verso sud ovest. Era stata area – con Gerapoli e Laodicea – della missione di Paolo nel suo terzo viaggio avendo per base la grande Efeso (52-54 d.C.), da cui distava circa 200 km. Più precisamente era stata evangelizzata da un discepolo stretto collaboratore di Paolo, Epafra (1,7).
– Questa neonata comunità cristiana formata quasi esclusivamente di pagani era circondata, quasi assediata, da due ambienti religiosi, il giudaico impregnato dalla proprie pratiche ascetiche e dal culto degli angeli e l’ambiente misterico, proprio dei pagani, intendendo con ciò la ricerca quasi spasmodica di una esperienza religiosa sensibile, emotiva. Alla fine ne derivava un sincretismo gnostico, ritenuto capace di dare una sapienza superiore, che rendeva abili a penetrare nel dinamismo del cosmo e di avere un contatto con le divinità tramite esseri celesti intermediari. E ciò, grazie ad una intensa ascesi con cui raggiungere la divinità e sfuggire alle forze cattive che dominano il mondo.
Ne era venuta fuori quella che Paolo definisce una «filosofia» (2,8), uno «schema» o visione di realtà strutturata e attraente, costituita sinteticamente da «elementi del mondo» (2,8), ossia un insieme di dottrine e culti religiosi contrari al cristianesimo. Così ne parla un esperto esegeta:
«Si tratta di un movimento mistico-ascetivo che sembra offrisse qualcosa di più elevato e più concreto della predicazione senza fronzoli di Epafra, che lasciava molto spazio all’iniziativa del credente, per quanto riguardava sia la fede sia la morale. Influenzati dalla speculazione giudaica alcuni erano pervenuti a credere che l’astinenza dal cibo e dalle bevande unita ad una stretta osservanza delle festività giudaiche (cose pratiche, semplici da eseguire) potesse procurare un’ascesi mistica al vertice del cosmo, dove ognuno avrebbe potuto vedere gli angeli che rendevano culto presso il trono di Dio (cosa molto più gratificante dell’amore per il prossimo nel sacrificio di sé» (J.Murphy-O’Connor).
– Tutto questo fervido ambiente religioso non era certamente fedele al Vangelo di Gesù Cristo, come annota il Papa, non corrispondeva alla vera identità della giovane comunità. In questa infatti il selvaggio impulso al sacro era disciplinato dall’attento ascolto della Parola di Dio, dall’insegnamento autorevole dei capi della comunità, apostoli loro successori, da un preciso cammino di fede al seguito di Gesù, da una fiducia in Lui come capo di tutta la creazione, con una sua presenza personale nella vita dei fedeli senza intermediari per quanto potenti, fossero anche gli angeli o gli arcangeli o altre potenze sedicenti celesti. Insomma a Colossi una religione della fede nel Signore Gesù risorto dai morti, fonte di certa speranza nel mare delle difficoltà, si trovava confrontata con tendenze religiose che alle ansie e paure prodotte dalle difficoltà della vita volevano sfuggire creandosi un miscuglio religioso fai da te!
– Purtroppo pareva che le tentazioni dell’ambiente fossero insistenti ed insinuanti, si delineava una vera e propria eresia che comportava due pericoli mortali: «lo sminuimento della dignità e della funzione di Cristo come unico mediatore e redentore e la propugnazione di una strada di salvezza consistente nell’ascetismo personale e nell’osservanza di determinati culti» (R. Penna). In questo modo, non soltanto la fede diventava vacillante, ma avveniva come uno sradicamento da quell’inserimento vitale in Cristo cui aveva portato l’iniziazione cristiana con i sacramenti del battesimo, cresima ed eucaristia.
Ed ecco perciò la lettera che Paolo invia verso il 60. Oggi molti pensano che possa essere stato un suo discepolo in tempi posteriori, ma bene interpretando il pensiero di Paolo.
