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    A confronto sui modelli educativi



    Carlo Nanni

    (NPG 1979-03-03)


    Abbiamo già ricordato che, quest'anno, gli «studi» saranno orientati verso l'elaborazione di un progetto educativo, ispirato al «sistema preventivo» di don Bosco. Ci pare un modo concreto per continuare il discorso pastorale iniziato lo scorso anno in «condizione giovanile ed esperienza cristiana».
    Un progetto educativo non lo si costruisce nel vuoto, rinchiudendosi in una torre d'avorio, per gettarsi poi nella mischia della vita, quando tutti i pezzi sono precisi e assodati.
    I progetti si fanno nel crogiuolo della realtà, confrontandosi o prendendo le distanze criticamente da tutto quello che già esiste. Ed è molto, oggi, se è vero che viviamo in un tempo di pluralismo culturale.
    Questo processo è urgente soprattutto quando si vuole lavorare con materiale, come «il sistema preventivo», che è stato pensato ed esperimentato in tempi diversi dai nostri.
    L'articolo di C. Nanni ha la funzione, preziosa, di collocare la nostra ricerca del quadro dei problemi educativi di oggi: dal punto di vista delle tensioni che attraversano la condizione giovanile e dal punto di vista dei sistemi pedagogici ricorrenti.
    Il suo articolo offre inoltre suggerimenti operativi molto stimolanti. Da tutto ciò prenderemo lo spunto per operare la reinterpretazione del «sistema preventivo» di Don Bosco, in vista della definizione di un progetto per i giovani d'oggi.
    Certo, per un'operazione così delicata, non bastano i criteri dell'attualità. Ne utilizzeremo molti altri, come apparirà di volta in volta.
    Ma quelli relativi alla concretezza, al qui-ora, alle grandi tendenze pedagogiche (ai temi, cioè, di cui tratta questo articolo) sono veramente pregiudiziali. Per non partire con il piede sbagliato.


    LA STAGIONE DEL DOPO '77

    «Febbraio mi ha portato un amore grande, nessun mese me lo porterà via».
    Accanto alle frasi scritte più in grosso e gridate più forte («Riprendiamoci la vita», «La fantasia al potere», «Libertà e creatività», «... E una risata vi seppellirà», «Abbasso il governo Berlingotti», «Lama nel Tibet»...), questa, quasi nascosta, sui muri dell'Università di Roma esprimeva una speranza grande, un sentimento sovrabbondante. Non sono passati neppure due anni. E tuttavia l'esperienza e la rivolta studentesca del febbraio '77 sembrano ormai appartenere ad un passato remoto. Anche l'eco sembra bella che spenta.
    Un'altra mano femminile qualche mese più tardi scriveva preoccupata: «Le cose prendono la solita piega, quella dei calzoni dei maschietti».
    La ripresa dell'anno scolastico del '77-'78 già manifestava una inversione di tendenza.
    A dire il vero non si è trattato di un ritorno puro e semplice ai banchi di scuola, allo studio serio e ordinato, come se si fosse trattato di un doloroso incidente e basta: l'esigenza di tener conto dei fatti accaduti, di un confronto con le richieste espresse, con le intuizioni evocate, con le ideologie abbozzate è rimasta; forse accompagnata da un vago senso di paura del ripetersi di esperienze simili; certamente preoccupata degli sviluppi del «partito armato» delle P 38 o delle Magnum 42 o della ondata di terrorismo concomitante o susseguente.
    Sta di fatto che l'interesse delle forze politiche, sia partitiche che sindacali, per la condizione giovanile e per la scuola è certamente cresciuto ed ha assunto i caratteri d'urgenza.
    Anche la Chiesa nel quinto sinodo dell'ottobre del '77, pur mantenendosi a livello mondiale, si è preoccupata di caratterizzare il tema sinodale della catechesi con il «particolare riferimento alla catechesi dei fanciulli e dei giovani».

    VERSO L'INDUSTRIA DELL'INSEGNAMENTO?

