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    Alle radici del nichilismo per ritrovare una via di uscita



    Mario Pollo

    (NPG 1982-5-16)


    La nostra società ha ancora una volta distillato dalle sue profonde radici quel fenomeno a cavallo tra distruttività ed amore per la vita che è il nichilismo.
    La violenza, il terrorismo, l'aborto come riparazione al piacere, il rifiuto della storia sono alcune delle manifestazioni attraverso cui il versante distruttivo del nichilismo si manifesta oggi. Sull'altro versante del nichilismo, quello che ha la forma di un possibile amore per la vita, e che alcuni definiscono gaio, abbiamo la sopravvalutazione della potenza umana nelle sue varie declinazioni che vanno dalla liberazione piena ed incontrollata del desiderio, all'affermazione della validità assoluta della tecnica e della scienza. Il nichilismo è infatti entrambe queste manifestazioni della esperienza umana nel mondo. Qui sta il suo paradosso e la sua coerenza, in quanto esse hanno all'origine la stessa disperante premessa: quella che la vita, gli enti e le forme che la costituiscono nascono dal niente e verso il niente ritornano.

    Il nichilismo, matrice della cultura occidentale?

    Il filosofo Emanuele Severino ha individuato in questo concetto, così come è apparso nelle speculazioni dei filosofi presocratici greci, e tutto sommato è stato confermato In quelle della metafisica classica, l'origine di una alienazione a che «completamente inavvertita guida e domina lo sviluppo dell'occidente».[1] In questa affermazione di Severino è contenuta la convinzione che la matrice profonda della cultura dell'occidente è costituita dal nichilismo, in quanto dal tempo dei greci senza ripensamenti, la cultura occidentale ha imboccato il sentiero della libertà, della volontà di potenza e della ragione dialettica, che sono la diretta conseguenza della convinzione che le cose provengono dal niente, vanno verso il niente e quindi in definitiva sono un niente.
    Personalmente credo che sia profondamente falso la considerazione che vede la cultura dell'occidente costituita nelle sue radici profonde su questa concezione. Essa appartiene indubbiamente alla cultura dell'occidente ma ne rappresenta però solo una parte, non necessariamente dominante.
    Se pensiamo, in accordo con le più recenti teorie, alla cultura umana come ad un sistema comprenderemo meglio come essa sia il risultato di una interazione complessa delle parti e delle funzioni che la compongono e identificano. L'alienazione cui fa riferimento Severino è semplicemente un elemento importante della cultura dell'occidente e non quindi la cultura dell'occidente. In alcuni momenti storici, e forse ne stiamo vivendo uno, essa emerge in superficie per la particolare configurazione che il sistema della cultura assume in quel momento in seguito alla profonda crisi che investe alcune sue parti essenziali. Il dominio del nichilismo in alcuni momenti della storia dell'occidente è dovuta quindi alla crisi di alcune parti fondamentali della cultura. Crisi che solitamente si manifesta nei periodi di transizione della società da uno stadio ad un altro o comunque di una sua grave perturbazione.