La risposta della Lettera
Comprende 4 capitoli che si possono radunare in due parti: il primato assoluto di Gesù Cristo Signore (cc.1-2); la signoria di Cristo nella vita dei credenti (cc.3-4).
Cogliamo i pensieri maggiori.
Il primato di Gesù Cristo: viene come sintetizzato così: «in Lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (2,3). Due sono le qualità di grandezza ben rimarcate:
* Richiamando un bellissimo inno liturgico cantato dalla comunità (1,13-20), Paolo celebra Cristo come mediatore della creazione e signore del cosmo (come fa del resto anche il prologo del IV vangelo, Gv 1,1-19): «immagine visibile di Dio, anteriore ad ogni cosa, e non solo tutto fu fatto mediante Lui, ma anche tutto continua a trovare in Lui la sua sussistenza». Il che comporta che «i troni, le signorie, le autorità e le potenze» (1,16) di ogni genere devono onorare Lui. I cristiani (Paolo nomina qui la Chiesa) trovano «la propria pienezza in Lui, che è capo di ogni autorità e potenza» (2.10). Conseguenza capitale: ogni battezzato è libero da ogni principio, istituzione, personaggio schiavizzante, solo Cristo è libertà dell’uomo!
* Ma non è solo questa superiorità cosmica di Cristo che libera l’uomo, vi è anche la sua morte in croce, in quanto sulla croce viene inchiodato e dunque eliminato il male del peccato che ci rendeva lontani da Dio (2,14) e «stranieri e nemici «fra di noi (1,20). Ora vi è ri-conciliazione fra terra e cielo e fra uomo e uomo (1,21-22). La liberazione è frutto di salvezza e diventa esperienza di pace.
Da questa situazione liberante ne deriva una condotta ben caratterizzata. Si tratta di «stringersi al capo» (2,19), di stare «radicati» in Lui (2,7), vivendo la risurrezione di Cristo e cioè spogliandosi dell’uomo vecchio con le sue azioni (indicate in un elenco di vizi) (3,5-9) e di vestire l’uomo nuovo (elenco di virtù) (3, 10-17). Di questo stile di vita Paolo dà una interessante esemplificazione a riguardo della vita in famiglia (3,18-4,1).
Non possiamo tralasciare un altro tratto costitutivo dell’identità cristiana: l’uomo nuovo liberato ed unificato in Cristo è in realtà formato di tante persone diverse, che costituiscono una comunità. Paolo chiarisce questa situazione paragonando la comunità ad un «corpo», ad un essere vivente, organico, diversificato e comunionale, forma il corpo di Cristo o Chiesa, di cui Cristo è il capo (1,18). Trionfale conseguenza: in questo Corpo «non vi è Greco o Giudeo, circonciso o incirconciso, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto in tutti» (3,11).
«RADICATI E FONDATI IN CRISTO, SALDI NELLA FEDE» (2,7)
Siamo così giunti alla parola-guida scelta dal Papa per la prossima GMG. Ricordiamo subito che la nuova traduzione della Bibbia CEI suona così: «Radicati e costruiti su di lui, saldi nella fede». Merita aggiungere l’ultima parte del versetto 7: «come vi è stato insegnato, sovrabbondando nel rendimento di grazie».
Anzitutto teniamo presente il contesto intenso, quasi drammatico, in cui si inseriscono queste parole. Le quali sono quindi pesanti come dicono i tre verbi: radicati, e non solo giustapposti, o incollati; fondati (costruiti), ben più che abbozzati in un disegno, ma parti di un edificio che si va facendo; saldi, non certamente fluttuanti, esposti ad ogni corrente.
Paolo con molto realismo, avendo presente la vita del Signore Gesù, sa che essere cristiani in questo mondo equivale ad essere messi alla prova dall’esterno e dall’interno, da dottrine false, da persecuzioni, da conflitti.
