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    Verso un'etica della riflessività soggettiva



    Giannino Piana

    (NPG 1985-3-22)


    Accostando secondo un'ottica tradizionale le risposte date dai giovani all'intervista sui problemi morali si ricava, di primo acchito, un'impressione di sconcerto. Si direbbe, infatti, che non è più possibile neppure parlare di «etica», se non a livello di alcune grandi questioni, che riguardano la conduzione della vita collettiva.

    NUOVI MODELLI DI LETTURA

    In realtà, il discorso è molto più complesso, ed esige di essere inserito nel contesto delle dinamiche socioculturali del nostro tempo, tenendo conto dell'estrema differenziazione dei vissuti e delle esperienze. Si tratta pertanto di abbandonare le categorie interpretative del passato per fare spazio ad un approccio capace di cogliere le istanze, espresse o inespresse, soggiacenti agli atteggiamenti e ai comportamenti, e di delineare, se è possibile, un modello unitario, che accolga le diverse stimolazioni derivanti dalla frammentarietà e discontinuità delle situazioni esistenziali.

    Il criterio dell'autorealizzazione

    Ciò che appare, anzitutto, centrale nelle scelte dei giovani è il bisogno di autorealizzazione, l'esigenza cioè di recuperare la propria identità soggettiva, mediante la conoscenza di sé, nonché la soddisfazione dei propri desideri e persino dei propri istinti. Questa esigenza conduce, ovviamente, al rifiuto di tavole di valori precostituite o di modelli di comportamento imposti dall'esterno, in quanto vengono considerati come espressione di un processo repressivo tendente a mutilare la libertà e a mortificare la soggettività.
    Si deve, tuttavia, rilevare che il culto dell'autonomia personale non coincide con il rifiuto degli altri o con il disimpegno verso la società in cui si è inseriti. La realizzazione di sé è abitualmente pensata in termini di attenzione e di servizio agli altri, con una proiezione privilegiata sul terreno del confronto e della comunicazione interpersonale da vivere in piena aderenza alle possibilità offerte dal «quotidiano».
    La determinazione del bene e del male non è dunque legata, se non in minima parte, all'esistenza di principi assoluti è piuttosto la risultante di una decisione del soggetto, il quale ricerca, alla luce della propria coscienza, una risposta appropriata al senso della vita. La consapevolezza della rapidità e della profondità dei cambiamenti, ma soprattutto dell'estrema complessità sociale e dei consistenti condizionamenti culturali, rende estremamente difficile l'ancoraggio a valori permanenti. Si fa in tal modo strada una concezione relativizzata dell'etica, che si accompagna, d'altra parte, ad una crescita di riflessività in ordine alle conseguenze delle proprie scelte. È, ad esempio, insistente la sottolineatura della necessità di ragionare sulle situazioni, di maturare in maniera lucida e consapevole le proprie decisioni valutando i riflessi - positivi o negativi - che esse possono avere su se stessi e sugli altri.
    Il processo di soggettivizzazione del comportamento è guidato da uno sforzo di interiorizzazione, dall'appello cioè all'esigenza di un preciso discernimento, che esige, per essere correttamente attuato, una profonda maturazione personale e l'acquisizione di un habitus di coerenza e di impegno con il quale affrontare le varie situazioni. Il rifiuto della proposta fatta dalla famiglia o dalle altre agenzie educative è spesso motivato dalla superficialità o dall'esteriorità del quadro di valori, più dettato da un'assimilazione passiva ed acritica dei clichés imposti dalla cultura dominante che seriamente ripensato in ordine ad un'effettiva crescita della persona e delle realizzazioni interpersonali.
    L'etica del mondo giovanile è dunque caratterizzata da un modello di soggettività riflessiva, segnato da una decisa spinta al ricupero dell'identità. La centralità dell'autorealizzazione non coincide pertanto con l'affermarsi di un soggettivismo selvaggio, di stampo individualista, così come la relativizzazione dei valori e delle forme comportamentali non denuncia per ciò stesso una radicale caduta in atteggiamenti di anarchismo. Siamo piuttosto dinanzi all'emergere di un ethos che si misura con le spinte culturali di una società altamente differenziata, e che tende a restituire al soggetto la propria capacità di decisione e di adattamento, per metterlo in grado di rispondere alle istanze della quotidianità e di perseguire un miglioramento effettivo della qualità della vita e dei rapporti umani.