    Una ragione storica dell'emergere del nichilismo oggi

    C'è una ragione storica e quindi non contingente che rende più facile l'emersione del nichilismo come uno dei tratti distintivi della attuale società occidentale. Essa è costituita dalla separazione tra pensiero simbolico e pensiero scientifico avvenuta nell'epoca moderna e che di fatto ha privato gli abitanti dell'occidente di una indispensabile forma di pensiero e quindi di un linguaggio costitutivo dell'esperienza umana. Infatti intorno al XVIII secolo si è ritenuto che l'unica via della conoscenza umana evoluta fosse offerta dal pensiero razionale scientifico di tipo analitico, che scomponeva la realtà in tante parti e frammenti fin che ce ne fosse bisogno e su queste applicava i propri rigorosi ed evoluti metodi e teorie di indagine.
    In conseguenza di questo atteggiamento culturale, tutte le forme in cui si manifestava il pensiero simbolico sono state destituite di validità ed assegnate allo stadio umano della barbarie e della arretratezza. I simboli, le immagini ed i miti sono stati ridotti a forme di conoscenza inferiore tipiche dei cosiddetti popoli primitivi e selvaggi.
    Questa scissione della conoscenza è oggi, grazie ad alcune scienze umane, ma soprattutto alla crisi dello scientismo e del razionalismo, superata e nella cultura si sta rifacendo spazio alle forme del pensiero simbolico.
    L'aver separato la cultura dell'occidente dalla corrente del pensiero simbolico di fatto ha significato la riduzione, almeno al livello conscio, della cultura dell'occidente ad una sola parte della sua storia, della sua tradizione e quindi della sua identità. Da notare però che anche se in modo nascosto il pensiero simbolico, anche nelle sue forme mitiche, ha continuato ad agire attraverso simboli degradati nella cultura inquinando il presunto pieno dominio della razionalità tecnico-scientifica.
    Infatti, e di questo oggi molti hanno preso coscienza, è possibile mascherare, degradare, mutilare i simboli, i miti e le immagini ma non è possibile estirparli dalla cultura umana, perché essi appartengono alla sostanza della vita spirituale. Tuttavia la loro cacciata dalla dignità della cultura ha favorito quella perturbazione della stessa di cui il nichilismo è uno degli eventi, ed ha consentito ad alcuni di costituire il nichilismo come la radice della cultura dell'occidente.

    Cultura occidentale e amore per la vita

    In realtà la cultura dell'occidente non è solo quella della razionalità tecnico-scientifica, del possesso e del dominio sulle cose. Essa è anche nello stesso istante profondamente simbolica e quindi religiosa. L'occidente contiene nel suo sistema culturale, dialetticamente, anche l'oriente, depurato però di alcuni elementi e riformulato attraverso le ragioni dell'amore per la vita, greco e soprattutto cristiano. Ora se è vero che le radici del nichilismo sono state introdotte nella cultura occidentale dalla riflessione filosofica greca, è altrettanto vero che quest'ultima ha fatto apparire all'orizzonte dell'umanità l'amore per la vita, la razionalità dialettica che è alla base del pensiero scientifico e la storia.
    Il valore della vita in sé, della libertà, della storia come costruzione della umanità, del dominio e del controllo sul mondo e quindi sulla realtà, hanno trovato la loro origine nel sistema di pensiero che dai presocratici in poi è andato costituendosi nella metafisica greca.
    Sino ad allora, a parte l'atipicità costituita dal pensiero e dalla religione giudaica, l'orizzonte di senso della cultura umana era dominato da cosmogonie e sistemi religiosi, ancora oggi tipici dell'oriente, che lasciavano uno scarso spazio di valore alla vita umana, alla storia e soprattutto negavano all'uomo la possibilità di costruirsi nella storia e quindi nell'accadimento temporale della sua vita individuale e sociale.
    In queste grandi ed affascinanti cosmogonie la vita umana appariva ed appare come un frammento insignificante nell'enormità e nell'eternità dei grandi cicli cosmici dell'universo e quindi della divinità. L'unico valore vero dell'uomo nella sua esistenza è dato dalla sua capacità di uscire dallo scorrere del tempo terreno per entrare in sintonia con il tempo dei grandi e mitici cicli cosmici o addirittura, annullando la memoria, di perdersi nella atemporalità della divinità. La vita vale solo se l'uomo la utilizza per comprendere l'incompletezza e con opportune pratiche allontanarsi da essa per ritrovarsi nella profonda verità dell'assoluto senza tempo e senza spazio.
    Alcuni antichi miti indiani sono assai significativi da questo punto di vista. Essi infatti propongono a chi li ascolta la comprensione della illusorietà del tempo storico del mondo umano in rapporto al Gran Tempo cosmico. L'esistenza nel tempo umano è considerata una non esistenza, una irrealtà perché la sua durata è estremamente limitata.
    «Il mondo storico, la società e la civiltà costruite a fatica con lo sforzo di migliaia di generazioni, tutto questo è illusorio in quanto, sul piano dei ritmi cosmici, il mondo storico dura lo spazio di un istante».[2]
    La conseguenza di questa concezione per il mistico orientale è la fuga dal mondo e la negazione del valore della storia. In queste cosmogonie la verità del destino umano è posta fuori dal mondo e dal suo tempo. Essa infatti non è nello scorrere del tempo, non è nella costruzione della vita e della sua emancipazione attraverso il lavoro, non è nella storia dell'umanità ma nel mitico spazio in cui non si ha tempo e la vita terrena appare come una mistificante irrealtà. L'uomo può solo o subire la vita e la storia perdendosi in esse, oppure abbandonarle entrando nella dimensione in cui la divinità manifesta la sua verità. In queste cosmogonie, al pari del nichilismo, la vita è un nulla ma tuttavia essa può generare, se la si sa abbandonare, l'eterna felicità e verità.

