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    In politica da credenti



    Uno sguardo sociologico

    Franco Garelli

    (NPG 2011-06-20)


    L’educazione alla politica che proponiamo ai giovani non è fatta in astratto, ma pensiamo a giovani concreti e – nella nostra prospettiva educativa – a «giovani cattolici» (nel progetto di educazione come «buon cristiano e onesto cittadino»). Si pone dunque sempre la domanda sulla peculiarietà dell’impegno in politica di un credente, che non vuole accantonare il tema della fede in un ambito così importante della vita, ma neppure fare un veloce cortocircuito tra la sua fede (e coscienza) e l’ambito stesso della politica che è l’attenzione per tutti. Come gestire tale rapporto?
    Da molti punti di vista l’esperienza dei cattolici in politica presenta dei tratti del tutto particolari se rapportata agli scenari del passato e al peso di quest’area culturale negli equilibri del Paese.

    Una piccola realtà numerica

    I laici credenti impegnati in politica sono anzitutto una piccola realtà numerica rispetto al folto gruppo di persone e di associazioni di matrice cattolica che agiscono attivamente nella società, vuoi animando le molte realtà di base di cui si compone la società civile, vuoi alimentando l’importante fenomeno del volontariato socio-assistenziale.
    Negli ultimi decenni della nostra storia nazionale si è interrotto il flusso dell’associazionismo cattolico che orientava molti credenti a trovare nell’impegno politico e nei ruoli istituzionali lo sbocco naturale di un cammino di formazione intensivo. La crisi dei partiti e in particolare della DC (a seguito di tangentopoli e dintorni) ha spinto i credenti laici ad allontanarsi dall’azione politica e a privilegiare un impegno di cittadinanza attiva in campi sociali umanamente più vivibili e «controllabili», come l’azione solidale a favore degli ultimi e la lotta contro le vecchie e le nuove povertà. La società civile, il volontariato, il terzo settore si presentano come ‘luoghi’ meno esposti a compromessi e più in grado di rispondere all’esigenza di agire nella società in termini costruttivi ed etici.
    Oggi, dunque, i laici credenti che agiscono in politica sono una piccola minoranza del mondo cattolico impegnato nella società. Sovente la loro azione è isolata e poco apprezzata negli stessi ambienti ecclesiali, che riflettono al proprio interno il vento dell’antipolitica che agita l’insieme della nazione.
    Una conferma di questo disagio si è avuta nel grande Convegno ecclesiale di Verona, di fine 2006; nei gruppi che riflettevano sul tema della cittadinanza, non pochi cattolici impegnati in politica (come quadri di partito o amministratori locali o rappresentanti nei quartieri e nelle circoscrizioni) hanno denunciato che la loro azione è sovente poco considerata e incoraggiata dalla comunità ecclesiale di cui fanno parte; fors’anche per evitare che la questione politica sia un fattore di divisione nel mondo cattolico impegnato, che – come ben sappiamo – riflette al proprio interno un pluralismo di posizioni non esente da tensioni e antagonismi.
    Di recente, tuttavia, è emersa l’idea che occorre reinvestire nella politica, che le forze più vitali della società non possono non misurarsi con quelle responsabilità pubbliche e istituzionali da cui dipende il disegno e il progetto del Paese.
    L’impegno nel volontariato e nel costruire i legami della comunità è certamente importante, ma questa azione rimane debole o poco efficace se non si raccorda ad un quadro di decisioni ‘politiche’ tese al rinnovamento strutturale della società.
    I credenti laici che operano in politica ricordano quindi a tutti che i cattolici sono chiamati non soltanto a essere gli «infermieri della storia» o a coltivare in particolare «i rapporti interpersonali», ma a impegnarsi anche o soprattutto nei luoghi e nei ruoli da cui dipendono le sorti del Paese e le condizioni della democrazia. La promozione della giustizia e della pace, della dignità della persona umana, dei valori della vita e della famiglia, ecc. si attua sia attraverso forme di impegno orientate a costruire rapporti di solidarietà, sia attraverso un esercizio del potere (nel mondo della finanza, dell’economia, dell’impresa, delle strutture formative, della ricerca, del disegno istituzionale, della comunicazione, ecc.) illuminato e lungimirante capace di delineare un modello di società più congruente con la visione cristiana della realtà.
    Si tratta, dunque, – come è emerso dalla «Settimana sociale dei cattolici» celebrata alcuni anni fa a Bologna e ancor più nella recentissima di Reggio Calabria, sul tema della democrazia – di riconoscere all’impegno nei ruoli istituzionali e nella vita pubblica un’importanza e una dignità pari a quella che l’azione volontaria a fini altruistici e di solidarietà è riuscita a guadagnarsi nel corso degli ultimi decenni della nostra storia nazionale.
    Spetta anzitutto ai credenti laici impegnati in politica convincere l’insieme del mondo cattolico dell’importanza e dell’insostituibilità dell’azione politica per il governo costruttivo e il rinnovamento della società. Ciò sarà possibile testimoniando i valori della trasparenza, del servizio, della competenza, della capacità di innovazione; ma anche investendo molto su quel raccordo con le realtà di base che deve essere una costante dell’agire politico. Dietro la disaffezione del mondo cattolico (ma non solo di esso) dalla politica può esservi un deficit di rappresentanza che allontana i cittadini dai responsabili della cosa pubblica. Anche il mondo cattolico può risentire di una situazione in cui la politica allenta i legami sul territorio, privilegia il dibattito nei salotti e nei circoli alti della comunicazione pubblica più che interessarsi del vissuto della gente.