Papa Benedetto nel suo messaggio ha buon gioco di vedere qui una immediata vicinanza con i tempi attuali, non meno difficili di quelli dei cristiani di Colossi.
Notiamo nel v. 7 la costruzione della frase che ci interessa, richiamando i versetti che vengono subito prima e subito dopo il nostro versetto. Ne esce un pensiero così articolato:
– un monito serio: «Nessuno vi inganni con argomenti seducenti» (v. 4);
– un riferimento sicuro, insostituibile e irrinunciabile: «Cristo Gesù, il Signore» (v. 6);
– un relazione vitale: «radicati in lui e costruiti su di lui» (v. 7);
– la condizione fondamentale: «saldi nella fede»;
– una garanzia autorevole e certa: «come vi è stati insegnato» (v. 7);
– un atteggiamento conclusivo: «rendimento di grazie» (v. 7);
– un monito serio finale: «fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia... secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (v. 8).
I moniti iniziali e finali, che percorrono in realtà tutta la lettera, non sono parole di circostanza, ma una vera e propria messa in guardia, circoscritta nella parola «filosofia», un sapere puramente mondano («la mente carnale»), e poi ulteriormente descritti nella pratica, tra il vano e l’idolatrico, di un certo modo di prendere i cibi, di fare le feste, il culto degli angeli…: «Queste cose sono ombra... ma la realtà è di Cristo» (2, 18-23).
Il riferimento irrinunciabile e insostituibile è detto «Cristo Gesù, il Signore» (v. 6)
– Paolo sottolinea energicamente che è avvenuto un fatto nella vita dei cristiani di Colossi: «Avete accolto Gesù Cristo, il Signore». È l’accoglienza di un insegnamento primario, il primo annuncio o kerigma, realizzato con il battesimo e che ha in «Cristo Gesù il Signore» la formula portante della fede (cf Fil 2,11; 1Cor 12,3; 2Cor 8,6; Rom 10,9).
– Riguarda una persona, Gesù di Nazaret, che è il Cristo, il Messia e segnatamente il Signore, il Kyrios, cioè Gesù risorto dai morti e costituito signore e salvatore del mondo.
In questa Lettera, l’accento sta proprio su Gesù come Signore, Kyrios, il Signore unico del cosmo e di ogni potenza o sedicente tale, perché «la realtà è di Cristo» (2,18).
Paolo richiama alla memoria l’intera realtà cristica della nuova vita.
«I credenti non hanno fatto propria una confessione di fede ridotta al livello di una proposizione dottrinale, essi riconoscono invece nell’obbedienza che Gesù Cristo è il Signore. Non il catechismo imparato, ma l’intera esistenza cristiana sinora vissuta è messa innanzi agli occhi della comunità come suo ammonimento» (J. Ernst).
Non ci sfugge che questo pensiero è continuamente detto da Papa Benedetto: il cristianesimo non è anzitutto una dottrina o una morale, ma un avvenimento, l’incontro con una persona: Gesù Cristo Signore.
Una relazione vitale deve sussistere tra il Signore Gesù e i discepoli che si sviluppa in un dinamismo e viene contraddistinta da diversi verbi:
– camminare in Lui: la conoscenza del Signore, il contatto con lui, non si riduce a un sapere speculativo. Si propone una esperienza di vita, un comportarsi secondo una condotta morale e religiosa (1,10). È una esperienza che ha del mistico (camminare in Lui, quindi con Lui) ed è esperienza in movimento come è proprio del camminare, dell’avanzare, come indica il verbo di «costruzione» più sotto.