    Questi sforzi sono sorretti a loro volta da una ricerca pedagogica che - in consonanza del resto con quanto avviene nei paesi dell'Occidente a forte sviluppo industriale (soprattutto Usa, Inghilterra, Germania Federale) - riafferma la centralità della scuola come agente di socializzazione secondaria e quindi la sua importanza sociale, economica, politica, culturale, oltre che formativa e educativa.
    I discorsi sulla «descolarizzazione della società», sulla «morte della scuola» di qualche anno fa (Illich, Reimer...) sembrano cancellati o come rigettati e appartenenti ad un passato remoto. Verso lo stesso destino sembra pure avviato il discorso sull'autogestione, portato avanti dalla pedagogia istituzionale francese e dai suoi seguaci e imitatori italiani, soprattutto dopo il '68, e di cui si fecero esperienze tra il '76 e il '77, particolarmente nelle scuole medie superiori.
    I punti di attenzione verso cui ci si rivolge ora sono sostanzialmente due:
    - il corpo insegnante e il suo comportamento;
    - la teoria e la prassi didattica.
    Il tutto in vista di un aggiornamento e di una programmazione della formazione scolastica, che superi per un verso le secche del burocraticismo, tenendo conto delle esigenze locali e individuali e per altro verso eviti le inconcludenze e i velleitarismi dello spontaneismo. Il gran parlare che si fa di curricolo. di valutazione, di obiettivi didattici, di tecnologie educative, ne può costituire una esemplificazione e una conferma.
    A guardare le cose puntualisticamente, senza riferimento all'immediato retroterra storico, sembrerebbe che ci si stia avviando finalmente anche in Italia alla più volte augurata stagione dell'«industria dell'insegnamento», e cioè all'applicazione anche in questo settore dell'esistenza (così come è avvenuto in altri settori, ad es. lo sport, il turismo, il tempo libero...) di quei criteri di razionalità e sistematicità tecnologica propri delle conquiste industriali del mondo contemporaneo.
    Tutto ciò sembra tanto più desiderabile, quanto più le singole proposte, oltre il carattere di scientificità e di rigore interno, intendono tener conto degli elementi esterni alla scuola e che con essa interagiscono: in particolare, badando alle concezioni dell'uomo e della società che nella scuola si riflettono.
    Questa attenzione ai bisogni della società, nelle sue diverse dimensioni (socio-economico-politico...), è accompagnata per lo più anche dalla corrispettiva attenzione ai bisogni di espansione personale: si può dire senz'altro che almeno implicitamente l'orizzonte di senso, che sembra guidare molte ricerche, sia quello di fare della scuola il luogo che abiliti ad una presenza efficace e attiva nella vita sociale, all'altezza dei tempi e della vicenda storica personale e comunitaria. Gli obiettivi finali delle ricerche sembrano infatti essere la costruzione di progetti e la messa in opera di metodologie e di tecniche che sostengano nell'individuo il formarsi di una serie di conoscenze, abilità e competenze, ultimamente più liberanti di molte iniziative sbandierate da movimenti di pedagogia spontaneistica e emancipatoria del recente passato.

    LE INSIDIE DELLA TECNOLOGIA DELL'EDUCAZIONE

    È troppo presto per pretendere frutti cospicui e appariscenti da tali iniziative teoriche e pratiche. Più che altro sono da guardare con speranza e fiducia. Ma sarebbe per lo meno poco saggio dimenticarne i rischi e gli scompensi, cui possono andare incontro.
    Alcuni si collegano al tipo di ricerca che viene portata avanti.
    Si corre anzitutto il rischio di andare a finire in elaborazioni di modelli sempre più astratti e formali, privi di contenuti reali; avulsi dalla concreta prassi educativa. E magari si pretende di imporli senza alcuna mediazione agli insegnanti. Con il risultato di aumentare, invece che diminuire, la distanza tra ricerca teorica e operatori scolastici. È un po' il rischio di tutta la tecnologia contemporanea, che può favorire una evoluzione endogena di sé, costruendo un mondo chiuso all'interno del laboratorio, magari scambiando il laboratorio con il mondo.
    La priorità data al progetto, alla operazionalizzazione tecnologica rischia di veicolare in modo concomitante una certa disumanizzazione del rapporto educativo, di considerare le operazioni in modo oggettuale, cosale; di manipolare persone, come fossero materiali, seppure umani; di intendere i rapporti in modo automatico, meccanico, alla «Mondo Nuovo» di A. Huxley.
    Infine, gravida di conseguenze è l'ideologia scientista e tecnocratica progressismo? che può nutrirla e di cui può diventare espressione, potendosi celare dietro il paravento del progressismo e dell'efficienza di scienza e tecnica, interessi e forze tutt'altro che emancipatorie e progressiste. E ciò sarebbe tanto più grave, quanto più le modalità di trasmissione utilizzate avvengono spesso sotto forma di persuasione occulta e i destinatari si trovano in condizioni di partenza di subalternità intellettuale, psicologica, sociale.