    Una minoranza attiva

    I credenti laici che agiscono in politica sono una minoranza attiva, non soltanto all’interno del mondo cattolico più impegnato, ma anche nei due grandi schieramenti politici in cui è attualmente divisa l’Italia bipolare.
    Oggi sta ritornando sulla scena politica una terza area, quella di centro, che sembra fondare la sua specificità proprio dal porsi come una forza moderata di ispirazione cattolica, rifacendosi ad antiche tradizioni. In attesa di vedere gli sviluppi di questa operazione, in attesa di valutare la capacità di questa terza forza di attrarre l’elettorato moderato e cattolico, intendo riflettere sulla presenza dei cattolici nei due schieramenti politici prevalenti negli ultimi 10-15 anni, la cui rilevanza – con molta probabilità – sarà ancora tale nel prossimo futuro.
    Sia nel centro-destra che nel centro-sinistra prevalgono formazioni politiche di matrice laica (che pure possono essere attente ai temi religiosi e si compongono al loro interno di soggetti credenti), mentre le forze politiche di ispirazione cristiana presenti nei due schieramenti sono di consistenza numerica più limitata.
    I cattolici impegnati in politica possono svolgere dei ruoli preziosi e costruttivi; ma danno sovente l’impressione di giocare in difesa su molte questioni emergenti o di essere in difficoltà nel proporre soluzioni ai problemi in cui emerga la loro sensibilità culturale.
    Proprio questa debole presenza numerica sembra condizionare l’azione delle forze politiche di ispirazione cristiana nei rispettivi schieramenti politici.
    Ciò in quanto le istanze che esse promuovono possono essere disattese dai programmi o dagli interessi delle coalizioni cui appartengono.
    Il rischio della marginalità (o insignificanza) politica dei ‘cattolici’ è ricorrente sia nello schieramento moderato che in quello progressista. Nel primo caso le ragioni della conservazione possono prevalere rispetto al richiamo della solidarietà e dell’uguaglianza tipico dell’ispirazione cristiana. Nel secondo caso, può essere difficile per i cattolici contrastare quelle tendenze radical-libertarie che minacciano i valori base della persona e della convivenza umana.
    In questo scenario, una parte dei cattolici impegnati in politica è tentata di rifugiarsi in un ruolo di semplice testimonianza dei valori fondamentali, abdicando a quel compito di mediazione e di proposta ‘politica’ che può favorire la soluzione dei problemi.
    La condizione di minoranza non deve più di tanto condizionare la presenza dei cattolici in politica. Più che lamentarsi di questo stato di cose, più che rifugiarsi in una posizione di pura testimonianza dei valori di fondo, si tratta di interpretare in termini innovativi la condizione di minoranza che si sta vivendo.
    La storia è sempre stata mossa dall’azione e dalle intuizioni delle minoranze intelligenti. Quelle che non si rifugiano nei propri steccati, ma accettano la situazione di pluralismo in cui sono chiamate a vivere.
    Si tratta di farsi carico di istanze e proposte capaci di creare un movimento nella società e di favorire larghe convergenze; facendo emergere la fecondità – anche politica – di un’ispirazione religiosa che mira a costruire più che a difendersi, a convincere più che a imporsi.