Il «camminare in Lui» richiede anzitutto:
– essere radicati in Lui. Il verbo ha la forma del perfetto greco, cioè di un cosa avvenuta nel passato (il battesimo) e che ora continua a produrre un effetto vitale. La radice di una pianta ne è immediato paragone. Si veda lo spessore di profondità che ha una relazione genuina con Cristo, essa va oltre il visibile, le apparenze, la superficie: con Gesù Cristo è possibile solo una convivenza radicale, quindi plenaria, totale, o altrimenti si è più o meno estranei e soprattutto senza radici, sradicati, inconsistenti, esposti ai venti delle mode, del soggettivismo, del relativismo;
– costruiti su di Lui. Viene rimarcato che come le radici fanno il fusto, le foglie, il fiore, il frutto, così la convivenza con Gesù non è infeconda, ma produce, e qui Paolo passa all’immagine di un edificio che si fa.
Notiamo ancora una volta il dinamismo di questo nostro inserimento nel Signore Gesù. È la costruzione del Regno di Dio, la costruzione della casa di Dio che è la Chiesa, è la edificazione di una vita di santità, o come dice Paolo, in modo efficace, Dio vuole «rendere ogni uomo perfetto in Cristo» (1,28).
Ricordiamo che il binomio’ piantare e costruire’ è usato tantissimo dal profeta Geremia (1,9-10; 2,15..) e dal Deuteronomio (6,10-11; 20, 5-7…) per indicare la totalità dell’agire di Dio nella storia (al negativo, contro il male, si usa la coppia di verbi: «sradicare e distruggere»).
Il binomio si trova in Ef 3,18, ma anche in 1Cor 3,6ss.
La condizione fondamentale: «saldi nella fede»
Gesù quale Signore ha dunque portato la liberazione da pratiche e poteri falsi e schiavistici cui conduce la «filosofia» capziosa grazie ai suoi «vuoti raggiri» (v.8), ed anzi ha riconciliato in se stesso terra e cielo. Ebbene a ciò deve corrispondere nei discepoli una fede che sia solida e salda, come l’albero ben radicato. Qui si intende la fede come fiducia in Cristo (fides qua), ma soprattutto la fede come contenuto dell’insegnamento della Chiesa (fides quae). È quanto si dice subito dopo. Ma intanto notiamo la portata immensa, decisiva della fede, ossia dell’accoglienza piena e totale di ciò che Dio ci offre tramite Gesù. Se Gesù il Signore sono gli occhi di Dio aperti su di noi, la fede sono gli occhi nostri aperti su di Lui!
Avere fede in Gesù vuol dire comprendere la vita come la comprende Lui, viverla come l’ha vissuta Lui, gustarla come l’ha gustata Lui e l’ha fatta gustare a chiunque lo avvicinava, donando guarigione, perdono, speranza, gioia.
Una garanzia autorevole e certa: «Come vi è stati insegnato» (v. 7)
– Viene affermato un aspetto della fede che allontanandosi dal tempo di Gesù e dei primi apostoli, diventava necessario: l’istruzione o didakè, cosa che era già all’opera nella prima comunità (cf Atti 2,42).
La fede non consiste solo nell’atteggiamento di accoglienza fiduciosa della persona, ma tenendo conto nel contesto in cui Gesù viene annunciato, occorre ‘sapere Gesù’, il suo Vangelo, correttamente, confrontandosi con le tendenze culturali, i rischi e pericoli di contro-verità, come stava capitando a Colossi e nelle comunità sorelle di Laodicea e Gerapoli.
– Vediamo che un importante bisogno sta emergendo: si debbono annunciare i contenuti con l’aiuto di maestri autorizzati (magistero) e li si deve preservare da falsificazioni. Da molto presto dunque si profila lo sviluppo dottrinale dell’esperienza cristiana.
Dall’insieme appare dunque che solido fondamento per l’esistenza (credente) è soltanto Gesù Cristo, il Signore. Chi è posto su di Lui non vacillerà. Ma in questo motivo della ‘costruzione’ non è disgiunta, stando all’uso del termine in Paolo (v. sopra), la crescita non solo del singolo fedele, ma della comunità ecclesiale, giacché quella cristiana è costruzione che avviene grazie all’«insegnamento» degli apostoli condiviso da tutti. Non per niente nel grande inno cristologico iniziale si canta che «Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa» (1,18).