    TECNOLOGIA, IDEOLOGIA E EDUCAZIONE

    Un altro ordine di osservazioni riguardano piuttosto il clima generale che si respira e la luce o, per meglio dire, le ombre cui può dar corpo. Ciò avverrebbe anzitutto se ricerche, interventi, strumenti pedagogici e didattici promanassero quasi solo da ideologie d'ordine o della paura; o peggio da una volontà di stabilizzazione, intesa come scudo sociale di interessi particolari di varia natura.
    Rapporto tra ideologia e tecnologia Per tal motivo è anzitutto necessario aver chiari i rapporti e i legami intercorrenti tra ricerca scientifica o tecnologica e ideologica. Supporre una scienza o una tecnologia «neutra», «per tutte le stagioni», sarebbe non solo vivere fuori della realtà, ma anche dimenticare la funzione di stimolo che l'ideologia può avere, quando sia assunta nel suo significato più largo di visione globale della realtà e della storia, in base a cui persone concrete e concreti gruppi storici valutano e sostengono determinati obiettivi e processi, aventi valenza sociale e politica. In tal senso può diventare avvio alla ricerca scientifica e tecnologica, individuando problemi, manifestando attese, avanzando prospettive e ipotesi.
    Ma d'altra parte essa può soffocare, stravolgere nell'uso i risultati e gli apporti della scienza e della tecnica. Per rimanere nel campo della didattica di questi anni, basti pensare a come vengono bruciate e consumate ideologicamente categorie come «sperimentazione» o «valutazione»: non appoggiate dal sostegno di un efficace quadro di riforma, scadono in forme di deduttivismo e di burocraticismo centralistico scostante.
    Sarà quindi importante dal punto di vista educativo riportare entrambe, ideologia e tecnologia, al loro comune centro di riferimento: l'uomo, soggetto storico, persona e comunità, che mediante l'ideologia, la scienza, la tecnologia trascende il vissuto quotidiano nella sua immediatezza e lo inserisce in una storia comune a partire dalla quale è possibile progettare il futuro, fare diventare la natura cultura, costruire civiltà «dal volto umano» e al passo con la storia; e per i cristiani, realtà storiche più vicine alla figura di quei cieli nuovi e quella terra nuova in cui abita la giustizia.