    Cattolici e chiesa

    È opportuno a questo punto affrontare quello che è ormai un tormentone dell’attuale momento politico italiano, in particolare del cattolicesimo impegnato in politica. Mi riferisco al continuo richiamo dei vertici della chiesa cattolica ai valori cosiddetti irrinunciabili, di cui ogni giorno i mass media rendono conto. Da tempo la chiesa esprime al riguardo una posizione netta: chi si professa cattolico è sempre tenuto a difendere i valori in cui crede, senza compromessi e cedimenti. Specialmente a difendere la vita dal concepimento fino alla fine naturale, a difendere gli embrioni e a dire no a manipolazioni genetiche. Di fronte a questi valori, i cattolici non devono avere dubbi e tentennamenti, sono sempre chiamati a opporsi con forza a provvedimenti che possono ledere le loro coscienze, senza farsi condizionare da schieramenti politici o da scelte di parte.
    La chiesa che si pronuncia in modo così intransigente sulle questioni eticamente sensibili è però la stessa che dichiara «che i cattolici in politica non sono la longa manus della chiesa», come ha ricordato il card. Bertone. Lo stesso Benedetto XVI, nell’enciclica «Deus Caritas est» riconosce che spetta al laicato cattolico «configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e cooperando con gli altri cittadini, (…) sotto la propria responsabilità». Sempre l’attuale Pontefice, ha ricordato nel Convegno della Chiesa italiana a Verona che «il compito immediato di agire in ambito politico» non è della chiesa come tale, ma dei fedeli laici, che operano come cittadini sotto propria responsabilità. Si tratta di un ruolo «della più grande importanza», come Papa Wojtyla ha sottolineato nel messaggio inviato alla Settimana sociale dei cattolici di Bologna (2004): «come esperti delle discipline sociali e come cristiani, voi siete chiamati svolgere un ruolo di mediazione e di dialogo tra ideali e realtà concrete; un ruolo che talvolta è anche di pionieri, perché vi è chiesto di indicare nuove piste e nuove soluzioni per affrontare in modo più equo gli scottanti problemi del mondo di oggi».
    I termini usati sono forti e inequivocabili. I laici credenti impegnati in politica sono dei «pionieri», agiscono in modo autonomo e sotto propria responsabilità, svolgono un ruolo fondamentale; tutti concetti che indicano che essi non sono la «cinghia di trasmissione» della chiesa, o dei suoi ripetitori.
    Spetta dunque al laicato cattolico tradurre le grandi intuizioni della Dottrina sociale della chiesa nelle scelte pratiche, operare quella mediazione necessaria tra i riferimenti ultimi e le opzioni concrete di cui si alimenta il governo di una società e la vita delle istituzioni.
    A fronte di questi richiami e riconoscimenti, una parte dei cattolici impegnati in politica sembrano interpretare il loro compito in termini eccessivamente cauti o timidi. O orientandosi – come accennavo in precedenza – a svolgere un ruolo di pura testimonianza, o esprimendo una voglia di distinzione più forte dell’urgenza di dare il proprio apporto costruttivo (e legislativo) alle questioni sociali e politiche sul tappeto. Talvolta le posizioni di principio sembrano prevalere sulla tensione a ricercare una mediazione politica ai vari problemi.
    Certo, ci sono questioni che è meglio derubricare dall’agenda politica, se si reputa che il tempo e la coscienza pubblica non siano ancora maturi perché siano affrontate in modo adeguato, se si ritiene che il rapporto costi/benefici possa essere ampiamente deficitario.
    Ma, per contro, altri problemi di rilevanza pubblica non sono procrastinabili, sia per rispondere a esigenze effettive di determinate quote di popolazione, sia per poter governare una società sempre più pluralistica.
    Se ciò non avviene, se i cattolici in politica non svolgono un ruolo di mediazione, c’è il rischio che la chiesa accentui il suo essere un gruppo di pressione anche politica nella società italiana. Non vorrei, in altri termini, che la debole o incerta presenza dei cattolici sulla scena politica legittimi il protagonismo di una chiesa che intende non soltanto promuovere nella società i valori ‘cattolici’ (la vita, la famiglia, la bioetica, l’educazione, il controllo della scienza), ma anche contrastare la secolarizzazione delle coscienze e il deficit di spirito pubblico.

    Pluralismo culturale?