Qui prende ragione il magistero della Chiesa, del Papa e dei Vescovi. Qui si legittima il commento applicativo che Benedetto XVI farà di questo testo paolino ai giovani della GMG a Madrid. Il magistero della Chiesa non intende bloccare l’intelligenza e la creatività, ma vuol essere garanzia di verità della fede, fattore indispensabile di comunione, superamento di soggettivismi arbitrari e fatalmente relativistici, tipo: «Io Gesù lo penso così», questa è la mia ‘filosofia’ nell’ambito della fede»… Fare così, è perdere la libertà portata da Gesù, diventare prigionieri degli «elementi del mondo», di filosofie sbagliate.
Un atteggiamento conclusivo: «rendimento di grazie» (v.7)
È usato il termine ‘eucaristia’. Vuol dire ringraziare per il dono di Dio di essere-in-Cristo ed insieme è lode intonata al Signore. Ne è prova l’inno riportato nel primo capitolo. Si richiede una ‘sovrabbondanza’ di eucaristia, un canto che non finisce mai. Il ‘sapere Cristo Signore «diventa ‘celebrare Cristo Signore’. È una liturgia che si dispiega nel canto e nella gioia. È anche riconoscere che la vita credente porta in sé un elemento di gratuità e di stupore perché «in Lui sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della conoscenza» (2,3).
«La condotta in ubbidienza deve essere perciò accompagnata dall’inno giulivo e riconoscente (cf 3,16s), affinché ognuno possa percepire in che modo la comunità loda il suo Signore, che essa ha accolto per camminare in lui» (E. Lohse).
Un monito serio finale ripete quello iniziale: «Fate attenzione che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia... secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (v. 8).
– Il senso è evidente: stare in guardia verso tutto ciò che appare contrario e alternativo al vangelo di Cristo. Lo abbiamo spiegato nel paragrafo 2. Il termine ‘filosofia’ si riferisce, come abbiamo visto, alla visione gnostica della fede, con le sue credenze e i suoi riti, produzione delle mani dell’uomo.
Tutto ciò assume indubbiamente un tono di attualità, nei confronti dei tanti sistemi ideologici, come il marxismo, il capitalismo fino al pulviscolo delle diverse scelte impregnate di egoismo, consumismo, narcisismo, immanentismo…
– Di seguito al nostro versetto, nei cc. 3-4 viene concretizzata la ricaduta di questo essere «radicati ed edificati» su Gesù il Signore: la vita cristiana è vita visibile, come ogni esistenza, ma poichè è radicata nel Signore Gesù, cioè nel risorto dalla morte e «seduto alla destra di Dio», è giusto dire che «è vita nascosta con Cristo in Dio» (3,3), ossia ha il suo motore, la sua anima, la sua forza vera, la sua protezione e difesa nel mistero di Cristo risorto a sua volta inserito nel mistero di Dio. Chiaramente la risurrezione concentrata nel titolo di Gesù Signore, si riversa, coinvolge e configura la vita del credente: una vita da risorti: «Se dunque siete risorti con Cristo. cercate le cose di lassù… non quelle della terra» (3, 1-2).
Dunque Dio vede la vita dell’uomo ‘nascosta’ (protetta, difesa) in Cristo, intrecciata totalmente con il suo destino vittorioso.
– Infatti, soggiunge Paolo: «Quando Cristo, vostra vita, si sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria» (3, 4). Come a dire che la vita nascosta, sofferta e fragile, diventerà come la vita di Gesù risorto, una vita vincente che non finisce più.
– Ecco allora l’invito di Paolo che Benedetto XVI ridice ai giovani perché la loro vita si realizzi: avere un fede solida in Gesù, come sono le radici in una pianta, i fondamenti in una costruzione, ricordando di dire grazie per questo al Signore della vita.