    I PROTAGONISTI DELL'EDUCAZIONE: RIVINCITA DEL MITO DELL'ADULTO

    Una seconda impressione sconcertante: molto o tutto di quanto viene detto, scritto, promosso, fatto, sembra esserlo «sulla testa dei giovani»; cioè a prescindere ad esempio dall'intento di suscitare una partecipazione reale dei destinatari. Nel migliore dei casi, sembra di ascoltare dei discorsi «su» o «in vista della» soluzione dei problemi giovanili. Più ancora: che si discuta, si ricerchi, si legiferi a prescindere dai diretti interessati, cui semplicemente c'è da ammannire un prodotto già tutto bello e fatto, solo da assumere, da far proprio. E più sottilmente: che tutto si risolva in un codificare per i giovani, da parte di chi detiene contenuti, certezze, autorità, potere, definitività e stabilità rispetto a chi per definizione è da plasmare, da indottrinare, da maturare, da rafforzare, da definire, ordinare, strutturare, ecc.
    Per dirla in termini pedagogici tradizionali, si ha l'impressione che al «mito del fanciullo» caratteristico del nostro secolo proclamato il «secolo del fanciullo» (E. Key), stia subentrando una nuova fase e abbia la sua rivincita il «mito dell'adulto» (Lapassade). E cioè che ci sia un accentuato spostamento d'attenzione ai problemi della società adulta e dei suoi bisogni, alla cui funzionalità viene subordinato il mondo giovanile rischiando di perdere la specificità del fatto educativo: il tutto mediante il conforto e il sostegno appunto della scienza e della tecnica.
    Anche qui, non si tratta di ipostatizzare e contrapporre mondo, società, cultura degli adulti da una parte e mondo, società, cultura giovanile dall'altra: sarebbe cadere in una ideologia di pessima lega; simile a quella che enfatizza e idolatra la condizione giovanile, quasi fosse per ciò stesso il luogo della verità e del valore (il cosiddetto «giovanilismo», cui si debbono certi guasti dal '68 in poi).
    Ciò che sembra in questione è piuttosto un modo di intendere i processi della socializzazione, inculturazione, educazione; un modo di intendere il rapporto educativo; e più a fondo probabilmente un modo di intendere il rapporto persona-società.
    C'è infatti un modo dualistico di intendere queste cose, che dà luogo a concezioni polarizzate sull'uno o l'altro termine del rapporto fino alla totale subordinazione o riduzione dell'uno all'altro: svuotando, con giochi intellettuali o rappresentazioni concettuali astratte, la complessità antinomica o dialettica del reale.
    Così, per rimanere al discorso educativo, se ci si pone in una prospettiva esclusivamente della società e della generazione adulta, si può giungere a definizioni di educazione, come quella classica di E. Durkheim, per il quale «l'educazione è l'azione esercitata dalle generazioni adulte su quelle che non sono ancora mature per la vita sociale. Essa ha per fine di suscitare e sviluppare nel bambino un certo numero di stati fisici, intellettuali e morali, che reclamano da lui sia la società politica nel suo insieme, sia l'ambiente particolare al quale è destinato».
    Ne risulta chiara, come afferma lo stesso Durkheim, la riduzione di educazione a una «socializzazione metodica», in cui la persona singola o il gruppo in educazione sono visti esclusivamente in funzione della società ed inoltre come fondamentalmente passivi, come «contenitori» in grado di recepire qualsiasi genere di contenuto (= cultura) e di adattarvicisi immediatamente, pena di essere considerati, e alla fine fatti diventare, persone devianti, emarginati, disadattati o per lo meno ghettizzati.
    È pur vero che l'accentuazione opposta conduce alle affermazioni di astoriche definizioni di educazione come pura autoeducazione, auto- creazione spontaneistica, libertaria o anarchica.
    Da questo punto di vista sarà necessario perciò:
    - Riaffermare in primo luogo il carattere complesso interattivo e spesso antinomico o dialettico delle realtà in questione, mai totalmente semplificabili o risolvibili; e tra cui esiste una continua rete di influssi a doppia via (siano essi da intendersi secondo modelli interpretativi di tipo interattivo o dialettico o transazionale, ecc.).
    - Nelle particolari circostanze che viviamo sarà da mettere in risalto il ruolo attivo della persona, rispetto a qualsiasi intervento esterno di natura sociale o culturale. E ciò in ogni momento della sua vita, sia pure secondo modalità e operazioni di diversa natura. Sarà da mettere in luce la sua funzione mediatrice, la sua capacità progettuale, la sua attività interpretativa e ripropositiva originale di materiali provenienti dalla interazione con l'ambiente.
    - Sarà da riaffermare la specificità del momento educativo nel quadro dell'esistenza globale; prima ancora e più che in termini temporali (dall'educazione materna all'educazione della terza età, all'educazione permanente), in termini qualificanti qualsiasi intervento esterno (sia esso diretto o meno, specifico o meno): gli educandi non possono essere ridotti alla brutta copia dell'adulto o ad adulti in miniatura o peggio ancora ad una «tabula rasa».
    Sarà invece da mettere in luce il carattere di protagonisti che essi ultimamente hanno nella loro educazione. Per il loro carattere personale essi sono come la frontiera interna: si possono aprire o chiudere ai vari interventi e attività ad esse in vario modo esterni. Segue da ciò il carattere collaborativo e suscitatore di tali interventi, pur nella loro fondamentalità.
    - Tutto ciò è da riprendersi a un livello più vasto, non opponendo persona o popolo a società e stato: essi sono da considerarsi come termini relazionali, che si definiscono a vicenda, senza lasciare spazi a vanificazioni o riduzioni indebite.
    Dall'attività umana di superamento della propria indigenza individuale e di stimolo all'espansione intersoggettiva, le persone si costituiscono e statuiscono socialmente e politicamente come popolo, rimanendo l'umano, fonte e termine degli sforzi storici comuni. In pari tempo da una tale attività i singoli acquistano qualità civile, secondo una continuità di uomo-stato-cittadino.