    Nel campo della vita «personale»

    Questa linea di tendenza è ampiamente esplicitata soprattutto nell'approccio alle questioni che riguardano la vita personale e relazionale. La crisi della morale tradizionale e dei suoi parametri di giudizio si fa qui ancor più evidente. Masturbazione, rapporti prematrimoniali, omosessualità e aborto sono generalmente valutati come azioni da non condannare: alcune di esse persino come azioni che possono rivestire un significato positivo nel quadro dello sviluppo personale. Ma il giudizio in merito - se si osservano attentamente e in profondità le indicazioni date dalle risposte - è variamente articolato e motivato. Così mentre nel caso della masturbazione l'orientamento positivo è fondato sull'esigenza di ricupero dell'identità, mediante la scoperta del corpo e l'esplicazione dell'energia sessuale, anche semplicemente in funzione di rilassamento o di scarica delle tensioni quotidiane; nel caso dell'omosessualità le motivazioni dell'accettazione sono il rispetto delle libertà dell'altro e la possibilità, che deve essere riconosciuta a tutti, di esprimere la propria sessualità secondo le esigenze più congeniali alla propria natura. In ambedue i casi è comunque sottolineata l'illegittimità di un uso banalizzato del sesso, legato alla pura ricerca del piacere o alla tendenza alla consumazione di qualsiasi esperienza. Si ha qui la conferma dell'interpretazione già fornita circa il modello etico giovanile, improntato ad una forte soggettivizzazione - con l'esclusione di pressioni sociali e culturali, quali quelle ancor oggi esistenti sul terreno dell'omosessualità - e, insieme, ad una considerevole capacità di riflessione.
    Ancora più trasparente diviene questo orientamento se si considerano le prese di posizione relative all'aborto, ai rapporti prematrimoniali e al tradimento del partner. La non condanna dell'aborto non equivale alla sua pacifica legittimazione - l'aborto è considerato un atto grave e problematico, in ogni caso non praticabile come metodo contraccettivo - bensì soltanto al rispetto della decisione di chi vi è coinvolto e alla complessità oggettiva delle situazioni. Quanto ai rapporti prematrimoniali, la loro accettazione non è indiscriminata e senza limiti, ma subordinata all'esistenza dell'amore e alla concreta attenzione alle esigenze dell'altro.
    I giovani rilevano pertanto una maggiore disponibilità all'esercizio della sessualità, anche al di fuori dei tradizionali canoni normativi, ma si dimostrano, al tempo stesso, piuttosto esigenti circa il significato che la gestione della sessualità riveste in ordine alla crescita autentica del rapporto interpersonale. Ciò risulta, del resto, anche dall'atteggiamento assunto di fronte al problema del tradimento del partner, dove i valori che vengono evidenziati sono soprattutto la sincerità e la verità della comunicazione, la non separazione tra sesso e amore, e la parità di diritti e di doveri dell'uomo e della donna. Il tradimento non viene cioè valutato negativamente in base a motivazioni istituzionali esterne o legate a consuetudini culturali e di costume, ma in base alla verifica delle condizioni interne al rapporto.
    Analoga riflessione è possibile fare per quanto concerne la questione della suddivisione dei compiti all'interno della coppia. È qui chiaramente affermata la tendenza ad acquisire come fatto storico-culturale positivo il principio dell'aiuto reciproco e del reciproco scambio, senza precostituzione o sacralizzazione dei ruoli, con la disponibilità a concepire in termini dinamici l'assunzione di «funzioni» diverse, nel segno di una solidarietà e di una comunione, che vanno costantemente potenziate.

    A confronto con la società

    L'attenzione alle intenzionalità soggettive più che agli atti considerati in se stessi - attenzione che è rivelatrice dell'esistenza di una consistente dose di riflessività - si riscontra anche sul fronte delle problematiche relative all'etica sociale.
    Da ciò deriva il giudizio generalmente duro nei confronti dell'assenteismo e del disimpegno sul lavoro, considerati come una forma di furto, e nei confronti dell'evasione fiscale - anche se a questo livello esiste un maggiore possibilismo, dettato soprattutto da diffidenza verso lo Stato.
    Più sfumata e più articolata è, invece, la valutazione di fenomeni come la violazione della proprietà privata e la occupazione di case sfitte. Viene, infatti, richiamata in questi casi l'esigenza di attenzione alla concretezza delle situazioni e perciò la necessità di far luce sulle motivazioni che conducono al ricorso a tali azioni, nonché, in termini più generali, la questione del giudizio sulla bontà o meno del sistema economico-sociale che sta alla base dell'attuale assetto di convivenza.
    Il quadro che complessivamente emerge, al riguardo, è quello di un mondo giovanile che, a dispetto delle apparenze, si dimostra abbastanza preoccupato dei riflessi sociali dell'agire umano, che ha cioè a cuore il campo della socialità come campo di esplicazione del giudizio etico.
    La stessa elencazione in ordine di gravità degli atti su cui verte l'intervista, accredita questa sensazione: nella maggior parte dei casi vengono, infatti, ritenuti come particolarmente gravi quegli atti che hanno un più immediato risvolto sociale. È vero che si tratta per lo più di atti che non coinvolgono ancora direttamente le scelte degli intervistati. Non si può comunque negare che vi sia la segnalazione di un orientamento preciso del mondo giovanile: orientamento che assume un prezioso valore indicativo, in quanto riflette una linea di tendenza massiccia e qualificata.