– Due tavole di vizi e di virtù, con al centro la carità, specificano lo stile di vita (3,5-15).
La tavola del no: «Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria; a motivo di queste cose l’ira di Dio viene su coloro che gli disobbediscono. Anche voi un tempo eravate così, quando vivevate in questi vizi. Ora invece gettate via anche voi tutte queste cose: ira, animosità, cattiveria, insulti e discorsi osceni, che escono dalla vostra bocca».
– La tavola del sì: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Ma sopra tutte queste cose rivestitevi della carità, che le unisce in modo perfetto. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!»
– La vita deve diventare una splendida melodia: «Con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori» (3, 16-17).
La parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza. Con ogni sapienza istruitevi e ammonitevi a vicenda con salmi, inni e canti ispirati, con gratitudine, cantando a Dio nei vostri cuori. E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
– La fede ha l’area della vita quotidiana come suo luogo di esercizio: tra mariti e mogli, tra genitori e figli, tra padroni e schiavi (3, 18-4,1). E sempre: «Servite il Signore che è Cristo» (3, 24).
Paolo questa lettera la manda anche a noi
Ecco una traccia di riflessioni da fare insieme nel gruppo ma anche da soli:
– leggere la Lettera ai Colossesi per intero;
– notare quanto viene detto di Gesù, quando viene nominato Signore e quante volte. Chiedersi perché, da quale avvenimento della vita di Gesù sgorga questo titolo? Che importanza ha per Paolo? Come riguarda la vita dei cristiani di Colossi?
– esaminare con attenzione i pericoli che insidiano i cristiani di Colossi. Perché Paolo lo stima tali?
– quali pericoli trova oggi la fede in Gesù, l’essere cristiani? Vi è una «filosofia», sistemi di idee e di pratiche che allontanano da Lui?
– mettere bene a fuoco la relazione che è necessario avere con Cristo. È solo simpatia, stima amicizia? Che cosa ti fa venire in mente questo ritornello martellante: vivere, restare, essere in Lui, nel Signore Gesù? Come avviene questo radicamento vitale?
– che valutazione dai alla tua relazione con Gesù Signore? Ti è forse diventato sbiadito, quasi estraneo? Dici di saperne abbastanza di Lui? Cosa pensano i compagni di Gesù? Arrivano a vederlo come il Signore? Quali sono gli ostacoli? Ma hai anche qualche esperienza positiva?
– Paolo non dimentica che l’incontro con il Signore Gesù non avviene ad arbitrio, «come lo penso io, come lo pensano altri», ma grazie ad un «insegnamento» della Chiesa, comunità che Paolo chiama «corpo di Cristo». Di quale insegnamento parla Paolo? Chi ce lo può dare in modo corretto? Personalmente ricordi quando questo «insegnamento» è stato dato anche a te? L’hai forse dimenticato? La cresima ti ha giovato per scoprire un Gesù cresciuto con te e non restato un nanetto?
– si può dire che nella Lettera ai cristiani di Colossi Paolo oppone l’insegnamento della Chiesa sulla signoria di Cristo sul mondo alla ricerca della scienza, della ragione? In che senso viene affermato il primato di Cristo? Quale potere va riconosciuto alle potenze della odierna tecnologia nella fisica, nella medicina, nella chimica, nell’astronautica? Gesù ha invidia se arriviamo sulla luna? Cosa domanda a coloro che vanno sulla luna, che vincono il premo Nobel, che governano il mondo?
Propongo una preghiera, quella che cantavano i cristiani di Colossi nella loro comunità: è l’inno che sta in 1,13-20.
È lui che ci ha liberati dal potere
delle tenebre e ci ha trasferiti
nel regno del Figlio del suo amore,
per mezzo del quale abbiamo
la redenzione, il perdono dei peccati.
Egli è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create
tutte le cose nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni, Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo,
della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che
risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato
su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato
con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.