    La variante nichilista del pensiero greco

    La differenza sostanziale almeno come viene delineandosi dai presocratici in poi, è che nel pensiero mitico orientale il nulla della vita è inscritto nell'eternità di un essere assoluto, mentre nel nichilismo essa è inscritta nel nulla dell'indifferenziato illimitato.
    In molte parti del pensiero greco infatti l'infinito, l'apeiron, in quanto illimitato-indifferenziato è di fatto il nulla, in cui niente esiste allo stato attuale ma tutto è allo stato potenziale inespresso, già espresso o inesprimibile. Le cose, gli enti sono solo nel finito, nel limitato delle forme, nel tempo breve degli accadimenti umani Solo nella forma del finito può apparire il miracolo della vita o della sua caduca illusione. Essa è un equilibrio instabile e precario tra essere e niente. Il divenire infatti non viene visto come il passaggio dal puro niente al puro essere, ma semplicemente come l'acquisizione di una forma, di un limite e di una particolare unità da parte di materiale preesistente privo di forma, di limite e di unità. La vita come sistema di forme finite è un particolare insieme di unità di materia ed energia che quando deperisce torna nell'indifferenziato originario e cioè nel nulla.
    Questa concezione, presente in molte parti del pensiero greco, ha come corollario quella che attribuisce all'uomo la libertà e la facoltà di dominare in qualche modo il divenire, l'oscillare della forma in cui la vita si dice tra l'essere ed il niente. Libertà che poggia la propria essenza sulla possibilità offerta dagli strumenti della conoscenza teorica e pratica che l'uomo ha di controllare in qualche modo se stesso e l'ambiente sociale e naturale in cui vive. Senza il potere umano sulla vita e sulla natura non è possibile alcuna libertà.
    Di fatto il pensiero greco, nella sua variante nichilista, fa emergere all'orizzonte della cultura umana i valori della libertà, della tecnica e della scienza e quindi della volontà di potenza o più semplicemente della ragione come unica signoria dell'uomo su se stesso, il mondo e la vita.
    È naturale che questa concezione provochi la comparsa della storia, visto che il tempo, pur nella sua fragilità, è il luogo della costruzione della vita umana e della signoria dell'uomo nel mondo. La storia si costituisce divenendo un principio di comprensione del mistero della vicenda umana sulla terra.