    Una delle questioni più ricorrenti in questi giorni riguarda il pluralismo culturale.
    Dove trovare il punto di equilibrio nella presenza tra laici e cattolici? All’interno della stessa componente cattolica come comporre le posizioni di chi sente forte il richiamo alla distinzione e di quanti credono di più nel mescolamento e nella contaminazione cognitiva? È necessario bilanciare culturalmente le «teste di serie» nelle liste elettorali o è meglio impegnarsi in una sintesi che renda ragione del nuovo che avanza?
    Occorre fare chiarezza su questa compresenza di culture e sensibilità politiche diverse. È necessario trovare i punti di incontro, delineare i progetti condivisi, riconoscere l’apporto costruttivo che i diversi gruppi possono dare alla progettazione comune, fare esperienza che la pluralità dei riferimenti è il valore aggiunto di una forza politica che deve misurarsi con la complessità sociale. Su alcune questioni è meglio soprassedere (anche se la ricerca deve continuare). Su altre è bene produrre progetti e maturare impegni, riconoscendo che il confronto tra componenti culturali diverse offre sovente un apporto più arricchente alla soluzione dei problemi.
    In fin dei conti si tratta di creare un clima di reciproco riconoscimento.
    Sui temi oggi al centro della contesa, i laici ricorderanno a tutti che viviamo in una società pluralistica, che sui temi della vita e della famiglia si deve tener conto anche di chi non è cattolico e credente, e che qualsiasi scelta legislativa in questi campi non può essere una traduzione immediata dei principi religiosi.
    Parallelamente, i cattolici stimoleranno il pensiero laico ad aumentare il suo livello di riflessione e di proposta, su un terreno in cui non tutte le soluzioni hanno lo stesso valore e in cui i diritti e i desideri soggettivi devono sempre essere messi in relazione ai doveri e alle responsabilità sociali.
    Ma oltre a questi, molti altri sono i campi in cui tendere al rinnovamento della società. Come la questione educativa, particolarmente sentita dal mondo cattolico ma anche fortemente condivisa da altre componenti, su cui occorre fortemente investire per rimotivare culturalmente le nuove generazioni (e i molti docenti che lavorano in questo settore). O come il problema della precarietà del lavoro, sul quale (occorre riconoscerlo) è stata forte in questi anni la mobilitazione della sinistra radicale, a fronte di un mondo cattolico che (forse perché alle prese con i temi etici) non è stato all’altezza della tradizione di impegno sociale che l’ha sempre caratterizzato.
    Ci sono poi le questioni economiche, le riforme politiche, i temi ambientali, la possibilità di decidere, e tanti altri campi di impegno importanti per il governo costruttivo della società.
    Questa opera di «mediazione» (non necessariamente di compromesso) è stata una delle grandi virtù del cattolicesimo democratico del nostro Paese, ricco di figure e gruppi che – nei decenni passati – sono stati capaci da un lato di essere fedeli ai valori religiosi ispiratori e dall’altro di comporli in una società che si stava sempre più differenziando, dove i cattolici impegnati erano mescolati non soltanto a quelli tiepidi, ma alla cultura laica, a chi aveva altri riferimenti culturali, a chi si riconosceva in religioni e culture diverse da quella della tradizione, ecc.
    La vera sfida che attende anche i politici credenti è quella del pluralismo, della capacità di affermare e di ‘concretizzare’ i grandi valori in un contesto in cui si vivono condizioni e orientamenti diversi, ove più nulla è dato per scontato.
    Ogni area culturale è chiamata a dare il proprio contributo progettuale per arricchire le diverse situazioni e promuovere più larghe convergenze.

     

    La fede cristiana e i problemi umani
    Aldo Moro

    È evidente in molti casi una – dovremmo dire – aritmia tra i cristiani e coloro che non si professano tali. Mentre i problemi da risolvere sono identici, vi è troppe volte una diversità di tono e di mentalità che rende difficile anche la comprensione, e troppe volte da parte cristiana vi è una certa qual incapacità di intendere i problemi altrui nei loro termini drammatici e radicali. Eppure... eppure dovrebbe creare la fede cristiana una sensibilità capace di impostare tutti i problemi umani in termini umani, capace di avvertire la puntura del dolore, l’incertezza desolante di certi momenti di vita, la speranza, sempre risorgente, la linea tortuosa che lo spirito segue dall’oscurità alla luce. Basta perdere il contatto per un solo istante con questo difficile processo umano, che reca in sé tutti i rischi di una perdita definitiva ma anche tutte le meravigliose possibilità di una conquista umana, per essere incapaci di assolvere il compito che è stato assegnato al cristiano: il dovere di presenza, mancando al quale il cristiano tradisce, si esprime in uno sforzo vigoroso per adeguare il ritmo drammatico della vita di tutti, per far getto, se è necessario, della propria pace, per dare più pace al mondo

    (Studium, maggio 1947).

     


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