    SOCIALIZZAZIONE E EDUCAZIONE

    Il non tener chiaro queste asserzioni basilari falsa il concetto e la realtà dell'educazione, riducendola ad uno dei suoi aspetti, ad es. ad apprendimento, a socializzazione, a istruzione, ad addestramento, ad allevamento... E quel che è peggio può dar luogo a prassi che solo di nome possono essere dette educative.
    E questo un terzo ordine di rilievi che si vogliono evidenziare nella situazione presente: iniziative e ricerche sono limitate quasi esclusivamente all'ambito della scuola e della didassi. In ogni caso sembra di nuovo privilegiato il momento dell'apprendimento, come processo e come méta.
    Altre agenzie educative, in particolare la famiglia, sembrano almeno a livello esplicito, non presenti nel campo dell'attenzione o lo sono solo indirettamente.
    E tra le varie funzioni della scuola (politica, riproduttiva della cultura, economica, formativa) è proprio quest'ultima quella che ne soffre di più. Il pericolo che si corre è che la scuola venga ridotta esclusivamente a e apparato ideologico dello stato» (Althusser), a puro strumento di rinnovamento di forza-lavoro all'altezza dello sviluppo industriale: nel migliore dei casi a momento e a luogo di inculturazione e socializzazione.
    Qualcosa di simile è da pensare per istituzioni parallele, ad esempio a certa azione catechetica, qualora si operi a partire da prospettive e concezioni similari. Risolvere l'educazione in questi suoi momenti, è contraddire nei fatti una delle conquiste tipiche della pedagogia moderna e contemporanea: la multidimensionalità (anzi la omnilateralità) del fenomeno umano e per conseguenza di ogni vera educazione: l'umanità della condizione umana non si riduce infatti alle sue modalità di esistenza culturale e sociale (che certo coinvolgono tutta la persona, ma ugualmente certo non totalmente).
    E alla luce di una visione integrale del fenomeno umano, che si potrà superare i guasti di visioni unilaterali, e in particolare cogliere la linea di demarcazione tra socializzazione e educazione, superando un certo sociologismo diffuso nella mentalità comune del nostro tempo. Da questo punto di vista è da ricuperare e da chiarire il concetto di autotrascendenza messo in luce da molti pensatori contemporanei per discriminare esistenza banale da esistenza autentica. Depurato e sciolto dalla sua matrice esistenzialistica, lo si può considerare come il corrispettivo filosofico del ruolo attivo della persona, messo in luce da psicologia, sociologia, antropologia culturale, nei processi di socializzazione e inculturazione. Ne mette in luce il fondamento ontologico. Sia che venga vista come autotrascendenza corporea, per cui vengono superati nella comunicazione i confini del proprio essere corporale, mondano, temporale; sia che venga vista come autotrascendenza sociale, per cui vengono superati i confini del proprio esistere storico, sociale e culturale; o più largamente come autotrascendenza ontologica, per cui vengono superati i singoli atti, momenti e dimensioni di esistenza in una continuità e unità personale aperta all'Assoluto Trascendente.
    Questo specifico carattere del fenomeno umano permette di cogliere un senso forte di educazione, per cui essa non si viene a risolvere semplicemente in allevamento o in istruzione o in socializzazione metodica o in loro sostegno integrativo. Essa appare invece come quella serie di processi, di attività, di interventi, di collaborazioni che suscitano e sostengono il divenire personale integrale. Alla luce di essa acquistano il loro giusto peso le forme particolari anzidette: in modo tale che l'uomo sano, l'uomo colto, l'uomo socializzato sia persona e viva autenticamente, trascendendolo, il suo essere nel mondo, con gli altri, nella storia.

    CONCLUSIONE: EDUCAZIONE E RIFORMA DELLA SOCIETÀ

    Da qualche tempo, soprattutto da parte di pedagogisti cattolici, si dà rilievo ad una adeguata educazione morale. Si può considerare un segno di prospettive più ampie.
    Ma è chiaro che si cadrebbe in altre unilateralità, se venisse a mancare il quadro d'insieme e non si operasse contemporaneamente sugli altri fronti. Sarebbe il moralismo o il pietismo pedagogico. Ma si cadrebbe pure nell'astrattezza del pedagogismo se si dimenticasse che l'educazione è inserita nel più ampio contesto della vita; che educazione e società interagiscono e mutuamente si influenzano.
    In particolare, come dice il pedagogista polacco B. Suchodolski, una vera educazione «non sarà rispettata che da una tendenza la quale indichi il cammino dell'avvenire, cioè da una pedagogia associata all'attività sociale che trasformi il presente e tenda a creare per l'uomo condizioni tali che la sua esistenza possa diventare la sorgente, la materia prima della sua essenza».
    Alcuni anni fa il Rapporto Faure sulle strategie dell'educazione esprimeva le speranze di tempi nuovi e migliori anche e proprio grazie ad una educazione sostanziata dalle conquiste, dai metodi e dallo spirito della scienza e della tecnologia. E vedeva la vera dimensione della sfida educativa del domani nella proposta dell'educazione permanente congiunta a quella della società educante. Ma perché questo avvenga, forse è previamente necessario che la società stessa, si veda e si ponga - tutt'intera e nelle sue diverse componenti - in «stato di educazione».
    Altrimenti, dal punto di vista educativo, a poco varrà apprestare sofisticati strumenti didattici o dare disposizioni legali: sarà dare solo esca ad una contestazione n. 3, dopo la contestazione n. 1, quella del '68, e la contestazione n. 2 del '77. In una disperata e rabbiosa ricerca della «qualità della vita».


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