    L'amore per la vita nel cristianesimo

    È chiaro che queste concezioni così come vengono formandosi nel cuore dell'occidente si oppongono radicalmente a quelle espresse dalle cosmogonie e dalle filosofie orientali. Il pensiero greco attraverso questi elementi, raccogliendo in sé anche germi più antichi, produce nella cultura umana la comparsa dell'occidente come altro dall'oriente.
    Tuttavia l'occidente non si esaurisce in queste forme del pensiero greco, anche se ad esse è debitore. Altri elementi, tra cui in modo principale la cultura che il cristianesimo, renderà disponibile, ma anche gli stessi influssi dell'oriente, contribuiranno a formare quel sistema complesso che è la cultura dell'occidente.
    La cultura greca introduce, nell'orizzonte di senso dell'occidente, sia la valorizzazione della vita umana che la disperazione e l'angoscia connesse alla possibilità che la vita umana sia un niente.
    Anche se questa contraddizione fondamentale viene di volta in volta superata dai maggiori pensatori greci, e più avanti in modo radicale dal cristianesimo, essa rimane comunque presente nella cultura occidentale ed emerge con tutta la sua carica nichilista nei momenti in cui qualche profonda crisi attraversa la società.
    L'universalità del cristianesimo è data anche dal fatto che esso costituisce tanto la salvezza della cultura, dell'occidente quanto quella della cultura dell'oriente. Esso accoglie infatti la storia, e l'amore per la vita e ne fa lo strumento attraverso cui l'uomo viene salvato e posto nella condizione di sperimentare l'infinito come il luogo della verità dell'essere, in cui tutte le forme caduche del tempo trovano la loro definitiva e radicale verità. Accogliendo la storia il cristianesimo dà un senso ed una speranza all'amore per la vita dell'occidentale e dell'orientale. All'uno offre l'eternità dell'essere, all'altro la libertà, l'amore ed il rispetto per la vita umana.
    Da questo punto di vista il cristianesimo si pone come il limite, l'orizzonte di senso dell'oriente e dell'occidente.
    È questo uno dei motivi per cui la cultura dell'occidente, se non a costo di un gretto provincialismo, non può essere ridotta alla variante nichilista del pensiero greco.
    Il cristianesimo salva anche il linguaggio simbolico in quanto, pur accogliendo in tutta la sua potenza il linguaggio dialettico, valorizza il simbolismo, le antiche immagini legate alle avventure di senso dell'umanità dei primordi ed i miti che le hanno costituite in sapere. Il profondo simbolismo presente nelle narrazioni della salvezza e nelle liturgie che il cristianesimo ha proposto è sotto gli occhi di tutti coloro cui lo scientismo non ha intaccato la finezza dello spirito, e costituisce una dimensione ineliminabile nella costruzione dell'orizzonte di senso del cristiano. Proprio perché il cristianesimo ha accettato il linguaggio simbolico di fatto lo ha reso costitutivo anche della cultura occidentale impedendo che fosse espulso, ad oriente, nel luogo della barbarie della ragione.

    Crisi delle «grandi narrazioni» e degenerazione della volontà di potenza

    Le grandi narrazioni che hanno dato un senso alla cultura dell'occidente dell'ultimo secolo, e che oggi sono profondamente in crisi, si sono tutte costruite sulla convinzione che la salvezza dell'uomo, la sua felicità potesse essere assicurata dallo sviluppo della scienza e della tecnica, e quindi dall'incremento del potere e del dominio razionale dell'uomo su se stesso, la società e la natura.
    Quasi tutte queste narrazioni consideravano la religione ed il linguaggio simbolico prodotti dell'arretratezza e del sottosviluppo culturale umano. Di fatto queste narrazioni si fondavano sulla volontà di potenza e sugli altri caratteri tipici del pensiero greco nella sua variante nichilista più pura. Esse in qualche modo rappresentavano il versante gaio del nichilismo, cioè di un amore per la vita, fondato sulla possibilità di costruire l'uomo, la storia e la felicità attraverso la sola ragione tecnico-scientifica e la liberazione piena ed emancipante del desiderio. La vita era vista come un frammento di spazio-tempo sospeso nel nulla che poteva, in ordine alla ragione ed all'ideologia, essere reso il luogo di una felicità vera anche se effimera. L'affermazione solo parziale delle grandi narrazioni materialiste, positiviste, scientiste e financo esistenziali ha indebolito le altre parti costitutive della cultura occidentale, rimuovendole e marginalizzandole, e consentendo così l'emergere in superficie della componente nichilista.
    Nel momento della crisi delle grandi narrazioni, e quindi, della dimensione gaia del nichilismo, ecco che è inevitabile il comparire in superficie di quella che Severino chiama l'alienazione fondamentale dell'occidente, e che altro non è se non la disperante degenerazione della volontà di potenza e della libertà rappresentata dalla violenza su di sé, sugli altri e sulla natura.