    QUALI PROSPETTIVE?

    Il modello etico che complessivamente si ricava è senza dubbio carico di profonde ambivalenze. L'accentramento di attenzione sulla soggettività risponde ad un bisogno di ricupero dell'identità divenuto ineludibile; esprime, in altri termini, una giustificata reazione nei confronti di una civiltà, che ha per troppo tempo mortificato il soggetto reificandolo, attraverso processi di massificazione sociale e di omologazione culturale, o sacrificandolo ad ideali talora irraggiungibili. Le ideologie forti del passato hanno, da questo punto di vista, esercitato un ruolo mistificatorio proiettando in avanti e «oltre», ma soprattutto all'esterno e fuori, le finalità dell'agire umano e tendendo, di fatto, a sublimare o a reprimere i bisogni più strettamente personali.

    Una soggettività fondata su valori

    La rivincita della soggettività assume dunque i caratteri di rivalsa del desiderio represso e di riemergenza dell'inconscio individuale e collettivo. Essa conduce non soltanto al rifiuto di ordinamenti etici precostituiti ed imposti autoritativamente dall'alto, ma più radicalmente alla messa in crisi del tradizionale modello etico, che era il modello del dovere e dell'obbligazione, del sacrificio e dell'impegno. La tendenza dominante è quella di andare verso un'etica, centrata sull'affettività e sulla soddisfazione dei bisogni e dei desideri, sull'eros e sulla piena esplicazione del principio del piacere; in una parola, è la tendenza a riconcentrare l'attenzione sul problema della felicità e della autorealizzazione.
    È vero che tutto questo si accompagna allo sviluppo di un consistente livello di riflessività e ad una notevole sensibilità verso le relazioni, sia interpersonali che sociali, attenuando i rischi di soggettivizzazione del comportamento. Ma l'assenza quasi totale di riferimento a parametri assoluti e l'insorgenza del modello in chiave più negativa che positiva - di ribellione cioè indiscriminata nei confronti del passato piuttosto che di confronto critico-costruttivo con esso - pone una serie di inquietanti interrogativi circa la possibilità stessa di una rifondazione dell'etica.
    Il pericolo è, infatti, quello di un totale relativismo culturale e di un adeguamento passivo alle istanze della cultura dominante. Il rifiuto di criteri di giudizio oggettivi, in base ai quali discernere il bene e il male e valutare concretamente le proprie azioni nei diversi settori in cui si sviluppa l'esistenza, può condurre all'assunzione acritica di bisogni indotti nel soggetto dalle ideologie del momento o dai meccanismi del sistema economico-sociale e politico.
    Il prevalere del consumismo, che moltiplica le esigenze dell'uomo in funzione della logica di mercato, e la legittimazione che ad esso viene dalla cultura « radicale », fondata sull'esasperazione del diritto soggettivo e sulla interpretazione secondo il « principio del piacere », fa giustamente nascere gravi sospetti e motivi di seria preoccupazione nei confronti del processo di totalizzazione della soggettività.
    Se è vero, infatti, da una parte, che i giovani hanno acquisito una notevole capacità di immunizzazione e di resistenza di fronte alle pressioni negative del contesto in cui vivono, grazie all'elevarsi del livello culturale; non è meno vero, dall'altra, che la maggiore fragilità psicologica, propria dell'età, li rende più facilmente preda delle suggestioni ambientali.
    Non si tratta perciò di rinnegare il dato della soggettività riflessiva, che costituisce un indubbio elemento positivo e rappresenta, d'altronde, il necessario riferimento da cui partire per ogni vero progetto di crescita morale, ma di innestare su di esso una approfondita e specifica riflessione sui valori che devono essere necessariamente assimilati, se si intende innescare un processo di maturazione della persona e delle relazioni interpersonali e sociali. Si tratta, in altri termini, di potenziare la riflessività, rapportandola ad un quadro complessivo di istanze capaci di rispondere agli obiettivi globali dell'autorealizzazione umana.
    Il vissuto etico dei giovani è, nell'insieme, più serio e motivato di quanto immediatamente si possa pensare. Sta agli educatori assumerlo e farlo evolvere nella direzione di un progetto, che conduca ad un'effettiva liberazione personale e ad un pieno dispiegamento delle potenzialità di impegno sociale.


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