    Giovani, nichilismo disperato, riscoperta della vita

    Il malessere sociale costituito dal nichilismo nel suo volto disperato tocca profondamente almeno una parte di giovani, inducendo risposte, comportamenti assai differenziati tra di loro. Alcuni reagiscono andando ad oriente, nullificando cioè il valore della vita intesa come costruzione di una salvezza terrena od escatologica, negando la libertà e a volte la stessa ragione per rifugiarsi nelle pratiche di fuga dal tempo, che vanno da quella più nota dello Yoga ad altre innumerevoli.
    Da questi il nichilismo viene superato al modo di Severino, anche se con profonde diversità, negando semplicemente l'occidente.
    Altri ancora spingono la loro disperazione all'estrema forma della volontà di potenza: la distruzione di se stessi attraverso la droga e consimili, oppure la distruzione degli altri attraverso il terrorismo o la violenza selvaggia gratuita come avviene in molte grandi conurbazioni metropolitane. Per moltissimi questo malessere è motivo di una distruzione molto più blanda e banale: quella di vivere fino in fondo una consumistica ricerca di felicità e di piacere, rinunciando così alla costruzione di se stessi in accordo allo sviluppo delle proprie potenzialità inespresse ed ad un progetto etico.
    Infine molti giovani risolvono il loro malessere esistenziale, la loro ansia di verità riscoprendo la dimensione religiosa, andando alle radici della cultura occidentale e risignificando il valore dell'impegno nella storia attraverso lo studio, il lavoro e la politica.
    È chiaro che quest'ultima modalità di risposta alla crisi nichilista sono quelle più coerenti rispetto alla cultura ed alla storia della civiltà occidentale e devono quindi essere riproposte se si vuole che il sistema della cultura occidentale ritrovi evolutivamente la propria identità e la propria capacità propositiva di modi di vita tesi alla valorizzazione tanto della vita stessa in sé quanto della verità e dell'eternità dell'essere.

    Essere uomini come avventura effimera ed eterna

    Ma questa proposta non può e non deve essere fatta attraverso l'esposizione di un dover essere, ma operando positivamente perché si esca dalla crisi della società attraverso la riscoperta della complessità del sistema culturale occidentale che ha il cuore tanto nella ragione quanto nel simbolo. Riscoprire che al confine dove la logica diventa indecidibile si aprono le porte che solo il misticismo o la coscienza della relatività del tempo umano possono in qualche modo aprire. Riconoscere che il senso della vita non può nemmeno essere sfiorato dalla scienza e che tra questa e i simboli non vi è mutua esclusione ma solo una indispensabile complementarità. Ecco la strada che si apre all'uomo e soprattutto al giovane dell'occidente per riscoprire che la vita non è nulla e che la storia non è un'illusione effimera, ma il luogo in cui l'uomo può perseguire la propria emancipazione terrena e nello stesso tempo la propria salvezza, legandosi per l'eternità alla verità ed alla felicità divina.
    La scienza, le ideologie senza simboli che rinviano all'assoluto producono inevitabilmente, dopo l'infatuazione gaia, la disperazione e la dissoluzione dall'orizzonte della vita umana anche del senso della storia che pure dovrebbe essere loro congenito. Il simbolismo, l'ascesi mistica di tipo orientale provocano anche esse la scomparsa della storia e in più quella del senso di quell'accadimento breve ma enorme che è la vita umana.
    L'occidente e la sua cultura, così come si è costituita dopo la comparsa del cristianesimo, hanno ancora molto da offrire al compiersi della ricerca della felicità e del senso della vita umana. La difficile sintesi che vince la disperazione e la falsa gaiezza del nichilismo è ancora quella data dalla capacità di amare la vita umana, anche se essa è un frammento minuscolo nel ciclo cosmico, e di comprendere che, nonostante la sua precarietà, essa ha un posto per sempre nello spazio del mistero dove l'Assoluto ha il suo luogo.
    Essere uomini è una avventura effimera ed eterna nello stesso tempo. Il radicamento nella felicità dell'eternità è dato da come si svolge l'impegno dell'uomo nella storia. In quel breve attimo che rispetto al ciclo dell'universo è il tempo di tutta la storia umana.


    NOTE

    [1] Severino E., Il destino della necessità (Adelphi, Milano 1980).
    [2] Eliade M., Immagini e simboli (Jaka Book, Milano 1981).


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